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mercoledì 16 gennaio 2019

The hate you give, Angie Thomas

13:31
Ho iniziato l'anno con il saggio nuovo di Harari, XXI lezioni per il 21esimo secolo, che racconta di spaventosi scenari per il futuro. Ho proseguito con un romanzo che parla delle realtà spaventose di adesso, soprattutto se sei nero e vivi negli Stati Uniti. 
Ha vinto la categoria Best of the best su Goodreads per il 2018, e per me è più che meritato.
So che è già uscito il film, e lo vedrò di sicuro, appena i personaggi avranno smesso di avere nella mia mente la faccia che ho dato loro.


Starr Carter frequenta una prestigiosa scuola privata. Ha amiche, gioca a basket, sta con un adorabile fidanzato che stravede per lei. Però Starr è nera, e non vive nel quartiere in cui vivono i suoi compagni. Dove vive lei droga, scontri, gang e povertà sono all'ordine del giorno. Lei ci prova a tenere un equilibrio tra questi due mondi così lontani, ma quando il suo amico Khalid viene ucciso da un poliziotto diventa tutto più difficile. Soprattutto perché lei è la sola testimone, e deve trovare la forza di parlare.

Si legge in un paio di sedute, The hate you give. Non è lunghissimo e ha una di quelle belle scritture semplici che scorrono come acqua fresca. Non ci prova nemmeno a fare il complicato, perché a complicare la faccenda ci pensa il tema trattato. O meglio, ci pensano i temi trattati, perché in una sola storia c'è racchiuso un mondo intero.
Starr è giovanissima, ma ha la durezza tipica di chi non può nemmeno uscire a giocare per strada per non essere massacrato. Da un criminale o da un difensore della legge. Da bambina i suoi le hanno insegnato come comportarsi in presenza delle forze dell'ordine, e la vita nella sua scuola, frequentata in modo quasi esclusivo da bianchi, le ha insegnato come comportarsi per non essere mai additata come 'quella del ghetto'. Parlare bene, con calma, mai essere scalmanate, o arrabbiate, o tristi. 
Ha una famiglia preziosa come l'oro, che la ama calorosamente. Eppure niente può proteggerla dal mondo, e infatti proprio lei, così lontana dalle dinamiche criminali del quartiere, si ritrova ad essere l'unica testimone di un omicidio brutale e ingiustificato. 
Non solo, perché l'omicidio di Khalil è la punta di un iceberg rivoltante: polizia che copre il collega colpevole, media che travisano la verità e la rivoltano a loro piacimento, amici che non comprendono, amici che non si vuole aiutare a comprendere, genitori che vorrebbero proteggerti e subiscono le conseguenze delle tue scelte. Una ragazzina con la sola colpa di essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato ha ora la responsabilità di far arrestare un omicida. 

Non si parla quindi solo di violenza della polizia verso la gente di colore, che è certamente la cosa più importante. Si parla anche di un'adolescente che deve fare chiarezza su chi sia e cosa voglia, su cosa la caratterizza davvero, sulle sue radici e sul suo futuro. Si parla di saper prendere decisioni forti, di capire che a volte bisogna decidere da che parte stare e accettare che si perderà qualcuno inevitabilmente lungo la strada, si parla di imparare a riconoscere il marcio, che spesso fermenta sotto i nostri occhi quando nemmeno ci accorgiamo della sua gravità, e di imparare anche a convivere con i propri rimpianti, perché quello che ci rende quello che siamo è anche il modo in cui reagiamo. Si cerca di far luce su come in molte realtà la criminalità sia la sola scelta possibile per restare vivi, sulla mancanza di prospettive per una marea di persone, sulla fine della speranza.

E si fa in un solo libro, che andrebbe portato nelle scuole, nelle piazze. 
Io lo porto qui.




giovedì 3 gennaio 2019

Fame, Roxane Gay

16:43
L'ultimo libro che ho letto nel 2018 è stato quello che mi ha dato la megamazzata finale, per chiudere in bellezza un anno che definirò solo complicato per non cadere nell'autocommiserazione già al 3 gennaio.
Però è stata una megamazzata di quelle che servono, che aiutano a rimettere bene a fuoco il mondo.


Roxane Gay è una scrittrice americana di 44 anni, nera, bisessuale. Ce le ha tutte per indispettire i buoni protettori della società, eh?
Ah, ne ha anche un'altra, di caratteristica: è obesa.
Questo è il libro in cui questa obesità viene sviscerata, dalle sue origini alle sue conseguenze.

Ce lo chiarisce subito, nelle prime righe, Roxane.
Questo non è un libro a lieto fine. Non è la storia di un miracoloso dimagrimento, non ci sono foto di before and after come vanno tanto di moda sui social delle personal trainer, non c'è un solo passo avanti. Roxane questo corpo qua mica lo vuole, ma è il suo e lo rispetta. E ce lo racconta.

Vorrei che arrivaste alla lettura neutri come ci sono arrivata io, da un lato, perché sto libro mi è passato sopra come un treno e sono ancora un po' frastornata, e così il suo messaggio arriva ancora più forte.
Dall'altro lato, però, non riesco mai a tenere per me le cose che amo molto, quindi eccoci qua.

Solito preambolo personale di cui potrebbe non fregarvi nulla: io sono ciccia. Non sono largamente obesa, sono 'solo' un po' sovrappeso. Sono ben più di dieci anni che combatto contro questa cosa, e siccome sono ancora ciccia direi che la battaglia è ancora ben lontana dall'essere vinta.
Nello scorso anno, però, il mio rapporto con il mio corpo è peggioratissimo. Se prima non mi piaceva ma nemmeno mi faceva piangere la notte, ora la notte, quando la mia insonnia mi tortura, è a quello che penso. Quando vado fuori a cena, quando devo spogliarmi per lavarmi, quando giro per negozi. Non compro vestiti da un anno con l'eccezione di una magnifica felpa che in quanto gigantesca mi nasconde.

Potete immaginare cosa ha fatto in un simile desolante panorama la storia della Gay? Mi ha preso l'anima e l'ha fatta a pezzettini piccoli piccoli, poi ha lanciato sti coriandoli per aria ridendomi anche in faccia.
Roxane Gay con un linguaggio quasi chirurgico non ha paura di niente. O meglio, io sono certa, e lei stessa lo ammette, che dire certe cose nel modo in cui le ha dette le sia costato una fatica indicibile. Ma a noi lettori arriva tutto con una schiettezza disarmante, con l'onestà di chi a queste cose ha pensato a lungo, e le ha vissute nella quotidianità. Le sue frasi sono nette e taglienti, e creano un alone di disagio nel lettore che obeso non è.
Perché il rapporto complicato con il proprio corpo lo comprendiamo tutti. Chi più chi meno, chi in forme e modi diversi, ma sono milioni le persone che non si amano. Dall'altro lato, però, chi non è obeso si trova nella posizione di sentirsi a disagio, leggendo, perché ci sono milioni di cose di cui non ci si rende conto. Non è solo il dover cercare online le foto dei ristoranti per vedere che sedie ci sono, o il dover comprare due biglietti aerei per volta. Più che altro è questione di sguardi della gente, di commenti, di persone che ti amano e cercano di aiutarti ma facendolo fanno ancora più male. Soprattutto, è questione di dignità personale, che viene inesorabilmente distrutta, perché pensando di non valere niente si permette agli altri di fare di noi quello che loro ritengono giusto. Ci si lascia usare, importunare, scrutare. La persona diventa il suo corpo, e il suo corpo diventa tutto quello che conta.
Che importa allora se Roxane è una donna molto intelligente, dal carattere solitario ma piacevole, dalla storia familiare dolcissima, dai valori importanti? Prima di tutto è grassa, e tutti, tutti, tutti, sappiamo che questa è la prima cosa che si ricorda parlando di lei. Tutto è così dolorosamente vero.

Non parlerò dei motivi per cui la Gay è grassa, nè degli altri importantissimi temi che escono nel libro.
Vorrei solo che chiunque di voi abbia anche solo il minimo problema con il proprio corpo questo libro lo leggesse, perché è profondissimo e semplicissimo allo stesso tempo, e perché parla talmente chiaro alla mente di chi non si ama che non può che essere d'aiuto.
Quando lo avete finito, poi, cercate di volervi un po' più bene.
A volte è tutto quello che serve per partire, anche se è la cosa più difficile.


martedì 4 dicembre 2018

Parlarne tra amici, Sally Rooney

16:21
Ormai avrete notato che cerco di scrivere sempre meno recensioni singole e mi dedico a post più strutturati, che funzionano molto meno ma che personalmente preferisco.
Soprattutto, non scrivo quasi più a caldo, ma a me il romanzo del momento ha fatto piuttosto pena quindi post polemico e via, post come se fossimo nel 2012.


La storia è quella di Frances, 21enne piena di sè e di opinioni, e della sua migliore amica/ex ragazza Bobbi. Le due studiano al college e si danno alla poesia, partecipando a serate di spoken words. In una di queste conoscono Nick e Melissa, una coppia più grande e sposata.

Ho una rabbia contro sto coso.
Partendo dal presupposto che io mi metto sempre nella posizione di pensare che il problema sono io e che potrei davvero non avere capito nulla, è davvero questo quello che vuole l'editoria oggi? Romanzi così? Che si spacciano come voci di una generazione e invece sono solo supercazzole?
Perché basta saperlo, uno se oggi vuole pubblicare caccia in piedi una storiella finta provocatoria (fintissima provocatoria), usa la tecnologia perché signora mia oggi i ragazzi parlano solo con quei telefoni lì e si sono persi i rapporti e bam, caso editoriale dell'anno.

Ogni personaggio di questo romanzo è un detestabile coglione. Perdonerete il francese che diventa la mia lingua madre quando sono inviperita.
Frances ha sì l'ingenuità dei primissimi vent'anni (che io ho passato da 5 minuti, me li ricordo), ha sì l'incertezza di chi si sta ancora costruendo, ma quanto se la sente calda?!
Lei e il suo sguardo di infinita superiorità rispetto agli altri, lei e il suo snobismo, il suo comunismo e il suo grande rispetto per i lavori umili, che però è solo enorme ipocrisia, perché lei non vorrebbe mai lavorare, lei è troppo creativa e poetica per lavorare, e ci fa due palle così su quanto lei piaccia al suo capo proprio perché non interessata al posto fisso, per poi farci intenerire con lei che salta i pasti perché è povera in canna e ha solo pane e acqua e il frigo vuoto e il suo amante mosso a compassione le compra la carne.
Io credo che personaggi così spregevoli solo Franzen li abbia mai scritti.
Bobbi, la sua migliore amica, una supercazzolona di quelle provinciali, che si riempie la bocca di discorsi filosofici che sono assurdi e davvero irrealistici dei quali non esisteva un senso nel romanzo e che davvero hanno fatto solo che pena.
Esempio per farvi ridere un po':


La coppia Nick e Melissa, poi, straordinaria. Una coppia di persone senza un briciolo di amor proprio, fondata su tradimenti e mancanze di rispetto ma che, pensa un po', si ama ancora, e resta insieme in nome di questo supposto amore che non vediamo mai, ci viene solo detto a parole.
Ridicolo.

