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giovedì 9 febbraio 2017

Non solo cinema: Guillermo del Toro Cabinet of Curiosities

19:16
Giusto un paio di settimane fa dicevo che leggo in digitale. Un guilty pleasure cartaceo, però, è rimasto: i coffee table books, ovvero quei libri che sono quasi oggetti d'arredamento, belli quasi più da sfogliare che da leggere. Grafiche interessanti, colori, volumi bellissimi. Chiamarli guilty pleasure è un po' sbagliato, in effetti, perchè io li sogno e basta, mica li compro, perchè i bastardoni sono costosissimi. Il Cabinet of curiosities dell'uomo della mia vita GDT è un regalo, infatti (💝). Costa una sassata. Fare una recensione di un libro del genere è quasi impossibile, ma può essere interessante discutere insieme del prezzo e del valore effettivo, per valutare quanto valga la pena.


Intanto è un volumone. Ma proprio grosso, di quelli che in libreria dovete tenere coricati. La carta è spessa e liscia come la pelle di un avambraccio dalla parte del palmo. Si alternano pagine interamente fotografiche o di illustrazioni ad altre discorsive, oltre a quelle con illustrazioni e foto più piccoli. Anche quelle di sole parole, però, non sono classiche pagine bianche, ma di un bellissimo beigiolino di cui vorrei almeno un paio di vestiti, con quelle bellissime cornicette intorno che mi fanno venir voglia di sfogliare il libro e basta, tanto per rendegli giustizia. È, in soldoni, esteticamente un volume splendido, da sfogliare e risvogliare.

Accade poi, per una felicissima unione di bellezze, che il libro in questione parli interamente di Guillermo del Toro. Se non avete letto questo post non lo sapete, ma il messicano è il mio regista del cuore. Il primo preferito, quello che parla in un linguaggio che pare fatto su misura per me. Un libro intero su di lui non è solo una cosa bellissima, è un sogno. Quindi sconsiglio l'acquisto a chi non ama il signore in questione, che pare una cosa scontata ma oh, non si sa mai.
Si parte parlando della sua vita, ed è interessantissimo. Più avanti si parlerà delle influenze artistiche e della creatività, ma qui ci sono proprio le origini, la bellezza di una mente geniale che si forma e che brulica da subito di entusiasmi ed interessi. Certo, potete guardare Trollhunters per vedere una fedele rappresentazione del giovane Guillermo (qua il post della mia amica Kara Lafayette), ma se non dovesse bastarvi, qua c'è il resto.
Non farò spoiler per chi se lo vorrà comprare e leggere queste cose da sè, ma la cosa migliore devo dirla. La famiglia di GDT era povera in canna quando lui era bambino. Un bel giorno suo papà ha vinto alla lotteria e hanno fatto i big money. Il papà DT, che per fare un figlio così scemo scemo non doveva essere, pensava che a fare la differenza in una casa fossero i libri. Prima cosa comprata con i big money in questione, quindi, furono due enciclopedie: una medica e una di storia dell'arte.
Adesso rileggete quest'ultima parte e ditemi se non è la sintesi perfetta di quello che è il lavoro di DT. Non ne avevo idea prima di leggere il libro, ma quando ho letto questa frase ho pensato che non poteva che essere così. Anatomia e arte.

La sezione successiva parla di quel capolavoro che è Bleak House, il Cabinet of curiosities reale di quello sperperatore seriale di danaro che è Nostro Signore. L'intera abitazione è un museo, pieno (MA PIENO SBOBBATO) di reliquie, ricordi, libri (tantissimi libri), statue, pezzi da collezione, che derivano dal mondo del cinema, della letteratura, dell'arte e non solo. Ha stanze tematiche, angoli dedicati ad artisti in particolare, ricordi del suo lavoro, opere dei fan. È strabiliante, un giorno intero non sarebbe sufficiente a scoprire ogni piccola cosa presente. Ed è tutta rossa, il che mi fa sempre sentire a mio agio.

Pare poi che il divino sia un fanatico della scrittura, credo sia nel gruppo delle Cartopazze su facebook in incognito. Tiene da anni migliaia di quaderni pieni di annotazioni, disegni, schemi, idee. Il tutto per le sue figlie. O meglio, ha iniziato perchè è fatto così, e capisco che tenere a bada una mente così attiva senza segnarsi niente sia pure complesso, ma col tempo ha deciso di averne particolare cura, perchè restassero alle figlie. Se riuscite a non commuovervi...
Pensate a che patrimonio gigantesco avranno per le mani ste ragazze, non oso pensarci.
Nel volume abbiamo l'onore di vedere alcune delle pagine di questi quaderni: sono frenetiche, scarabocchiate, colorate, scritte metà in inglese e metà in spagnolo. È un piccolo spaccato sul suo lavoro, sul suo modo di creare, ed è magico.

