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giovedì 31 agosto 2017

Vampires! - Dracula, Bram Stoker

13:31
Ogni anno, per il compleanno del blog, decido di scrivere un post più particolare, magari più ricercato o che sia per me in qualche modo significativo. Quest anno, invece, ho deciso che avrei approfittato della mia ricorrenza per colmare una mia grande lacuna. Per tutto il mese di settembre, quindi, a parte un paio di eccezioni con i colleghi blogger ai quali non posso dire di no, e a parte oggi che è ancora agosto, si parlerà di vampiri.
Così è deciso.


Prima di tirare in ballo il cinema, però, c'è da leggere almeno almeno Dracula. 
La mia prima lettura del romanzo di Stoker risale ai tempi del liceo, in cui leggere certe cose mi faceva sentire così outsider che le avrei lette anche per strada pur di far sfoggio del mio essere diversa. Non sembra, ma dai miei tempi del liceo sono passati un po' di anni, quindi, in previsione di questa serie di post, mi sono riletta Dracula.
Pensavo mi piacesse, prima. Ne avevo un buon ricordo, quindi mi era senz'altro piaciuto. Adesso, dopo anni, è amore. Se è vero che c'è un momento giusto per ogni cosa, allora io devo essere reinciampata sul romanzo nel momento perfetto, perché la lettura di Dracula è stata illuminante, e come le cose molto molto luminose ha annebbiato la vista e rincoglionito un po' il cervello, impedendomi di leggere oggettivamente quanto venuto dopo.

Ma andiamo con calma.

Anno domini 1890. Bram Stoker, un gentiluomo irlandese, fa un brutto sogno, come ne facciamo tutti. Si sveglia la mattina, decide di fare un po' di ricerche (ma giusto un paio, per qualcosa come sette anni), poi butta giù due cosette. Nel 1897 le sue ricerche producono un romanzo e la narrativa dell'orrore non è più la stessa. È più o meno la stessa sensazione che deve avere provato Freddie Mercury quando ha scritto Bohemian Rhapsody. Hai un'idea, e anni dopo le persone ancora vivono all'ombra della maestosità di quanto hai fatto. Letteratura e musica non sono mai più stati gli stessi. Chissà cosa si prova. Se esiste un'aldilà spero che entrambi possano vedere che ancora oggi pendiamo dalle loro labbra.
Insomma, esce un romanzo che si chiama Dracula. Finisce per diventare fenomeno di costume, vincolando per sempre la leggendaria figura del vampiro al suo nome. Sono passati 120 anni e le ristampe del libro non sono ancora cessate. Se chiudo gli occhi riesco quasi ad immaginare John William Polidori che alza la mano, si schiarisce la voce e dice timidamente che veramente quello che è considerato il primo racconto di vampiri lo ha scritto lui, ma uno sguardo di Bram, dall'alto della sua indiscussa superiorità storica, dovrebbe bastare a rimettere il povero John al suo posto.
Polidori lo ricordiamo essere portatore di una sfiga rara. Il suo racconto è stato prima offuscato da un certo Frankenstein, scritto nella stessa sera e oggi finito ingiustamente nel dimenticatoio (ironia alert), e poi da quest'altro qua, il cui nome è diventato sinonimo di vampiro, capostipite assoluto di una discendenza che, ancora oggi, non accenna ad estinguersi, prima fiammella di un fuoco che non ha alcuna intenzione di placarsi.

Il romanzo si apre - e si chiude - con un diario. Jonathan Harker, un giovane apprendista in uno studio legale, è in partenza per la Transilvania, per concludere un affare con un cliente del luogo. La gente intorno a lui gli fa intuire che non si tratti di una buona idea, ma il lavoro è lavoro e Jonathan e Dracula si conoscono. Li vediamo insieme solo nella prima parte del romanzo perché poi, con l'eleganza dei cattivi migliori della storia, Dracula sparisce. Sta sullo sfondo, mentre noi leggiamo dai racconti dei protagonisti le conseguenze delle sue azioni. E tutto questo, per me, è già straordinario. Dracula fa paura non essendoci mai, ma essendo sempre presente, Sta sullo sfondo, eppure tutto quello che succede in primo piano è in funzione di lui. Una città intera è piegata al suo potere, ma nessuno lo conosce.
Mina, Jonathan, Arthur, Lucy, Renfield, Quincey, Seward,e ovviamente l'amatissimo (almeno da me) Van Helsing sono personaggi di cui non facciamo mai conoscenza diretta, nel senso che non ci vengono mai presentati. Il romanzo è costituito solo delle loro parole, attraverso diari, lettere, memorie, e niente di tutto ciò è diretto ad un lettore. I protagonisti scrivono per se stessi, quindi sono onestissimi, e hanno una paura maledetta.
Oppure sono incuriositi, frustrati, addolorati, affascinati. L'unico a non avere voce diretta è proprio il protagonista indiscusso della vicenda, il Conte. (Non fate i pignoli, lo so che anche Renfield non parla mai direttamente.) Dracula parla e compare pochissimo, non abbiamo mai visione diretta dei crimini che compie, perché non ne ha bisogno. È già terrificante così.


Esistono creature particolari, chiamate vampiri. Qualcuno di noi ha prove di loro esistenza. (...) Un Nosferatu non muore come ape dopo che ha punto. Diviene solo più forte. (...) Questo vampiro che è tra di noi ha, da solo, la stessa forza fisica di venti uomini. Sua astuzia è più che mortale perché sua astuzia cresce con passare di anni. È bestiale, anzi più che bestiale! È demonio insensibile, senza cuore.
Solo un personaggio alla sua altezza poteva contribuire alla sconfitta del Conte più temibile della storia del mondo: Abraham Van Helsing. Badass senza precedenti, AVH ha cinque milioni di anni (iperbole, sempre iperbole), un centinaio di lauree in scienze dalla diversa utilità (Lettere e Filosofia vs Medicina, per dirne solo tre) ed è l'unico che abbia la più vaga idea di quello che sta succedendo, azzoppato anche dal lieve dettaglio di essere l'unico a crederci, a quello che sta succedendo. Dettaglio peraltro niente affatto irrilevante se si pensa che non si può uccidere qualcosa in cui non si crede.
È molto interessante, poi, che sia proprio lo scienziato a diventare la rovina di Dracula. Il sovrannaturale, il pericoloso, il mortale, vengono annientati, come nelle migliori favole a lieto fine, dall'uomo di scienza, dalla razionalità. Ai miei occhi non esiste niente di più rassicurante.

Io mi rendo anche conto che una che trova rassicurante Dracula possa non sembrare tutta a posto con il cervello, lo capisco. Ma nell'eterna lotta tra il bene e il male il romanzo di Stoker ci mostra che il Male è anche umano, che può essere anche un uomo per il quale sia lecito provare a volte anche sentimenti di tenerezza (all'inizio, il Conte solo nel castello a me ha stretto il cuore che vve devo dì), e che annientarlo non lascia mai privi di cicatrici.
Ma che si combatte, sempre.
Spesso con la scienza.
Il che mi porta a concludere che un romanzo di 120 anni fa scritto da un irlandese sia un baluardo dell'antigrillismo.
Ok, la smetto.



giovedì 27 luglio 2017

Lamento di Portnoy, Philip Roth

16:48
Lo sapevo che prima o poi sarebbe scoccato l'amore tra me e Roth. Se La macchia umana mi era piaciuto ma non mi aveva fatto gridare alla nuova passione della mia vita, ecco che Lamento di Portnoy mi ha fulminato.
Ciao Philip, è un piacere amarti, approfondiamo la nostra conoscenza.


Alexander Portnoy è un uomo bianco ebreo. E se non vi dicessi che il libro è di Roth lo potreste intuire da questo. È dallo psicanalista, e in un lungo monologo ci racconta la sua vita, soffermandosi sulla sua erotomania (è una parola?) e sul rapporto con la madre e con le tradizioni ebree così radicate nella sua famiglia.

Conosciamo Alexander e la sua famiglia fin da quando lui è piccino. Non lo conosciamo solo attraverso il racconto che lui fa di sè e della sua storia ma anche attraverso il modo in cui gli altri, soprattutto i suoi genitori, lo vedono. Questo perché Alexander è sempre stato sveglio (magari non l'Einstein Secondo che crede - letteralmente - la madre, ma è intelligente) e osserva in modo inusuale e profondo la sua famiglia. Si conosce e li conosce alla perfezione, cosa per nulla scontata, e con la sua prorompente personalità ce li racconta tutti. Sa che sua madre morirebbe a saperlo così, ma non smette per un istante di provocarla, quella povera donna pazza.
È un personaggio gigantesco, invadente, che non lascia alcuno spazio al lettore. Se lo prende tutto e lo invade con il suo fiume di parole come se fosse un blob informe. Ma quanto è divertente.
Perché sì, il solito perculo della società che piace tanto alla critica ben più seria di me e blablabla. Ma quanto fa ridere Philip Roth quando vuole?
In Lamento di Portnoy lo vuole tantissimo.
Che scandalo.