E infine, come se non fosse sufficiente tutto ciò, il romanzo è tanto young perché i suoi personaggi parlano anche attraverso la tecnologia, Vera Nemica delle nostre relazioni.
Come comunicano?
Su Whatsapp? Su Telegram? Messenger?
No.
Per email.
Sipario.

domenica 11 novembre 2018

Thornhill, Pat Smy

11:26
Trovato nella sezione ragazzi della bibliotechina del mio paese, Thornhill mi ha catturata dal primo istante, per la sua mole, la sua forma compatta e il suo nero onnipresente.


Il racconto è quello di due bambine, Ella e Mary, delle loro due vite parallele e del momento in cui queste due vite si incrociano.

La particolarità del tomone è prima di tutto la struttura. Non è un fumetto vero e proprio ma un romanzo illustrato nel vero senso del termine, in cui pagine di narrazione in forma di diario si alternano a pagine di sole illustrazioni.

La storia parla di bullismo feroce, orfanotrofi, adulti incompetenti e superficiali, cattiverie atroci e solitudine lacerante. Lo fa con dovizia di particolari, senza lasciare granchè all'immaginazione. Mary è vittima di un mondo cattivo che non sa integrare il diverso, e per questo ha smesso di parlare. Cerca rifugio in bamboline che crea da sè, che diventano le sue uniche amiche. Il ritorno nell'orfanotrofio di Thornhill della sua bulla, però, la fa ripiombare in uno stato di disperazione dal quale nessuno sembra davvero interessato a farla uscire.

La considerazione che mi ha fatto fare Thornhill, che comunque consiglio per intensità, fascino e particolarità della struttura, è: come classifichiamo qualcosa per bambini? 
Come si decide se qualcosa è adatto o meno?
Perché è chiaro che conoscendo il singolo esemplare di cucciolo d'uomo si può stabilire quanto e se sia pronto per letture più impegnative o se invece sia meglio coccolarlo ancora un po' con storie più gioiose, ma come si fa una classificazione generale?
Se da un lato mi viene da pensare che i bambini siano pronti a tutto, dall'altro mi viene da pensare che un po' di protezione sia non per forza dovuta ma naturale. Ce l'abbiamo scritta da qualche parte in quello che siamo in quanto animali, la tutela dei più piccoli. Giusto due minuti fa stavo guardando su Instagram un video di una leonessa incattivita come la morte con due leoni che si avvicinavano ai cuccioli, mi sa che fa proprio parte della natura.
Ora, lungi da me voler passare messaggi pedagogici o educativi per i quali non ho la competenza, ma mi interessa sapere cosa fareste voi. Non perché io abbia bambini a cui passarlo, ma perché io alla biblioteca l'ho già riportato, e lui sarà tornato nella piccola zona fumetti insieme al mio amato Lupo Alberto e a Mafalda. E sta lì, in attesa che qualche bambino se lo porti a casa e speri di trovarci un'avventura inquietante e cupa.
Che per carità, per esserci c'è, ed è anche interessantissima.
Mi chiedo solo, con sincera curiosità e nessuna vena polemica, quanto siamo pronti a raccontargliela.

domenica 14 ottobre 2018

La trilogia di Cormoran Strike, Robert Galbraith

16:52
Il 18 settembre è uscito Lethal White, il quarto volume della saga di Cormoran Strike, la rinascita di J. K. Rowling con lo pseudonimo di Robert Galbraith.
Pare sia giunta l'ora di parlare dei primi tre.



Alla fine del primo libro, Il richiamo del cuculo, ero certa avrei mollato. Non è che non mi fosse piaciuto in toto, ma nemmeno mi sentivo rapita come devo essere se voglio continuare una saga che nemmeno volevo iniziare.

Facciamo un passo indietro.
Nella Redrumia i gialli sono i libri che leggo quando sto in crisi del lettore, il che mi capita più spesso del previsto ultimamente. Trovo questi sul mio hard disk adorato, li carico e decido che temporeggio con loro.
Risultato: divorati in tre settimane nette.

Cormoran Strike, oltre ad essere il proprietario di un nome pregiatissimo, è un investigatore privato di Londra. Figlio a malapena riconosciuto di una rockstar e di una groupie, privo di una gamba e del suo amore folle che lo lascia proprio all'inizio del primo romanzo, veterano di guerra e con ben pochi legami.
Nella sua vita entra Robin, che lui assume come segretaria e che si rivelerà molto di più.
Niente 'will they, won't they?' non è il romanticismo che ci interessa, e Robin ha un vistoso anello di fidanzamento al dito.
Il legame professionale è più che sufficiente.

Dicevamo, Il richiamo del cuculo. 
Per buona parte della lettura ho pensato di stare leggendo una sceneggiatura, il che non necessariamente è un male dato che è pure uscita la serie e avranno avuto buona parte del lavoro fatta. Però che palle. Dialoghi su dialoghi su dialoghi e interrogatori e consultazioni e incontri e chiacchierate e djesoo solo sa cos'altro avessero da dirsi sti stronzi che gli si saranno bruciate le dita a forza di fare le virgolette.
Il francese è la lingua nazionale in Redrumia, ormai lo saprete.
Però però però.
Alla fine mi ero detta che andava bene così, non avrei continuato la saga e buonanotte, era uscito il nuovo della Oates nel frattempo e potevo recuperare lui. Però a me il giorno dopo Cormoran mancava. E quindi via di nuovo, con il due e il tre.

Io alla fine li ho trovati sinceramente giallini mediocri. I personaggi non portano nulla di nuovo all'immaginario dell'investigatore privato in rovina e tormentato e nemmeno a quello della novella Veronica Mars inconsapevolmente bellissima ma anche brillante e tosta e senza paura.
Dei casi mi interessava francamente poco.
Quindi, vi chiederete, perché siamo ancora qua a parlarne?
Perché c'è una cosa che la Rowling sa fare ed è rendere umani i suoi personaggi in un modo che li fa entrare dentro al lettore e non li fa uscire più. Con una parola, una riga sola, li tira fuori dal cliché in cui rischiano sempre di finire e li rende credibilissimi, tridimensionali, e senza nemmeno accorgersene iniziano a stare a cuore. Con la sua scrittura semplicissima e senza fronzoli sa parlare delle persone in un modo onesto e profondo, e alla fine ci siamo dentro con tutte le scarpe, in questa improbabile coppia inglese bizzarramente assortita.

Il terzo romanzo, poi, parla di violenza sulle donne, tra le altre cose. E lo fa come solo una donna potrebbe fare: con dettagli crudeli, personaggi disgustosi e vittime che da sole devono rialzarsi. E quando si parla di argomenti così importanti in modo impeccabile (vedesi anche Broadchurch stagione 3, indimenticabile), non si può che cambiare idea su quanto detto prima.

Per la Rowling si passa sopra questo e altro.

giovedì 19 luglio 2018

Il segreto del Bosco Vecchio, Dino Buzzati

11:29
Prendetemi pure in giro se volete, lo accetterò.
Io, però, non avevo mai letto Buzzati.
La scuola mi aveva insegnato che la letteratura italiana era tutta stilnovisti e poeti frantumaentusiasmi. Calvino? Sconosciuto. Leopardi? Una noia mortale. Buzzati? Chi?
Sì, sto dando la colpa alla mia prof, che oltre ad avermi rubato la mia copia de Il giovane Holden mi ha fatto credere (inconsapevolmente, era una ciellina nazionalista) che il meglio era tutto all'estero.
E finisce che Buzzati me lo devo leggere a 27 anni.


Il Bosco Vecchio è un terreno ereditato dai Procolo, Sebastiano e Benvenuto da un parente defunto.
Uno è un colonnello in pensione e l'altro un ragazzino orfano e in collegio. Si trovano a condividere un'eredità fatta di piante ma anche di geni, gazze e venti.
E nessuno osserva il mondo in silenzio.

Vi racconto di un pomeriggio.
Erre per lavoro doveva andare in un paesino di montagna. Mi chiede di accompagnarlo, così gli posso fare compagnia durante il viaggio. Di fianco alla farmacia dove lui lavora c'è una pasticceria, quindi lo saluto, mi ordino un cappuccino pieno di schiuma, e mi siedo nel loro terrazzino. Ho una felpa pesante, l'arietta è quasi miracolosa, passano persone sorridenti con cani rumorosi e la tranquillità del paese è da sogno. Un auto ogni dieci minuti quando andava male.
Io e Dino Buzzati siamo stati insieme quel pomeriggio, e la coccola che quella giornata è stata per me è stata indescrivibile. Qualche tempo fa nel sentire la gente parlare di cose così banali mi avrebbe quasi fatto ridere, ma in un anno come quello che sto passando, e che non smette di prendermi e sbattermi ripetutamente contro il muro proprio di faccia, ho rivalutato tutto.
Se potete concedetevi un momento così. Un giro in bici al sole, una visita ad una fattoria con gli asinini e il fieno, una passeggiata di sera, un pomeriggio in montagna.
E se potete, fatelo con Buzzati.

Perché come mi è capitato di dire altre volte parlando del fantastico, nessun altro genere fa quello che fa lui. Ci prende e, pur facendoci godere immensamente del momento, ci prende e ci porta via. E io, con la mia felpa, il mio cappuccino e il cane sopra di me che abbaiava ad ogni passante, ci siamo fatti prendere volentieri. Ci siamo lasciati trasportare in un luogo magico dove le piante sono le padrone di casa, dove i venti fanno le gare e dove le gazze sono guardiani migliori di ogni cane. Dove le persone riscoprono il loro valore, dove i bambini smettono di essere piccoli e dove niente conta più della lealtà. Dove riemerge il buono di ognuno.
Il tutto, in una storia breve e quasi per bambini, di quelle che non hanno paura di parlare di cose cattive perché hanno uno scopo, e perché quello scopo lì è sempre ricordarci che siamo migliori di quanto crediamo.

Dopo quel giorno la mia testa bloccata si è sbloccata. Mi è arrivata un'idea che potrebbe (o forse no, se potete incrociate le dita per il mio futuro) risolvere una situazione brutta brutta. Ho cercato di riprendere in mano le redini del mio cervello e anche se la strada è lunga e spaventa, ogni tanto riesco ancora a pensare di potercela fare.
Non posso credere che Buzzati e quel pomeriggio lì non c'entrino niente.

sabato 26 maggio 2018

Accabadora, Michela Murgia

11:29
Al di là della fama che la precede, ho fatto la conoscenza diretta di Michela Murgia guardandola nel programma di Augias. In particolare, aveva fatto un intervento sul fumetto e il suo ruolo nell'editoria e nella cultura che avevo trovato perfetto, e da quel momento ho iniziato a seguirla sui social e ad adorarla.
Raccomando, in particolare, su Twitter, la sua rubrica #tuttimaschi, dove sottolinea come le prime pagine dei nostri quotidiani abbiano firme femminili quasi solo in casi di articoli di moda e tendenze e culi. Giusto per non farvi venire il fegato d'acciaio come viene a me.
Per completare il quadro mancavano i suoi libri e ho deciso di iniziare da quello che forse è ancora il suo più famoso: Accabadora.


Maria è l'ultima di quattro sorelle, figlia di una madre povera e vedova.
Quando Bonaria Urrai, una vecchia sarta del paese, la chiede come figlia dell'anima, quindi, la madre accetta senza pensarci troppo. Un figlio dell'anima è, come descritto due volte, un bambino nato due volte: dalla povertà di una donna e dalla sterilità dell'altra. Un'adozione senza contratti, enti, e marche da bollo.
Di notte Bonaria esce spesso, e Maria sembra non farsi troppe domande. Il suo 'lavoro' è quello di accabadora, ovvero di accompagnare alla morte le persone in condizioni gravissime. Un ruolo che non può che influenzare il rapporto con la bambina.

