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mercoledì 31 gennaio 2018

La sovrana lettrice, Alan Bennett

13:30
Su Twitter impazza l'hashtag #LettureBrevi.
Ecco il mio richiestissimo consiglio.

Come al solito con i libri, partiamo da una situazione tipo.
Domenica mattina. State facendo una colazione placidissima, con la vestaglia di pile, il tè fumante e il gatto appollaiato sui piedi. Ve la sentite super regale.
Tiè, libriccino sulla monarchia.

Elisabetta II nel sorriso rassicurante con cui la conosciamo
La regina Elisabetta scopre, casualmente, che per Buckingham Palace gira un furgoncino - biblioteca. Ne fruiscono spesso i suoi dipendenti, e decide di prendere un libro a sua volta.
Così, per provare.
Nasce in lei una passione bruciante e quasi invalidante, che la rende inadatta al suo ruolo e assolutamente priva della voglia di fare qualsiasi cosa non includa la presenza di un libro.
Quando sei la Regina di una delle nazioni più importanti d'Europa, però, non è così facile sottrarti ai tuoi doveri.

In una cinquantina di pagine Alan Bennett tira fuori il meglio di sè.
La storia della passione di Elisabetta per i libri è spassosissima, con scene iconiche che vi torneranno in mente ogni volta che vedrete il suo volto, con una cura per i dettagli della vita di corte importantissima ma che passa in secondo piano rispetto all'assurdità, verosimilissima, della vicenda.
Ci sono impegni pubblici, navi da varare, personalità internazionali da incontrare, politici da ascoltare e una famiglia di sfondo di cui occuparsi.
Ma niente, niente, ormai conta più per Elisabetta.
Il sacro fuoco della lettura si è acceso, e ci sono anni, decenni, di lacune da colmare.
In breve tempo chiunque inizia a detestare la Regina, che non solo non fa altro tutto il santo giorno, ma che inizia a mettere a disagio chi questi libri non li conosce proprio. Domande inquisitorie, interrogatori, giudizi. Chiunque entri a contatto con la principale degli Uncommons (uno dei motivi per cui il libro si chiama così) è posto sotto il suo insindacabile giudizio. Se non leggi o non conosci uno degli autori preferiti della Regina, considerati fuori.
Se le rompi le scatole, considerati fuori.
Che vita meravigliosa, Lilibeth.

Oltre alle buffissime situazioni in cui Bennett pone la Regina, il libriccino è una lettera d'amore per la letteratura di una bellezza delicatissima.
Senza lo snobismo tipico di chi legge e se ne vanta, Bennett parla con grande amore dei grandi del passato (Eliot, Proust, Shakespeare...) ma strizza l'occhio ai nostri contemporanei, come Alice Munro, Kazuo Ishiguro e, figuriamoci se poteva mancare, Philip Roth, con un particolare accenno al fatto che forse Il lamento di Portnoy non è una lettura adatta alla Regina in persona.
Con una sola frase celebra i benefici della lettura, e la fa dire proprio ad Elisabetta, che riflette sulle conseguenze della sua nuova passione, e con le sue parole vi saluto, che tanto tutto quello che conta sta scritto qui:
È possibile che io mi stia trasformando in un essere umano. Non sono convinta che si tratti di un cambiamento auspicabile.

giovedì 25 gennaio 2018

La fata carabina, Daniel Pennac

08:50
All'inizio dell'anno, sempre nel pieno dei miei giorni più scombussolati dell'ultimo periodo, ero in pieno blocco del lettore. Iniziavo le cose poi le mollavo a metà annoiata.
Solo una persona poteva risolvere questo problema: Pennac.


La fata carabina è il secondo volume del ciclo dei Malausséne. Se non avete letto il primo, male! Si chiama Il paradiso degli orchi ed è una scintilla di gioia distillata.
Se possibile, La fata carabina ancora di più.

Ci troviamo come al solito in mezzo ad un giallo: qualcuno sta drogando i vecchietti. Indovinate chi si è portato in casa tutti gli anziani tossicodipendenti della zona? Ma Benjamin Malaussène, chiaramente, che con la sua opera di aiuto collabora con la sua ragazza, Julie, che sul caso dei vecchi tossici sta scrivendo un articolo. Nel frattempo, un'anziana signora uccide un promettente giovane poliziotto?
Se ricordiamo che di lavoro Ben fa il capro espiatorio, intuiamo facilmente chi sarà tra i primi sospettati.

 Io a volte non riesco a credere alle cose che partorisce la mente umana.
Se uno qualunque avesse scritto di un giro di droga geriatrico, probabilmente l'editore gli avrebbe riso in faccia. Pennac no. Pennac scrive di cose assurde col piglio di chi le prende incredibilmente sul serio non prendendo però sul serio se stesso. Si parla di sorelle futuriste e di anziani che prendono il nome della loro professione, di poliziotti travestiti e di giovinotti facoltosi che aiutano le anziane anzichè derubarle. Si parla di tortura, suicidio, cartelli della droga, figli illegittimi, relazioni fugaci, stati comatosi, e mai, mai, che si smetta di ridere.

Che il Pennacchioni sia intelligente mica ve lo devo certo dire io. La sua intelligenza finissima, secondo me, sta nella capacità di ironizzare su problemi serissimi senza mai passare per irrispettoso, ma anzi riportando l'attenzione su cosa conta davvero, e su come il bene sia, molto semplicemente, la cosa migliore che possiamo fare. Non è un caso allora che il povero Malaussène, per tutto il romanzo trattato dalla polizia come un pericoloso criminale, emerga alla fine come l'anima candida che è.
Quel Malaussène è un autentico santo, signor ispettore, probabilmente l'unico di questa città.
La famiglia è irresistibile. L'ambiente di familiarità è riconoscibile dalle primissime righe, anche se è passato qualche mese da quando ho letto Il paradiso degli orchi. Ogni Malaussène, con le sue piccole manie e le sue caratteristiche, è destinato a tatuarsi nel cuore.

Cosa fosse la vita di Pennac mica me lo ricordo.
Un libro suo è come un infuso di semplicissima contentezza, da usare per coccolarsi quando la giornata è un po' scura e il domani, come dicevano gli Articolo 31, fa un po' più paura. Avercene, di terapie omeopatiche così.

mercoledì 17 gennaio 2018

Everyman, Philip Roth

17:41
Ho concluso la lettura da un po', eppure non mi decidevo a parlare di Everyman.
Philip Roth è stato insignito del prestigioso premio Scrittore Dell'Anno della Repubblica di Redrumia Edizione 2017, però, quindi mi faceva piacere riallacciarmi all'anno scorso con un un suo romanzo.
Poi dalla settimana prossima ripartiamo con scelte letterarie dettate solo ed esclusivamente dal caso.


L'uomo del titolo è un uomo qualsiasi, che noi conosciamo nel giorno del suo funerale.
Dall'ultimo saluto il viaggio è all'indietro, nell'esplorazione onestissima e profonda di una vita come tutte le altre.

Non è facile raccontare vite mediocri.
Ci piace buttarci in avventure eccezionali e in persone straordinarie, così mentre le leggiamo immaginiamo di essere un po' speciali a nostra volta.
A Philip Roth, invece, non gliene frega proprio niente.
Non gli servono viaggi interdimensionali, scienziati illuminati, mostri orrendi o fatine magiche. Gli escono dalle mani parole in apparenza comuni per parlare di persone in apparenza comuni. Everyman è l'apoteosi di questo. Mi ha quasi ricordato Stoner, senza però, devo ammettere, toccarmi nel cuore tanto quanto il racconto di Williams.
L'uomo la cui vita viene ricostruita non ha nome. Ha un lavoro, ha una famiglia, ha un background di vita sentimentale turbolento, ma sembra non esserci altro.
Quello che c'è, invece, è un'onestà quasi tremenda sulla vita dell'uomo.
Si parte con un racconto affezionato di un'infanzia comune, di un bambino che segue le orme del padre e di un fratello con il quale i rapporti sono sempre stati ottimi. Da lì la crescita del nostro uomo comune è segnata dal suo corpo più che da quello che ci sta dentro. Il primo intervento chirurgico, la prima moglie, una vita sportiva e sana, fino all'inevitabile deperimento del corpo. È questo, più di tutto, che ci viene raccontato. Il corpo è il protagonista del romanzo, il corpo che torna in vita attraverso il racconto.
La velocità e la freschezza del corpo bambino, quasi sconvolto dall'essersi malato, il primo contatto con la morte, grande protagonista invisibile del romanzo; il sesso, come sempre amicone di Roth, ma proprio amiconi che escono ogni tanto per una birra; la malattia.
Senza alcun pudore e senza timore di essere giudicato, ché tanto è morto, il protagonista si racconta in un susseguirsi di aneddoti e storie di vita comuni, infilando in mezzo tra un infarto e un rimprovero dal capo che ti scopre farti la segretaria in ufficio, piccoli momenti in cui a parlare non è più il corpo ma il cuore, lasciandoci come sempre senza fiato.
Rapporti sbagliati con i figli, tradimenti, relazioni prive di significato, diventano tutti tasselli di un'esistenza intera, parti di quella persona che durante il commiato viene celebrata e ricordata con affetto, come sempre ricordando le cose migliori.

Everyman ci ricorda che siamo piccini piccini e che non contiamo niente, e allo stesso tempo che nel nostro essere piccini così abbiamo un valore grande e persone intorno a noi con cui condividerlo.
Solo Philip Roth poteva dirlo così.

lunedì 25 dicembre 2017

Il popolo dell'autunno, Ray Bradbury

16:10
Facciamo che avete mangiato, che siete pieni di cibo fino a farvi scoppiare i capillarini degli occhi. Non avete energie per alzarvi dal divano, ruttate cronometrandovi come una madre in travaglio e se avete superato i 25 bevete tisanine depurative sperando di non passare una notte insonni in piena indigestione.
È il giorno buono per Something wicked this way comes.