Infine, finalmente, si parla del suo cinema. Dopo una parte in cui si parla delle sue influenze e delle sue preferenze, in arte e in letteratura, si inizia a parlare dei suoi lavori, sia di quelli di cui (grazie. al. cielo.) possiamo fruire, sia di quelli mai completati (ancora ci spero in quelle Montagne della follia....). Il tutto in una chilometrica intervista, in cui GDT ci prende per mano e ci accompagna nel suo lavoro, dall'idea alla realizzazione, film per film. È un incanto

Quelle che per me sono la vera chicca del libro intero, però, sono le parole degli altri. Il libro intero è disseminato di brevi interventi di nomi di gente assolutamente irrilevante: James Cameron, Mike Mignola, NEIL amoremio GAIMAN, Ron amoresuo Perlman...
Leggendo l'infinita stima che questi giganti provano per lui si conferma la cosa più importante. Il valore della nostra vita, delle nostre opere, del nostro lavoro, si valuta in base a quello che lasciamo agli altri.
E quello che lascia Lui è immenso.

(Sì, il libro li vale i soldoni. Se potete, è imperdibile.)

giovedì 2 febbraio 2017

Non solo cinema: Il barone rampante

16:42
Per secoli mi ripromettevo che avrei letto Calvino. Poi, molto semplicemente, gli preferivo altro. Fino a che, scorrendo la mia libreria digitale per caricare il lettore (qua parliamo del mio lettore e della sua storia appassionante), trovo un Calvino, messo lì, in disparte. E allora che sia finalmente il suo turno.


Il barone rampante è un ragazzino di nome Cosimo, di evidenti nobili origini, che dopo un litigio col padre decide di salire su una pianta per non scenderne mai più. La sua storia ci è raccontata dal fratello minore, Biagio.

Ci sono un po' di anticipazioni, occhio

La prima metà de Il barone rampante l'ho divorata nella prima sessione di lettura. Mi accattivava tutto: nomi dei personaggi, storia, il bizzarrissimo e splendido stile di Calvino mi avevano completamente assorbita. La malefica sorella Battista, ad oggi, è ancora il mio personaggio preferito. La caratterizzazione dei personaggi era stravagante, anche solo i loro nomi erano divertenti. Credo anche che tutto questo dilagante entusiasmo che avevo fossero merito del fatto che fosse il mio primo incontro con Calvino. Non avevo la più pallida idea di che tipo fosse, a parte le ovvietà che si studiacchiano a scuola, quindi sulle prime mi sono lasciata trascinare in giro per la follia che mi stava raccontando.
Poi sono arrivata a metà. E lì mi sono inchiodata.
Finire sto benedetto romanzo, che è tra l'altro brevino, mi è costato una fatica incredibile. Occhi sanguinanti.
Io mi rendo conto che con l'affermazione che segue rischio di giocarmi il diritto di parlare di libri, ma se devo continuare a parlare di pancia, e voglio farlo, devo dirvi come sono andate le cose: mi sono rotta le balle. 
Prima il cane, simpaticissimo, va bene.
Poi il ladrone, bizzarro, prendiamo anche lui.
Avrei voluto ci fermassimo lì. Anzi, ritratto: non lo so cosa avrei voluto, perchè di fatto non è mancato niente. Gli avvenimenti ci sono stati, non è un romanzo statico, c'è stata la critica alla società, che ci piace sempre e non passa mai di moda (sarà che non passa mai di moda perchè noi umani del ciumbia non cambiamo mai? Così, la butto lì), c'è anche stata la storia d'amore con il ritorno della viziatissima Viola. Si è parlato di famiglie, di amori, di questioni paesane, di legalità, il tutto con quello stile che all'inizio mi aveva tanto appassionata.
Da metà in poi, però, vuoi perchè la mia mente non era più sovrastimolata dalla bellissima novità di una scrittura diversa da quelle a cui sono abituata, vuoi perchè lo stare sugli alberi aveva smesso di essere il punto della questione, io alla fine mi sono annoiata.
Sono pronta a scommetterci tutti gli arti insieme che alla fine la colpa sarà mia perchè sarò io che non avrò capito un cdn, non me ne stupirei, quindi prendete questa opinione per quello che è: un sincero discorso di slancio.