La volgarità è per me soggettiva. Quello che scandalizza me non tocca altri e viceversa. (Elena, però, amica mia, se stai leggendo questo post stai lontana da Portnoy.) Il sesso è il centro della vita di Alexander, che non fa altro che parlarne, e parlarne, e parlarne, ad un povero terapeuta che finita la seduta si sarà calato una camomilla fredda in vena.
Nel '69, però, quando un certo signorino si mise in testa di scrivere le sporcacciate, tutta l'America inorridì eccome, altro che volgarità soggettiva, ché certe cose si fanno ma guai a parlarne. E lui, che è più intelligente di tutti noi, ne parla invece, eccome. Ne parla con il suo fare deliziosamente perculatorio e senza paura.
Inarrestabile uragano Roth.


giovedì 13 luglio 2017

Nel guscio, Ian McEwan

17:51
Anni e anni fa ho letto Espiazione.
Pianti e disperazione, seguiti dalla decisione insindacabile che io, di McEwan non avrei mai più letto niente.
Accade poi che lo scrittore decida di prendere l'Amleto, un mio grandissimo amore, e di trasformarlo in un romanzetto breve ed esilarante, in cui a parlare sia un feto.
E niente, è stato di nuovo amore.



L'Amleto in questione, se così possiamo chiamarlo, è un feto senza nome, che vive beato nella pancia della sua mamma Trudy, involontario testimone del piano che Trudy e l'amante-cognato Claude stanno escogitando per uccidere John, il suo papà.
Nel frattempo degusta vini, ascolta podcast e dibattiti tv e si prende gioco di tutti noi.

Mettiamo che abbiate un pomeriggio libero. Che siate un po' stanchi, che il lavoro vi stressi, che il moroso vi tedi con la proposta di andare domenica a vedere l'Inter.
Facciamo così. Prendete Nel guscio, finitelo, poi tornate a ringraziarmi. (Anche se da ringraziare ci sarebbe Ian, ma tant'è). Sarà una lettura breve, quasi brevissima, ma piena. Il feto che parla è più brillante della maggior parte dei nati, ha spirito d'osservazione (paradosso, ok, intendo che è sveglio), e acume, assimila informazioni come una spugna e non manca di sottolineare tutto quello che sa, comprese le sue conoscenze sui vini (troppi) che la madre beve in gravidanza.

Gli adulti in questo libro sono passati sotto la più atroce delle lenti d'ingrandimento, quella dell'occhio giudicante e inflessibile dei bambini. Trudy è il personaggio più in contrasto, amatissima e tremenda madre assassina che il feto non può detestare sebbene lei con il suo comportamento sregolato lo metta anche a rischio, Claude è un pagliaccio, al quale il feto non concede un momento di tregua. Non ne fa una giusta, non è una bella persona e il feto non solo lo sa, ma nemmeno perde l'occasione di rimarcarlo. Il padre, invece, altro discorso. Ah, quanto amore ha questo feto per il suo papà! Sognatore illuso, il padre è un poeta innamorato e con delle fette di salame sugli occhi belle spesse come le tagliamo qui sul mantovano.

L'Amleto, quindi, diventa il racconto esilarante di una storia tragica, che non scade mai nella faciloneria delle risate crasse e scoreggione, ma che conferma come McEwan sia l'autore che tutti vorremmo essere.
Grazie al cielo abbiamo la fortuna di leggerlo.

giovedì 6 luglio 2017

Lo specchio nero - Gianluca Morozzi

19:45
Il bar in cui lavoro si trova in un paese che si chiama Bozzolo, è in provincia di Mantova. Domani sera, a Bozzolo, ci sarà Gianluca Morozzi a presentare il suo nuovo romanzo, Lo specchio nero.
Il caso vuole che io facessi la corte al signor Morozzi da un po', cioè da quando Francesca Crescentini, la solita Tegamini di cui vi parlo sempre, ha parlato di Radiomorte.
Radiomorte ancora non l'ho letto, ma la mia biblioteca aveva giusto appena comprato questo, quindi ne ho approfittato.


Il romanzo parla di Walter, direttore editoriale di una casa editrice bolognese. Un giorno si risveglia sul luogo di un delitto, chiuso a chiave tra due porte che solo lui stesso può aver chiuso. Walter non ricorda niente, ma sa per certo di essere innocente. Nella settimana successiva all'omicidio cercherà di fare chiarezza sull'accaduto.
Avevo detto che non ero più attratta dai gialli, e lo confermo. Inseguivo Morozzi perché le parole entusiaste di Francesca mi avevano contagiato (debole che non sono altro), ma non era tanto il genere ad interessarmi quanto piuttosto un nuovo autore con cui ricominciare il mio rapporto con la narrativa italiana.
Sono incuriosita?
Senz'altro.
Sono innamorata senza possibilità di redenzione?
No.
Lo specchio nero parte con ottime premesse, che suonano molto citazioniste (stanze chiuse dall'interno? Edgar Allan Poe, sei tu quello che intravedo?), e ritrae alcuni spaccati d'Italia molto interessanti. Ruoli di potere raggiunti con mezzi, diciamo, alternativi, sette religiose e le loro conseguenze, la realtà degradata dei quartieri più disagiati delle grandi città.
Tutto ciò, però, non sembra stare in piedi con un vero intento di approfondimento, quanto piuttosto come se tutto fosse solo volto alla risoluzione del caso. La sensazione è che ogni dettaglio sia messo lì apposta perché noi lo notiamo, così che poi il lettore possa sommare i pezzi del puzzle. Questo, ormai, è un lato dell'esperienza di lettrice che non mi importa più molto, ho avuto la sensazione di giocare ad un libro game e purtroppo non è più quello che cerco.
Oltretutto in questo caso l'assassino non è nemmeno un gorilla, che era una soluzione che con un eufemismo definirei brillante, quindi non ho nemmeno avuto particolare entusiasmo per il finale, che secondo me è il vero punto debole.
Questo non significa che ho chiuso con Morozzi. Radiomorte mi aspetterà, e non ho nessuna intenzione di fermare qui il mio ritorno all'Italia che scrive.
Solo, con qualche giallo in meno.

giovedì 29 giugno 2017

Il bazar dei brutti sogni - Stephen King

16:02
Non sono capace - nè tantomeno voglio - di porre alcuna resistenza quando esce il nome di King.
Finchè lui scrive io leggo, punto.
Non staremo qui a discutere degli alti e bassi della sua carriera, dei romanzi preferiti (Dolores Claiborne, Dolores Claiborne, Dolores Claiborne!) nè di quelli sfavoriti (oh, a me La Torre Nera annoia), nè del suo essere il più pop tra gli autori contemporanei.
Una cosa, però, è un dato di fatto, un dogma quasi religioso, un mantra da ripetersi nei momenti di incertezza:
Come li scrive bene lui, i racconti, quasi nessuno.




Il bazar dei brutti sogni è la sua ultima raccolta, datata 2015. È composta da 16 racconti, 2 poesie e 2 novellette. Non è che possiamo star qui a recensirli singolarmente, ma tanto per darvi un'idea veloce: secondo me sono più le storie che funzionano che quelle che falliscono. Che poi, non è che ami usare il verbo fallire, intendo solo che la maggior parte mi sono piaciute, ecco.

Storie come Ur, Miglio 81, Tuono d'estate, La duna, Il bambino cattivo e Una morte sono secondo me l'essenza del Kingone al cubo. Auto maledette (Miglio 81), dispositivi elettronici misteriosi, isole che anticipano la morte, bambini crudeli senza motivazioni e condanne a morte sono cose che abbiamo già sentito e amato dalle sue labbra. Non importa, perché quando l'argomento è maneggiato così bene potrà anche essere ripetuto all'infinito ma si ama comunque. Sono aspetti che hanno caratterizzato King fin dal principio della sua carriera e che oggi, dopo anni e migliaia di parole, non hanno perso smalto. Anche quando si corre il rischio di trovarli prevedibili (come è stato per me Giù di corda, già pubblicato in Notte buia, niente stelle), la qualità non cala.

Certo, non sono pazzeschi tutti e 18. Potrei (ehm) anche avere evitato del tutto le poesie. Nel complesso, però, le storie che proprio non mi sono piaciute sono pochissime, una su tutte Blocco Billy, la storia sportiva che mi ha annoiato a morte.
Quando Stephen King scrive racconti, però, tira fuori il meglio dalle sue parole, e ritorna agli antichi fasti.

Più noi pivelli pensiamo che King abbia finito il carburante e si avvicini alla destinazione, più lui se la prende a male e allora ricominciano i brividi.
Di gioia, però.

giovedì 15 giugno 2017

Un giro in libreria #2: ET Einaudi e Graphic Novel

18:25
Sono tornata in libreria. Questa volta in Feltrinelli, perché nella mia città ci sono quasi solo librerie di grandi gruppi editoriali. Questo è perché Cremona attende in ansia che io apra il mio piccolo e intimo caffè letterario che venderà anche libri usati e farà la gioia vera di grandi e piccini.



A balzare subito all'occhio è inevitabilmente la promo Einaudi: compra due ET e ti regaliamo il telo mare de L'isola del tesoro (che, ammettiamolo, è proprio un gran bello).
È già stato fatto da blogger ben più rilevanti della sottoscritta, ma se non sapeste come barcamenarvi nel marasma dei tascabili Einaudi, ecco i miei due spicci, esclusi i classici:


  • per gli idealisti politici, attaccati alla sinistra vecchio stile, che tutti gli anni vanno a mangiare pane e salamella alla Festa dell'Unità: gli scritti di Augias e Berliguer sono ET. 
  • girl power: Chimamanda Ngozi Adichie, Margherita Hack, Concita De Gregorio, Michela Murgia, Alice Munro.
  • gialli: qua ci potrebbe essere da sbizzarrirsi, di giallisti ne è pieno l'universo. Un solo nome, però, spunta nell'arido cuore mio. FRED VARGAS.
  • da regalare all'amico hipster: David Foster Wallace. Ma proprio tutto, in pratici formati convenienza. Se Infinite Jest risulta un po' poco pratico da trasportare, allora ci si può buttare sulle Brevi interviste per uomini schifosi.
  • se vi serve un piantino liberatorio: tutto quello su cui potete mettere le mani di Kazuo Ishiguro. Ma non prendete sottogamba nemmeno il fattore lacrima di Philip Roth. 