Ero certa che avrei trovato Michela Murgia bravissima. Ero molto meno certa che mi sarebbe interessato il tema, invece.

Per me Accabadora è stato fulminante. Divorato in poche ore, lascia dietro di sè la scia di sensazioni fortissime date dalla capacità della Murgia di trasportarci nel cuore di una terra anche le persone che, come me, non la conoscono.
Senza alcuna forzatura, con la semplicità tipica di chi non deve sforzarsi per riuscire bene in quello che fa, la narrazione è intensissima di sentimenti e atmosfera. Si respira l'aria del soffritto che Maria, arrabbiata e confusa, cucina, si vede lo sguardo combattuto di Bonaria, si sente il vomito di Andrìa e si prova il dolore di Nicola. Tutto è forte e vivissimo, descritto con un'efficacia che ha del miracoloso e che solo in lavori come quello della Ferrante avevo visto prima.
I rapporti mi sono sembrati così familiari, così noti, che li ho vissuti come fossero i miei. Bonaria e Maria si abbracciano poco e mai, a volte nemmeno si parlano, ma comunicano con i gesti e la fiducia e l'amore pulito e forte che nasce tra chi non ha legami di sangue ma solo di scelta.

Non è una lettura, è un'esperienza. Come entrare in una sala da tè profumatissima, e lasciarsi coinvolgere dalle storie di chi ci circonda. Come entrare in una chiesa di paese, riconoscerne l'odore di incenso anche dopo anni di lontananza, e sedersi tra le credenze e il folklore delle donne di una volta che accendono ceri e pregano per gli amati.
Certe espressioni della Murgia sono quasi un incanto: parla di 'emigrazione da sè' quando parla del suicidio di un emigrato o di 'furto dell'abito da sposa' quando parla di un matrimonio mai celebrato, per esempio.

La colpa è mia e solo mia, che finisco sempre involontariamente per snobbare la narrativa italiana senza una e una sola motivazione reale. La Murgia è una scoperta stupenda, alla faccia del mio snobismo.
E poi dicono che i social non servono a niente.

mercoledì 16 maggio 2018

Consapevolezza alimentare: The China Study

16:29
Qualche mese fa ho pubblicato un post, che trovate qua, nel quale parlavo di alcuni documentari a tema alimentare che mi ero sparata in un tentativo di convincermi a mettere giù le patatine fritte ora e per sempre.
La ricerca di motivazione continua, questa volta con un libro: il tanto famigerato The China Study.



Premessa obbligatissima: la comunità scientifica non dà alcun valore allo Studio Cina. Non è riconosciuto, non viene preso in considerazione come riferimento.
Insomma, è fuffa.
La cosa mi dà immensa gioia perché io, sto libro, l'ho odiato.

Partiamo dalle cose positive, perché non sembra che io stia scrivendo un post avvelenato per pura antipatia personale.
Il volume è bellissimo. Lo so, non conta niente ed è un discorso da feticisti della carta stampata che non ha alcun valore, ma lo amo. La dimensione, la copertina flessibile, la carta riciclata, i grafichetti. Sembra un libro scolastico e io i libri scolastici li venero come divinità della conoscenza.
La seconda cosa positiva è che offre sinceramente molti stimoli. Io mi nutro da cani. Mangio malissimo. Mi sforzo, ci provo, ma sono un disastro. La verdura mi fa quasi tutta schifo e la frutta è la mia nemesi. Non ci capiamo, non ci siamo mai avvicinate, è un rapporto che non è mai nato e finora era sempre andata bene così.
Risultato: sono ciccia, quindi forse così bene non è andata.
The China Study, oltre ai disastri di cui parleremo dopo, parla talmente tanto e talmente bene di queste meraviglie che la natura ci offre che io questo mese ho iniziato a mangiare i pomodori.
Non tutti, solo quelli oblunghi croccantini, ma è qualcosa.


Per quanto riguarda i disastri, invece, mettetevi comodi, sarà un lungo post.

Partiamo dalla presentazione che il libro dà di sè e del suo contenuto:
Lo studio più completo sull'alimentazione mai condotto finora
Un testo monumentale che sta sollevando un vero polverone intorno alla medicina convenzionale di tutto il mondo.
Il più importante testo epidemiologico mai realizzato
Wow.

Non è come quando l'editore decide di mettere sul retro o sulla copertina frasi da recensioni di scrittori famosi o di grandi testate. Qua è tutta materia del gentile professor Campbell. Al massimo del suo editore.
Leggendo però il tono tronfio, egoriferito e pomposo con cui il galantuomo parla di sè, non mi stupirei se tutte queste lodi fossero già scritte nella bozza mandata all'editor.
Si tratta nientemeno di 400 pagine di autoelezione di sé come il più grande, il migliore, l'unico che dice la verità, il Solo Portatore di Autorevolezza e Realtà nel marcio ed evidentemente volto all'estinzione della specie mondo della medicina convenzionale.

Migliaia di medici in tutto il mondo, ricercatori sottopagati, infermieri dispettosi, smascherati da Lui: T. Colin Campbell.
Inchiniamoci alla sua volontà.

Ci prova spesso, in mezzo alle pagine, a dire che bisogna eliminare tutto ma non farsene ossessionare, che è un percorso, che ci si arriva, ma la sua arroganza è snervante. Quello che più di tutto ho trovato snervante è il tono con cui apre il volume: l'adolescenza in fattoria, con gli animali, tutta la carne mangiata da tutti. Per tutto il romanzo, poi, si porta appresso questo tono da 'io ci sono passato, vi capisco, è dura', che gioca su una faciloneria insostenibile.

Si arriva a fare dichiarazioni che sono di una pericolosità gravissima.
Parliamo di malattie, e Campbell dice che i tumori possono avere origine genetica ma che possono anche essere 'stimolati', passatemi il termine per nulla scientifico, dal modo in cui ci nutriamo.
Io non ho competenze mediche, leggo e cerco di imparare qualcosa, quindi questa nozione la prendo e la metto nel bagaglio che sto cercando di costruire.
Dopo, però, si dice che l'alimentazione ha un ruolo fondamentale nella cura della malattia.
Questo non va bene.
Se scrivi un libro che chiaramente nasce per essere popolare e diffuso tra tutti, perché non si tratta di un articolo di settore pubblicato in riviste specializzate, gli dai quel tono familiare per avvicinare il lettore a te e alla tua storia e al tuo immenso lavoro, non lo freghi così. Non lo metti in un angolo con affermazioni micidiali e pericolosissime.
Se io fossi malata sarei disperata. Qualcuno riesce a mantenere lucidità e consapevolezza, io no. Io agonizzo a letto per qualche linea di febbre, con un tumore sarei annientata. Leggere una frase del genere mi farebbe campare di insalata mangiata direttamente dalla busta. Non va affatto bene, pare del miserabile complottismo antifarmaceutico che non fa il bene di chi dell'industria farmaceutica ha bisogno per vivere.

Esempio molto meno grave di un tumore: mia madre ha il diabete.
Segue una dieta e una cura farmacologica, che le permettono, insieme, di non sentire il calo di zuccheri, di andare in bicicletta senza essere affaticata, e di vivere una vita normale.
Dirle, domani: mamma, non prendere più le pastiglie di potassio che ti aiutano a stare in piedi, mangia come ti dice questo libro e passerà tutto da sè, significa innanzitutto che mia madre mi lancerebbe una seggiola e anche il libro, e poi che il giorno dopo la troverei sul divano incapace di muoversi perché le sue gambe non la sostengono.
Non. Va. Bene.

Ci mettiamo anche la fettina animalista?
Mettiamocela.
Uno studio intero, durato 30 anni, per giungere alla conclusione che gli animali non vadano mangiati condotto come? Sui topi.
Sembra Deodato che dice che facciamo schifo perché pur della fama (concedetemi la semplificazione) siamo disposti a tutto poi macella animali per un film.
Non fraintendetemi: io credo di essere a favore della sperimentazione animale in ambito medico.
Però puzza un po'.

Non ho competenze medico-scientifiche nemmeno per errore. So alcune cose sul mio corpo e basta, giusto perché ci devo abitare dentro. Non mi permetto, quindi, di dare giudizi sulle conclusioni a cui giunge, ma da cittadino comune mi devo fidare della comunità scientifica.
Qualcosa non va in questo studio, e su questo paiono essere tutti concordi.

Bisogna mangiare più frutta e verdura?
Siamo tutti d'accordo, soprattutto Studio Aperto nei mesi tra maggio e settembre.
Bisogna leggere questo libro per farlo?
Anche no.

Se però voleste approfondire l'aspetto scientifico dello Studio Cina e delle sue criticità, vi linko un blog, che ne parla in diversi post molto interessanti: https://deniseminger.com/the-china-study/


 
 

sabato 21 aprile 2018

La bussola d'oro, Philip Pullman

19:38
Continua il mio periodo di 'crisi creativa': scrivo poco e niente (più niente che poco) e leggo relativamente poco.
Nel mio recente viaggio in biblioteca terapeutico, però, ho recuperato La bussola d'oro, primo volume della mitologica saga Queste oscure materie. 
Nominato da mille milioni di persone, diventato ormai leggendario, ha fatto su di me un effetto completamente inaspettato: non mi è piaciuto.


Una trama velocissimissima per chi non sapesse di cosa sto per parlare: la storia è quella di Lyra, una bambina orfana ma appartenente all'aristocrazia inglese, che viene allevata nel prestigioso Jordan College. Lyra vive in un mondo in cui ad ogni persona è assegnato un daimon, creatura mutaforma da cui è impossibile separarsi, e in cui ad un certo punto iniziano a sparire i bambini. Insieme a queste sparizioni, fa la sua comparsa nella vita di Lyra la signora Coulter, che la porta con sè per trasformarla nella sua assistente.
Da questa partenza, per Lyra inizierà un'avventura che la condurrà fino ai ghiacci del Nord, tra orsi, streghe e Polveri.

Io lo so che le aspettative fanno male. Lo so, le ho sperimentate sulla mia pelle più volte, eppure davanti alla grande fama di libri o film è difficile restare neutrali. Io l'ho letto in edizione Salani, e dietro riportava queste recensioni:

Capito? Restateci voi, neutrali.

Ho un grande amore per le saghe fantastiche per ragazzi, immagino sia piuttosto palese. 
Provo a scrivere cose per ragazzi anche io, da tanto che le amo. 
Mi aspettavo quindi l'ennesimo colpo di fulmine, una breccia nel mio cuore così provato dalla crisi del momento, una folgorazione.
Niente, zero, nulla.