Su Calvino torno di sicuro, magari non subito, ma state pur certi che mi terrò lontana dalle piante per un po'.


giovedì 26 gennaio 2017

Non solo cinema: Il peso dei segreti

18:23
Io e la letteratura orientale ci siamo incontrate poche volte. C?è stato un periodo della mia vita in cui credevo mi piacesse Banana Yoshimoto, ma praticamente è finita lì. Poi una booktuber ha parlato di questo libro e quando l'ho visto lì, freschissimo d'acquisto, tra le novità della mia biblioteca, non ho saputo resistere.


I segreti di cui parla il titolo sono quelli di una famiglia giapponese. Il primo che ci viene svelato riguarda un omicidio, compiuto da una figlia ai danni del padre, che ha avuto luogo il giorno in cui su Nagasaki fu sganciata la bomba atomica, e che grazie a questa coicidenza temporale resterà nascosto per anni.

Una simile premessa poteva far pregustare un noir di quelli belli profondi e d'atmosfera, un libro sul senso di colpa, sul tormento.
Con una copertina così, però, chi voglio prendere in giro?

Il peso dei segreti è 'soltanto' una saga familiare, strutturata in quattro miniromanzi, vissuti da altrettanti punti di vista diversi. Ogni capitolo è introdotto da una splendida illustrazione, alla Feltri sono stati bravissimissimi. Si arriva al succo del problema con il tempo, la scrittrice non ha alcuna fretta, nonostante racconti più di 50 anni di storia in un romanzo che non è un tomo insormontabile. Con la pacatezza che di consuetudine attribuisco all'Oriente veniamo condotti in una storia che di pacato non ha nulla. Parlando della vita di alcune persone ci viene fatta una panoramica della storia del Giappone, non solo intorno alla seconda guerra mondiale. Il rapporto con Corea e Russia, per esempio, la società divisa per famiglie importanti, l'importanza dell'apparenza. Una società sviscerata nel racconto di alcuni suoi membri, che sono convenzionali solo in apparenza. Come ogni 'normalità, però, è inconvenzionale per definizione, quindi ogni membro della famiglia nasconde qualcosa, e sono proprio i vari qualcosa a comporre la storia.
Ha senso questa frase? Chissà.
Il romanzo si divora in pochissimo, complice un linguaggio semplicissimo, fatto di frasi concise e capitoli altrettanto, che scorrono come ciliegie, uno via l'altro. Per quanto mi riguarda, è stato proprio un bel viaggio.

Confrontandomi così di rado con una società così distante dalla mia mi sono trovata diverse volte a chiedermi il perchè di certi comportamenti e di certe affermazioni (per esempio, pare che i giapponesi abbiano una lacrimazione costante. Piangono più di me e credetemi che è tutto un dire). Bisogna solo aprirsi un po' e io, che sono così viziata dal surplus di cultura occidentale, ho bisogno di esercitare questo aspetto della mia vita sia da lettrice che da cinefila.
Quando ci si prova, però, ci si rende conto che alla fine quel modo di dire che sostiene che tutto il mondo sia paese è proprio vero. Che le preoccupazioni, i dubbi, le fonti di serenità sono le stesse per tutti.
E tutto il resto passa in secondo piano.


mercoledì 18 gennaio 2017

Di come la lettura in digitale mi ha salvato la vita

21:44
Non ho mai posseduto tanti libri. I motivi sono diversi: la biblioteca comunale del mio paese di nascita stava sopra alla mia scuola materna, quindi quando uscivo da scuola mia mamma mi accompagnava quasi tutti i giorni al primo piano a prendere qualcosa, creando in me una dipendenza patologica dall'ambiente bibliotecario. Il secondo, forse ancora più importante, è che i libri costano uno sproposito.
Questa mia tendenza a non acquistarne mai mi ha accompagnato nel corso degli anni e ancora oggi che ho un lavoro e un'indipendenza scelgo di non comprarne quasi mai. Io 25 sbleuri a Sperling&Kupfer per l'ultimo King non li dò nemmeno sotto tortura.
Una gioia però illumina il mio sentiero: sono nata nel secolo giusto. Esiste la lettura in digitale.
Il mio lettore ebook vive con me da tre anni, è stato il regalo di compleanno migliore che potessi ricevere, è diventato il mio migliore amico e chiaramente ha un nome: Neil.