Infine, le novità graphic (che sono novità almeno per me). Ribadisco quanto detto la volta scorsa: ora che tutti leggono i fumetti le case editrici si adeguano.
Della già citata collana di Mondadori, Oscar Ink, ha colpito la mia curiosità Monstress, fantasy ambientato in un mondo in cui la popolazione è divisa per razze, e che ha per protagonista una donna che sembra avere possessioni demoniache.
Sono inoltre sempre più tentata da Saga, che in ogni libreria in cui vado sta lì, a sfidarmi. Certo, in attesa di essere acquistati ci sono anche Paper Girls e Strangers in paradise, ma non è che ho i miliardi a disposizione. Alla fine il fil rouge di quello che mi attira è il mood anni 80, amici, mostri e fantasy. Niente che sia il mio genere del cuore, in realtà, eppure in forma di fumetto è questo che attira sempre la mia attenzione.
Per suscitare in voi le mie stesse voglie a proposito di questo maledetto calderone mangiadenaro che è l'editoria a fumetti, lascio qui questo video, che se devo soffrire io almeno soffrite con me:


giovedì 8 giugno 2017

Il paradiso degli orchi, Daniel Pennac

16:33
Come avevo detto nel primo post sul giro in libreria, mi sono finalmente decisa a conoscere Malaussène.
Ho fatto bene.


Benjamin Malaussène è un capro espiatorio. Di lavoro, infatti, si prende la responsabilità di tutti gli errori di un centro commerciale, recitando la parte del pover'uomo e convincendo i clienti a ritirare le lamentele. Quando torna a casa si occupa dei suoi fratellastri e delle sue sorellastre, che la madre gli ha lasciato in gestione per andare in giro per il mondo con la fiamma del momento. Un giorno, nel centro commerciale scoppia una bomba. E poi un'altra, e poi un'altra.
Chi potrà essere il primo sospettato, se non un capro espiatorio?

Sapevo che Pennac mi sarebbe piaciuto. La sua fama lo precede, e sapevo che questo modo fresco di scrivere mi conquista sempre. Ero stata ben attenta a non costruirmi delle aspettative particolari, però, ché quelle lì sono delle nrutte bestie e rovinano sempre tutto. Quello che non sapevo, quindi, era quanto Pennac mi sarebbe piaciuto.
Ora lo so: tanto.
Se la bizzarria della famiglia Malaussène non fosse sufficiente a farvelo amare, e io credo basti da sè, vi dirò di più: la scrittura di Pennac è deliziosamente inaspettata. Pensavo a qualcosa di molto elementare nello stile che finiva per avere il suo risalto nei contenuti. Niente di più sbagliato.
Daniel Pennac scrive in un modo incantevole, che è sì leggero e scorrevole come olio di cocco sulla padella calda su cui state per fare i pancakes, ma è molto meno immediato rispetto all'idea che mi ero fatta. Nelle prime pagine, soprattutto, in cui il rapporto tra i membri della famiglia Malaussène non è ancora chiarito, serve un momento per fare il punto della situazione senza finire a pensare di essere impazziti.
La routine familiare è adorabile, ogni fratello ha caratteristiche e passioni molto pronunciate, che rendono ciascuno indimenticabile a modo suo. L'equilibrio in cui Benjamin deve restare per gestire da solo una famiglia molto numerosa e un cane epilettico ricorderà a tutti gli assurdi giochi di gestione familiare, in cui le bizzarrie di ciascuno non sono più assurde ma quotidiane, in cui ogni secondo della giornata è incastrato alla perfezione per non lasciare fuori le necessità di nessuno e in cui, tutto sommato, è l'affetto a tenere in piedi la traballante baracca.
Oltre a ciò, il giallo, le bombe che esplodono e i personaggi altrettanto inconsueti che lavorano nei Grandi Magazzini. Niente è lasciato al caso, ogni dettaglio è curato e divertente, e sì, ogni dettaglio fa ridere.
Fino alla risoluzione del caso, lì non c'è proprio niente da ridere.
Ed è lì che Pennac passa dal raccontare una storia buffa ad una ben più grande con un solo giro di pagina. In poche righe il romanzo assume tutt'altra piega, entrando nella lista dei Grandi, facendosi spazio nel cuore del lettore senza che questo nemmeno se ne renda conto.
È troppo impegnato a ridere.

giovedì 1 giugno 2017

Nonsolocinema: I segreti di Heap House

15:42
Maledette siano le aspettative e chi le ha create. O ancor più maledetta io, che mi conosco eppure continuo a farmele.
Puntavo questo libro da mesi. Avvistato in libreria e bramato immediatamente, è stata la lettura più desiderata di questi mesi.
Mi è piaciuto?
No.
E adesso venite a dirmi che non è una sensazione da schifo.



La famiglia Iremonger è disprezzata dall'intera città. Vive in una casa costruita da e su una discarica, e ha consuetudini molto radicate e bizzarre. Per fare un esempio, ad ogni Iremonger viene consegnato un oggetto natale, cioè un semplice oggetto della vita quotidiana (come un tappo da bagno) da conservare con estrema cura. Clod è un membro della famiglia, un ragazzino esile e malaticcio che ha la caratteristica di sentir parlare gli oggetti natali.

Quello che mi fa incazzare è che le premesse le ho amate. Se andassi in libreria e trovassi un altro libro simile, lo vorrei allo stesso modo, perché se c'è qualcuno che ripensa con nostalgia ai bei vecchi tempi in cui il nominatissimo Tim Burton faceva bei film quella sono io. I segreti di Heap House avrebbe potuto essere un nuovo La sposa cadavere e rendermi la ragazza felice e piena di soddisfazioni che ogni tanto credo di meritare di essere.
INVECE NO.
Quanto le volevo quelle atmosfere weird un po' schifosine in cui non capisci bene se i personaggi ci sono o ci fanno, volevo i rapporti familiari malsani, volevo un clima goticheggiante mischiato con una dose inaspettata di ironia. Questo mi diceva la copertina, questo suggeriva la quarta, così mi ha illuso Bompiani.
Tu quoque, Bompiani mia?
Mia amatissima, incantevole casa editrice. Nel post di giovedì scorso avevo appena palesato al mondo il mio amore per te, e tu ti prendi gioco dei miei sentimenti così, con un romanzetto che ci prova fortissimo a fare l'Henry Selick della situazione ma manca l'obiettivo cadendo rovinosamente nella pila dei libri non riusciti.
(Avete mai notato che nelle foto di profilo Selick pare l'Uomo Pallido de Il Fauno? Sono pazza?)

Ci sono gli ambienti giusti, ci sono alcuni personaggi che mi sono piaciuti (la Nonna e Tummis), altri che ho detestato in ogni momento (Lucy, Lucy, LUCY!), ma tutto sommato è il mordente che è mancato. Non ho letto passione, non ho letto la storia un po' marcia e un po' romantica che mi aspettavo. Mi fossi limitata a volere una lettura piacevole magari l'avrei pure amato, ma così no.

Peerò, oh, i disegni dell'autore quelli sì che son proprio belli.

giovedì 25 maggio 2017

MI SA CHE HO SCRITTO UN LIBRO

17:38
Una blogger che scrive libri: originale, nevvero? 
Ok, forse il titolo è un po' clickbait, con il caps lock e tutto il resto. Ma un libro l'ho scritto per davvero.
È un racconto, un racconto per bambini e ragazzini.
Si chiama Per l'amor di Asgard e sta su Amazon. Più avanti vi spiego i dettagli per averlo, nel caso in cui vogliate farmi l'immenso onore di leggerlo.

Due parole nel caso in cui vogliate sapere di cosa parla: il protagonista è un undicenne che decide di scappare di casa, stanco delle punizioni della madre. Si trasferirà in un bosco alle porte di Reggio Emilia, dove scoprirà di non essere solo. Non resterà a Reggio molto a lungo.


Nella vita voglio scrivere, mi sembrava ovvio dal momento in cui ho aperto un blog. Un secondo progetto è già nella mia testa, e sta occupando i miei pensieri da giorni. Andrea e la sua storia sono stati il primo passo verso quello che voglio fare, e che indirettamente faccio da sempre. Per ora la mia scelta è stata 'domestica': il libro non è stato editato da nessuno che non sia la sottoscritta, la copertina è un disegno della mia migliore amica Elena, che non sarà mai ringraziata a sufficienza per avere trovato un angolino di tempo per questa cosa nella sua vita frenetica. Il mio proofreader è stato Riccardo, il mio ragazzo, costante supporto e consiglio in tutta la (lunga) fase di stesura e revisione. Riccardo è stato anche ispirazione per Andrea, insieme ad un bambino, cliente abituale del bar in cui lavoro, il Capitan Pirla a cui il libro è dedicato. Ha anche un nome, Capitan Pirla, ma per ora lo terrò per me. Se lo conosceste lo amereste quanto me, è un personaggio incredibile.

Per l'amor di Asgard lo trovate qui. Costa 1,99€.

Angolino spiegone per gli amici meno abituati al mondo di Amazon. 
Funziona così:
Acquistate il libro con il vostro account Amazon e lui ve lo mette in download. Per leggerlo occorre un Kindle. Non avete un Kindle? Non tutto è perduto! Dal Play Store del PC, del telefono, o del vostro lettore ebook vi scaricate l'app di Kindle (che è gratis), la collegate al vostro account Amazon e il libro arriva comodo lì. Anche sul cellulare. Agilissimo.