A me la scrittura di Pullman è piaciuta, ho trascritto alcune frasi nel mio quadernetto delle citazioni, le ho fotografate, le ho adorate. La delusione arriva proprio dalla storia, dalla sua costruzione, dai suoi personaggi.
Lyra, la protagonista, è la classica bambina ribelle. Non che ci sia niente di male in questo, sappiamo che è un personaggio che funziona e va sempre bene ricordare alle bambine che non devono per forza essere signorine per bene. A volte, però, ho trovato qualcosa che sembrava buttato lì tanto per darle una tridimensionalità che puzzava di forzato. Ribelle e caotica, sicura di sè e determinata, o timidina e pronta a tirarsi indietro? Spesso è stata una, spesso l'altra. Non le riconoscevo alcuni atteggiamenti che le sono stati attribuiti soprattutto nella seconda parte del romanzo, mi sembrava appartenessero ad un personaggio che non era lei. Alcuni atteggiamenti o pensieri sono stati buttati nel discorso magari solo con una frase, che sarebbe bastato evitare e non si sarebbe tolto nulla alla narrazione, anzi.
A proposito della narrazione, mi permetto un giudizio di una negatività che non uso mai perché di solito mi puzza di presunzione: a me non pare costruito benissimissimo.
Ci sono concetti che vengono buttati lì, invenzioni dell'autore che sono interessantissime ma che finiscono nel nulla, o limitate ad un breve spiegone finale. Ma sto aletiometro, come funziona esattamente? La teologia sperimentale, che mi aveva incuriosita da matti, viene lasciata scivolare via nel nulla. Sti orsi, chi sono, che vogliono, che fanno? E le streghe?
Vengono introdotte migliaia di invenzioni che mi stavano davvero intrigando e mi pare che a nessuna sia lasciato lo spazio che meritava.
Ho avuto la sensazione che ci fosse una storia da portare a casa e che andava finita, punto. L'avventura doveva concludersi per riaprire alla successiva e di tutto quello che intorno all'avventura è cresciuto si poteva fare a meno.
Mi sa che con un po' più di approfondimento qui uscivano almeno altri due libri, a star stretti.

Sono dispiaciutissima che non mi sia piaciuto. Ci speravo tanto perché quando ho questi momenti di crisi piuttosto intensa la narrativa fantastica per ragazzi mi aiuta sempre a rimettermi in pace col mondo.
Mi sa che ci vogliono le armi pesanti.
Prendo Neil Gaiman.

mercoledì 28 marzo 2018

Saggiumia: Saper vedere il cinema, Antonio Costa

13:57
So che queste introduzioni servono più a noi stessi per autogiustificarci che non a chi legge: non siamo tutti youtuber con migliaia di follower e fan devoti, e meno male.
Dall'inizio di questo anno un po' impegnativo, però, ho, nell'ordine: iniziato una programmazione che non sono riuscita a seguire, lanciato uno 'speciale' che non sono riuscita a fare e, addirittura, smesso direttamente di scrivere post.
Sono solo presissima da novità sul lavoro che mi tolgono moltissimo tempo ed energia, e quando sono a casa e potrei lavorare al blog e ai due libri con i quali sarei in ballo preferisco cazzeggiare e guardare Storie Maledette.
Cercherò di ridarmi un equilibrio nella gestione delle cose, per ora, però, mi limito a dirvi due paroline su un saggio che ho da poco finito di leggere.


Sapevo che prima o poi mi sarei dovuta mettere a leggere dei saggi sul cinema. Nella mia biblioteca giravo loro intorno da un po' per un motivo o per un altro li lasciavo sempre lì. Principalmente perché finora non ho mai letto molti saggi, ma l'ingresso nella mia vita del magnifico Yuval Noah Harari ha messo in me la voglia di non leggere altro che divulgazione, informazione, educazione.
Eccoci qui, quindi, a fare due chiacchiere sul libro di Costa.

Saper vedere il cinema si pone l'obiettivo di rendere la visione dei film un po' più consapevole. Non vuole essere un omnibus, non vuole rispondere ad ogni domanda possibile nè tantomeno ricostruire nel dettaglio la storia del cinema. Cerca di fare di tutto un po', dando un'infarinatura generale che è un ottimo punto di partenza.
Costa stesso, infatti, conclude ogni capitolo con un elenco di libri da consultare per chi fosse interessato ad approfondire ogni argomento. La lista è infinita e io non gli starò mai dietro, ma è interessante avere qualche titolo di riferimento.

Si parte, nella prima metà del testo, con la storia.
Dai primissimi esperimenti di quei fratelli francesi laggiù fino ai giorni nostri, si ripercorrono velocemente le tappe principali della storia più appassionante di sempre, con particolare attenzione a sottolineare cosa di un certo periodo o movimento abbia portato a quello successivo e così via. Si parla di esperimenti, delle major, dei registi più noti e dei loro lavori principali.
Come vi dicevo, non può e non vuole essere completissimo, ma è un modo secondo me perfetto per capire su cosa ci può interessare concentrarci.
Ci va di conoscere meglio la Nouvelle Vague? Bene, Costa ce la contestualizza un pochino, ci dà qualche nome, qualche film imperdibile e, alla fine, qualche suggerimento per informarci ancora di più. Forse se siete già buoni conoscitori, almeno un minimo più della zappa che sono io, un testo di questo tipo può risultare solo un evidenziare cose già note.
Al contrario, l'ho trovato un modo perfetto per iniziare. Ho annotato (sì, perché quando leggo i saggi prendo appunti, mi aiuta a tenere le cose più a mente) nomi, titoli, cose da leggere, persone da conoscere. Riesce nell'intento (che non è forse quello di tutti i saggi?) di portare a desiderare di più, altra conoscenza, altre informazioni, altro cinema.

La seconda metà, infine, è quella più interessante, quella 'tecnica'.
Anche qui, se il cinema già lo conoscete, non fa per voi, alcune cose le sapevo pure io ed è tutto un dire.
Costa, però, è stato bravissimo nel concentrare i concetti principali, dando loro un minimo di storia, di definizione e riempiendo il tutto con i soliti, utilissimi, esempi, che rendono il tutto più stimolante.
Si parla di make up, di effetti speciali, di montaggio e fotografia, e di che come un film si scrive. A parte una parte infinita in cui si sottolinea in modi estremamente dettagliati la differenza tra trucchi ed effetti speciali, che mi avrebbe spinto a spararmi in un piede, il resto è rapido e scorre preciso e scorrevole, senza l'effetto 'lezione scolastica', che è ciò che fino ad ora mi aveva allontanato dalla saggistica scritta per avvicinarmi, invece, al linguaggio ben più discorsivo e gradevole dei documentari che popolano non solo il mio cuore, ma anche Netflix.

Costa non si è solo conquistato le mie simpatie, ma anche un posto speciale nel mio quaderno degli appunti, che ora per colpa sua è pieno di freccine, post it e titoloni evidenziati.
Ché io avrò pure quasi 30 anni, ma niente mi rende felice come la cancelleria usata.

giovedì 22 febbraio 2018

Il morso della reclusa, Fred Vargas

10:20
Si intonino cori di angeli, si sventolino le bandiere della pace, si innalzino i cuori al cielo: HABEMUS NUOVO VARGAS!
Uscito in Francia a maggio dell'anno scorso e piovutoci addosso solo il mese scorso, è finalmente giunto tra le mie tremanti mani Il morso della reclusa, l'ultima indagine del venerato commissario Adamsberg.

L'ho detto una quantità di volte infinita: per me Vargas è praticamente la sola giallista che valga la pena leggere. Se siete amanti del genere gli autori interessanti sono un po' di più, ma se come me ne foste un po' pieni lei è la regina indiscussa, la sola che valga ancora la pena aspettare come un bambino aspetta il Natale.


Ne Il morso della reclusa Adamsberg, che si era rintanato in Islanda insieme al figlio, viene richiamato a Parigi per un caso un po' complicato. Con i suoi metodi poco convenzionali lo risolve rapidamente per poi inciampare, però, nel caso delle recluse.
Le recluse sono ragni non particolarmente pericolosi diffusi in Nord America. Pare piuttosto strano, quindi, che si siano registrate in pochi mesi diverse morti per morso di reclusa in Francia.
Adamsberg ha un prurito sulla faccenda e, come Lucio insegna, i pruriti vanno grattati fino in fondo o faranno prurito per sempre.
Lucio, per intenderci, è il vicino di casa di Adamsberg. Gli manca un braccio ma gli prude sempre, non aveva finito di grattarlo.

Siccome Il morso della reclusa è un perfetto romanzo di Vargas, che raccoglie tutti i motivi per cui le voglio un bene dell'anima, provo a dirvi in qualche punto perché per me lei è la numero uno.
Lista a punti perché sono pazza e mi piacciono le cosine ordinate fatte bene.

1. I casi
Sono generalmente, i suoi, casi piuttosto classici. Omicidi, violenze, vendette. Quello che li rende molto più interessanti dei classici Mary Higgins Clark o Patricia Cornwell, però, è che manca del tutto la banalità. Non sono mai casi folli, sono anzi tutti molto credibili. Quello che Vargas aggiunge è sempre un elemento che se vogliamo possiamo chiamare di 'disturbo'.
Piedi mozzati, fantasmi, cerchi disegnati per terra, tridenti come armi del delitto, il ritorno della peste...
Insomma, tutto normale, verosimile, quotidiano.
O forse no.

2. Lo stile
Il modo in cui scrive Vargas è tutto suo.
Non ha alcun bisogno di usare uno stile pomposo o un vocabolario ricercatissimo, ma è di un bravo...
Riesce ad essere semplicissima e accattivante, posarla è impossibile. Spesso rido a voce alta, spesso mi commuove per una frase soltanto. Il suo modo di comunicare è immediato, la storia si costruisce tutta intorno a te come un disegno e quando sollevi lo sguardo dalle pagine è come buttar giù un muro di nuvole, e tutto torna opaco e reale intorno.
Persino i titoli dei suoi romanzi sono stupendi.
Magnifica, magnifica, magnifica.

3. Jean-Baptiste Adamsberg
Il cuore pulsante delle storie, il commissario, il protagonista indiscusso di una saga magnifica.
Adamsberg è lo spalatore di nuvole che ha rubato il cuore a chiunque l'abbia incrociato nella propria vita da lettore. Affascinante, caotico, confuso e confusionario, ha picchi di dolcezza immensi e non si fa alcun problema a prendere a pugni il suo più caro collaboratore (di lui parliamo dopo).
Il suo nome fa tremare i telefoni di tutta la polizia di Parigi, non si scappa di fronte ad una chiamata di Adamsberg, e palpitare i cuori. Parla fin troppo per metafore e fuma solo se le sigarette sono rubate. Indimenticabile.

4. Il XIII arrondissement
Il commissariato di cui Adamsberg è a capo diventa presto casa. Popolato di strane abitudini, bizzarri personaggi e un gatto che non deambula in autonomia, è un magnifico luogo in cui tornare.
I casi sono sempre presi sul serio, ma le persone no. Il rapporto che lega i poliziotti tra loro è pieno di schiettezza e qualche botta ogni tanto. La stima è indiscussa e la premura con cui ognuno si prende cura dell'altro è dolcissima.
E poi c'è la divina Retancourt, che è la regina del commissariato, dei lavori duri e del gatto.

5. Adrien Danglard
Se domani per qualche trauma cranico subito dall'autrice i libri della saga di Adamsberg cominciassero a fare schifo io continuerei a leggerli in nome dell'amore che mi lega a Danglard. Il vice, il più vecchio collaboratore di Adamsberg, il mio personaggio del cuore.
Danglard è un uomo magnifico, che commuove immensamente.
Ha una cultura sconfinata che coltiva grazie alla sua memoria incredibile, parla spesso per citazioni e maschera il suo non essere bellissimo con l'eleganza. Ha cinque figli ed è stato abbandonato dalla moglie. Beve un po' troppo. Il suo pessimismo è inimitabile, la sua mancanza di fiducia nel mondo e nelle persone è ineguagliabile. Vive nell'eterna convinzione di non essere mai amato, di non essere mai abbastanza, fa degli errori e magari se ne accorge pure, ma a volte è troppo tardi e perde il controllo della situazione. Mi ricorda così tanto me, a volte, che leggerlo è quasi difficile.
Mi commuove come nessun altro, e per me è ancora meglio del suo capo.
Il paladino dei pessimisti, degli sbagliati, degli imperfetti e degli insicuri, dei fragilissimi e di chi si tutela dietro i libri letti e le nozioni imparate.
Quanto vorrei esistessi, Danglard.