Ciao sono Neil

Da tre anni a questa parte, quindi, le mie abitudini da lettrice sono molto cambiate, e dopo avere sottoposto il mio Neil alle migliori avventure sono pronta ad avere un'opinione a riguardo.
Prima, un po' di presentazioni: Neil è un lettore della TrekStor, è un modello Pyrus 2 LED. Pesa niente, non ha internet, è in bianco e nero e non ha touch ma i cari vecchi tastini.
Perchè partire dalla presentazione?
Intanto perchè Neil è educato. In secondo luogo per toccare il primo tema, quello che ha influenzato la mia scelta e che è il beneficio principale, imho: il risparmio.
Comprare un lettore può avere un prezzo contenuto, si trovano device anche intorno ai 60€, e da lì è tutto in discesa. Certo, se volete l'ultimo Kindle magari spendete un attimo di più, ma lì è una scelta. Se volete stare in un budget le possibilità ci sono e sono sconfinate.
Ora, avete il vostro lettore. Lo amerete dal principio.
A questo punto, cosa fare?
C'è da procurarsi i libri.
La prima strada che a tutti viene in mente è quella illegale, e non devo certo insegnarvela io. Questo ambito va a discrezione del vostro senso etico, i torrenti da navigare li conoscete. Restiamo nell'ambito del legale, però. La prima cosa da sapere è che la stragrande maggioranza dei classici sono in download libero e legalissimo, perchè non più vincolati dai diritti d'autore. Tolstoj, Shakespeare, la Alcott, Dickens, e infiniti altri, sono disponibili e fruibilissimi. Liber liber è solo uno dei mille siti che offrono questo servizio.
La seconda possibilità è il prestito bibliotecario digitale. Sì, so che è il suono del Paradiso, ma una cosa del genere ESISTE. Il sito si chiama, ovviamente MediaLibrary. Funziona così: andate in una biblioteca fisica sperando che aderisca al servizio. Se non aderisce cambiate biblioteca. La bibliotecaria vi crea un account autorizzato e voi siete pronti. No, non potete farvelo da casa, deve passare attraverso una biblioteca. Un paio di accorgimenti tecnologici (che se sono riuscita ad avere io sono proprio a prova di scimmia), e si parte. Il catalogo è GIGANTESCO, e in più il sito offre a sua volta il servizio di download definitivo dei classici. Scegliete il libro, lo scaricate, lo mettete sul vostro dispositivo e leggete. Una quindicina di giorni dopo il file si cancella, e la restituzione è automatica.
È una manna dal cielo.
In tutto ciò non avrete speso una lira.
Altre belle notizie: gli ebook per ovvi motivi costano meno dei loro fratelli cartacei, le librerie online (Amazon in particolare) fanno spesso offerte incredibili e potete bazzicare nell'ambiente dell'editoria indipendente e del self publishing.

La comodità è il secondo, straordinario, beneficio della lettura digitale. Che voi siate pendolari o viaggiatori seriali, o anche solo che amiate portarvi in giro sempre qualcosa da leggere, su un lettore leggero come l'aria stanno un quintale di libri. Ho letto parte di Infinite Jest in digitale e vi assicuro che le mie spalle ne hanno giovato. La batteria ha un'autonomia incredibile, i device di solito hanno mille volte la resistenza di uno smartphone medio e potete passare con tranquillità da un volume all'altro. Non c'è davvero storia.

Mi è servito tempo ad adattarmi ad un nuovo stile di lettura, e ci sono volumi che ancora oggi preferisco per comodità leggere in cartaceo (Infinite Jest per le note e Casa di foglie per l'impaginazione stravagante, per fare due esempi), ma ho una sola opinione su chi sostiene tesi antidigitale arrecando giustificazioni completamente prive di senso come quelle riportate in questo brillante articolo de Il Corriere della sera: questa è gente che non legge. Se ti distrai leggendo un libro in digitale le ipotesi sono due: o non hai testa perchè in quel momento non sei al massimo, e succede a tutti, non è sempre il momento buono per leggere, o semplicemente il libro non ti piace. Provate ad iniziare la saga della Ferrante in digitale e tornate a dirmi se siete stati in grado di distrarvi. L'articolo dice anche che con gli ebook empatizziamo meno perchè non capiamo a che punto siamo del testo e quindi sembra tutto uguale. Lascio a voi il giudizio su questa frase perchè a me ha lasciato con un po' di mumble mumble aleggianti sulla testa. Questa è gente che non solo legge poco e probabilmente male, ma è anche gente che un ebook non l'ha mai posseduto in vita sua.
(Disclaimer: se hai letto tutto Dostoevskij non vuol dire che leggi bene. Vuol dire che magari leggi tanto, e non è la stessa cosa.)
Che le preferenze personali siano sacrosante ed intoccabili è indubbio. Il mio ragazzo compra solo ed esclusivamente libri nuovi, l'usato non gli piace e in biblioteca ci va solo quando non trova quello che cerca (e quando finirà la saga di Dune secondo me non ci tornerà per un po'!), eppure considerando che Neil è un suo regalo direi che non ha pregiudizi sul digitale.