Mi tremano le mani, e mi hanno tremato ininterrottamente per le scorse settimane, al pensiero che questa cosa fosse davvero finita, davvero mia, davvero reale. Nella mia testa lo è sempre stata, ma ora lo è per tutti, e se vi chiedeste se la Mari se la sta facendo sotto la risposta è TANTO.
Ma ho lasciato che Andrea stesse chiuso in un cassetto per troppo tempo, ed è ora che la vita smetta di far paura a me e anche a lui. La sua mamma lo sta lasciando libero nel mondo, e sarà durissima non riportarlo tra le braccia familiari.
Non sarò affatto in grado di gestire alcunchè di quello che verrà dopo, le critiche e l'ansia e la frustrazione. Non so nemmeno cosa succederà dopo: se resterò sempre e solo su Amazon, se mi allargherò, come e quando lo farò. Lascerò che le cose scorrano per un po' da sole prima di prendere decisioni.
Ma con oggi inizia un viaggio, e sono felicissima di avere voi con cui condividerlo.


martedì 23 maggio 2017

Un giro in libreria #1

08:05
Domenica sono andata al cinema. Sono partita in anticipo da casa perché la mia insonnia mi ha impedito di fare la pennica pomeridiana, e dopo aver sottoposto il mio martire fidanzato a prove di vestiti e critiche sui negozi che non hanno mai niente, sono entrata in libreria, che sta proprio di fianco al mio multisala di riferimento.
(È una libreria Giunti, se amici di Giunti volete iniziare a finanziare questa serie di post scrivetemi che ci accordiamo per il tariffario)
Insomma, sono lì che vago e mi è venuto in mente che potremmo anche fare due chiacchiere insieme sulle novità, su cosa mi ha intrigato e su cosa no, sul mondo dei librai, eccetera. La nuova rubrica avrà cadenza rigorosamente casuale, come di consuetudine da queste parti.


Partiamo dalle novità che mi hanno colpita nel mio povero cuore sensibile:

✤ Il nuovo Stefano Benni, Prendiluna.
Parliamo di Benni. Perché si parla sempre così poco di Benni? Cos'ha il mondo contro uno dei più adorabili scrittori italiani contemporanei? Secondo me è meraviglioso, e se vi ricordate bene a me la gente che vuole far ridere annoia. Lui però è più intelligente della media, è brillante, mai ripetitivo, spumeggiante. Ho letto la quarta e niente, è finito irrimediabilmente in wishlist, anche se prima voglio leggere quel La bottiglia magica illustrato che ancora mi manca.

Ombre. 
Io di arte pittorica non so niente. Lacuna mia, senz'altro, ho solo col tempo dato la precedenza ad altre arti. Di recente, però, sono incappata in un signore: Edward Hopper, e mi sono innamorata. I suoi quadri mi calmano, mi danno un senso di pace infinito e siccome io ho sempre una tempesta in corso direi che è arte necessaria. Arrivo tra le novità, e spunta un libro che ha del miracoloso: una raccolta di racconti, ognuno ispirato da un quadro di Hopper, scritti da alcuni tra i nomi più importanti della letteratura americana. Due nomi tanto per dire che il libro nella mia mente è già mio: Stephen King (fingete sorpresa) e Lei, Joyce Carol Oates, il più grande Nobel mancato per la letteratura. Tra gli altri, Lee Child e Joe R. Lansdale, due cretini a caso.
Vi chiederete se cotanta perfezione letteraria non sia finita nel mio carrello. No, perché è edito Einaudi, e si vede che gli amici di Einaudi non hanno capito che 18 sberle per un libricino relativamente breve con copertina flessibile sono un attimino tanti.

✤ L'ultimo capitolo del Ciclo di Malaussène, di Pennac.
Quando ho fatto il cambio di libri sull'ebook l'ultima volta, ci ho infilato i primi due volumi del Ciclo. So per certo che Pennac è esattamente nelle mie corde, però per qualche motivo l'ho sempre rimandato. Vedere lì l'ultimo volume, leggere la quarta, mi ha lasciato vagamente intendere che il mio cuore aveva già deciso: finisco quello che sto leggendo ora e poi passo a Pennac, arrivederci e grazie.

Black Monday vol. 1
Parliamo di fumetti. Fino a qualche tempo fa nessuno leggeva fumetti (me compresa) e chi lo faceva era uno sfigato. Oggi le chiamiamo graphic novel perché siamo diventati radical chic e le leggiamo tutti (sempre me compresa). Le case editrici si sono adeguate e pian pianino stanno tutte inserendo la loro bella collana di fumetti. Mondadori poteva forse esimersi? Ma no, quindi crea gli Oscar Ink. Ora, io credo di non aver mai dato soldi alla famiglia B. manco tramite libri, e credo continuerò su questa strada. Però, nella ovviamente ampliata sezione fumetti della Giunti, spunta questo Black Monday che cattura il mio sguardo. Innanzitutto perchè è nero, quindi l'ho preso per riflesso incondizionato. Sembra essere una storia un po' demoniaca e un po' sul potere del denaro, e non nego di esserne intrigata. Mi sa che lo cerco in inglese.

Passiamo poi alle chiacchiere generiche che non sono novità ma che faccio sempre dopo un giro in libreria:

Bompiani continua ad essere la mia casa editrice preferita. Se nessuno al mondo nel mio cuore batterà mai Salani per quanto riguarda la narrativa per ragazzi, devo riconoscere quanto Bompiani sia diventata la mia prediletta negli ultimi anni. Aldilà del catalogo che incontra il mio gusto, e che quindi è un parametro soggettivo (Jonasson, Tondelli, Faber, Vonnegut, tanto per dirne alcuni che mi fanno felice), i libri Bompiani sono gli unici al mondo a farmi rivalutare la mia scelta digitale. Sono oggetti splendidi, di qualità altissima, con delle copertine che ogni volta sono un incanto. Si, gli Adelphi sono eleganti come nessuno e gli Einaudi sono il paradiso del miminal lover, ma i Bompiani sono dei gioielli di carta. Ero in estasi.

Non so che piega prenderà questa rubrica, ma finchè ci sono dei libri ci sarà sempre qualcosa di cui parlare.



giovedì 18 maggio 2017

Non solo cinema: Breve storia di (quasi) tutto

19:42
Mai letto saggi in vita mia, fino ad ora. Sono sempre stata tra quelle spaventate all'idea di leggere polpettoni infiniti, e i romanzi continuano ad essere quello che cerco più volentieri.
Però è arrivato Bill Bryson, e qualcosa è cambiato.


Breve storia di (quasi) tutto è quello che promette: un lungo racconto sulla nascita delle scienze come le conosciamo oggi.
Spoiler: fa tanto ridere.

Partiamo dai miei precedenti: io sono un'umanista, mi pare quasi ovvio. Alle superiori ogni parvenza di scienze mi dava la nausea, ho sempre fatto francamente schifo in ogni materia scientifica e oggi non so niente. NIENTE NIENTE. Esco con una compagnia di persone decisamente più intelligenti di me che ogni tanto si perdono in interessantissime discussioni di natura fisica, o chimica, o medica, e sono certa siano divertentissime. Io mi limito al sorrisino da bionda a cui si è bucata la gomma della macchina e attendo che si ritorni a parlare di scemenze, quelle che mi vengono meglio.
Adesso, però, posso raccontare loro di quel ricercatore che si beveva tutti i beveroni e infatti l'hanno trovato secco sul tavolo della cucina perché chissà cosa si era preparato.
E sapete perché?
Perché il testo di Bill Bryson è così.
Con un linguaggio a prova della bionda di cui sopra, ripercorre la storia dell'umanità e delle nostre conoscenze, riuscendo, ai miei occhi in maniera miracolosa, a non essere mai noioso. E badate che il libro è lungo venticinquemila pagine, il rischio c'era.
(Parlo per iperbole, ormai ci siete abituati, vero?)
La sua ironia è sottile e inaspettata, spunta tra una spiegazione e un racconto, con una battuta fulminea o con un aneddoto incredibile, ed intrattiene con la piacevolezza di poche cose che ho letto di recente.
Quanto avrei voluto leggerlo al liceo! È brillante, spiritoso, scorre come acqua fresca, e fa onestamente tanto tanto ridere, ma proprio di gusto.
Io non credo che qualche mia compagna di classe del liceo legga il mio blog, ma riesco ad immaginare i loro volti di fronte a me che rido di gusto quando si parla di fisica. Esterrefatti.
Lo sarebbe anche il professor Barbieri, il portatore originario dell'epiteto 'nano malefico' prima che Berlusconi entrasse nella mia vita da cittadina votante.

Breve storia di (quasi) tutto è il saggio da leggere se odiate i saggi, se non vi piacciono i polpettoni ma avete comunque uno sguardo curioso sul mondo.
Ah, e dice la verità su Einstein. acciocchè vi sia possibile umiliare pesantemente quelli che su facebook mettono foto improbabili con citazioni che il vecchio E. non ha mai fatto.

giovedì 11 maggio 2017

Non solo cinema: La principessa sposa

20:00
Lo scorso weekend a Cremona c'è stato il mercato europeo. Il centro della città era pieno di banchetti alimentari e non, ed è un evento che a me piace sempre tanto. Sotto la galleria della città, però, stavano i libri.
Con cosa sono tornata a casa?
Con una copia di The Princess Bride, in inglese e con questa copertina bellissima qui:


Facciamo che avete un bambino nella vostra vita. Un cuginetto, una sorellina, un vicino di casa affezionato, un nipote, un amico. Se ne sta lì, e gioca con le spade di legno. Oppure fa finta di cavalcare la scopa, oppure ancora ama i pirati. 
Mettiamo anche che ci sia la circostanza giusta per fargli un regalo, al bambino in questione (non che serva occasione per regalare libri ai bambini, ma tant'è).
Ecco, mettete da parte ogni vostra idea, perché c'è una sola cosa che farà gongolare il vostro bambino da qui all'eternità: La principessa sposa.
Ci sbilanciamo? Ci sbilanciamo: è perfetto.
È un mix esplosivo ed esilarante di avventure varie ed imprevedibili, di combattimenti e cuori che palpitano, di vendette e di torture. 