Leggere Vargas è il modo migliore per regalarsi un momento fuori dal mondo.

Piccola postilla sull'edizione Einaudi.
Il volume costa VENTI EURO. Copertina flessibile, impaginazione quasi illegale. Il volume è lungo più di 400 pagine con un'impaginazione da telefono Amico Brondi per gli anziani.
Per carità, l'esperienza di lettura ne esce senz'altro semplicissima e per nulla affaticante, ma sono sempre venti benedetti euro (tre ore di lavoro per me che sono una barista) per una copertina flessibile di un libro in b/n lungo 400 pagine che sarebbe potuto esserne cento di meno.
Ci penso su bene prima di acquistare.
Poi acquista il mio moroso, che non fa il barista.
Io, però, rimango perplessa.

mercoledì 14 febbraio 2018

L'amore bugiardo, Gillian Flynn

16:35
Io mi rendo conto che parlare di questo film nel giorno di San Valentino possa suonare quantomeno cinico, ma non posso farci molto: pur amando moltissimo il 14 febbraio non sono una di quelle che impazzisce per le cose che parlano d'amore.
Oggi, quindi, niente storie romantiche nè dolcissime, per quello ci penserà stasera Del Toro quando sarò a vedere il film più atteso di tutta la mia vita.
Oggi, qui, parliamo di amori fedifraghi, vendicativi, cattivi, malati.
E buon San Valentino a tutti!🎔


Amy e Nick sembrano la coppia perfetta: bellissimi, intelligenti e dalla vita brillante e piena di interessi. Stanno benissimo e sono l'ideale della coppia libera e senza vincoli da scimmie ammaestrate, come si divertono a dire dei loro amici più gelosi.
Peccato che non sia proprio così, e alla prima difficoltà esca tutto il marcio di chi vuole mantenere una facciata di perfezione e un sottosuolo di menzogne, crudeltà e violenza.
Tutto questo ben di dio esce allo scoperto quando Amy scompare.

POST CON ANTICIPAZIONI, MA DEL TIPO CHE PROPRIO VI ROVINO TUTTO.

Arrivavo al romanzo avendo già visto il film, quindi conoscevo bene la storia e il finale.
Eppure, mi ha fregata.
Amy Dunne, la Mitica Amy, mi ha fregata come la peggiore delle bambocce.
Andiamo con ordine.
Il romanzo è narrato in prima persona da entrambi i punti di vista.
Di Amy leggiamo il diario, mentre Nick racconta la vicenda dal suo punto di vista.
Sapendo chi sia davvero Amy e cosa abbia davvero fatto, mi sarei aspettata di arrivare alla lettura un po' più sgamata. Niente da fare, a pagina 100 ero talmente affranta per lei, talmente sofferente che ero piena di comprensione.
Dopo, solo dopo, quando la Flynn ci ha ricordato che anche il diario era fasullo, sono rinsavita. La Flynn per me è stata bravissima.
Sarebbe stato facilissimo fare di Nick un uomo terrificante. Poteva essere un violento, farci passare tutte dalla sua parte e meritarsi ogni singolo secondo della sua vendetta. Invece no, Nick è solo un povero coglione. Irrispettoso e detestabile, ma non una cattiva persona. Ben Affleck per questo ruolo è stato perfetto, poco da dire, proprio in virtù del suo non essere un attore eccezionale. Un tonto con piena coscienza dei suoi difetti, però. Ogni mossa falsa di Nick (e dio solo sa quante ne fa, roba da ceffoni), è preceduta o seguita dal momento in cui si realizza l'errore, e ogni azione più o meno giusta necessita di troppo, troppo lavoro dietro per poter essere considerata 'naturale'.
Per questo motivo, per me, la Flynn è stata bravissima. Io ho provato per la trascurata Amy delle prime pagine un'empatia fortissima. Il dispiacere che provavo per lei era serissimo.
Mi capita spesso, con il mio ragazzo ma anche nelle altre relazioni con le persone, di non sapere cosa fare. Parlo? Sto zitta? La paleso questa mia perplessità o la tengo per me? Mi lamento o mando giù per passare da brava personcina che non si lamenta mai? Qual'è la cosa giusta? Cosa è meglio fare? Dove sta l'equilibrio?
Ho dovuto fotografare pagine intere nelle quali mi sentivo rappresentata come poche altre volte mi era successo.
Poi Amy è sparita.
Non ero shockata dagli eventi, ovviamente, ma ho provato un sincerissimo dispiacere che Amy non fosse quella che io avrei voluto fosse. Il che forse fa di me una seconda Nick.

Ormai lo sapete, non amo i gialli.
Ma la Flynn esplora le relazioni con profondità e sincerità, non ha paura di farci vedere i lati peggiori dello stare insieme, sia che si tratti di donne folli che vogliono incastrare il marito sia che si tratti di cose più semplici ma non meno dolorose, come un tradimento. Lo fa con una storia tesa, dolorosa e sfaccettatissima, impossibile da posare anche se non si ha la curiosità della fine.
Che comunque, quando arriva, un po' di male lo fa lo stesso.

mercoledì 31 gennaio 2018

La sovrana lettrice, Alan Bennett

13:30
Su Twitter impazza l'hashtag #LettureBrevi.
Ecco il mio richiestissimo consiglio.

Come al solito con i libri, partiamo da una situazione tipo.
Domenica mattina. State facendo una colazione placidissima, con la vestaglia di pile, il tè fumante e il gatto appollaiato sui piedi. Ve la sentite super regale.
Tiè, libriccino sulla monarchia.

Elisabetta II nel sorriso rassicurante con cui la conosciamo
La regina Elisabetta scopre, casualmente, che per Buckingham Palace gira un furgoncino - biblioteca. Ne fruiscono spesso i suoi dipendenti, e decide di prendere un libro a sua volta.
Così, per provare.
Nasce in lei una passione bruciante e quasi invalidante, che la rende inadatta al suo ruolo e assolutamente priva della voglia di fare qualsiasi cosa non includa la presenza di un libro.
Quando sei la Regina di una delle nazioni più importanti d'Europa, però, non è così facile sottrarti ai tuoi doveri.

In una cinquantina di pagine Alan Bennett tira fuori il meglio di sè.
La storia della passione di Elisabetta per i libri è spassosissima, con scene iconiche che vi torneranno in mente ogni volta che vedrete il suo volto, con una cura per i dettagli della vita di corte importantissima ma che passa in secondo piano rispetto all'assurdità, verosimilissima, della vicenda.
Ci sono impegni pubblici, navi da varare, personalità internazionali da incontrare, politici da ascoltare e una famiglia di sfondo di cui occuparsi.
Ma niente, niente, ormai conta più per Elisabetta.
Il sacro fuoco della lettura si è acceso, e ci sono anni, decenni, di lacune da colmare.
In breve tempo chiunque inizia a detestare la Regina, che non solo non fa altro tutto il santo giorno, ma che inizia a mettere a disagio chi questi libri non li conosce proprio. Domande inquisitorie, interrogatori, giudizi. Chiunque entri a contatto con la principale degli Uncommons (uno dei motivi per cui il libro si chiama così) è posto sotto il suo insindacabile giudizio. Se non leggi o non conosci uno degli autori preferiti della Regina, considerati fuori.
Se le rompi le scatole, considerati fuori.
Che vita meravigliosa, Lilibeth.

Oltre alle buffissime situazioni in cui Bennett pone la Regina, il libriccino è una lettera d'amore per la letteratura di una bellezza delicatissima.
Senza lo snobismo tipico di chi legge e se ne vanta, Bennett parla con grande amore dei grandi del passato (Eliot, Proust, Shakespeare...) ma strizza l'occhio ai nostri contemporanei, come Alice Munro, Kazuo Ishiguro e, figuriamoci se poteva mancare, Philip Roth, con un particolare accenno al fatto che forse Il lamento di Portnoy non è una lettura adatta alla Regina in persona.
Con una sola frase celebra i benefici della lettura, e la fa dire proprio ad Elisabetta, che riflette sulle conseguenze della sua nuova passione, e con le sue parole vi saluto, che tanto tutto quello che conta sta scritto qui:
È possibile che io mi stia trasformando in un essere umano. Non sono convinta che si tratti di un cambiamento auspicabile.

giovedì 25 gennaio 2018

La fata carabina, Daniel Pennac

08:50
All'inizio dell'anno, sempre nel pieno dei miei giorni più scombussolati dell'ultimo periodo, ero in pieno blocco del lettore. Iniziavo le cose poi le mollavo a metà annoiata.
Solo una persona poteva risolvere questo problema: Pennac.


La fata carabina è il secondo volume del ciclo dei Malausséne. Se non avete letto il primo, male! Si chiama Il paradiso degli orchi ed è una scintilla di gioia distillata.
Se possibile, La fata carabina ancora di più.

Ci troviamo come al solito in mezzo ad un giallo: qualcuno sta drogando i vecchietti. Indovinate chi si è portato in casa tutti gli anziani tossicodipendenti della zona? Ma Benjamin Malaussène, chiaramente, che con la sua opera di aiuto collabora con la sua ragazza, Julie, che sul caso dei vecchi tossici sta scrivendo un articolo. Nel frattempo, un'anziana signora uccide un promettente giovane poliziotto?
Se ricordiamo che di lavoro Ben fa il capro espiatorio, intuiamo facilmente chi sarà tra i primi sospettati.

 Io a volte non riesco a credere alle cose che partorisce la mente umana.
Se uno qualunque avesse scritto di un giro di droga geriatrico, probabilmente l'editore gli avrebbe riso in faccia. Pennac no. Pennac scrive di cose assurde col piglio di chi le prende incredibilmente sul serio non prendendo però sul serio se stesso. Si parla di sorelle futuriste e di anziani che prendono il nome della loro professione, di poliziotti travestiti e di giovinotti facoltosi che aiutano le anziane anzichè derubarle. Si parla di tortura, suicidio, cartelli della droga, figli illegittimi, relazioni fugaci, stati comatosi, e mai, mai, che si smetta di ridere.

Che il Pennacchioni sia intelligente mica ve lo devo certo dire io. La sua intelligenza finissima, secondo me, sta nella capacità di ironizzare su problemi serissimi senza mai passare per irrispettoso, ma anzi riportando l'attenzione su cosa conta davvero, e su come il bene sia, molto semplicemente, la cosa migliore che possiamo fare. Non è un caso allora che il povero Malaussène, per tutto il romanzo trattato dalla polizia come un pericoloso criminale, emerga alla fine come l'anima candida che è.
Quel Malaussène è un autentico santo, signor ispettore, probabilmente l'unico di questa città.
La famiglia è irresistibile. L'ambiente di familiarità è riconoscibile dalle primissime righe, anche se è passato qualche mese da quando ho letto Il paradiso degli orchi. Ogni Malaussène, con le sue piccole manie e le sue caratteristiche, è destinato a tatuarsi nel cuore.