Non che esista un giorno sbagliato, per un libro del genere.
È, in pieno stile Redrumianesco, un romanzo in cui due ragazzini sono soli a combattere contro le forze del male. Il male stavolta è sotto forma di un misterioso luna park arrivato in città proprio intorno alla notte di Halloween, e nasconde misteri inquietanti ben oltre ogni immaginazione.

Io non so cosa farci, mi dispiace se spesso posso risultare banalotta e sempre uguale a me stessa nelle scelte, ma cercate di capirmi: ho un debole per queste storie. I protagonisti sono Will e Jim, venuti al mondo praticamente insieme e da allora inseparabili vicini di casa. L'arrivo del luna park nella loro cittadina li insospettisce fin dal primo momento. Ogni segnale indicava di starne alla larga, ma date segnali di pericolo ad un tredicenne e chiedetegli di starne alla larga, cento euro che non vi ubbidirà. L'attrazione che i due provano per il luogo incantato si rivela pericolosa davvero perché, come sempre in questi casi, le cose non sono esattamente quello che sembrano.

Non si ama Neil Gaiman nel modo in cui lo amo io, cioè con tutto il cuore che ho, senza essere passati dalla storia di Will e Jim, due dei personaggi che prenderanno residenza nel vostro immaginario. Le loro avventure sono pericolose e la tensione è reale. La preoccupazione per la loro sorte è quasi più forte del desiderio di scoprire come questa faccenda vada a finire. Sono così reali che sembra di toccarli, così diversi e così vicini come sono. Sono i due modi opposti di affrontare un problema, e sono la dimostrazione di come il nostro modo di affrontare il suddetto problema si allenti, si ammorbisca, si allunghi un po', per andare incontro al modo dell'altro.

Se ne avete una vecchia copia sgualcita in casa disegnateci un cuoricino e passatelo a qualche cuginetto più piccolo affamato di avventura e di brividi, è una favola nera con un cuore grande come un circo e con due protagonisti indimenticabili.
Un pomeriggio passato con loro è quanto di più bello vi auguri per un Natale magico.

mercoledì 29 novembre 2017

Prendiluna, Stefano Benni

17:25
Nella mia personale concezione di paradiso c'è un angolino dedicato a David Foster Wallace. Un posticino vicino a lui è riservato a Stefano Benni (che lo raggiungerà tra tanti, tanti, tantissimi anni). Li immagino vicini, a parlare in un linguaggio tutto loro fatto di neologismi e frasi arzigogolate e parole desuete che comprenderebbero solo loro, e che userebbero con lo scopo ben preciso di prenderci tutti, sonoramente, per il culo.


Prendiluna è il nome di un'ex insegnante, che riceve in visita il fantasma del suo defunto gatto. Il fantasma le suggerisce di trovare locazione presso dieci Giusti ai suoi Diecimici (scritto così). Se la sua missione dovesse fallire, avverrebbe l'Apocalisse.

Non sto mica scherzando, la trama è davvero questa, e se avete mai letto un Benni nella vostra vita lo sapete bene quanto sono seria, e soprattutto quanto lo sia lui.
Prendiluna è breve, duecento pagine scritte in corpo ventimila, e se avete tempo ve lo leggete in un pomeriggio. Eppure, è pieno zeppo.
Mi viene un esempio scemo: è come se in pizzeria prendeste una pizza baby (cosa non prevista dalla legge nella Repubblica di Redrumia) però la prendeste superfarcita, tipo una capricciosa. Piccola è piccola, ma sazia tantissimo. È una fanfara, una banda di paese che suona senza timore di svegliare i vecchi che fanno la pennica, un concerto tenuto da quelle persone che suonano strumenti non convenzionali come le seggiole e i bidoni della spazzatura.
Io, problematica con la comicità come sono, l'ho centellinato. Eppure, per tutti i quattro giorni che mi sono serviti a leggerlo, mi sono sentita come se fossi sollevata da terra di qualche centimetro. Umore alle stelle, testa tra le nuvole, mici da salvare.
La cautela, se siete come me, ci vuole, però. Benni non dà tregua alcuna, ogni pagina, ogni riga, ogni scena, hanno un momento che va immortalato, una parola inventata, una trovata brillante, un gioco di parole. Rimbomba nella testa e riempie i pensieri. Si ride, come sempre, a voce alta, anche di fronte a scherzi caciaroni e battutacce a sfondo sessuale.
Benni è così, prendere o lasciare.
Io prendo, per tutta la vita.



Un democratico Post Scriptum
Il primo che nei commenti nomina l'amicizia tra Benni e quel fascista lì di cui in Redrumia non parliamo viene bannato dal blog ma soprattutto dal mio cuore. Vi ricordo che la Repubblica di Redrumia è un luogo di pace e fraternità in cui affrontiamo le cose brutte nel modo più maturo possibile: ignorandole.

venerdì 17 novembre 2017

Di quella volta che una sconosciuta mi ha consigliato Shantaram

16:46
Ero nel mio solito posticino dei libri usati con Erre. In una delle claustrofobiche corsie mi blocco in preda ad una crisi profonda. Ho in mano due libri: Shantaram e Il petalo cremisi e il bianco. Io le decisioni non le so prendere quindi conitnuavo a chiedere a Erre: 'Faber o Shantaram?' Credo che alla fine lui avrebbe usato la violenza se non fosse intervenuta una ragazza, che guardava i libri nella nostra stessa corsia.
Mi dice:
'Shantaram, assolutamente, tanto te lo leggi in una settimana.'
(NDR: è lungo più di 1100 pagine.)
Quando qualcuno prende le decisioni per me io sono solo che contenta quindi ho preso il libro tutta feliciona e mi sono diretta in cassa. Euro due e cinquanta. Non finirò mai di combattere la mia battaglia pro libri usati, mai.
Una settimana non ce l'ho messa, ma solo perché ho deliberatamente prolungato l'esperienza di lettura migliore dell'anno.


La storia è quella di Lin, un evaso australiano. Condannato a 20 anni di carcere per rapina a mano armata riesce ad evadere e finisce a Bombay. La sua dovrebbe essere solo una tappa all'interno della sua fuga, ma qualcosa nella città lo convince a restare. Inizia così un viaggio che, nato per condurlo alla libertà, gli regalerà invece radici insperate.
Così, buttata lì in questo modo poco curato, la trama mi aveva portato a stare lontana da questo libro per anni, non me ne fregava niente.
Come sempre sbagliavo.
Ne voglio, però, parlare per punti.

L'India
Se c'è un paese nel mondo la cui iconografia è radicata nella mente della collettività questo è l'India. Basta nominarla e chiudere gli occhi per avere bene impressi i colori, i profumi, gli abiti che la caratterizzano. I media ci hanno aiutato tanto a creare questa immagine così chiara e netta.
Il romanzo di Roberts fa un passo oltre. Giocando con le nostre conoscenze pregresse, ci prende per mano e ci trascina in ogni via che percorre, approfondendola. Insieme a quello che dell'India conosciamo già ci aiuta a conoscerne anche il lato meno turistico. La sporcizia, la povertà, la lebbra. Attraverso i suoi occhi ci mostra ogni singolo aspetto di un paese strepitosamente caratteristico. Senza una ricerca stilistica eccessiva, con uno stile asciuttissimo e senza un uso esagerato (tipo il mio, coff coff) di aggettivi. Non gli servono. L'esperienza di lettura si rivela totalizzante, in un modo che non mi accadeva da tantissimo tempo. Si solleva lo sguardo dal libro e serve qualche secondo per ricordarsi che siamo in occidente. L'India è la protagonista di un viaggio estremo nei meandri di un Paese che sembra così noto a tutti e che invece va ben oltre i ballettini di Bollywood. Leggere Shantaram è un viaggio tridimensionale e avvolgente. Non è un libro che si posa facilmente, non si rinuncia mai del tutto all'atmosfera caldissima che ci pervade durante la lettura. Da tantissimo non mi sentivo così profondamente inserita in un contesto grazie alla narrazione altrui.

Le persone
Quando Lin mette piede a Bombay incontra dei turisti tedeschi in cerca di hotel economici e droga facile. Li asseconda, per entrare senza farsi notare. È pur sempre un fuggitivo. La seconda persona che incontra, però, è Prabaker, e Prabaker è la vera rivoluzione della sua vita. L'accoglienza strepitosa che gli viene riservata non guarda in faccia nessuna. È sfacciata, invadente, calorosa. La parte di Prabu che viene raccontata per tutto il romanzo è il sorriso. Prabu è povero in canna e vive di piccola criminalità, ma ha un cuore grande così. Oh, che frase banale, Mari, direte voi. E invece. Prabu apre letteralmente le porte di casa sua per accogliere uno straniero. Gli offre la sua famiglia, il suo cibo, il suo lavoro. Sapete cosa gli dà Lin in cambio? Niente, se non una mente aperta. Arrivato in città Lin si è schiuso su Bombay, assorbendo come una spugna quanto lo circondava. Lingua, usi, abiti, stile. Nel giro di qualche settimana non solo si è ritrovato a vivere in uno slum, un piccolo quartiere abusivo di baracche, in cui si è ritrovato a casa. Le persone intorno a lui non hanno storto il naso nemmeno per un istante, ma si sono piuttosto private di un bene primario come l'acqua calda per aiutare lo straniero che parla la loro lingua. Lin non ha potuto far altro che osservare come la vita insieme sia fatta principalmente di aiuto. Ciò che è mio è tuo, ciò che ha aiutato me adesso può aiutare te. Lin ha visto persone stanche e affaticate dalla miseria delle proprie condizioni lavorare ossessivamente per proteggersi a vicenda, li ha visti fare squadra per il benessere comune e ha fatto la cosa più difficile di tutte: si è adeguato. È diventato la persona che ha visto gli altri essere.
In questo caso, non c'è complimento più grande.