La mia opinione è piuttosto sempliciotta e banale, ma se non altro non è polemica: se quello che ami è il contenuto, allora accogliamo il futuro nel nostro presente e godiamone. Se questo modo dovesse avvicinare qualcuno in più alla lettura allora avremo vinto tutti. Penso magari ai quei famosi giovani che sappiamo essere sempre molto peggio degli adulti, brutti giovanotti non ci sono più quelli di una volta che vendete il bonus cultura.
E Djenteelonee che fa??

giovedì 5 gennaio 2017

Non solo cinema: Blankets

11:31
Da mesi facevo la corte a Blankets, ma la lettura veniva costantemente rimandata dalla mia povertà: 30 sacchi per una graphic novel mi paiono un attimo eccessivi. Giusto giusto per Sandman potrei spenderli. In mio soccorso arriva il mio amico ricco Tobia, che si porta a casa il volumone e in un eccesso di generosità me lo presta. Devo ancora riportarglielo.


Trattasi di racconto della vita dell'autore, che risponde al nome di Craig Thompson. In particolare, si affrontano alcuni momenti della sua infanzia: il rapporto con il fratello minore, l'educazione religiosa ricevuta e più in generale la fede, e la prima storia d'amore. Le coperte sono il fil rouge della crescita di Craig, sono prima il simbolo di una condivisione intimissima, quella del letto, e poi diventano il ricordo migliore di un affetto andato perso nel tempo. È bellissimo l'uso dell'immagine della coperta come simbolo del calore non solo di temperatura: Thompson lo sa e intorno alle coperte ci costruisce una storia intera.

Blankets è, facciamola breve, bellissimo.
È dolce, intimissimo ma riservato, ricercato, sentitissimo. Che stiamo parlando della vita stessa di chi scrive si percepisce, perchè i personaggi sono trattati con un calore che traspare dai disegni e dalle (poche) parole. Craig si ritrae anche nei lati peggiori, come l'essere vittima di bullismo, che lo rendono non una macchietta da fumetto ma un umano reale e a tutto tondo. Come lui, gli altri personaggi che lo circondano. Il fratello minore Phil, che è studiato più in relazione al fratello che come persona a sè, i genitori e Raina, la ragazza per cui si prende la prima cotta. Sono tutti imperfetti, ma umanissimi. I genitori sono cattolicissimi e 'sbagliati', eppure sono umani. Lo sono all'inizio quando ci sembrano mostri terribili e lo sono alla fine, quando sembrano una famiglia come tutte le altre. Raina è una ragazza con più lati di quelli che sembrano: è la ragazza ribelle e popolare a scuola, e la bravissima sorella maggiore che accudisce i fratelli minori problematici. Sarebbe stato troppo facile incasellarla in una sola definizione, e approfondire quella. Essendo tutti personaggi reali, però, un solo lato non è sufficiente a disegnarli.

I disegni sono 'grossi', non sono certo fatti di linee delicate e fini, sono spesso scuri e importanti, ma si finisce per disegnare gli occhi con solo due linee, che finiscono per essere molto più espressivi di tutto il contorno.

Per me Blankets è stato una delle letture a fumetti più intense dell'ultimo periodo. Non si parla di cuori spezzati con questa classe così spesso.

Vi lascio un'intervista che lo youtuber italiano Dario Moccia ha fatto a Thompson. Conoscere l'autore è il modo migliore per capire quanto di lui ci sia nel suo racconto.



Questo il link per acquisare Blankets su Amazon

giovedì 22 dicembre 2016

Non solo cinema: Guida galattica per gli autostoppisti

21:13
Che a me viene sempre da chiamare Guida galattica per l'autostoppista. Al singolare.