Cosa fosse la vita di Pennac mica me lo ricordo.
Un libro suo è come un infuso di semplicissima contentezza, da usare per coccolarsi quando la giornata è un po' scura e il domani, come dicevano gli Articolo 31, fa un po' più paura. Avercene, di terapie omeopatiche così.

mercoledì 17 gennaio 2018

Everyman, Philip Roth

17:41
Ho concluso la lettura da un po', eppure non mi decidevo a parlare di Everyman.
Philip Roth è stato insignito del prestigioso premio Scrittore Dell'Anno della Repubblica di Redrumia Edizione 2017, però, quindi mi faceva piacere riallacciarmi all'anno scorso con un un suo romanzo.
Poi dalla settimana prossima ripartiamo con scelte letterarie dettate solo ed esclusivamente dal caso.


L'uomo del titolo è un uomo qualsiasi, che noi conosciamo nel giorno del suo funerale.
Dall'ultimo saluto il viaggio è all'indietro, nell'esplorazione onestissima e profonda di una vita come tutte le altre.

Non è facile raccontare vite mediocri.
Ci piace buttarci in avventure eccezionali e in persone straordinarie, così mentre le leggiamo immaginiamo di essere un po' speciali a nostra volta.
A Philip Roth, invece, non gliene frega proprio niente.
Non gli servono viaggi interdimensionali, scienziati illuminati, mostri orrendi o fatine magiche. Gli escono dalle mani parole in apparenza comuni per parlare di persone in apparenza comuni. Everyman è l'apoteosi di questo. Mi ha quasi ricordato Stoner, senza però, devo ammettere, toccarmi nel cuore tanto quanto il racconto di Williams.
L'uomo la cui vita viene ricostruita non ha nome. Ha un lavoro, ha una famiglia, ha un background di vita sentimentale turbolento, ma sembra non esserci altro.
Quello che c'è, invece, è un'onestà quasi tremenda sulla vita dell'uomo.
Si parte con un racconto affezionato di un'infanzia comune, di un bambino che segue le orme del padre e di un fratello con il quale i rapporti sono sempre stati ottimi. Da lì la crescita del nostro uomo comune è segnata dal suo corpo più che da quello che ci sta dentro. Il primo intervento chirurgico, la prima moglie, una vita sportiva e sana, fino all'inevitabile deperimento del corpo. È questo, più di tutto, che ci viene raccontato. Il corpo è il protagonista del romanzo, il corpo che torna in vita attraverso il racconto.
La velocità e la freschezza del corpo bambino, quasi sconvolto dall'essersi malato, il primo contatto con la morte, grande protagonista invisibile del romanzo; il sesso, come sempre amicone di Roth, ma proprio amiconi che escono ogni tanto per una birra; la malattia.
Senza alcun pudore e senza timore di essere giudicato, ché tanto è morto, il protagonista si racconta in un susseguirsi di aneddoti e storie di vita comuni, infilando in mezzo tra un infarto e un rimprovero dal capo che ti scopre farti la segretaria in ufficio, piccoli momenti in cui a parlare non è più il corpo ma il cuore, lasciandoci come sempre senza fiato.
Rapporti sbagliati con i figli, tradimenti, relazioni prive di significato, diventano tutti tasselli di un'esistenza intera, parti di quella persona che durante il commiato viene celebrata e ricordata con affetto, come sempre ricordando le cose migliori.

Everyman ci ricorda che siamo piccini piccini e che non contiamo niente, e allo stesso tempo che nel nostro essere piccini così abbiamo un valore grande e persone intorno a noi con cui condividerlo.
Solo Philip Roth poteva dirlo così.

lunedì 25 dicembre 2017

Il popolo dell'autunno, Ray Bradbury

16:10
Facciamo che avete mangiato, che siete pieni di cibo fino a farvi scoppiare i capillarini degli occhi. Non avete energie per alzarvi dal divano, ruttate cronometrandovi come una madre in travaglio e se avete superato i 25 bevete tisanine depurative sperando di non passare una notte insonni in piena indigestione.
È il giorno buono per Something wicked this way comes.



Non che esista un giorno sbagliato, per un libro del genere.
È, in pieno stile Redrumianesco, un romanzo in cui due ragazzini sono soli a combattere contro le forze del male. Il male stavolta è sotto forma di un misterioso luna park arrivato in città proprio intorno alla notte di Halloween, e nasconde misteri inquietanti ben oltre ogni immaginazione.

Io non so cosa farci, mi dispiace se spesso posso risultare banalotta e sempre uguale a me stessa nelle scelte, ma cercate di capirmi: ho un debole per queste storie. I protagonisti sono Will e Jim, venuti al mondo praticamente insieme e da allora inseparabili vicini di casa. L'arrivo del luna park nella loro cittadina li insospettisce fin dal primo momento. Ogni segnale indicava di starne alla larga, ma date segnali di pericolo ad un tredicenne e chiedetegli di starne alla larga, cento euro che non vi ubbidirà. L'attrazione che i due provano per il luogo incantato si rivela pericolosa davvero perché, come sempre in questi casi, le cose non sono esattamente quello che sembrano.

Non si ama Neil Gaiman nel modo in cui lo amo io, cioè con tutto il cuore che ho, senza essere passati dalla storia di Will e Jim, due dei personaggi che prenderanno residenza nel vostro immaginario. Le loro avventure sono pericolose e la tensione è reale. La preoccupazione per la loro sorte è quasi più forte del desiderio di scoprire come questa faccenda vada a finire. Sono così reali che sembra di toccarli, così diversi e così vicini come sono. Sono i due modi opposti di affrontare un problema, e sono la dimostrazione di come il nostro modo di affrontare il suddetto problema si allenti, si ammorbisca, si allunghi un po', per andare incontro al modo dell'altro.

Se ne avete una vecchia copia sgualcita in casa disegnateci un cuoricino e passatelo a qualche cuginetto più piccolo affamato di avventura e di brividi, è una favola nera con un cuore grande come un circo e con due protagonisti indimenticabili.
Un pomeriggio passato con loro è quanto di più bello vi auguri per un Natale magico.

mercoledì 29 novembre 2017

Prendiluna, Stefano Benni

17:25
Nella mia personale concezione di paradiso c'è un angolino dedicato a David Foster Wallace. Un posticino vicino a lui è riservato a Stefano Benni (che lo raggiungerà tra tanti, tanti, tantissimi anni). Li immagino vicini, a parlare in un linguaggio tutto loro fatto di neologismi e frasi arzigogolate e parole desuete che comprenderebbero solo loro, e che userebbero con lo scopo ben preciso di prenderci tutti, sonoramente, per il culo.


Prendiluna è il nome di un'ex insegnante, che riceve in visita il fantasma del suo defunto gatto. Il fantasma le suggerisce di trovare locazione presso dieci Giusti ai suoi Diecimici (scritto così). Se la sua missione dovesse fallire, avverrebbe l'Apocalisse.

Non sto mica scherzando, la trama è davvero questa, e se avete mai letto un Benni nella vostra vita lo sapete bene quanto sono seria, e soprattutto quanto lo sia lui.
Prendiluna è breve, duecento pagine scritte in corpo ventimila, e se avete tempo ve lo leggete in un pomeriggio. Eppure, è pieno zeppo.
Mi viene un esempio scemo: è come se in pizzeria prendeste una pizza baby (cosa non prevista dalla legge nella Repubblica di Redrumia) però la prendeste superfarcita, tipo una capricciosa. Piccola è piccola, ma sazia tantissimo. È una fanfara, una banda di paese che suona senza timore di svegliare i vecchi che fanno la pennica, un concerto tenuto da quelle persone che suonano strumenti non convenzionali come le seggiole e i bidoni della spazzatura.
Io, problematica con la comicità come sono, l'ho centellinato. Eppure, per tutti i quattro giorni che mi sono serviti a leggerlo, mi sono sentita come se fossi sollevata da terra di qualche centimetro. Umore alle stelle, testa tra le nuvole, mici da salvare.
La cautela, se siete come me, ci vuole, però. Benni non dà tregua alcuna, ogni pagina, ogni riga, ogni scena, hanno un momento che va immortalato, una parola inventata, una trovata brillante, un gioco di parole. Rimbomba nella testa e riempie i pensieri. Si ride, come sempre, a voce alta, anche di fronte a scherzi caciaroni e battutacce a sfondo sessuale.
Benni è così, prendere o lasciare.
Io prendo, per tutta la vita.



Un democratico Post Scriptum
Il primo che nei commenti nomina l'amicizia tra Benni e quel fascista lì di cui in Redrumia non parliamo viene bannato dal blog ma soprattutto dal mio cuore. Vi ricordo che la Repubblica di Redrumia è un luogo di pace e fraternità in cui affrontiamo le cose brutte nel modo più maturo possibile: ignorandole.

venerdì 17 novembre 2017

Di quella volta che una sconosciuta mi ha consigliato Shantaram

16:46
Ero nel mio solito posticino dei libri usati con Erre. In una delle claustrofobiche corsie mi blocco in preda ad una crisi profonda. Ho in mano due libri: Shantaram e Il petalo cremisi e il bianco. Io le decisioni non le so prendere quindi conitnuavo a chiedere a Erre: 'Faber o Shantaram?' Credo che alla fine lui avrebbe usato la violenza se non fosse intervenuta una ragazza, che guardava i libri nella nostra stessa corsia.
Mi dice:
'Shantaram, assolutamente, tanto te lo leggi in una settimana.'
(NDR: è lungo più di 1100 pagine.)
Quando qualcuno prende le decisioni per me io sono solo che contenta quindi ho preso il libro tutta feliciona e mi sono diretta in cassa. Euro due e cinquanta. Non finirò mai di combattere la mia battaglia pro libri usati, mai.
Una settimana non ce l'ho messa, ma solo perché ho deliberatamente prolungato l'esperienza di lettura migliore dell'anno.


La storia è quella di Lin, un evaso australiano. Condannato a 20 anni di carcere per rapina a mano armata riesce ad evadere e finisce a Bombay. La sua dovrebbe essere solo una tappa all'interno della sua fuga, ma qualcosa nella città lo convince a restare. Inizia così un viaggio che, nato per condurlo alla libertà, gli regalerà invece radici insperate.
Così, buttata lì in questo modo poco curato, la trama mi aveva portato a stare lontana da questo libro per anni, non me ne fregava niente.
Come sempre sbagliavo.
Ne voglio, però, parlare per punti.

L'India
Se c'è un paese nel mondo la cui iconografia è radicata nella mente della collettività questo è l'India. Basta nominarla e chiudere gli occhi per avere bene impressi i colori, i profumi, gli abiti che la caratterizzano. I media ci hanno aiutato tanto a creare questa immagine così chiara e netta.
Il romanzo di Roberts fa un passo oltre. Giocando con le nostre conoscenze pregresse, ci prende per mano e ci trascina in ogni via che percorre, approfondendola. Insieme a quello che dell'India conosciamo già ci aiuta a conoscerne anche il lato meno turistico. La sporcizia, la povertà, la lebbra. Attraverso i suoi occhi ci mostra ogni singolo aspetto di un paese strepitosamente caratteristico. Senza una ricerca stilistica eccessiva, con uno stile asciuttissimo e senza un uso esagerato (tipo il mio, coff coff) di aggettivi. Non gli servono. L'esperienza di lettura si rivela totalizzante, in un modo che non mi accadeva da tantissimo tempo. Si solleva lo sguardo dal libro e serve qualche secondo per ricordarsi che siamo in occidente. L'India è la protagonista di un viaggio estremo nei meandri di un Paese che sembra così noto a tutti e che invece va ben oltre i ballettini di Bollywood. Leggere Shantaram è un viaggio tridimensionale e avvolgente. Non è un libro che si posa facilmente, non si rinuncia mai del tutto all'atmosfera caldissima che ci pervade durante la lettura. Da tantissimo non mi sentivo così profondamente inserita in un contesto grazie alla narrazione altrui.