Di cosa parla lo sapete se avete visto La storia fantastica, ma ve lo riassumo così:
Buttercup (Bottondoro in italiano) e Westley sono innamoratissimissimi. Ma proprio di quell'amore grande e che scavalca le montagne. Il fato li separa: Westley viene rapito dal perfido pirata Roberts, Buttercup viene data in sposa ad un crudele principe. 
Riusciranno gli amati a riunirsi?

Mi rendo conto che la mia capacità di sintesi sia deplorevole, e che quindi sembri una storiellina d'amore per cucciolini indifesi. 
Ma manco per niente. 
Questo è un libro per bambini sfacciati e coraggiosi, con le mani che fremono dalla voglia di avventura e il tono della voce sempre troppo alto. Ci sono i pirati, gli eroi, gli spadaccini, le principesse, i cavalli, i cattivi cattivissimi e i cattivi non proprio cattivissimi, qualche parolaccia qua e là per sentirci grandi. Non manca niente, è una formula vincente per chiunque. Ai bambini regala sogni enormi, di quelli che fanno fantasticare anche quando il sogno è finito, ma è agli adulti che regala le vere sorprese.
Ragazzi, La principessa sposa fa spaccare dal ridere.
Io mica lo sapevo, ho visto il film da bambina e poi basta, lo ricordavo come una cosa seria. Devo rettificare: divorato in due giorni, risate incredibili. Battute brillanti, descrizioni spiritosissime e un po' di sarcasmo qua e là messo giusto per strizzare l'occhio a quei lettori che abbiano già le capacità per coglierlo.
Ma argomentare è anche inutile.
C'è Inigo Montoya, e tanto basta.

giovedì 4 maggio 2017

Non solo cinema: La tetralogia di Bartimeus

13:42
Oggi è un giorno cupo.
La vita intorno a me sembra scorrere normale, con il viavai di esistenze che mi circondano. Eppure oggi è un po' più triste, per me. Perchè oggi, giovedì 4 maggio, è il giorno in cui ho finito di leggere la saga di Bartimeus.


Questo incanto di saga per ragazzi (anche se lo sappiamo che i target a noi non interessano), uscito dalle ugualmente incantate mani di Jonathan Stroud, è formata da quattro volumi che parlano di magia. Io quando un libro parla di magia perdo la ragione.
In questo caso la magia è trattata in un modo bizzarro. I maghi, nel mondo di Stroud, non sono portatori di poteri magici, ma traggono la loro posizione privilegiata dall'essere in grado di governare i demoni. Demoni come Bartimeus, re indiscusso della saga.

Il primo volume, L'anello di Salomone, è un volume a sè stante, separato dai seguenti che formano una trilogia a parte. Tra l'altro è stato scritto dopo la trilogia, quindi non capisco perchè Salani l'abbia messo prima, in quell'edizione di cui vedete la copertina sopra, ma ce ne faremo una ragione. In questo primo volume siamo a Gerusalemme, nel regno di re Salomone, cosa che sono certa il titolo nasconde bene. Salomone, affamato di potere e ricchezze, manda maghi suoi sottoposti in giro per il mondo a trovargli tesori con poteri magici. Uno di questi pensa che sia una buona idea mandare Bartimeus. Nello stesso momento, una regina di un regno vicino a quello di Salomone manda una delle sue guardie ad uccidere il Re.
Chiariamo per l'ennesima volta una cosa: se si parla di medioriente io non ho difese, amo appassionatamente. Questo libro, quindi, che parla di magia a Gerusalemme (una delle città che smanio dalla voglia di vedere), sembrava fatto su misura per me. La città è quasi un personaggio a sè, insieme al deserto.
È qui che si fa la conoscenza per la prima volta di Bartimeus, un jinn di quarto livello.
Qualora la magia, i libri per ragazzi, e i libri orientali o londinesi non facessero per voi, lasciate che sia Bartimeus a trascinarvi in questo mondo pazzesco. Fondamentalmente è un cazzone. Non ha alcun rispetto per l'autorità, è furbo e dissacrante, con una visione distorta di sè e con un'ironia costante. Si perde la testa per lui dalla prima convocazione. È brillante, comunicativo, e anche piuttosto forte. È convintissimo che il mondo sia ancora in piedi solo grazie alla sua fondamentale presenza e dice di avere lavorato per i grandi. Ma tutti tutti i grandi. Sarà lui, oggi, a mancarmi più di tutto il resto, dopo 1600 pagine di costante Bartimeusitudine smettere sarà difficilissimo.

Questo personaggio, che già nel primo volume è perfetto, cresce a dismisura quando si inizia la trilogia. Questo perché il nostro demone preferito trova un padrone: Nathaniel.
A questo nome risponde un ragazzino, apprendista mago. È la definizione di apprendista che gli sta stretta: Nathaniel è curioso, un Hermione Granger al maschile pieno di cervello e voglia di imparare. Il suo maestro gli insegna le basi e lui già evoca demoni di nascosto nella cameretta. Ormai, però, dovremmo sapere che i cervelli brillanti sono anche inquieti. Il ragazzino, infatti, preso dalle sue (ottime) intenzioni, finisce per non combinarne una giusta e per creare una serie di eventi enormi che spesso sfuggiranno al suo controllo.
L'unione di questi due è felicissima. Se mi sarei aspettata un'amicizia di quelle alla Red e Toby, però, ecco che Stroud stravolge le aspettative: Bartimeus e Nathaniel si detestano per buona parte del tempo. Bisticciano, si insultano, si mettono vicendevolmente nei casini e se si salvano l'un l'altro è perché un vincolo importante come la vita li lega l'uno all'altro, decisamente contro la loro volontà.
Insieme, però, sono un fuoco d'artificio.
Come se questo non fosse sufficiente a farmi amare la saga, ecco che arriva lo sfondo: una Londra in rivolta, in cui i comuni (i babbani, insomma) non accettano la supremazia dei maghi e cercano una riscossa. Ci sono furti, atti vandalici, Finiamo in guerra in America, a Praga, nell'Altro Mondo. Il governo, formato da maghi, è in crisi e nessuno sembra avere la minima idea di come risolvere il problema.

Questa meraviglia di libro, però, non ha solo la storia ad essere bella. I libri hanno uno stile particolarissimo: si alterna la prima persona con cui Bartimeus racconta la sua versione della storia e la terza, con cui seguiamo Nathaniel. Come se ciò non bastasse, ecco le note, con cui il demone si rivolge direttamente al lettore. Delle perle esilaranti.

È stato un viaggio divertentissimo, pieno di valori buoni insegnati senza alcuna banalità, in cui il bene e il male si mescolano, esattamente come nella vita reale.
Un regalo incredibile se avete ragazzini a cui volete molto molto bene.

giovedì 27 aprile 2017

Non solo cinema: La macchia umana

13:58
Se siete passati per questo blog anche solo più di una volta sapete che la mia passione più grande sono le parole, in tutti i loro utilizzi: nella musica, nel cinema e, naturalmente, nei libri.
Quando lo stile dell'autore passa sopra a quasi tutto il resto è inevitabile finire prima o poi tra le braccia di un certo signore, Philip Roth.


La macchia umana, considerato da molti il suo capolavoro, è la storia di Coleman Silk, stimatissimo professore universitario che perde credibilità e lavoro dopo un'accusa di razzismo. Usa la parola sbagliata nel momento sbagliato e ciao, anni di lavoro in fumo. Un anno dopo perde la moglie, Iris, e finisce per intraprendere una relazione con una donna ben più giovane di lui, Faunia. Da rispettabilissimo membro della società, allora, Coleman diventa scandaloso. Razzista, manipolatore di donne giovani e analfabete, giusto giusto nel periodo in cui il sesso agli statunitensi faceva così orrore, dopo che il Presidente si era messo a fare lo sporcaccione con la stagista.

Arriverà un punto, durante la lettura, in cui crederete che ci sia stato un errore. Se siete impazienti come me vi ritroverete a cercare su Google delle risposte. Cattiva traduzione? Errore di editing? Possibile?
No, infatti.
È solo che Roth (e Coleman) vi hanno preso per il culo per un'ottantina buona di pagine. Avete conosciuto una realtà, l'avete assimilata e presa per assodata. Avete analizzato la vicenda narrata alla luce di questa premessa. Poi, una volta messi comodi ad assistere alla disastrosa discesa della carriera di quest'uomo, ecco che viene svelata la sua macchia. Quella vera, però, mica quell'accusa di razzismo che col tempo assume connotati quasi tragicomici.