Ce la ricordiamo la Mari di una volta? Ostile alla fantascienza tutta, 'che non mi si parli di robot e astronavi che vi lancio fuori dalla finestra'. E sì, horror e fantascienza sono due lati dello stesso genere, quello del Fantastico, e sono tanto legati e si vogliono tanto bene, ma a me ne piace solo uno. Così è la faccenda.
O meglio, così era la faccenda, dato che in una settimana si è parlato prima di Star Wars e ora, immancabilmente, di Douglas Adams.
Non lo so cosa sia successo e non voglio parlarne, prima o poi mi rivolgerò ad un professionista così che risolva quel groviglio di orrori che è il mio cervello.


La Guida galattica è una trilogia in cinque parti, che ha questa premessa: la Terra è andata distutta, e con essa l'umanità intera. Con un'eccezione però: il terrestre Arthur Dent è sopravvissuto al disastro, salvandosi insieme a Ford Prefect, il suo amico alieno. Non che Arthur fosse a conoscenza della sua natura extraterrestre, comunque. Insieme elemosineranno un passaggio ad un'astronave di passaggio, e da quel momento inizierà per loro una sequela di avventure in giro per l'universo.

Partiamo da alcuni sacrosanti presupposti:
1. Douglas Adams era un fenomeno, questo è indiscutibile e la sua capacità immaginifica era straordinaria. Chissà cosa avrebbe creato con un po' più di tempo a disposizione.
2. A me il nonsense piace molto. Mi diverte da matti.

Con queste premesse crederete che la Guida galattica sia diventata uno dei miei libri preferiti.
Ehhhhh. No.
Siamo di fronte a 800 e qualcosa pagine (se si legge la trilogia in cinque parti per intero) di puro nonsense. Quasi non c'è altro. Sì, ci scappano l'avventura, lo spazio, i robot (Marvin <3, ti ho amato appassionatamente), i topi. Ma fondamentalmente è un distillato di fortissima e ferocissima ironia britannica.
Insomma, fa spaccare dal ridere. Ma proprio di quelle belle risate a voce alta!
Però per me ad un certo punto è stato troppo. Ok, io sono quella che non ama la comicità, è mille volte più facile farmi piangere che ridere, eccetera eccetera, ma guardate che 800 pagine di solo ed esclusivo humor, battute, frecciate, trovate folli, si sono susseguiti quasi spintonandosi per uscire per tutto il tempo, ed alla lunga questo mi ha reso la lettura un po' impegnativa. Ho anche considerato che fosse colpa mia: io leggo quasi sempre più di un libro per volta e alternare questo uragano di follia a qualcosa di più convenzionale forse me lo avrebbe reso più digeribile. Adesso sono in iperglicemia, sono riempita di zucchero da qui all'eternità, mi tocca una tragedia greca per ribilanciare.

Io lo regalerei tantissimo a qualcuno di molto giovane: l'inventiva di Adams nel creare marchingegni spaziali è esilarante (c'è il Motore ad Improbabilità Infinita, la macchina Nutrimatica, il Vortice di Prospettiva Totale...) e ispiratore, la vicenda è appassionante e si presta benissimo alla fandom più selvaggia, la scrittura è leggera e scattante. Sarebbe perfetto per un ragazzino di 15 anni e tanta passione da sfogare. Io, purtroppo, ne sono stata colpita solo in parte, e sono arrivata a finirlo per senso del dovere. Di Adams comunque cercherò di leggere altro perchè un cervello così va valorizzato il più possibile.

C'è anche da dire questo, in difesa del romanzo: io e la fantascienza ci guardiamo ancora male e a distanza, non fa niente se mi è piaciuto molto Star Wars. Forse se tutto questo delirio colorato e arzigogolato fosse stato impiantato in una storia più affine ai miei complicatissimi gusti l'avrei amato alla follia, chi lo sa. Forse un horror idiota così mi avrebbe perso un filino di pathos, ma magari gli avrei voluto bene comunque.
Mi sa che ho solo fatto il passo più lungo della gamba.

Qui il link per acquistarlo su Amazon

mercoledì 14 dicembre 2016

Non solo cinema: Barcamenarsi nel marasma Stephen King

18:09
Entrate in una libreria, preferibilmente in una grande catena a caso. Dritti a muso altro verso la sezione Horror. Davanti a voi solo due cose: Twilight e Stephen King.
Questo è sbagliato sia per la povera narrativa dell'orrore che per il mica tanto povero SK, che secondo me ne ha anche un po' piene le tasche di sentirsi limitato ad un genere.
Siamo vicini a Natale, e se la mia Guida ai regali non fosse sufficiente, ecco un altro spunto. Il vostro amico/amore/genitore/collega vuole iniziare con King ma voi non ne sapete niente? Ecco come uscire indenni dalla sezione horror della vostra libreria.