L'etica
Questo è, per me, il vero punto principale del romanzo. Lin ci viene presentato fin dalle prime pagine come un criminale. Evaso, ex eroinomane a cui è stata portata via la figlia, incurante del pericolo e della legalità. Arriva a Bombay e non sta per un giorno solo lontano dall'illegalità. Si fa beffe delle norme, e se all'inizio del romanzo si limita ad aggirarle leggermente, finisce per diventare vero e proprio membro della criminalità organizzata.
Nella mia militaresca bigottaggine in tal senso, pensavo che sarei finita a destarlo, sto Lin. Lo dico puntando i piedi ogni volta che parlo di quella ciofeca malefica di Into the wild. Qua la situazione è ben diversa: in un Paese che vive in estrema povertà le persone cercano di sopravvivere come possono, spesso girando vagamente intorno alla legge dello Stato.
Nello stesso tempo, però, sono proprio quelle persone che curano gratuitamente i malati che gli ospedali di quello stesso Stato rifiutano, sono quelle persone che guardano in faccia i lebbrosi e li chiamano per nome, sono quelle persone che in vista dei monsoni si tirano su le maniche, sfidano la fatica e sistemano baracche che non sono le loro, sono gli stessi che fanno squadra per proteggere la donna maltrattata dal marito e che usano la pace come metodo di giustizia principale.
Certo, sono anche gli stessi che ti ammazzano per un incidente stradale, ma oh, viste le premesse, io mi astengo dal giudizio.
E forse, ma dico forse, il punto di quel Lucius Malfoy di Gregory David Roberts era proprio questo.

venerdì 10 novembre 2017

Guift Guide 2017 - Libri a pioggia

16:24
Se l'anno scorso mi sono lanciata in un solo post per i regali di Natale, che trovate qui, quest anno mi sono lasciata un po' prendere la mano e i post saranno ben più di uno. Motivo per cui, in effetti, comincio così presto. Così li leggete (spero) tutti e decidete se qulcosa vi va, lo prendete e non rischiate di arrivare in ritardo con le spedizioni, chè tanto lo so che cercate tutto su Amazon.

Io non so se ci sia qualcosa di più bello che regalare un libro (invece lo so e la risposta è no). Come dicevo l'anno scorso, però, i libri sono complicati, bisogna conoscere bene il lettore e andare a botta sicura per non rischiare la guerra santa. La soluzione, per me, è una e una soltanto: edizioni speciali. Colori, nuove traduzioni e soprattutto illustrazioni.
Se abitualmente la grafica delle copertine italiane è assai più bella di quella inglese (di quella americana per piacere non parliamo nemmeno), per quanto riguarda le collezioni speciali abbiamo ancora qualche passettino da fare. Per questo, alcuni consigli sono per libri solo in inglese. Ma ne vale davvero sempre la pena.


1) All'esteta: un volume a caso della collana Leatherboud di Barnes&Noble.

questo lo bramo con tutte le mie forze

Non sono libri, sono manifestazioni del divino. Grandi, con la carta più piacevole del sistema solare, copertine incantevoli, selezione imperdibile. Da quando ne ho visto un espositore pieno al British Museum non penso ad altro. Mi mancate, bambini miei, un giorno saremo ricongiunti.
Se volete ammirarli e immaginare di accarezzarli nelle lunghe notti invernali, il link è qui.

2) Al evocatore di demoni: Le nuove edizioni Mondadori a tema Lovecraft.

 

Sono possenti e tamarre il giusto. Sono riuscite a far leggere Lovecraft a Erre, laddove io ho fallito per 6 infiniti anni, quindi funzionano.

3) All'illustratrice: la Puffin in Bloom Collection firmata Penguin.


C'è un cofanetto che contiene Heidi, Little Princess, Piccole Donne e Anna dai capelli rossi. Sono SPLENDIDI. Hanno copertine fatate che una ragazza che disegna apprezzerà senz'altro.

4) All'elfo: quella fatata edizione verde illustrata di Bompiani de Lo Hobbit.


C'è in giro un'edizionona grande come una casa tutta dorata e zarra come uno scooterino truccato. Chissà se si dice ancora così. Quella lì la lasciamo stare. Da Bompiani, magiche creature dei boschi che non sono altro, col grafico migliore d'Italia, ne hanno fatta un'edizione più piccina che è bella da piangere. Oh, mi piacciono i libri coi disegnetti. Ma volete mettere la bellezza?

Se invece siete aitanti cavalieri senza paura, lasciate perdere le edizionone e buttatevi sui titoli direttamente.

1) Al ragazzino: la saga di Bartimeus, tutta in un gigapaccone.
È Natale, le scuole sono chiuse, gli amici si vedono poco, è buio alle 4. La soluzione è un libro bello ciccione ma altrettanto divertente, che diventi compagno delle giornate fredde e sconsolate. Bartimeus è un personaggio favoloso che diventerà parte dell'immaginario del fortunato ragazzino, che vi sarà debitore per avergli regalato uno degli inverni più divertenti di sempre.

2) All'appassionato di viaggi: Shantaram.
Sono nemmeno a metà, il che vista la mole vuol dire che è come se avessi letto due libri normodotati. Quando l'avrò finito ne parleremo ovviamente in modo più approfondito, ma se c'è un libro che mi ha catapultata in viaggio è proprio lui. I profumi, gli usi, le persone, una nazione intera, sono ritratti con un approfondimento e un affetto tali da rendere l'esperienza di lettura totalizzante. Mastodontico e non solo per le dimensioni.

3) A quelli come me: Good Omens.
Quelli-Come-Me sono quella categoria di persone a cui piacciono il fantastico, le menti brillanti e gli scrittori sensazionali. Buona Apocalisse a Tutti! è l'unione di due delle menti più importanti del panorama narrativo fantastico contemporaneo, il mio Signore e Padrone Neil Gaiman e Sir Terry Pratchett. In previsione della serie tv con David Tennant (gridolini di gioia), il regalo è d'obbligo, soprattutto perché poi ci cambiano tutte le copertine ed è un casino.

4) Alle persone di fede: Il libro delle cose nuove e strane.
Se c'è un momento in cui si può parlare di fede e spiritualità questo è senz'altro il Natale. Perché allora non farlo attraverso la struggente storia di Michel Faber, in cui i due protagonisti vengono separati proprio in nome di quella cosa tanto grande in cui entrambi credono fermamente? Che siate credenti o meno, il romanzo è splendido e portatore di riflessioni in modo equilibrato, e secondo me può essere molto apprezzato da tutti coloro che questa immensa fede dei protagonisti la condividono.

Infine, carrellata veloce per chi è davvero in crisi profonda e ha bisogno di scelte banali ma efficaci.

  • Agli amanti dei gialli va per forza una trilogia a caso di quelle di Fred Vargas. Per favore, posate quel Dan Brown. Sì, anche quel Glenn Cooper per l'amor del cielo.
  • Se volete donare un fumetto e ancora non sono riuscita a convincervi che non c'è altro dio all'infuori di quello del Sogno, Sandman, allora ci vediamo presto col post a tema comics.
  • All'adolescente dello scientifico va regalato Douglas Adams. Uno deve pur ridere su quello che fa, e se non ride con La guida galattica dell'autostoppista allora per lui non c'è più niente da fare.
  • A tutti gli altri: il libro che più di tutto dovremmo regalare, secondo me, è Stoner. Ci meritiamo tutti nella vita il momento in cui i nostri occhi si posano sulle prime righe del romanzo di John Williams. È un momento che cambia la vita e non c'è regalo migliore.

La cosa per me più significativa, però, ai miei occhi, è regalare un libro che si è amato tanto. Le storie che ci entrano dentro fanno parte di noi e di quello che siamo e diventiamo ogni giorno. Regalare questo pezzettino di noi con qualcuno non è solo un modo di regalare noi stessi, cosa che Erre non capisce mai quando gli dico di leggere American Gods, è anche estremamente generoso, perché non c'è niente di più difficile, almeno per me, di condividere un grande amore.

lunedì 16 ottobre 2017

La libreria di una persona che non compra libri

16:48
Ne abbiamo già parlato: io non compro libri.
Costano una sassata, pesano altrettanto e occupano ettari di casa. Il mio lettore ebook mi rende la lettrice più soddisfatta e meno in bancarotta di sempre.


Le persone che mi circondano sanno che i libri per me >>>>>>> tutto il resto, però, quindi in ogni occasione possibile si prodigano in regali generosissimi. Praticamente la mia libreria si divide tra libri regalati e libri usati. Parlare dei libri che si posseggono mi sembra un modo anche per parlare un po' della persona che sta dentro la Redrumia, in un viaggio attraverso i romanzi che hanno accompagnato la mia vita. Mi piacerebbe un sacco sapere se anche voi avete uno o più scaffali per i libri più speciali! Facciamo come gli iutiubers e facciamo i tag? Mi rispondete con un post o nei commenti?
Qui sotto, quindi, una carrellata dei miei bambini, quelli che tengo esposti e mostro a tutti come una nonna con le foto del nipotino ciccione.