Da quella pagina in poi, dallo svelarsi del segreto con cui Coleman convive da almeno 50 anni, il libro assume aspetti nuovi, ben più intriganti degli scandali di cui Coleman si era macchiato fino a quel momento. Da lì è il concetto di identità stesso che viene preso, infilato in uno shaker e rimescolato. Silk è ben diverso da quello che credevamo, non tanto per la natura del segreto (ma quanto è difficile parlare senza dire spoiler?) ma per le sue ragioni e le sue implicazioni, per quello che Coleman è diventato in seguito al suo cambio vita e per quello a cui ha dovuto rinunciare. Se all'inizio il personaggio era 'solo' un illustre preside di facoltà che aveva perso la rispettabilità, ora è tutta la sua vita che viene letta sotto una nuova luce: i suoi rapporti, le sue scelte, le sue possibilità, la sua carriera. Va tutto riletto con l'ottica di un uomo che ha cercato di aggirare un sistema intero e ci è riuscito, per quanto paradossale possa sembrare.

Come se questo non fosse sufficiente a fare del romanzo un testo incredibile, è il modo in cui è scritto a renderlo quasi miracoloso. Ci sono certe coppie di aggettivi che rasentano la pornografia lessicale. È fluido, quasi musicale, armonioso, pieno di descrizioni (in particolare delle donne di cui Coleman si circonda) che ho letto e riletto nella speranza che siffatto talento entrasse per osmosi nel mio cervello.
Non credo abbia funzionato.
Nel dubbio, adesso ci riprovo e leggo Lamento di Portnoy.

giovedì 20 aprile 2017

Non solo cinema: Il Monaco

15:36
Che voi amiate la letteratura dell'orrore, il mondo dei brividi in genere, o meno, io dico gotico e a voi vengono in mente tutta una serie di immagini. Provo ad indovinare? Se vinco sono gradite ricompense in denaro.
Ragnatele. Antiche residenze vittoriane, meglio se in decadenza. Lunghi abiti damascati, con i tessuti pesanti. Lampade ad olio. Fantasmi, soprattutto fantasmi.
Ci ho preso?
Nell'immaginario comune al gotico corrisponde quel mondo lì, e la cosa più bella di tutte è che l'immaginario comune ha ragione. Devo ammettere che quell'immagine lì è estremamente riduttiva, ma se quell'idea lì, quell'atmosfera lì, vi fanno friggere dall'entusiasmo, la cosa giusta da fare è mollare questo piccolo blog e prendere in mano il grande, gigantesco (ma non per dimensioni) libro di Lewis.
Tanto per chiarire la mia posizione a riguardo: di tutti i sottogeneri che compongono il fantastico, il gotico è tra quelli che preferisco. Sembra che mi appartenga, per atmosfera, morbosità, romanticismo.


Il monaco del titolo risponde al nome di Ambrosio. Il più pio, santo, vicino al Signore monaco di Madrid. Ambrosio in monastero ci è cresciuto: abbandonato in fasce dalla madre è stato accolto e accudito dai frati cappuccini. Tutta la città accorre alle sue ammirevoli prediche, in estasi di fronte alla bellezza, fisica ma soprattutto spirituale, del frate. Alla prima messa facciamo la conoscenza degli altri personaggi che popolano il romanzo: la bella e ingenua Antonia e il giovane Lorenzo, per dirne solo due.

Sarà difficile andare con ordine e cercare anche di non rivelare troppo di una trama che vale davvero la pena di essere spolpata senza rivelazioni. La storia è un gomitolo di racconti, legati dal filo comune della santità perduta, della Chiesa delusa, del peccato.
La Chiesa è la grande protagonista: se la maggior parte della vicenda ha luogo tra i frati, hanno un ruolo fondamentale anche le suore. Fa quasi ridere che in realtà Dio non sia quasi mai nominato. Tutto il clero è ritratto come un corpo unito, all'inizio. L'intero convento è innamorato di quel Sant'Ambrosio, tutti i frati gli sono devoti, incapaci di vedere in lui la minima scintilla di peccato. Rosario, in particolare, la cui compagnia è la prediletta di Ambrosio stesso, pende dalle sue labbra.
Ah, già, ma Rosario è una donna.
Da questo momento, dal punto in cui una certezza così forte viene sradicata, tutta la compattezza dei corpi religiosi finisce lentamente in frantumi. Ma nessun baccano di vetri rotti. Lo sfaldamento è lento e doloroso. Dalla pagina in cui viene rivelata l'identità del giovane frate, niente nel romanzo è più lo stesso. Da lì in avanti ogni pagina sarà un passo in avanti verso l'abisso della perdizione, da lì in poi non c'è ottimismo, non c'è soluzione: perduto Ambrosio, è perduto tutto.
Ambrosio, infatti, l'ha vinta facile fino a quel momento: mai uscito dal convento, mai incontrata una donna se non in chiesa, mai visto il mondo con occhi profani. In un secondo, in una notte rivelatoria, tutta la sua santità è perduta.
Se noi poveri peccatori siamo ormai usi al nostro errare e quindi siamo molto rapidi nel perdonarci e farci perdonare (proprio dagli Ambrosi, peraltro, con la confessione), ecco che lui, inciampato una volta, è andato per sempre. Non esiste recupero, non esiste risalita. È come quando sgarri in un giorno di dieta: 'Va beh, mangio anche le patatine fritte, tanto ormai ho mangiato la pizza.'
E se i frati, rappresentati dal loro superiore, non ne escono bene, dovreste vedere la fine che fanno le suore.

Intorno a questi conventi, ci sono i laici: uomini di mondo, peccatori, innamorati, ingenui, amici fedeli o miserabili criminali. Non ne manca alcuno, nel romanzo.
La storia, quando potrebbe migliorare e ridare speranza, non fa che trascinarsi sempre più a fondo, in ritratti di umani, laici o meno, che vivono in virtù dei loro peccati, dei loro errori imperdonabili. Intorno a loro, i due volti candidi del romanzo, Lorenzo e Antonia, unici ingenui privi di vizi che vivono nel mondo di Lewis.
Ogni pagina, ne Il monaco, è un gradino verso la graduale discesa all'inferno di Ambrosio e di chi stia leggendo la sua storia. Si inizia con un errore e si finisce con un'anima perduta per sempre.
Il tutto in un romanzo che, farcito di perversione e passione, trasuda un fascino incontrato poche altre volte in vita mia. Si passa dal romanticismo, alla morbosità, ai demoni, ai fantasmi, alla violenza, ai segreti. Il tutto senza mai stroppiare, senza mai farsi sentire indigesto, mettendoci a disagio senza passare per una volgare fiera delle vanità al contrario.
È un capolavoro.
Amen.

giovedì 16 febbraio 2017

Non solo cinema: Camere Separate

19:20
Abbiamo aperto la settimana di San Valentino parlando di come si sopravvive alla morte di un'amata. Proseguiamo con lo stesso tema, ma con toni notevolmente diversi. 

Io non conoscevo Pier Vittorio Tondelli, giuro che non l'avevo mai sentito nominare, perchè quando si parla di letteratura italiana sono di un'ignoranza vergognosa. Ora sto approfondendo la conoscenza, perchè la lettura del suo ultimo romanzo mi ha folgorato.


Camere separate è la storia autobiografica di come si sopravvive ad un amore che muore. Non nel senso di una relazione finita ma, come era stato per Nina Forever, nel senso del sopravvivere ad un amato che muore. Leo, l'alter ego di Tondelli, conosce Thomas a Berlino e se ne innamora. Quella che nasce è una storia d'amore immensa, che ci viene raccontata attraverso i numerosissimi flashback di cui il libro è cosparso.

In un numero limitato di pagine Tondelli esplora una vastita di sentimenti, drammi, angosce, e li riporta sulla carta con una chiarezza cristallina, quasi vivisezionandoli. Non lo vediamo mai scadere nell'autocompassione, ma analizzare con sguardo quasi freddo quel dolore che lo sta annientando. Una capacità incredibile, che spero con tutto il cuore gli sia stata d'aiuto a superare un lutto così assurdo, perchè se davvero Leo è Tondelli allora io, Pier Vittorio, che bene che ti voglio. Quanto ho sofferto con te. Leo è un personaggio come pochi altri ne ho trovati. È talmente tridimensionale, completo, umano, reale, che è impossibile non avere empatia massima. Non si lamenta mai del suo dolore, non se ne fa investire, ne vive semplicemente le conseguenze non potendo fare altro che osservarle compiersi. 
A noi questa sopravvivenza è raccontata in modo quasi chirurgico: la storia non è narrata in modo lineare ma con episodi disparati, della vita quotidiana, che diventano il modo migliore per conoscere i due amanti. La lingua di Tondelli non è la stessa mia, non è l'italiano che usiamo per parlare. È preciso ma semplicissimo, non fa uso di esagerazioni nè di vezzeggiativi. Sono i fatti a parlare da sè. Il modo di esplorare come mai Leo si comporta in un modo piuttosto che un altro è di un'umanità disarmante, anche quando non si condividono le sue azioni è impossibile non comprenderle. 

In tutto ciò, protagonista è l'amore. Amore nato come travolgente passione, raccontata nei dettagli ma priva di qualsiasi volgarità, e diventato la storia della vita. Arrivato dopo una storia di fondamentale importanza, dalla quale Leo credeva non si sarebbe ripreso mai, Thomas si è preso uno spazio incredibile, costruendo con il protagonista una storia senza precedenti, per peculiarità e intensità. Leo e Thomas sono stati lontani, non si sono parlati, si sono presi e lasciati, si sono avuti ma mai posseduti. 
Poichè di solo amore non è fatta la vita, però, incrociamo anche gli altri grandi temi della vita di Leo: l'omosessualità e quindi il rapporto con la società, la fede, il lavoro. Temi di tutti e di nessuno. Ma poche altre volte ne avevo letto così.