Una rara foto di SK mentre fa il cosplay di Leo Ortolani

La prima regola per non toppare il regalo è conoscere un minimo il destinatario. Sembrerà banale, ma guardate che non è così. Questo post è pieno di miei suggerimenti basati su quelli che sono i miei gusti, e come tale va preso. Altro disclaimer necessario è che non ho letto tutta la produzione del signore in questione per un semplice motivo: ho solo 26 anni e il fetecchione è la penna più veloce del west.
I link in rosso sono quelli che, come al solito, vi rimandano alla pagina Amazon.

Un primo, grande, dilemma: è vera la diceria sul fatto che dopo l'incidente King si sia dimenticato quello che sapeva fare?
IMHO, sì.
Quindi via libera a tutto ciò scritto prima del 99 e un po' più cautela con quello venuto dopo.

Prima grande distinzione da fare: romanzi o raccolte di racconti?
Tenendo sempre bene presente il gusto del destinatario del libro, il mio consiglio è sempre uno: racconti >>>>>>> tutto il resto.
Se diamo per scontato che SK sia molto bravo e basta, dobbiamo anche ricordare che è umano e che qua non siamo (più) fangirl: ha pregi e difetti, in alcune cose è più bravo che in altre, e per me i suoi racconti sono quasi perfetti.
La mia preferita è tra le più famose. Banale? Siamo d'accordo, ma se una cosa diventa così popolare un motivo ci sarà. Signori, c'è da leggere Scheletri. I racconti contenuti sono tanti e generalmente brevi, e fanno l'ovvio effetto ciliegia, ne inizi uno e ne vorresti leggere altri quindici. Manipolare con cautela: è contenuto qui un racconto che ad oggi è il mio preferitissimo ma che ai tempi mi ha tenuta ben sveglia la notte: La Nonna. Perché SK non fa paura sempre, ma nemmeno lo vuole. Ogni tanto, però, lo vuole, e allora sono volatili senza zucchero per tutti.
Le raccolte di racconti di King si distinguono in due 'sottocategorie': le raccolte con quattro/cinque storie più lunghe, quasi delle novelle, che non prediligo, e quelle brevi, le cui raccolte contano centordici storie per volta e che ci lasciano sazi e soddisfatti. A questa seconda categoria appartiene anche Tutto è fatidico, non da sottovalutare. Un nome su tutti per la categoria 'novelle': Stagioni diverse. Ma occhio ai cuori deboli: è quella di Stand by me.
La cosa molto carina delle raccolte di racconti è che presentano sempre qualche riga per raccontare la nascita del racconto, e King è sempre adorabile quando parla di sè.

Prima di passare ai romanzi è il caso che vi procuriate dei popcorn, temo che faremo notte.

Il mio preferito: Dolores Claiborne. Paradossalmente, ha uno stile che non c'entra niente col King a cui siamo abituati, ma a me ha intrattenuto come pochi altri libri in vita mia. In prima persona, Dolores racconta, in un lunghissimo interrogatorio con la polizia, fatti ed eventi della sua vita, che culminano con la morte della donna di cui lei era la colf. Divertente all'inizio, importante poi. Parla di rimorsi, tragedie e amicizia. Va bene regalato a chiunque, salvo magari la vecchia zia bigotta a cui non piacciono le parolacce. Ma a lei evitate proprio di regalare SK, ecco. Un centrino può andare.

Mettiamo invece che ci sia il vostro cuginetto dodicenne che si diverte come un matto a guardare i film horror di nascosto dalla mamma. A lui va regalato It, non si discute. Qualcuno dovrà iniziare il giovane ai capolavori della letteratura, e quel qualcuno volete essere voi. È lunghissimo ma ha il solito linguaggio molto colloquiale che lo rende agibile a tutti. Tu ci metti impegno perché gli dedichi molto tempo, ma lui alla fine ti ripaga, perché è indimenticabile. Pensate al vostro cuginetto sotto le coperte, con la torcia perché la mamma vuole la luce spenta alle 10 (clichè? concedetemelo), a farsela sotto con un volumone gigantesco, ma incapace di smettere. Come parla di bambini lui, pochi altri. E ok che per mezzo romanzo i protagonisti sono adulti e vaccinati, ma quell'infanzia lì, e soprattutto quell'incubo lì, se li sono portati dentro. E così farà il vostro cuginetto, amandovi appassionatamente per il grande dono che gli avrete fatto.