la narrativa generica
1. Le edizioni lusso (così le chiama Amazon e chi sono io per cambiargli nome?) di Mondadori della saga delle Cronache del ghiaccio e del fuoco. Regà, Il trono di spade. Sono edizioni molto belle, amo tenerle esposte come aprifila. Il contenuto mi ha appassionata fino ad un certo punto, poi la noia ha vinto e sono passata alla serie tv. Ovviamente mi sono stati regalati.
2. Guerra e pace. Ricordo ai naviganti quanto per me Newton Compton sia la sola casa editrice ad aver capito come secondo me vadano trattati i classici oggi. Questo l'ho acquistato in combo con un volume che vi mostro dopo, entrambi 9.90€. Ripeto, ENTRAMBI NOVE E NOVANTA. Sto aspettando di prendere la prossima influenza potente per iniziarlo, ma se è bello anche solo un quarto di Anna Karenina posso dirmi felice. Credo comunque che all'influenza manchi poco.
3. Lo sfolgorante esordio di Zadie Smith, Denti bianchi. Acquistato usato, tornerà presto nel posto in cui l'ho comprato, perché sfolgorante non è la definizione che gli darei io. Forse l'ho letto nel momento sbagliato, ma questo romanzo pieno di temi importantissimi e davvero interessanti mi ha Annoiata. A. Morte.
4. Il mio primo volume di poesie. Sempre trattato dagli amici di Newton Compton e acquistato giusto ieri ad un mercatino dell'usato, I fiori del male di Baudelaire hanno fatto il loro fiero ingresso nella nostra famigliola intima ma felicissima.
5. Tutti amano Zafon per la saga del Cimitero dei libri dimenticati, che a me ha detto pressapoco nulla. Marina, però, è un romanzo cupo e pieno di suggestioni, che più di una volta mi ha fatto chiudere la copertina di scatto per controllare che la mia camera fosse in sicurezza. Un'atmosfera che quella saga là se la sogna, una descrizione dei legami umani unica, un romanzo bellissimo.
6. Non conoscevo nulla della Allende, fino a Ines dell'anima mia. Innamorata del titolo, l'ho preso e mi sono innamorata ancora di più del contenuto. È la storia di Inès de Suàrez, una delle combattenti più famose della storia del Cile. A me queste donne controverse piacciono da matti. Ines non era una santa, era umana. E la sua storia di umana 'qualsiasi' è intrigante e avventurosa.
7. È davvero necessario che dica qualcosa su Il signore degli anelli? Sta qui perché mi immagino nel mio futuro seduta su una sedia a dondolo a leggerlo al mio primogenito. Sogni irrealistici? Se sì, non ditemelo.
8. La raccolta di romanzi di Jane Austen. Adoratissimo regalo di compleanno, questa bellissima edizione Bur raccoglie le meraviglie del mio grande amore adolescenziale. Se non avete letto Ragione e Sentimento non credo possiamo essere amici.
9. La mia utilissima guida di Praga made in Famiglia Cristiana e acquistata al mio solito mercatino dell'usato (qualche giorno ve lo mostro perché ha l'aspetto del Paradiso) ha riempito di nozioni il mio primo viaggio nella mia città preferita d'Europa, ma ora ricopre il nobile ruolo del separatore di argomenti. Dietro di lei la narrativa generica, davanti a lei l'orrore.

la narrativa de paura
10. Mia zia collezionava i romanzi che uscivano con la Famiglia Cristiana (a dispetto di quante volte la FC viene nominata in questo post, vi ricordo il mio ateismo). In occasione di un suo trasloco se ne è disfatta. Ho salvato Le avventure di Gordon Pym, perché non ci si disfa mai di Edgar.
11. La mia copia de Le notti di Salem è un disastro. Acquistato usato in condizioni pietose, ora conserva la sua forma vagamente a libro perché lo tengo insieme con un bel po' di grosso scotch trasparente da imballaggio. Non me ne libererò mai.
12. I racconti di Edgar Allan Poe li ho trovati in questa elegantissima edizione in due volumi, più vecchi della Creazione stessa, al mio mercatino. Sono giustamente divisi in racconti del mistero e racconti del terrore, e sono la compagnia migliore per una signorina a modo come me.
13. I racconti di Lovecraft, invece, comprati in quel solito posto, usati ma praticamente mai sfiorati dal precedente proprietario, sono divisi in modo assolutamente casuale. È forse un problema per me? Neanche per idea.
14. I primi due volumi della saga di Mr. Mercedes sono stati due graditissimi regali. Di tasca mia non avrei dato manco un centesimo a Sperling&Kupfer, la cui qualità non mi entusiasma per niente, soprattutto se paragonata a QUANTO CIUMBIA COSTANO I LIBRI DI SK.
15. Questo volumone, pagato, me la tiro, UN EURO VIRGOLA CINQUANTA, è la prima versione dei Mammut di casa Newton Compton. Questo, in particolare, è un gioiello, è una raccolta di romanzi gotici in cui ci sono tutti i grandissimi. Manca solo la Radcliffe, ma già così è un portento. Se non avete mai letto Il Monaco siete sul blog sbagliato.
16/17. Di fianco al nonnino Mammut, i due giovini. Uno è quello acquistato in combo con Guerra e pace, e raccoglie tutti i racconti sui vampiri da Polidori in poi. È una chicca meravigliosa che quando sono triste accarezzo con affetto. Il suo vicino, invece, regalo amato con tutto il cuore, è una raccolta dei più grandi romanzi dell'orrore. Senza Dracula la vita non ha senso.
18. C'è poco da dire su di lui, il mio King preferito di sempre: Dolores Claiborne.

le cose coi disegnetti

19. L'unico, amato immensamente, regalo di compleanno che mio fratello mi abbia mai fatto. L'Omnibus della fine di RatMan. Leo Ortolani è una delle mie dieci persone preferite al mondo. A pagina 3 avevo le lacrime dal ridere.
20. Sandman, per me, è il fumetto più straordinario della storia del mondo. Ne ho solo due volumi perché lo sto comprando 'a rate'. Cambia l'esistenza. Fatevi sto regalo.
21. I tre maestosi e magnifici volumi di Harry Potter illustrati da quel maestro di Jim Kay. Se come me avete trovato in Hogwarts la vostra vera Casa, questi libri ve li meritate. Sono di una bellezza che a parole non si riesce ad esprimere. Sono tra i miei beni più preziosi.
22. I fumetti di Alan Moore di casa Panini: Providence e il Neonomicon. Ne parliamo presto.
23. Queste sono tutte le riviste in cui è uscito qualcosa firmato da Zerocalcare. Per favore, vogliate bene a voi e alla vostra intelligenza, leggete Kobane Calling.

le cose per ragazzi e il mio bellissimo Buddha


24. Quando Newton Compton (sì, ancora lei) ha buttato fuori i libercoli a 99 cents, mi sono fiondata in libreria con la valigia. Dietro al mio adoratissimo Buddha (mia grande passione estetica since 1990), stanno cose come Gatsby, Sherlock Holmes, La casa stregata...ci sono molto affezionata.
25. Questo splendido cofanetto mi è appena stato regalato per il compleanno. Sono tre tra i più bei volumi del mio Signore e Padrone Neil Gaiman e sono illustrati dal portento di Chris Riddell. Sono Coraline, The Graveyard Book e Fortunately the milk. Per l'amore diddio leggete Neil Gaiman.
26. Alice nel paese delle meraviglie, tema della mia tesina di maturità, è qui per ricordo.
27. Una sezione ragazzi senza The princess bride è un insulto. È il libro per ragazzi perfetto e voglio proprio vedere a contraddirmi. Questa edizione è in inglese e si rovina solo a guardarla, ma ha la copertina bellissima.
28. Gli unici Harry Potter non illustrati che posseggo. Storia strappalacrime: i miei non è che potessero permettersi di comprarmi granché quindi appena ho iniziato a lavorare ho speso i miei primi guadagni per una delle cose che amo di più al mondo, Harry. Ho comprato solo i miei preferiti, il 3 e il 7. Il resto sempre letto in biblioteca, con code infinite e unghie divorate nell'attesa. Non avrò pace fino a che non mi sarò comprata il 5.
29. Le cronache di Narnia cfr Il signore degli anelli.
30. Il mio primo Neil, un'edizione marcia di Coraline comprata ad una fiera dell'usato. Non si hanno mai troppe Coraline.
31. Il mio Piccole donne, regalo di compleanno dell'infanzia, è stato letto talmente tante volte che tante pagine si sono staccate. Gli voglio un bene dell'anima.

i libri sul cinema

32. Ho sgolosiato questo libro su Amazon per secoli e per il mio compleanno mi è finito tra le braccia. La collana Big Ideas Simply Explained è portentosa, e The Movie Book parla di tutti i grandissimi classici con fare appassionato e appassionante, ha un sacco di foto e curiosità divertenti e poi parla anche de Il labirinto del fauno, il che purtroppo non è così scontato.
33. Speciale della solita Famiglia Cristiana per i 100 anni del cinema. Trovato in mezzo al marasma delle riviste usate del mio mercatino, è meno famigliacristianoso di quanto sembri. È pieno di schede interessanti e consigli non scontati. 1,50€ di potenza.
34. Sempre mercatino, sempre zona riviste: lo speciale di Ciak sul cinema fantastico non poteva che essere mio.
35. Unico libro venuto a casa con me dal mio viaggio a Londra. Il negozietto, dell'usato chiaramente, in cui l'ho preso era a Notting Hill e chiariva con più cartelli di non essere il negozio di quel shitty movie. Ho riso abbastanza e poi ci ho comprato un volumone su Hitchcock: The art of Alfred Hitchcock, di Donald Spoto. È gigante e più Hitchcock c'è, più siamo contenti tutti.
36. Un altro coso che una volta era un libro e che ora sta in piedi con lo scotch: Il film di Bela Balasz. Una specie di bibbia che ho pagato molto, ma molto più di quello che meritava viste le sue condizioni scandalose. Non sono riuscita a rinunciarvi, sono una debole.
37. Angolo dei libri minuscoli sul cinema: Il cinema secondo Hitchcock di Truffaut, Il cinema di Hitchcock di Brunetta e due specialini de L'Unità, uno su Hitchcock (non sono errori di battitura, ho davvero diversi libri tutti su di lui) e uno su Kubrick. Prezzo totale euri 3. Mi sono quasi commossa dalla gioia.
38. Angolo degli unici dvd che tengo esposti: Shining, edizione in due dischi con i documentari e gli speciali e le cose che fanno gongolare noi isterici, Evil Dead, e che ve lo dico a fare, e Carrie. Non li guardo quasi mai in dvd, ma non li toglierei mai da lì.
39. Un volumone su cinema e colonne sonore, regalone di compleanno, con tanto di cd che vi assicuro sono un portento di background per chi scrive, si chiama Movies!
40. Il Guillermo Del Toro's Cabinet of Curiosities. Non è un libro, è un'opera d'arte. Una delle cose più belle che mi siano mai state regalate.

Se vi girate di 180 gradi rispetto alle mie mensoline trovate le mensolacce di un 18enne, con tanti manga, gadget delle notti rosa di Rimini e della recente coscrizione e i giochi dell'Xbox. O lmeno, credo che sotto la polvere ci sia ancora sta roba. Ve la risparmio in nome dell'affetto che ci lega.