Come mi era successo con Storia di una vedova sono rimasta affranta da una lettura intensa nei temi ma mai nei modi. Ed è proprio la dignità con cui questi lutti sono stati affrontati ed esposti a farmi amare così appassionatamanete i due autori.
Però come è difficile volere bene agli Artisti, a volte.


(Per un po' basta sofferenze, perchè qua non si può mica andare avanti a questa maniera)

giovedì 9 febbraio 2017

Non solo cinema: Guillermo del Toro Cabinet of Curiosities

19:16
Giusto un paio di settimane fa dicevo che leggo in digitale. Un guilty pleasure cartaceo, però, è rimasto: i coffee table books, ovvero quei libri che sono quasi oggetti d'arredamento, belli quasi più da sfogliare che da leggere. Grafiche interessanti, colori, volumi bellissimi. Chiamarli guilty pleasure è un po' sbagliato, in effetti, perchè io li sogno e basta, mica li compro, perchè i bastardoni sono costosissimi. Il Cabinet of curiosities dell'uomo della mia vita GDT è un regalo, infatti (💝). Costa una sassata. Fare una recensione di un libro del genere è quasi impossibile, ma può essere interessante discutere insieme del prezzo e del valore effettivo, per valutare quanto valga la pena.


Intanto è un volumone. Ma proprio grosso, di quelli che in libreria dovete tenere coricati. La carta è spessa e liscia come la pelle di un avambraccio dalla parte del palmo. Si alternano pagine interamente fotografiche o di illustrazioni ad altre discorsive, oltre a quelle con illustrazioni e foto più piccoli. Anche quelle di sole parole, però, non sono classiche pagine bianche, ma di un bellissimo beigiolino di cui vorrei almeno un paio di vestiti, con quelle bellissime cornicette intorno che mi fanno venir voglia di sfogliare il libro e basta, tanto per rendegli giustizia. È, in soldoni, esteticamente un volume splendido, da sfogliare e risvogliare.

Accade poi, per una felicissima unione di bellezze, che il libro in questione parli interamente di Guillermo del Toro. Se non avete letto questo post non lo sapete, ma il messicano è il mio regista del cuore. Il primo preferito, quello che parla in un linguaggio che pare fatto su misura per me. Un libro intero su di lui non è solo una cosa bellissima, è un sogno. Quindi sconsiglio l'acquisto a chi non ama il signore in questione, che pare una cosa scontata ma oh, non si sa mai.
Si parte parlando della sua vita, ed è interessantissimo. Più avanti si parlerà delle influenze artistiche e della creatività, ma qui ci sono proprio le origini, la bellezza di una mente geniale che si forma e che brulica da subito di entusiasmi ed interessi. Certo, potete guardare Trollhunters per vedere una fedele rappresentazione del giovane Guillermo (qua il post della mia amica Kara Lafayette), ma se non dovesse bastarvi, qua c'è il resto.
Non farò spoiler per chi se lo vorrà comprare e leggere queste cose da sè, ma la cosa migliore devo dirla. La famiglia di GDT era povera in canna quando lui era bambino. Un bel giorno suo papà ha vinto alla lotteria e hanno fatto i big money. Il papà DT, che per fare un figlio così scemo scemo non doveva essere, pensava che a fare la differenza in una casa fossero i libri. Prima cosa comprata con i big money in questione, quindi, furono due enciclopedie: una medica e una di storia dell'arte.
Adesso rileggete quest'ultima parte e ditemi se non è la sintesi perfetta di quello che è il lavoro di DT. Non ne avevo idea prima di leggere il libro, ma quando ho letto questa frase ho pensato che non poteva che essere così. Anatomia e arte.

La sezione successiva parla di quel capolavoro che è Bleak House, il Cabinet of curiosities reale di quello sperperatore seriale di danaro che è Nostro Signore. L'intera abitazione è un museo, pieno (MA PIENO SBOBBATO) di reliquie, ricordi, libri (tantissimi libri), statue, pezzi da collezione, che derivano dal mondo del cinema, della letteratura, dell'arte e non solo. Ha stanze tematiche, angoli dedicati ad artisti in particolare, ricordi del suo lavoro, opere dei fan. È strabiliante, un giorno intero non sarebbe sufficiente a scoprire ogni piccola cosa presente. Ed è tutta rossa, il che mi fa sempre sentire a mio agio.

Pare poi che il divino sia un fanatico della scrittura, credo sia nel gruppo delle Cartopazze su facebook in incognito. Tiene da anni migliaia di quaderni pieni di annotazioni, disegni, schemi, idee. Il tutto per le sue figlie. O meglio, ha iniziato perchè è fatto così, e capisco che tenere a bada una mente così attiva senza segnarsi niente sia pure complesso, ma col tempo ha deciso di averne particolare cura, perchè restassero alle figlie. Se riuscite a non commuovervi...
Pensate a che patrimonio gigantesco avranno per le mani ste ragazze, non oso pensarci.
Nel volume abbiamo l'onore di vedere alcune delle pagine di questi quaderni: sono frenetiche, scarabocchiate, colorate, scritte metà in inglese e metà in spagnolo. È un piccolo spaccato sul suo lavoro, sul suo modo di creare, ed è magico.

Infine, finalmente, si parla del suo cinema. Dopo una parte in cui si parla delle sue influenze e delle sue preferenze, in arte e in letteratura, si inizia a parlare dei suoi lavori, sia di quelli di cui (grazie. al. cielo.) possiamo fruire, sia di quelli mai completati (ancora ci spero in quelle Montagne della follia....). Il tutto in una chilometrica intervista, in cui GDT ci prende per mano e ci accompagna nel suo lavoro, dall'idea alla realizzazione, film per film. È un incanto

Quelle che per me sono la vera chicca del libro intero, però, sono le parole degli altri. Il libro intero è disseminato di brevi interventi di nomi di gente assolutamente irrilevante: James Cameron, Mike Mignola, NEIL amoremio GAIMAN, Ron amoresuo Perlman...
Leggendo l'infinita stima che questi giganti provano per lui si conferma la cosa più importante. Il valore della nostra vita, delle nostre opere, del nostro lavoro, si valuta in base a quello che lasciamo agli altri.
E quello che lascia Lui è immenso.

(Sì, il libro li vale i soldoni. Se potete, è imperdibile.)

giovedì 2 febbraio 2017

Non solo cinema: Il barone rampante

16:42
Per secoli mi ripromettevo che avrei letto Calvino. Poi, molto semplicemente, gli preferivo altro. Fino a che, scorrendo la mia libreria digitale per caricare il lettore (qua parliamo del mio lettore e della sua storia appassionante), trovo un Calvino, messo lì, in disparte. E allora che sia finalmente il suo turno.


Il barone rampante è un ragazzino di nome Cosimo, di evidenti nobili origini, che dopo un litigio col padre decide di salire su una pianta per non scenderne mai più. La sua storia ci è raccontata dal fratello minore, Biagio.

Ci sono un po' di anticipazioni, occhio

La prima metà de Il barone rampante l'ho divorata nella prima sessione di lettura. Mi accattivava tutto: nomi dei personaggi, storia, il bizzarrissimo e splendido stile di Calvino mi avevano completamente assorbita. La malefica sorella Battista, ad oggi, è ancora il mio personaggio preferito. La caratterizzazione dei personaggi era stravagante, anche solo i loro nomi erano divertenti. Credo anche che tutto questo dilagante entusiasmo che avevo fossero merito del fatto che fosse il mio primo incontro con Calvino. Non avevo la più pallida idea di che tipo fosse, a parte le ovvietà che si studiacchiano a scuola, quindi sulle prime mi sono lasciata trascinare in giro per la follia che mi stava raccontando.
Poi sono arrivata a metà. E lì mi sono inchiodata.
Finire sto benedetto romanzo, che è tra l'altro brevino, mi è costato una fatica incredibile. Occhi sanguinanti.
Io mi rendo conto che con l'affermazione che segue rischio di giocarmi il diritto di parlare di libri, ma se devo continuare a parlare di pancia, e voglio farlo, devo dirvi come sono andate le cose: mi sono rotta le balle. 
Prima il cane, simpaticissimo, va bene.
Poi il ladrone, bizzarro, prendiamo anche lui.
Avrei voluto ci fermassimo lì. Anzi, ritratto: non lo so cosa avrei voluto, perchè di fatto non è mancato niente. Gli avvenimenti ci sono stati, non è un romanzo statico, c'è stata la critica alla società, che ci piace sempre e non passa mai di moda (sarà che non passa mai di moda perchè noi umani del ciumbia non cambiamo mai? Così, la butto lì), c'è anche stata la storia d'amore con il ritorno della viziatissima Viola. Si è parlato di famiglie, di amori, di questioni paesane, di legalità, il tutto con quello stile che all'inizio mi aveva tanto appassionata.
Da metà in poi, però, vuoi perchè la mia mente non era più sovrastimolata dalla bellissima novità di una scrittura diversa da quelle a cui sono abituata, vuoi perchè lo stare sugli alberi aveva smesso di essere il punto della questione, io alla fine mi sono annoiata.
Sono pronta a scommetterci tutti gli arti insieme che alla fine la colpa sarà mia perchè sarò io che non avrò capito un cdn, non me ne stupirei, quindi prendete questa opinione per quello che è: un sincero discorso di slancio.