Le persone
Quando Lin mette piede a Bombay incontra dei turisti tedeschi in cerca di hotel economici e droga facile. Li asseconda, per entrare senza farsi notare. È pur sempre un fuggitivo. La seconda persona che incontra, però, è Prabaker, e Prabaker è la vera rivoluzione della sua vita. L'accoglienza strepitosa che gli viene riservata non guarda in faccia nessuna. È sfacciata, invadente, calorosa. La parte di Prabu che viene raccontata per tutto il romanzo è il sorriso. Prabu è povero in canna e vive di piccola criminalità, ma ha un cuore grande così. Oh, che frase banale, Mari, direte voi. E invece. Prabu apre letteralmente le porte di casa sua per accogliere uno straniero. Gli offre la sua famiglia, il suo cibo, il suo lavoro. Sapete cosa gli dà Lin in cambio? Niente, se non una mente aperta. Arrivato in città Lin si è schiuso su Bombay, assorbendo come una spugna quanto lo circondava. Lingua, usi, abiti, stile. Nel giro di qualche settimana non solo si è ritrovato a vivere in uno slum, un piccolo quartiere abusivo di baracche, in cui si è ritrovato a casa. Le persone intorno a lui non hanno storto il naso nemmeno per un istante, ma si sono piuttosto private di un bene primario come l'acqua calda per aiutare lo straniero che parla la loro lingua. Lin non ha potuto far altro che osservare come la vita insieme sia fatta principalmente di aiuto. Ciò che è mio è tuo, ciò che ha aiutato me adesso può aiutare te. Lin ha visto persone stanche e affaticate dalla miseria delle proprie condizioni lavorare ossessivamente per proteggersi a vicenda, li ha visti fare squadra per il benessere comune e ha fatto la cosa più difficile di tutte: si è adeguato. È diventato la persona che ha visto gli altri essere.
In questo caso, non c'è complimento più grande.

L'etica
Questo è, per me, il vero punto principale del romanzo. Lin ci viene presentato fin dalle prime pagine come un criminale. Evaso, ex eroinomane a cui è stata portata via la figlia, incurante del pericolo e della legalità. Arriva a Bombay e non sta per un giorno solo lontano dall'illegalità. Si fa beffe delle norme, e se all'inizio del romanzo si limita ad aggirarle leggermente, finisce per diventare vero e proprio membro della criminalità organizzata.
Nella mia militaresca bigottaggine in tal senso, pensavo che sarei finita a destarlo, sto Lin. Lo dico puntando i piedi ogni volta che parlo di quella ciofeca malefica di Into the wild. Qua la situazione è ben diversa: in un Paese che vive in estrema povertà le persone cercano di sopravvivere come possono, spesso girando vagamente intorno alla legge dello Stato.
Nello stesso tempo, però, sono proprio quelle persone che curano gratuitamente i malati che gli ospedali di quello stesso Stato rifiutano, sono quelle persone che guardano in faccia i lebbrosi e li chiamano per nome, sono quelle persone che in vista dei monsoni si tirano su le maniche, sfidano la fatica e sistemano baracche che non sono le loro, sono gli stessi che fanno squadra per proteggere la donna maltrattata dal marito e che usano la pace come metodo di giustizia principale.
Certo, sono anche gli stessi che ti ammazzano per un incidente stradale, ma oh, viste le premesse, io mi astengo dal giudizio.
E forse, ma dico forse, il punto di quel Lucius Malfoy di Gregory David Roberts era proprio questo.

venerdì 10 novembre 2017

Guift Guide 2017 - Libri a pioggia

16:24
Se l'anno scorso mi sono lanciata in un solo post per i regali di Natale, che trovate qui, quest anno mi sono lasciata un po' prendere la mano e i post saranno ben più di uno. Motivo per cui, in effetti, comincio così presto. Così li leggete (spero) tutti e decidete se qulcosa vi va, lo prendete e non rischiate di arrivare in ritardo con le spedizioni, chè tanto lo so che cercate tutto su Amazon.

Io non so se ci sia qualcosa di più bello che regalare un libro (invece lo so e la risposta è no). Come dicevo l'anno scorso, però, i libri sono complicati, bisogna conoscere bene il lettore e andare a botta sicura per non rischiare la guerra santa. La soluzione, per me, è una e una soltanto: edizioni speciali. Colori, nuove traduzioni e soprattutto illustrazioni.
Se abitualmente la grafica delle copertine italiane è assai più bella di quella inglese (di quella americana per piacere non parliamo nemmeno), per quanto riguarda le collezioni speciali abbiamo ancora qualche passettino da fare. Per questo, alcuni consigli sono per libri solo in inglese. Ma ne vale davvero sempre la pena.


1) All'esteta: un volume a caso della collana Leatherboud di Barnes&Noble.

questo lo bramo con tutte le mie forze

Non sono libri, sono manifestazioni del divino. Grandi, con la carta più piacevole del sistema solare, copertine incantevoli, selezione imperdibile. Da quando ne ho visto un espositore pieno al British Museum non penso ad altro. Mi mancate, bambini miei, un giorno saremo ricongiunti.
Se volete ammirarli e immaginare di accarezzarli nelle lunghe notti invernali, il link è qui.

2) Al evocatore di demoni: Le nuove edizioni Mondadori a tema Lovecraft.

 

Sono possenti e tamarre il giusto. Sono riuscite a far leggere Lovecraft a Erre, laddove io ho fallito per 6 infiniti anni, quindi funzionano.

3) All'illustratrice: la Puffin in Bloom Collection firmata Penguin.


C'è un cofanetto che contiene Heidi, Little Princess, Piccole Donne e Anna dai capelli rossi. Sono SPLENDIDI. Hanno copertine fatate che una ragazza che disegna apprezzerà senz'altro.

4) All'elfo: quella fatata edizione verde illustrata di Bompiani de Lo Hobbit.


C'è in giro un'edizionona grande come una casa tutta dorata e zarra come uno scooterino truccato. Chissà se si dice ancora così. Quella lì la lasciamo stare. Da Bompiani, magiche creature dei boschi che non sono altro, col grafico migliore d'Italia, ne hanno fatta un'edizione più piccina che è bella da piangere. Oh, mi piacciono i libri coi disegnetti. Ma volete mettere la bellezza?

Se invece siete aitanti cavalieri senza paura, lasciate perdere le edizionone e buttatevi sui titoli direttamente.

1) Al ragazzino: la saga di Bartimeus, tutta in un gigapaccone.
È Natale, le scuole sono chiuse, gli amici si vedono poco, è buio alle 4. La soluzione è un libro bello ciccione ma altrettanto divertente, che diventi compagno delle giornate fredde e sconsolate. Bartimeus è un personaggio favoloso che diventerà parte dell'immaginario del fortunato ragazzino, che vi sarà debitore per avergli regalato uno degli inverni più divertenti di sempre.

2) All'appassionato di viaggi: Shantaram.
Sono nemmeno a metà, il che vista la mole vuol dire che è come se avessi letto due libri normodotati. Quando l'avrò finito ne parleremo ovviamente in modo più approfondito, ma se c'è un libro che mi ha catapultata in viaggio è proprio lui. I profumi, gli usi, le persone, una nazione intera, sono ritratti con un approfondimento e un affetto tali da rendere l'esperienza di lettura totalizzante. Mastodontico e non solo per le dimensioni.

3) A quelli come me: Good Omens.
Quelli-Come-Me sono quella categoria di persone a cui piacciono il fantastico, le menti brillanti e gli scrittori sensazionali. Buona Apocalisse a Tutti! è l'unione di due delle menti più importanti del panorama narrativo fantastico contemporaneo, il mio Signore e Padrone Neil Gaiman e Sir Terry Pratchett. In previsione della serie tv con David Tennant (gridolini di gioia), il regalo è d'obbligo, soprattutto perché poi ci cambiano tutte le copertine ed è un casino.

4) Alle persone di fede: Il libro delle cose nuove e strane.
Se c'è un momento in cui si può parlare di fede e spiritualità questo è senz'altro il Natale. Perché allora non farlo attraverso la struggente storia di Michel Faber, in cui i due protagonisti vengono separati proprio in nome di quella cosa tanto grande in cui entrambi credono fermamente? Che siate credenti o meno, il romanzo è splendido e portatore di riflessioni in modo equilibrato, e secondo me può essere molto apprezzato da tutti coloro che questa immensa fede dei protagonisti la condividono.

Infine, carrellata veloce per chi è davvero in crisi profonda e ha bisogno di scelte banali ma efficaci.

  • Agli amanti dei gialli va per forza una trilogia a caso di quelle di Fred Vargas. Per favore, posate quel Dan Brown. Sì, anche quel Glenn Cooper per l'amor del cielo.
  • Se volete donare un fumetto e ancora non sono riuscita a convincervi che non c'è altro dio all'infuori di quello del Sogno, Sandman, allora ci vediamo presto col post a tema comics.
  • All'adolescente dello scientifico va regalato Douglas Adams. Uno deve pur ridere su quello che fa, e se non ride con La guida galattica dell'autostoppista allora per lui non c'è più niente da fare.
  • A tutti gli altri: il libro che più di tutto dovremmo regalare, secondo me, è Stoner. Ci meritiamo tutti nella vita il momento in cui i nostri occhi si posano sulle prime righe del romanzo di John Williams. È un momento che cambia la vita e non c'è regalo migliore.

La cosa per me più significativa, però, ai miei occhi, è regalare un libro che si è amato tanto. Le storie che ci entrano dentro fanno parte di noi e di quello che siamo e diventiamo ogni giorno. Regalare questo pezzettino di noi con qualcuno non è solo un modo di regalare noi stessi, cosa che Erre non capisce mai quando gli dico di leggere American Gods, è anche estremamente generoso, perché non c'è niente di più difficile, almeno per me, di condividere un grande amore.

lunedì 16 ottobre 2017

La libreria di una persona che non compra libri

16:48
Ne abbiamo già parlato: io non compro libri.
Costano una sassata, pesano altrettanto e occupano ettari di casa. Il mio lettore ebook mi rende la lettrice più soddisfatta e meno in bancarotta di sempre.