Se vi va, curioserei volentierissimo nelle vostre librerie e nei vostri ricordi!

sabato 16 settembre 2017

Vampires! - Le notti di Salem

16:36


Quando iniziai a pensare al romanzo di vampiri che sarebbe diventato Le notti di Salem, decisi di provare a usare il libro un po’ come una forma di omaggio letterario e quindi il mio romanzo ha un'intenzionale somiglianza con Dracula di Bram Stoker, e dopo un po’ mi accorsi che quello che stavo facendo era giocare un’interessante, almeno per me, partita di squash letterario: Le notti di Salem era la palla e Dracula il muro contro cui la rimandavo, stando attento a come e quando rimbalzava, così da poterla colpire ancora. Andò che certi rimbalzi furono davvero interessanti, e questo è dovuto al fatto che, mentre la mia palla esisteva nel Ventesimo secolo, il muro era un prodotto del Diciannovesimo. Allo stesso tempo, poiché le storie di vampiri erano la materia prima dei fumetti horror con i quali ero cresciuto, decisi che avrei anche provato a inserire questo aspetto della storia dell’horror. (S. King, Danse macabre


Ho aperto il post nel modo che mi sembrava più corretto. Salem's lot, Le notti di Salem in italiano, è il secondo romanzo di Stephen King nonchè uno dei più grandi. Uscito nel '75, riletto oggi non perde un briciolo della sua inquietante bellezza. Per parlarne, quindi, c'era da partire dalle parole del legittimo proprietario.

Salem è l'abbreviativo di Jerusalem, una cittadina la cui tranquillità è scossa dall'arrivo di nuovi abitanti. Uno di questi è lo scrittore Ben Mears, molto incuriosito dalla storia terribile di Casa Marsten, la villa che si affaccia sulla città.

Nessuno al mondo, per quanto io possa saperlo con le mie limitate conoscenze, parla delle piccole comunità come Stephen King. Jerusalem's Lot è casa di tutti, è familiarità, routine, intimità, confidenza, fin dalle primissime pagine. È un paese in cui gli abitanti si conoscono da anni, in cui il professore ricorda tutti i suoi alunni, in cui non si possono fare le corna al marito senza che tutti lo sappiano e in cui la gente si saluta per strada chiamandosi per nome. Quello che ne esce è un ritratto semplice ma affettuosissimo.
Allo stesso tempo, però, questo è un romanzo di vampiri. Se posso permettermi, è anche un romanzo di vampiri coi contrococomeri, che regala strizza come confetti gli sposi. La dispensa così, a manciate abbondanti, sulla testa di noi poveri lettori che poi abbiamo i locali da chiudere la sera tardi e per non farcela sotto mandiamo messaggi vocali chilometrici a tutta la rubrica. Non che parli di me, sia chiaro.

Nel suo Danse Macabre SK dice che Le notti di Salem è un omaggio. A me sembra proprio una dichiarazione d'amore. Le dichiarazioni d'amore, quando sono sincere, sono belle a prescindere da come sono scritte. Accade però che ogni tanto, ed è decisamente questo il caso, le lettere degli innamorati siano ispirate, brillanti, potentissime. Dracula trasuda da ogni virgola, a volte in modo più sottile e in altre più palese, fino alla citazione diretta del mio adoratissimo professor Van Helsing. Leggere i due romanzi uno dietro l'altro è appassionante, diventa quasi un gioco. Stephen è fangirl come tutti noi del vecchio Bram, con la differenza che, mentre noi tagliamo gli articoli del Cioè e li appendiamo in camera, il suo fangirling si trasforma in uno dei più bei romanzi di vampiri (e non solo) che io abbia mai letto.

Uscita dal Lot, però, non ero pronta a lasciar andare i miei personaggi del cuore. Ero diventata cittadina, e non volevo salutare i miei compaesani. Mi sono quindi guardata la miniserie del '79, diretta da un tale Tobe Hooper, trasmessa dalla CBS. Hooper è morto pochi giorni dopo la mia visione, e l'infelice coincidenza è stata tristissima.
Un Barlow chiaramente attanagliato dai sensi di colpa

Il passaggio da un media all'altro è spesso impietoso, soprattutto quando si crea un legame forte con i personaggi del libro e si finisce per dare loro un volto e una voce che inevitabilmente finiscono per essere sostituiti da quelli scelti da qualcun altro per noi.
Quel Barlow, però, è una favola.
Avrebbe potuto avere ogni aspetto, e tanto ci avrebbe fatto paura comunque, però è stato scelto di usare il carico da mille e dare al vampiro l'aspetto che più gli si confà: quello del mostro. Di vaghiiiiiiissima ispirazione Nosferatiana (in che neologismi mi sono buttata?), il Barlow della serie non scherza proprio per niente. L'umanità non gli appartiene, non una parvenza di appartenenza alla nostra specie si intravede in lui. Chi lo biasima poi il povero Straker, suo discepolo e servo, se non ha il coraggio di disubbidirgli?
Questo fa paura, e lo sa benissimo.

Con mia estrema soddisfazione Hooper ha scelto di tenere quasi tutte le scene che nel libro mi avevano incollata alle pagine, riportandomi quindi non solo all'atmosfera intima della cittadina ma anche alla paura che avevo preso nelle pagine.
La trasposizione funziona proprio perché anche laddove adegua parti della storia alla sua nuova forma, non ne perde l'aria principale, rendendo ancora più difficile l'uscita dal Lot.

Voi, però, se ancora non avete vissuto la bellezza di arrivare a Jerusalem's Lot per la prima volta, fatelo, accomodatevi.
Avrete una gran paura, ma troverete casa.

giovedì 31 agosto 2017

Vampires! - Dracula, Bram Stoker

13:31
Ogni anno, per il compleanno del blog, decido di scrivere un post più particolare, magari più ricercato o che sia per me in qualche modo significativo. Quest anno, invece, ho deciso che avrei approfittato della mia ricorrenza per colmare una mia grande lacuna. Per tutto il mese di settembre, quindi, a parte un paio di eccezioni con i colleghi blogger ai quali non posso dire di no, e a parte oggi che è ancora agosto, si parlerà di vampiri.
Così è deciso.


Prima di tirare in ballo il cinema, però, c'è da leggere almeno almeno Dracula. 
La mia prima lettura del romanzo di Stoker risale ai tempi del liceo, in cui leggere certe cose mi faceva sentire così outsider che le avrei lette anche per strada pur di far sfoggio del mio essere diversa. Non sembra, ma dai miei tempi del liceo sono passati un po' di anni, quindi, in previsione di questa serie di post, mi sono riletta Dracula.
Pensavo mi piacesse, prima. Ne avevo un buon ricordo, quindi mi era senz'altro piaciuto. Adesso, dopo anni, è amore. Se è vero che c'è un momento giusto per ogni cosa, allora io devo essere reinciampata sul romanzo nel momento perfetto, perché la lettura di Dracula è stata illuminante, e come le cose molto molto luminose ha annebbiato la vista e rincoglionito un po' il cervello, impedendomi di leggere oggettivamente quanto venuto dopo.

Ma andiamo con calma.

Anno domini 1890. Bram Stoker, un gentiluomo irlandese, fa un brutto sogno, come ne facciamo tutti. Si sveglia la mattina, decide di fare un po' di ricerche (ma giusto un paio, per qualcosa come sette anni), poi butta giù due cosette. Nel 1897 le sue ricerche producono un romanzo e la narrativa dell'orrore non è più la stessa. È più o meno la stessa sensazione che deve avere provato Freddie Mercury quando ha scritto Bohemian Rhapsody. Hai un'idea, e anni dopo le persone ancora vivono all'ombra della maestosità di quanto hai fatto. Letteratura e musica non sono mai più stati gli stessi. Chissà cosa si prova. Se esiste un'aldilà spero che entrambi possano vedere che ancora oggi pendiamo dalle loro labbra.
Insomma, esce un romanzo che si chiama Dracula. Finisce per diventare fenomeno di costume, vincolando per sempre la leggendaria figura del vampiro al suo nome. Sono passati 120 anni e le ristampe del libro non sono ancora cessate. Se chiudo gli occhi riesco quasi ad immaginare John William Polidori che alza la mano, si schiarisce la voce e dice timidamente che veramente quello che è considerato il primo racconto di vampiri lo ha scritto lui, ma uno sguardo di Bram, dall'alto della sua indiscussa superiorità storica, dovrebbe bastare a rimettere il povero John al suo posto.
Polidori lo ricordiamo essere portatore di una sfiga rara. Il suo racconto è stato prima offuscato da un certo Frankenstein, scritto nella stessa sera e oggi finito ingiustamente nel dimenticatoio (ironia alert), e poi da quest'altro qua, il cui nome è diventato sinonimo di vampiro, capostipite assoluto di una discendenza che, ancora oggi, non accenna ad estinguersi, prima fiammella di un fuoco che non ha alcuna intenzione di placarsi.

Il romanzo si apre - e si chiude - con un diario. Jonathan Harker, un giovane apprendista in uno studio legale, è in partenza per la Transilvania, per concludere un affare con un cliente del luogo. La gente intorno a lui gli fa intuire che non si tratti di una buona idea, ma il lavoro è lavoro e Jonathan e Dracula si conoscono. Li vediamo insieme solo nella prima parte del romanzo perché poi, con l'eleganza dei cattivi migliori della storia, Dracula sparisce. Sta sullo sfondo, mentre noi leggiamo dai racconti dei protagonisti le conseguenze delle sue azioni. E tutto questo, per me, è già straordinario. Dracula fa paura non essendoci mai, ma essendo sempre presente, Sta sullo sfondo, eppure tutto quello che succede in primo piano è in funzione di lui. Una città intera è piegata al suo potere, ma nessuno lo conosce.
Mina, Jonathan, Arthur, Lucy, Renfield, Quincey, Seward,e ovviamente l'amatissimo (almeno da me) Van Helsing sono personaggi di cui non facciamo mai conoscenza diretta, nel senso che non ci vengono mai presentati. Il romanzo è costituito solo delle loro parole, attraverso diari, lettere, memorie, e niente di tutto ciò è diretto ad un lettore. I protagonisti scrivono per se stessi, quindi sono onestissimi, e hanno una paura maledetta.
Oppure sono incuriositi, frustrati, addolorati, affascinati. L'unico a non avere voce diretta è proprio il protagonista indiscusso della vicenda, il Conte. (Non fate i pignoli, lo so che anche Renfield non parla mai direttamente.) Dracula parla e compare pochissimo, non abbiamo mai visione diretta dei crimini che compie, perché non ne ha bisogno. È già terrificante così.