Su Calvino torno di sicuro, magari non subito, ma state pur certi che mi terrò lontana dalle piante per un po'.


giovedì 26 gennaio 2017

Non solo cinema: Il peso dei segreti

18:23
Io e la letteratura orientale ci siamo incontrate poche volte. C?è stato un periodo della mia vita in cui credevo mi piacesse Banana Yoshimoto, ma praticamente è finita lì. Poi una booktuber ha parlato di questo libro e quando l'ho visto lì, freschissimo d'acquisto, tra le novità della mia biblioteca, non ho saputo resistere.


I segreti di cui parla il titolo sono quelli di una famiglia giapponese. Il primo che ci viene svelato riguarda un omicidio, compiuto da una figlia ai danni del padre, che ha avuto luogo il giorno in cui su Nagasaki fu sganciata la bomba atomica, e che grazie a questa coicidenza temporale resterà nascosto per anni.

Una simile premessa poteva far pregustare un noir di quelli belli profondi e d'atmosfera, un libro sul senso di colpa, sul tormento.
Con una copertina così, però, chi voglio prendere in giro?

Il peso dei segreti è 'soltanto' una saga familiare, strutturata in quattro miniromanzi, vissuti da altrettanti punti di vista diversi. Ogni capitolo è introdotto da una splendida illustrazione, alla Feltri sono stati bravissimissimi. Si arriva al succo del problema con il tempo, la scrittrice non ha alcuna fretta, nonostante racconti più di 50 anni di storia in un romanzo che non è un tomo insormontabile. Con la pacatezza che di consuetudine attribuisco all'Oriente veniamo condotti in una storia che di pacato non ha nulla. Parlando della vita di alcune persone ci viene fatta una panoramica della storia del Giappone, non solo intorno alla seconda guerra mondiale. Il rapporto con Corea e Russia, per esempio, la società divisa per famiglie importanti, l'importanza dell'apparenza. Una società sviscerata nel racconto di alcuni suoi membri, che sono convenzionali solo in apparenza. Come ogni 'normalità, però, è inconvenzionale per definizione, quindi ogni membro della famiglia nasconde qualcosa, e sono proprio i vari qualcosa a comporre la storia.
Ha senso questa frase? Chissà.
Il romanzo si divora in pochissimo, complice un linguaggio semplicissimo, fatto di frasi concise e capitoli altrettanto, che scorrono come ciliegie, uno via l'altro. Per quanto mi riguarda, è stato proprio un bel viaggio.

Confrontandomi così di rado con una società così distante dalla mia mi sono trovata diverse volte a chiedermi il perchè di certi comportamenti e di certe affermazioni (per esempio, pare che i giapponesi abbiano una lacrimazione costante. Piangono più di me e credetemi che è tutto un dire). Bisogna solo aprirsi un po' e io, che sono così viziata dal surplus di cultura occidentale, ho bisogno di esercitare questo aspetto della mia vita sia da lettrice che da cinefila.
Quando ci si prova, però, ci si rende conto che alla fine quel modo di dire che sostiene che tutto il mondo sia paese è proprio vero. Che le preoccupazioni, i dubbi, le fonti di serenità sono le stesse per tutti.
E tutto il resto passa in secondo piano.


mercoledì 18 gennaio 2017

Di come la lettura in digitale mi ha salvato la vita

21:44
Non ho mai posseduto tanti libri. I motivi sono diversi: la biblioteca comunale del mio paese di nascita stava sopra alla mia scuola materna, quindi quando uscivo da scuola mia mamma mi accompagnava quasi tutti i giorni al primo piano a prendere qualcosa, creando in me una dipendenza patologica dall'ambiente bibliotecario. Il secondo, forse ancora più importante, è che i libri costano uno sproposito.
Questa mia tendenza a non acquistarne mai mi ha accompagnato nel corso degli anni e ancora oggi che ho un lavoro e un'indipendenza scelgo di non comprarne quasi mai. Io 25 sbleuri a Sperling&Kupfer per l'ultimo King non li dò nemmeno sotto tortura.
Una gioia però illumina il mio sentiero: sono nata nel secolo giusto. Esiste la lettura in digitale.
Il mio lettore ebook vive con me da tre anni, è stato il regalo di compleanno migliore che potessi ricevere, è diventato il mio migliore amico e chiaramente ha un nome: Neil.

Ciao sono Neil

Da tre anni a questa parte, quindi, le mie abitudini da lettrice sono molto cambiate, e dopo avere sottoposto il mio Neil alle migliori avventure sono pronta ad avere un'opinione a riguardo.
Prima, un po' di presentazioni: Neil è un lettore della TrekStor, è un modello Pyrus 2 LED. Pesa niente, non ha internet, è in bianco e nero e non ha touch ma i cari vecchi tastini.
Perchè partire dalla presentazione?
Intanto perchè Neil è educato. In secondo luogo per toccare il primo tema, quello che ha influenzato la mia scelta e che è il beneficio principale, imho: il risparmio.
Comprare un lettore può avere un prezzo contenuto, si trovano device anche intorno ai 60€, e da lì è tutto in discesa. Certo, se volete l'ultimo Kindle magari spendete un attimo di più, ma lì è una scelta. Se volete stare in un budget le possibilità ci sono e sono sconfinate.
Ora, avete il vostro lettore. Lo amerete dal principio.
A questo punto, cosa fare?
C'è da procurarsi i libri.
La prima strada che a tutti viene in mente è quella illegale, e non devo certo insegnarvela io. Questo ambito va a discrezione del vostro senso etico, i torrenti da navigare li conoscete. Restiamo nell'ambito del legale, però. La prima cosa da sapere è che la stragrande maggioranza dei classici sono in download libero e legalissimo, perchè non più vincolati dai diritti d'autore. Tolstoj, Shakespeare, la Alcott, Dickens, e infiniti altri, sono disponibili e fruibilissimi. Liber liber è solo uno dei mille siti che offrono questo servizio.
La seconda possibilità è il prestito bibliotecario digitale. Sì, so che è il suono del Paradiso, ma una cosa del genere ESISTE. Il sito si chiama, ovviamente MediaLibrary. Funziona così: andate in una biblioteca fisica sperando che aderisca al servizio. Se non aderisce cambiate biblioteca. La bibliotecaria vi crea un account autorizzato e voi siete pronti. No, non potete farvelo da casa, deve passare attraverso una biblioteca. Un paio di accorgimenti tecnologici (che se sono riuscita ad avere io sono proprio a prova di scimmia), e si parte. Il catalogo è GIGANTESCO, e in più il sito offre a sua volta il servizio di download definitivo dei classici. Scegliete il libro, lo scaricate, lo mettete sul vostro dispositivo e leggete. Una quindicina di giorni dopo il file si cancella, e la restituzione è automatica.
È una manna dal cielo.
In tutto ciò non avrete speso una lira.
Altre belle notizie: gli ebook per ovvi motivi costano meno dei loro fratelli cartacei, le librerie online (Amazon in particolare) fanno spesso offerte incredibili e potete bazzicare nell'ambiente dell'editoria indipendente e del self publishing.

La comodità è il secondo, straordinario, beneficio della lettura digitale. Che voi siate pendolari o viaggiatori seriali, o anche solo che amiate portarvi in giro sempre qualcosa da leggere, su un lettore leggero come l'aria stanno un quintale di libri. Ho letto parte di Infinite Jest in digitale e vi assicuro che le mie spalle ne hanno giovato. La batteria ha un'autonomia incredibile, i device di solito hanno mille volte la resistenza di uno smartphone medio e potete passare con tranquillità da un volume all'altro. Non c'è davvero storia.

Mi è servito tempo ad adattarmi ad un nuovo stile di lettura, e ci sono volumi che ancora oggi preferisco per comodità leggere in cartaceo (Infinite Jest per le note e Casa di foglie per l'impaginazione stravagante, per fare due esempi), ma ho una sola opinione su chi sostiene tesi antidigitale arrecando giustificazioni completamente prive di senso come quelle riportate in questo brillante articolo de Il Corriere della sera: questa è gente che non legge. Se ti distrai leggendo un libro in digitale le ipotesi sono due: o non hai testa perchè in quel momento non sei al massimo, e succede a tutti, non è sempre il momento buono per leggere, o semplicemente il libro non ti piace. Provate ad iniziare la saga della Ferrante in digitale e tornate a dirmi se siete stati in grado di distrarvi. L'articolo dice anche che con gli ebook empatizziamo meno perchè non capiamo a che punto siamo del testo e quindi sembra tutto uguale. Lascio a voi il giudizio su questa frase perchè a me ha lasciato con un po' di mumble mumble aleggianti sulla testa. Questa è gente che non solo legge poco e probabilmente male, ma è anche gente che un ebook non l'ha mai posseduto in vita sua.
(Disclaimer: se hai letto tutto Dostoevskij non vuol dire che leggi bene. Vuol dire che magari leggi tanto, e non è la stessa cosa.)
Che le preferenze personali siano sacrosante ed intoccabili è indubbio. Il mio ragazzo compra solo ed esclusivamente libri nuovi, l'usato non gli piace e in biblioteca ci va solo quando non trova quello che cerca (e quando finirà la saga di Dune secondo me non ci tornerà per un po'!), eppure considerando che Neil è un suo regalo direi che non ha pregiudizi sul digitale.

La mia opinione è piuttosto sempliciotta e banale, ma se non altro non è polemica: se quello che ami è il contenuto, allora accogliamo il futuro nel nostro presente e godiamone. Se questo modo dovesse avvicinare qualcuno in più alla lettura allora avremo vinto tutti. Penso magari ai quei famosi giovani che sappiamo essere sempre molto peggio degli adulti, brutti giovanotti non ci sono più quelli di una volta che vendete il bonus cultura.
E Djenteelonee che fa??

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