Le persone che mi circondano sanno che i libri per me >>>>>>> tutto il resto, però, quindi in ogni occasione possibile si prodigano in regali generosissimi. Praticamente la mia libreria si divide tra libri regalati e libri usati. Parlare dei libri che si posseggono mi sembra un modo anche per parlare un po' della persona che sta dentro la Redrumia, in un viaggio attraverso i romanzi che hanno accompagnato la mia vita. Mi piacerebbe un sacco sapere se anche voi avete uno o più scaffali per i libri più speciali! Facciamo come gli iutiubers e facciamo i tag? Mi rispondete con un post o nei commenti?
Qui sotto, quindi, una carrellata dei miei bambini, quelli che tengo esposti e mostro a tutti come una nonna con le foto del nipotino ciccione.

la narrativa generica
1. Le edizioni lusso (così le chiama Amazon e chi sono io per cambiargli nome?) di Mondadori della saga delle Cronache del ghiaccio e del fuoco. Regà, Il trono di spade. Sono edizioni molto belle, amo tenerle esposte come aprifila. Il contenuto mi ha appassionata fino ad un certo punto, poi la noia ha vinto e sono passata alla serie tv. Ovviamente mi sono stati regalati.
2. Guerra e pace. Ricordo ai naviganti quanto per me Newton Compton sia la sola casa editrice ad aver capito come secondo me vadano trattati i classici oggi. Questo l'ho acquistato in combo con un volume che vi mostro dopo, entrambi 9.90€. Ripeto, ENTRAMBI NOVE E NOVANTA. Sto aspettando di prendere la prossima influenza potente per iniziarlo, ma se è bello anche solo un quarto di Anna Karenina posso dirmi felice. Credo comunque che all'influenza manchi poco.
3. Lo sfolgorante esordio di Zadie Smith, Denti bianchi. Acquistato usato, tornerà presto nel posto in cui l'ho comprato, perché sfolgorante non è la definizione che gli darei io. Forse l'ho letto nel momento sbagliato, ma questo romanzo pieno di temi importantissimi e davvero interessanti mi ha Annoiata. A. Morte.
4. Il mio primo volume di poesie. Sempre trattato dagli amici di Newton Compton e acquistato giusto ieri ad un mercatino dell'usato, I fiori del male di Baudelaire hanno fatto il loro fiero ingresso nella nostra famigliola intima ma felicissima.
5. Tutti amano Zafon per la saga del Cimitero dei libri dimenticati, che a me ha detto pressapoco nulla. Marina, però, è un romanzo cupo e pieno di suggestioni, che più di una volta mi ha fatto chiudere la copertina di scatto per controllare che la mia camera fosse in sicurezza. Un'atmosfera che quella saga là se la sogna, una descrizione dei legami umani unica, un romanzo bellissimo.
6. Non conoscevo nulla della Allende, fino a Ines dell'anima mia. Innamorata del titolo, l'ho preso e mi sono innamorata ancora di più del contenuto. È la storia di Inès de Suàrez, una delle combattenti più famose della storia del Cile. A me queste donne controverse piacciono da matti. Ines non era una santa, era umana. E la sua storia di umana 'qualsiasi' è intrigante e avventurosa.
7. È davvero necessario che dica qualcosa su Il signore degli anelli? Sta qui perché mi immagino nel mio futuro seduta su una sedia a dondolo a leggerlo al mio primogenito. Sogni irrealistici? Se sì, non ditemelo.
8. La raccolta di romanzi di Jane Austen. Adoratissimo regalo di compleanno, questa bellissima edizione Bur raccoglie le meraviglie del mio grande amore adolescenziale. Se non avete letto Ragione e Sentimento non credo possiamo essere amici.
9. La mia utilissima guida di Praga made in Famiglia Cristiana e acquistata al mio solito mercatino dell'usato (qualche giorno ve lo mostro perché ha l'aspetto del Paradiso) ha riempito di nozioni il mio primo viaggio nella mia città preferita d'Europa, ma ora ricopre il nobile ruolo del separatore di argomenti. Dietro di lei la narrativa generica, davanti a lei l'orrore.

la narrativa de paura
10. Mia zia collezionava i romanzi che uscivano con la Famiglia Cristiana (a dispetto di quante volte la FC viene nominata in questo post, vi ricordo il mio ateismo). In occasione di un suo trasloco se ne è disfatta. Ho salvato Le avventure di Gordon Pym, perché non ci si disfa mai di Edgar.
11. La mia copia de Le notti di Salem è un disastro. Acquistato usato in condizioni pietose, ora conserva la sua forma vagamente a libro perché lo tengo insieme con un bel po' di grosso scotch trasparente da imballaggio. Non me ne libererò mai.
12. I racconti di Edgar Allan Poe li ho trovati in questa elegantissima edizione in due volumi, più vecchi della Creazione stessa, al mio mercatino. Sono giustamente divisi in racconti del mistero e racconti del terrore, e sono la compagnia migliore per una signorina a modo come me.
13. I racconti di Lovecraft, invece, comprati in quel solito posto, usati ma praticamente mai sfiorati dal precedente proprietario, sono divisi in modo assolutamente casuale. È forse un problema per me? Neanche per idea.
14. I primi due volumi della saga di Mr. Mercedes sono stati due graditissimi regali. Di tasca mia non avrei dato manco un centesimo a Sperling&Kupfer, la cui qualità non mi entusiasma per niente, soprattutto se paragonata a QUANTO CIUMBIA COSTANO I LIBRI DI SK.
15. Questo volumone, pagato, me la tiro, UN EURO VIRGOLA CINQUANTA, è la prima versione dei Mammut di casa Newton Compton. Questo, in particolare, è un gioiello, è una raccolta di romanzi gotici in cui ci sono tutti i grandissimi. Manca solo la Radcliffe, ma già così è un portento. Se non avete mai letto Il Monaco siete sul blog sbagliato.
16/17. Di fianco al nonnino Mammut, i due giovini. Uno è quello acquistato in combo con Guerra e pace, e raccoglie tutti i racconti sui vampiri da Polidori in poi. È una chicca meravigliosa che quando sono triste accarezzo con affetto. Il suo vicino, invece, regalo amato con tutto il cuore, è una raccolta dei più grandi romanzi dell'orrore. Senza Dracula la vita non ha senso.
18. C'è poco da dire su di lui, il mio King preferito di sempre: Dolores Claiborne.

le cose coi disegnetti

19. L'unico, amato immensamente, regalo di compleanno che mio fratello mi abbia mai fatto. L'Omnibus della fine di RatMan. Leo Ortolani è una delle mie dieci persone preferite al mondo. A pagina 3 avevo le lacrime dal ridere.
20. Sandman, per me, è il fumetto più straordinario della storia del mondo. Ne ho solo due volumi perché lo sto comprando 'a rate'. Cambia l'esistenza. Fatevi sto regalo.
21. I tre maestosi e magnifici volumi di Harry Potter illustrati da quel maestro di Jim Kay. Se come me avete trovato in Hogwarts la vostra vera Casa, questi libri ve li meritate. Sono di una bellezza che a parole non si riesce ad esprimere. Sono tra i miei beni più preziosi.
22. I fumetti di Alan Moore di casa Panini: Providence e il Neonomicon. Ne parliamo presto.
23. Queste sono tutte le riviste in cui è uscito qualcosa firmato da Zerocalcare. Per favore, vogliate bene a voi e alla vostra intelligenza, leggete Kobane Calling.

le cose per ragazzi e il mio bellissimo Buddha


24. Quando Newton Compton (sì, ancora lei) ha buttato fuori i libercoli a 99 cents, mi sono fiondata in libreria con la valigia. Dietro al mio adoratissimo Buddha (mia grande passione estetica since 1990), stanno cose come Gatsby, Sherlock Holmes, La casa stregata...ci sono molto affezionata.
25. Questo splendido cofanetto mi è appena stato regalato per il compleanno. Sono tre tra i più bei volumi del mio Signore e Padrone Neil Gaiman e sono illustrati dal portento di Chris Riddell. Sono Coraline, The Graveyard Book e Fortunately the milk. Per l'amore diddio leggete Neil Gaiman.
26. Alice nel paese delle meraviglie, tema della mia tesina di maturità, è qui per ricordo.
27. Una sezione ragazzi senza The princess bride è un insulto. È il libro per ragazzi perfetto e voglio proprio vedere a contraddirmi. Questa edizione è in inglese e si rovina solo a guardarla, ma ha la copertina bellissima.
28. Gli unici Harry Potter non illustrati che posseggo. Storia strappalacrime: i miei non è che potessero permettersi di comprarmi granché quindi appena ho iniziato a lavorare ho speso i miei primi guadagni per una delle cose che amo di più al mondo, Harry. Ho comprato solo i miei preferiti, il 3 e il 7. Il resto sempre letto in biblioteca, con code infinite e unghie divorate nell'attesa. Non avrò pace fino a che non mi sarò comprata il 5.
29. Le cronache di Narnia cfr Il signore degli anelli.
30. Il mio primo Neil, un'edizione marcia di Coraline comprata ad una fiera dell'usato. Non si hanno mai troppe Coraline.
31. Il mio Piccole donne, regalo di compleanno dell'infanzia, è stato letto talmente tante volte che tante pagine si sono staccate. Gli voglio un bene dell'anima.

i libri sul cinema

32. Ho sgolosiato questo libro su Amazon per secoli e per il mio compleanno mi è finito tra le braccia. La collana Big Ideas Simply Explained è portentosa, e The Movie Book parla di tutti i grandissimi classici con fare appassionato e appassionante, ha un sacco di foto e curiosità divertenti e poi parla anche de Il labirinto del fauno, il che purtroppo non è così scontato.
33. Speciale della solita Famiglia Cristiana per i 100 anni del cinema. Trovato in mezzo al marasma delle riviste usate del mio mercatino, è meno famigliacristianoso di quanto sembri. È pieno di schede interessanti e consigli non scontati. 1,50€ di potenza.
34. Sempre mercatino, sempre zona riviste: lo speciale di Ciak sul cinema fantastico non poteva che essere mio.
35. Unico libro venuto a casa con me dal mio viaggio a Londra. Il negozietto, dell'usato chiaramente, in cui l'ho preso era a Notting Hill e chiariva con più cartelli di non essere il negozio di quel shitty movie. Ho riso abbastanza e poi ci ho comprato un volumone su Hitchcock: The art of Alfred Hitchcock, di Donald Spoto. È gigante e più Hitchcock c'è, più siamo contenti tutti.
36. Un altro coso che una volta era un libro e che ora sta in piedi con lo scotch: Il film di Bela Balasz. Una specie di bibbia che ho pagato molto, ma molto più di quello che meritava viste le sue condizioni scandalose. Non sono riuscita a rinunciarvi, sono una debole.
37. Angolo dei libri minuscoli sul cinema: Il cinema secondo Hitchcock di Truffaut, Il cinema di Hitchcock di Brunetta e due specialini de L'Unità, uno su Hitchcock (non sono errori di battitura, ho davvero diversi libri tutti su di lui) e uno su Kubrick. Prezzo totale euri 3. Mi sono quasi commossa dalla gioia.
38. Angolo degli unici dvd che tengo esposti: Shining, edizione in due dischi con i documentari e gli speciali e le cose che fanno gongolare noi isterici, Evil Dead, e che ve lo dico a fare, e Carrie. Non li guardo quasi mai in dvd, ma non li toglierei mai da lì.
39. Un volumone su cinema e colonne sonore, regalone di compleanno, con tanto di cd che vi assicuro sono un portento di background per chi scrive, si chiama Movies!
40. Il Guillermo Del Toro's Cabinet of Curiosities. Non è un libro, è un'opera d'arte. Una delle cose più belle che mi siano mai state regalate.

Se vi girate di 180 gradi rispetto alle mie mensoline trovate le mensolacce di un 18enne, con tanti manga, gadget delle notti rosa di Rimini e della recente coscrizione e i giochi dell'Xbox. O lmeno, credo che sotto la polvere ci sia ancora sta roba. Ve la risparmio in nome dell'affetto che ci lega.

Se vi va, curioserei volentierissimo nelle vostre librerie e nei vostri ricordi!

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