Esistono creature particolari, chiamate vampiri. Qualcuno di noi ha prove di loro esistenza. (...) Un Nosferatu non muore come ape dopo che ha punto. Diviene solo più forte. (...) Questo vampiro che è tra di noi ha, da solo, la stessa forza fisica di venti uomini. Sua astuzia è più che mortale perché sua astuzia cresce con passare di anni. È bestiale, anzi più che bestiale! È demonio insensibile, senza cuore.
Solo un personaggio alla sua altezza poteva contribuire alla sconfitta del Conte più temibile della storia del mondo: Abraham Van Helsing. Badass senza precedenti, AVH ha cinque milioni di anni (iperbole, sempre iperbole), un centinaio di lauree in scienze dalla diversa utilità (Lettere e Filosofia vs Medicina, per dirne solo tre) ed è l'unico che abbia la più vaga idea di quello che sta succedendo, azzoppato anche dal lieve dettaglio di essere l'unico a crederci, a quello che sta succedendo. Dettaglio peraltro niente affatto irrilevante se si pensa che non si può uccidere qualcosa in cui non si crede.
È molto interessante, poi, che sia proprio lo scienziato a diventare la rovina di Dracula. Il sovrannaturale, il pericoloso, il mortale, vengono annientati, come nelle migliori favole a lieto fine, dall'uomo di scienza, dalla razionalità. Ai miei occhi non esiste niente di più rassicurante.

Io mi rendo anche conto che una che trova rassicurante Dracula possa non sembrare tutta a posto con il cervello, lo capisco. Ma nell'eterna lotta tra il bene e il male il romanzo di Stoker ci mostra che il Male è anche umano, che può essere anche un uomo per il quale sia lecito provare a volte anche sentimenti di tenerezza (all'inizio, il Conte solo nel castello a me ha stretto il cuore che vve devo dì), e che annientarlo non lascia mai privi di cicatrici.
Ma che si combatte, sempre.
Spesso con la scienza.
Il che mi porta a concludere che un romanzo di 120 anni fa scritto da un irlandese sia un baluardo dell'antigrillismo.
Ok, la smetto.



giovedì 27 luglio 2017

Lamento di Portnoy, Philip Roth

16:48
Lo sapevo che prima o poi sarebbe scoccato l'amore tra me e Roth. Se La macchia umana mi era piaciuto ma non mi aveva fatto gridare alla nuova passione della mia vita, ecco che Lamento di Portnoy mi ha fulminato.
Ciao Philip, è un piacere amarti, approfondiamo la nostra conoscenza.


Alexander Portnoy è un uomo bianco ebreo. E se non vi dicessi che il libro è di Roth lo potreste intuire da questo. È dallo psicanalista, e in un lungo monologo ci racconta la sua vita, soffermandosi sulla sua erotomania (è una parola?) e sul rapporto con la madre e con le tradizioni ebree così radicate nella sua famiglia.

Conosciamo Alexander e la sua famiglia fin da quando lui è piccino. Non lo conosciamo solo attraverso il racconto che lui fa di sè e della sua storia ma anche attraverso il modo in cui gli altri, soprattutto i suoi genitori, lo vedono. Questo perché Alexander è sempre stato sveglio (magari non l'Einstein Secondo che crede - letteralmente - la madre, ma è intelligente) e osserva in modo inusuale e profondo la sua famiglia. Si conosce e li conosce alla perfezione, cosa per nulla scontata, e con la sua prorompente personalità ce li racconta tutti. Sa che sua madre morirebbe a saperlo così, ma non smette per un istante di provocarla, quella povera donna pazza.
È un personaggio gigantesco, invadente, che non lascia alcuno spazio al lettore. Se lo prende tutto e lo invade con il suo fiume di parole come se fosse un blob informe. Ma quanto è divertente.
Perché sì, il solito perculo della società che piace tanto alla critica ben più seria di me e blablabla. Ma quanto fa ridere Philip Roth quando vuole?
In Lamento di Portnoy lo vuole tantissimo.
Che scandalo.

La volgarità è per me soggettiva. Quello che scandalizza me non tocca altri e viceversa. (Elena, però, amica mia, se stai leggendo questo post stai lontana da Portnoy.) Il sesso è il centro della vita di Alexander, che non fa altro che parlarne, e parlarne, e parlarne, ad un povero terapeuta che finita la seduta si sarà calato una camomilla fredda in vena.
Nel '69, però, quando un certo signorino si mise in testa di scrivere le sporcacciate, tutta l'America inorridì eccome, altro che volgarità soggettiva, ché certe cose si fanno ma guai a parlarne. E lui, che è più intelligente di tutti noi, ne parla invece, eccome. Ne parla con il suo fare deliziosamente perculatorio e senza paura.
Inarrestabile uragano Roth.


giovedì 13 luglio 2017

Nel guscio, Ian McEwan

17:51
Anni e anni fa ho letto Espiazione.
Pianti e disperazione, seguiti dalla decisione insindacabile che io, di McEwan non avrei mai più letto niente.
Accade poi che lo scrittore decida di prendere l'Amleto, un mio grandissimo amore, e di trasformarlo in un romanzetto breve ed esilarante, in cui a parlare sia un feto.
E niente, è stato di nuovo amore.



L'Amleto in questione, se così possiamo chiamarlo, è un feto senza nome, che vive beato nella pancia della sua mamma Trudy, involontario testimone del piano che Trudy e l'amante-cognato Claude stanno escogitando per uccidere John, il suo papà.
Nel frattempo degusta vini, ascolta podcast e dibattiti tv e si prende gioco di tutti noi.

Mettiamo che abbiate un pomeriggio libero. Che siate un po' stanchi, che il lavoro vi stressi, che il moroso vi tedi con la proposta di andare domenica a vedere l'Inter.
Facciamo così. Prendete Nel guscio, finitelo, poi tornate a ringraziarmi. (Anche se da ringraziare ci sarebbe Ian, ma tant'è). Sarà una lettura breve, quasi brevissima, ma piena. Il feto che parla è più brillante della maggior parte dei nati, ha spirito d'osservazione (paradosso, ok, intendo che è sveglio), e acume, assimila informazioni come una spugna e non manca di sottolineare tutto quello che sa, comprese le sue conoscenze sui vini (troppi) che la madre beve in gravidanza.

Gli adulti in questo libro sono passati sotto la più atroce delle lenti d'ingrandimento, quella dell'occhio giudicante e inflessibile dei bambini. Trudy è il personaggio più in contrasto, amatissima e tremenda madre assassina che il feto non può detestare sebbene lei con il suo comportamento sregolato lo metta anche a rischio, Claude è un pagliaccio, al quale il feto non concede un momento di tregua. Non ne fa una giusta, non è una bella persona e il feto non solo lo sa, ma nemmeno perde l'occasione di rimarcarlo. Il padre, invece, altro discorso. Ah, quanto amore ha questo feto per il suo papà! Sognatore illuso, il padre è un poeta innamorato e con delle fette di salame sugli occhi belle spesse come le tagliamo qui sul mantovano.

L'Amleto, quindi, diventa il racconto esilarante di una storia tragica, che non scade mai nella faciloneria delle risate crasse e scoreggione, ma che conferma come McEwan sia l'autore che tutti vorremmo essere.
Grazie al cielo abbiamo la fortuna di leggerlo.

giovedì 6 luglio 2017

Lo specchio nero - Gianluca Morozzi

19:45
Il bar in cui lavoro si trova in un paese che si chiama Bozzolo, è in provincia di Mantova. Domani sera, a Bozzolo, ci sarà Gianluca Morozzi a presentare il suo nuovo romanzo, Lo specchio nero.
Il caso vuole che io facessi la corte al signor Morozzi da un po', cioè da quando Francesca Crescentini, la solita Tegamini di cui vi parlo sempre, ha parlato di Radiomorte.
Radiomorte ancora non l'ho letto, ma la mia biblioteca aveva giusto appena comprato questo, quindi ne ho approfittato.


Il romanzo parla di Walter, direttore editoriale di una casa editrice bolognese. Un giorno si risveglia sul luogo di un delitto, chiuso a chiave tra due porte che solo lui stesso può aver chiuso. Walter non ricorda niente, ma sa per certo di essere innocente. Nella settimana successiva all'omicidio cercherà di fare chiarezza sull'accaduto.
Avevo detto che non ero più attratta dai gialli, e lo confermo. Inseguivo Morozzi perché le parole entusiaste di Francesca mi avevano contagiato (debole che non sono altro), ma non era tanto il genere ad interessarmi quanto piuttosto un nuovo autore con cui ricominciare il mio rapporto con la narrativa italiana.
Sono incuriosita?
Senz'altro.
Sono innamorata senza possibilità di redenzione?
No.
Lo specchio nero parte con ottime premesse, che suonano molto citazioniste (stanze chiuse dall'interno? Edgar Allan Poe, sei tu quello che intravedo?), e ritrae alcuni spaccati d'Italia molto interessanti. Ruoli di potere raggiunti con mezzi, diciamo, alternativi, sette religiose e le loro conseguenze, la realtà degradata dei quartieri più disagiati delle grandi città.
Tutto ciò, però, non sembra stare in piedi con un vero intento di approfondimento, quanto piuttosto come se tutto fosse solo volto alla risoluzione del caso. La sensazione è che ogni dettaglio sia messo lì apposta perché noi lo notiamo, così che poi il lettore possa sommare i pezzi del puzzle. Questo, ormai, è un lato dell'esperienza di lettrice che non mi importa più molto, ho avuto la sensazione di giocare ad un libro game e purtroppo non è più quello che cerco.
Oltretutto in questo caso l'assassino non è nemmeno un gorilla, che era una soluzione che con un eufemismo definirei brillante, quindi non ho nemmeno avuto particolare entusiasmo per il finale, che secondo me è il vero punto debole.
Questo non significa che ho chiuso con Morozzi. Radiomorte mi aspetterà, e non ho nessuna intenzione di fermare qui il mio ritorno all'Italia che scrive.
Solo, con qualche giallo in meno.

giovedì 29 giugno 2017

Il bazar dei brutti sogni - Stephen King

16:02
Non sono capace - nè tantomeno voglio - di porre alcuna resistenza quando esce il nome di King.
Finchè lui scrive io leggo, punto.
Non staremo qui a discutere degli alti e bassi della sua carriera, dei romanzi preferiti (Dolores Claiborne, Dolores Claiborne, Dolores Claiborne!) nè di quelli sfavoriti (oh, a me La Torre Nera annoia), nè del suo essere il più pop tra gli autori contemporanei.
Una cosa, però, è un dato di fatto, un dogma quasi religioso, un mantra da ripetersi nei momenti di incertezza:
Come li scrive bene lui, i racconti, quasi nessuno.




Il bazar dei brutti sogni è la sua ultima raccolta, datata 2015. È composta da 16 racconti, 2 poesie e 2 novellette. Non è che possiamo star qui a recensirli singolarmente, ma tanto per darvi un'idea veloce: secondo me sono più le storie che funzionano che quelle che falliscono. Che poi, non è che ami usare il verbo fallire, intendo solo che la maggior parte mi sono piaciute, ecco.

Storie come Ur, Miglio 81, Tuono d'estate, La duna, Il bambino cattivo e Una morte sono secondo me l'essenza del Kingone al cubo. Auto maledette (Miglio 81), dispositivi elettronici misteriosi, isole che anticipano la morte, bambini crudeli senza motivazioni e condanne a morte sono cose che abbiamo già sentito e amato dalle sue labbra. Non importa, perché quando l'argomento è maneggiato così bene potrà anche essere ripetuto all'infinito ma si ama comunque. Sono aspetti che hanno caratterizzato King fin dal principio della sua carriera e che oggi, dopo anni e migliaia di parole, non hanno perso smalto. Anche quando si corre il rischio di trovarli prevedibili (come è stato per me Giù di corda, già pubblicato in Notte buia, niente stelle), la qualità non cala.

Certo, non sono pazzeschi tutti e 18. Potrei (ehm) anche avere evitato del tutto le poesie. Nel complesso, però, le storie che proprio non mi sono piaciute sono pochissime, una su tutte Blocco Billy, la storia sportiva che mi ha annoiato a morte.
Quando Stephen King scrive racconti, però, tira fuori il meglio dalle sue parole, e ritorna agli antichi fasti.

Più noi pivelli pensiamo che King abbia finito il carburante e si avvicini alla destinazione, più lui se la prende a male e allora ricominciano i brividi.
Di gioia, però.

giovedì 15 giugno 2017

Un giro in libreria #2: ET Einaudi e Graphic Novel

18:25
Sono tornata in libreria. Questa volta in Feltrinelli, perché nella mia città ci sono quasi solo librerie di grandi gruppi editoriali. Questo è perché Cremona attende in ansia che io apra il mio piccolo e intimo caffè letterario che venderà anche libri usati e farà la gioia vera di grandi e piccini.



A balzare subito all'occhio è inevitabilmente la promo Einaudi: compra due ET e ti regaliamo il telo mare de L'isola del tesoro (che, ammettiamolo, è proprio un gran bello).
È già stato fatto da blogger ben più rilevanti della sottoscritta, ma se non sapeste come barcamenarvi nel marasma dei tascabili Einaudi, ecco i miei due spicci, esclusi i classici:


  • per gli idealisti politici, attaccati alla sinistra vecchio stile, che tutti gli anni vanno a mangiare pane e salamella alla Festa dell'Unità: gli scritti di Augias e Berliguer sono ET. 
  • girl power: Chimamanda Ngozi Adichie, Margherita Hack, Concita De Gregorio, Michela Murgia, Alice Munro.
  • gialli: qua ci potrebbe essere da sbizzarrirsi, di giallisti ne è pieno l'universo. Un solo nome, però, spunta nell'arido cuore mio. FRED VARGAS.
  • da regalare all'amico hipster: David Foster Wallace. Ma proprio tutto, in pratici formati convenienza. Se Infinite Jest risulta un po' poco pratico da trasportare, allora ci si può buttare sulle Brevi interviste per uomini schifosi.
  • se vi serve un piantino liberatorio: tutto quello su cui potete mettere le mani di Kazuo Ishiguro. Ma non prendete sottogamba nemmeno il fattore lacrima di Philip Roth. 


Infine, le novità graphic (che sono novità almeno per me). Ribadisco quanto detto la volta scorsa: ora che tutti leggono i fumetti le case editrici si adeguano.
Della già citata collana di Mondadori, Oscar Ink, ha colpito la mia curiosità Monstress, fantasy ambientato in un mondo in cui la popolazione è divisa per razze, e che ha per protagonista una donna che sembra avere possessioni demoniache.
Sono inoltre sempre più tentata da Saga, che in ogni libreria in cui vado sta lì, a sfidarmi. Certo, in attesa di essere acquistati ci sono anche Paper Girls e Strangers in paradise, ma non è che ho i miliardi a disposizione. Alla fine il fil rouge di quello che mi attira è il mood anni 80, amici, mostri e fantasy. Niente che sia il mio genere del cuore, in realtà, eppure in forma di fumetto è questo che attira sempre la mia attenzione.
Per suscitare in voi le mie stesse voglie a proposito di questo maledetto calderone mangiadenaro che è l'editoria a fumetti, lascio qui questo video, che se devo soffrire io almeno soffrite con me:


giovedì 8 giugno 2017

Il paradiso degli orchi, Daniel Pennac

16:33
Come avevo detto nel primo post sul giro in libreria, mi sono finalmente decisa a conoscere Malaussène.
Ho fatto bene.


Benjamin Malaussène è un capro espiatorio. Di lavoro, infatti, si prende la responsabilità di tutti gli errori di un centro commerciale, recitando la parte del pover'uomo e convincendo i clienti a ritirare le lamentele. Quando torna a casa si occupa dei suoi fratellastri e delle sue sorellastre, che la madre gli ha lasciato in gestione per andare in giro per il mondo con la fiamma del momento. Un giorno, nel centro commerciale scoppia una bomba. E poi un'altra, e poi un'altra.
Chi potrà essere il primo sospettato, se non un capro espiatorio?

Sapevo che Pennac mi sarebbe piaciuto. La sua fama lo precede, e sapevo che questo modo fresco di scrivere mi conquista sempre. Ero stata ben attenta a non costruirmi delle aspettative particolari, però, ché quelle lì sono delle nrutte bestie e rovinano sempre tutto. Quello che non sapevo, quindi, era quanto Pennac mi sarebbe piaciuto.
Ora lo so: tanto.
Se la bizzarria della famiglia Malaussène non fosse sufficiente a farvelo amare, e io credo basti da sè, vi dirò di più: la scrittura di Pennac è deliziosamente inaspettata. Pensavo a qualcosa di molto elementare nello stile che finiva per avere il suo risalto nei contenuti. Niente di più sbagliato.
Daniel Pennac scrive in un modo incantevole, che è sì leggero e scorrevole come olio di cocco sulla padella calda su cui state per fare i pancakes, ma è molto meno immediato rispetto all'idea che mi ero fatta. Nelle prime pagine, soprattutto, in cui il rapporto tra i membri della famiglia Malaussène non è ancora chiarito, serve un momento per fare il punto della situazione senza finire a pensare di essere impazziti.
La routine familiare è adorabile, ogni fratello ha caratteristiche e passioni molto pronunciate, che rendono ciascuno indimenticabile a modo suo. L'equilibrio in cui Benjamin deve restare per gestire da solo una famiglia molto numerosa e un cane epilettico ricorderà a tutti gli assurdi giochi di gestione familiare, in cui le bizzarrie di ciascuno non sono più assurde ma quotidiane, in cui ogni secondo della giornata è incastrato alla perfezione per non lasciare fuori le necessità di nessuno e in cui, tutto sommato, è l'affetto a tenere in piedi la traballante baracca.
Oltre a ciò, il giallo, le bombe che esplodono e i personaggi altrettanto inconsueti che lavorano nei Grandi Magazzini. Niente è lasciato al caso, ogni dettaglio è curato e divertente, e sì, ogni dettaglio fa ridere.
Fino alla risoluzione del caso, lì non c'è proprio niente da ridere.
Ed è lì che Pennac passa dal raccontare una storia buffa ad una ben più grande con un solo giro di pagina. In poche righe il romanzo assume tutt'altra piega, entrando nella lista dei Grandi, facendosi spazio nel cuore del lettore senza che questo nemmeno se ne renda conto.
È troppo impegnato a ridere.

giovedì 1 giugno 2017

Nonsolocinema: I segreti di Heap House

15:42
Maledette siano le aspettative e chi le ha create. O ancor più maledetta io, che mi conosco eppure continuo a farmele.
Puntavo questo libro da mesi. Avvistato in libreria e bramato immediatamente, è stata la lettura più desiderata di questi mesi.
Mi è piaciuto?
No.
E adesso venite a dirmi che non è una sensazione da schifo.



La famiglia Iremonger è disprezzata dall'intera città. Vive in una casa costruita da e su una discarica, e ha consuetudini molto radicate e bizzarre. Per fare un esempio, ad ogni Iremonger viene consegnato un oggetto natale, cioè un semplice oggetto della vita quotidiana (come un tappo da bagno) da conservare con estrema cura. Clod è un membro della famiglia, un ragazzino esile e malaticcio che ha la caratteristica di sentir parlare gli oggetti natali.

Quello che mi fa incazzare è che le premesse le ho amate. Se andassi in libreria e trovassi un altro libro simile, lo vorrei allo stesso modo, perché se c'è qualcuno che ripensa con nostalgia ai bei vecchi tempi in cui il nominatissimo Tim Burton faceva bei film quella sono io. I segreti di Heap House avrebbe potuto essere un nuovo La sposa cadavere e rendermi la ragazza felice e piena di soddisfazioni che ogni tanto credo di meritare di essere.
INVECE NO.
Quanto le volevo quelle atmosfere weird un po' schifosine in cui non capisci bene se i personaggi ci sono o ci fanno, volevo i rapporti familiari malsani, volevo un clima goticheggiante mischiato con una dose inaspettata di ironia. Questo mi diceva la copertina, questo suggeriva la quarta, così mi ha illuso Bompiani.
Tu quoque, Bompiani mia?
Mia amatissima, incantevole casa editrice. Nel post di giovedì scorso avevo appena palesato al mondo il mio amore per te, e tu ti prendi gioco dei miei sentimenti così, con un romanzetto che ci prova fortissimo a fare l'Henry Selick della situazione ma manca l'obiettivo cadendo rovinosamente nella pila dei libri non riusciti.
(Avete mai notato che nelle foto di profilo Selick pare l'Uomo Pallido de Il Fauno? Sono pazza?)

Ci sono gli ambienti giusti, ci sono alcuni personaggi che mi sono piaciuti (la Nonna e Tummis), altri che ho detestato in ogni momento (Lucy, Lucy, LUCY!), ma tutto sommato è il mordente che è mancato. Non ho letto passione, non ho letto la storia un po' marcia e un po' romantica che mi aspettavo. Mi fossi limitata a volere una lettura piacevole magari l'avrei pure amato, ma così no.

Peerò, oh, i disegni dell'autore quelli sì che son proprio belli.

giovedì 25 maggio 2017

MI SA CHE HO SCRITTO UN LIBRO

17:38
Una blogger che scrive libri: originale, nevvero? 
Ok, forse il titolo è un po' clickbait, con il caps lock e tutto il resto. Ma un libro l'ho scritto per davvero.
È un racconto, un racconto per bambini e ragazzini.
Si chiama Per l'amor di Asgard e sta su Amazon. Più avanti vi spiego i dettagli per averlo, nel caso in cui vogliate farmi l'immenso onore di leggerlo.

Due parole nel caso in cui vogliate sapere di cosa parla: il protagonista è un undicenne che decide di scappare di casa, stanco delle punizioni della madre. Si trasferirà in un bosco alle porte di Reggio Emilia, dove scoprirà di non essere solo. Non resterà a Reggio molto a lungo.


Nella vita voglio scrivere, mi sembrava ovvio dal momento in cui ho aperto un blog. Un secondo progetto è già nella mia testa, e sta occupando i miei pensieri da giorni. Andrea e la sua storia sono stati il primo passo verso quello che voglio fare, e che indirettamente faccio da sempre. Per ora la mia scelta è stata 'domestica': il libro non è stato editato da nessuno che non sia la sottoscritta, la copertina è un disegno della mia migliore amica Elena, che non sarà mai ringraziata a sufficienza per avere trovato un angolino di tempo per questa cosa nella sua vita frenetica. Il mio proofreader è stato Riccardo, il mio ragazzo, costante supporto e consiglio in tutta la (lunga) fase di stesura e revisione. Riccardo è stato anche ispirazione per Andrea, insieme ad un bambino, cliente abituale del bar in cui lavoro, il Capitan Pirla a cui il libro è dedicato. Ha anche un nome, Capitan Pirla, ma per ora lo terrò per me. Se lo conosceste lo amereste quanto me, è un personaggio incredibile.

Per l'amor di Asgard lo trovate qui. Costa 1,99€.

Angolino spiegone per gli amici meno abituati al mondo di Amazon. 
Funziona così:
Acquistate il libro con il vostro account Amazon e lui ve lo mette in download. Per leggerlo occorre un Kindle. Non avete un Kindle? Non tutto è perduto! Dal Play Store del PC, del telefono, o del vostro lettore ebook vi scaricate l'app di Kindle (che è gratis), la collegate al vostro account Amazon e il libro arriva comodo lì. Anche sul cellulare. Agilissimo.

Mi tremano le mani, e mi hanno tremato ininterrottamente per le scorse settimane, al pensiero che questa cosa fosse davvero finita, davvero mia, davvero reale. Nella mia testa lo è sempre stata, ma ora lo è per tutti, e se vi chiedeste se la Mari se la sta facendo sotto la risposta è TANTO.
Ma ho lasciato che Andrea stesse chiuso in un cassetto per troppo tempo, ed è ora che la vita smetta di far paura a me e anche a lui. La sua mamma lo sta lasciando libero nel mondo, e sarà durissima non riportarlo tra le braccia familiari.
Non sarò affatto in grado di gestire alcunchè di quello che verrà dopo, le critiche e l'ansia e la frustrazione. Non so nemmeno cosa succederà dopo: se resterò sempre e solo su Amazon, se mi allargherò, come e quando lo farò. Lascerò che le cose scorrano per un po' da sole prima di prendere decisioni.
Ma con oggi inizia un viaggio, e sono felicissima di avere voi con cui condividerlo.


martedì 23 maggio 2017

Un giro in libreria #1

08:05
Domenica sono andata al cinema. Sono partita in anticipo da casa perché la mia insonnia mi ha impedito di fare la pennica pomeridiana, e dopo aver sottoposto il mio martire fidanzato a prove di vestiti e critiche sui negozi che non hanno mai niente, sono entrata in libreria, che sta proprio di fianco al mio multisala di riferimento.
(È una libreria Giunti, se amici di Giunti volete iniziare a finanziare questa serie di post scrivetemi che ci accordiamo per il tariffario)
Insomma, sono lì che vago e mi è venuto in mente che potremmo anche fare due chiacchiere insieme sulle novità, su cosa mi ha intrigato e su cosa no, sul mondo dei librai, eccetera. La nuova rubrica avrà cadenza rigorosamente casuale, come di consuetudine da queste parti.


Partiamo dalle novità che mi hanno colpita nel mio povero cuore sensibile:

✤ Il nuovo Stefano Benni, Prendiluna.
Parliamo di Benni. Perché si parla sempre così poco di Benni? Cos'ha il mondo contro uno dei più adorabili scrittori italiani contemporanei? Secondo me è meraviglioso, e se vi ricordate bene a me la gente che vuole far ridere annoia. Lui però è più intelligente della media, è brillante, mai ripetitivo, spumeggiante. Ho letto la quarta e niente, è finito irrimediabilmente in wishlist, anche se prima voglio leggere quel La bottiglia magica illustrato che ancora mi manca.

Ombre. 
Io di arte pittorica non so niente. Lacuna mia, senz'altro, ho solo col tempo dato la precedenza ad altre arti. Di recente, però, sono incappata in un signore: Edward Hopper, e mi sono innamorata. I suoi quadri mi calmano, mi danno un senso di pace infinito e siccome io ho sempre una tempesta in corso direi che è arte necessaria. Arrivo tra le novità, e spunta un libro che ha del miracoloso: una raccolta di racconti, ognuno ispirato da un quadro di Hopper, scritti da alcuni tra i nomi più importanti della letteratura americana. Due nomi tanto per dire che il libro nella mia mente è già mio: Stephen King (fingete sorpresa) e Lei, Joyce Carol Oates, il più grande Nobel mancato per la letteratura. Tra gli altri, Lee Child e Joe R. Lansdale, due cretini a caso.
Vi chiederete se cotanta perfezione letteraria non sia finita nel mio carrello. No, perché è edito Einaudi, e si vede che gli amici di Einaudi non hanno capito che 18 sberle per un libricino relativamente breve con copertina flessibile sono un attimino tanti.

✤ L'ultimo capitolo del Ciclo di Malaussène, di Pennac.
Quando ho fatto il cambio di libri sull'ebook l'ultima volta, ci ho infilato i primi due volumi del Ciclo. So per certo che Pennac è esattamente nelle mie corde, però per qualche motivo l'ho sempre rimandato. Vedere lì l'ultimo volume, leggere la quarta, mi ha lasciato vagamente intendere che il mio cuore aveva già deciso: finisco quello che sto leggendo ora e poi passo a Pennac, arrivederci e grazie.

Black Monday vol. 1
Parliamo di fumetti. Fino a qualche tempo fa nessuno leggeva fumetti (me compresa) e chi lo faceva era uno sfigato. Oggi le chiamiamo graphic novel perché siamo diventati radical chic e le leggiamo tutti (sempre me compresa). Le case editrici si sono adeguate e pian pianino stanno tutte inserendo la loro bella collana di fumetti. Mondadori poteva forse esimersi? Ma no, quindi crea gli Oscar Ink. Ora, io credo di non aver mai dato soldi alla famiglia B. manco tramite libri, e credo continuerò su questa strada. Però, nella ovviamente ampliata sezione fumetti della Giunti, spunta questo Black Monday che cattura il mio sguardo. Innanzitutto perchè è nero, quindi l'ho preso per riflesso incondizionato. Sembra essere una storia un po' demoniaca e un po' sul potere del denaro, e non nego di esserne intrigata. Mi sa che lo cerco in inglese.

Passiamo poi alle chiacchiere generiche che non sono novità ma che faccio sempre dopo un giro in libreria:

Bompiani continua ad essere la mia casa editrice preferita. Se nessuno al mondo nel mio cuore batterà mai Salani per quanto riguarda la narrativa per ragazzi, devo riconoscere quanto Bompiani sia diventata la mia prediletta negli ultimi anni. Aldilà del catalogo che incontra il mio gusto, e che quindi è un parametro soggettivo (Jonasson, Tondelli, Faber, Vonnegut, tanto per dirne alcuni che mi fanno felice), i libri Bompiani sono gli unici al mondo a farmi rivalutare la mia scelta digitale. Sono oggetti splendidi, di qualità altissima, con delle copertine che ogni volta sono un incanto. Si, gli Adelphi sono eleganti come nessuno e gli Einaudi sono il paradiso del miminal lover, ma i Bompiani sono dei gioielli di carta. Ero in estasi.

Non so che piega prenderà questa rubrica, ma finchè ci sono dei libri ci sarà sempre qualcosa di cui parlare.



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