Nelle vostre conoscenze, poi, si staglierà indefessa la figura del cinico, quello che King non va bene perchè l'horror è caccapupù per i deviati eccetera eccetera. Costoro meritano dolore e sofferenza. Pet sematary dovrà scendere su di loro per rimettergli l'anima a posto. Ne riparliamo, miscredenti.

Cose preziose è uno dei romanzi più controversi: o lo si ama o lo si odia. Io, che sono appassionata delle storie ambientate in piccole comunità, ho finito per adorarlo. In generale, le piccole cittadine del Maine sono una costante del Re, e se abitate in paesini alienanti come la sottoscritta (3500 anime a voler arrotondare un po') e volete fare un po' di autoironia paragonando i vostri compaesani a personaggi da fiction, a voi serviti: La tempesta del secoloColorado Kid (non amatissimo, ma io a tratti l'avevo trovato interessante), il più recente Joyland, perché comunità più chiuse dei luna park non me ne vengono in mente.

Sono molto affezionata anche a La bambina che amava Tom Gordon, per motivi a me del tutto sconosciuti, dato che è un romanzo in cui succede poco e niente. Ma alla bambina del titolo ho voluto un gran bene, quindi consiglio anche lui.

Per un purista dell'horror nudo e crudo, invece, ci vogliono i vampiri. SK tira in ballo di tutto: fantasmi, alberghi infestati, persone con poteri sovrannaturali, automobili con una coscienza, il Diavolo in persona. Ma niente, niente, funziona come i suoi vampiri. Le notti di Salem è quasi una lettera d'amore per Dracula, e come tutte le lettere d'amore, funziona benissimo.
In ultima istanza, all'horrormaniaco va regalato Danse macabre, che vuole essere un saggio sull'horror ma che alla fine si rivela il racconto di una vita narrato attraverso la storia di una grande passione: quella per il cinema horror, appunto. SK ne sa a pacchi, ha visto quasi ogni cosa possibile e ne parla con amore e competenza.

E la serie de La Torre Nera?

Quello che sto per dire è forte e pregno di provocazione: non mi è piaciuta. È una saga fantasy in millemila volumi, di cui a me ne è piaciuto solo uno (il secondo, La chiamata dei tre), tanto da costringermi a mollarla all'inizio del quarto volume. YOLO. Da regalarsi solo agli amanti del fantasy o ai fan sfegatatissimi in attesa smaniosa di quella che non ho ancora capito se sarà una serie tv, un film, o entrambi.
[NB: le prime foto del set però sono bellissime, e se tutti sono rimasti affascinati da Idris Elba, io ho lasciato il cuore su Matthew McConaughey. CIAO.]

Il vero potere di SK, per me, aldilà della bellezza delle sue storie, è quello di essere così incredibilmente popolare. Il mondo è pieno di persone che non leggono o che leggono troppo poco, ma che hanno sempre l'ultimo King in casa. E se avvicini anche solo una persona alla lettura, per me hai vinto. Se aiuti l'editoria di tutto il mondo a fare ancora qualche soldino a me va bene sempre, anche se ultimamente ti sei dimenticato di come facevi battere il cuore alle persone, dalla paura o dall'emozione.
God save the King.




sabato 26 novembre 2016

Non solo cinema: Infinite Jest

14:27
Non mi definirei propriamente determinata, ma a volte mi metto in testa una cosa e non ci dormo la notte finché non me la porto a casa. Volevo leggere Infinite Jest, il portentoso, mastodontico, mitologico Infinite Jest, e nonostante voi mi aveste detto su Facebook (la seguite la pagina fb del blog, vero? sta qui) di iniziare con Wallace da La scopa del sistema, io no, volevo il mattone e mattone fu.


DISCLAIMER:
Non crederete mica che mi sia messa a recensire una oba del genere, vero? Diciamo che questi sono solo dei non richiesti consigli per l'uso. Non vi dico nemmeno di cosa parla, perché secondo me non serve a niente. Se pensate che questa sia una baggianata, non esitate a farmelo notare.

Piccolo momento in cui, come di consuetudine, gioco a fare la maestrina per credermi intelligente: risponde al (bellissimo) nome di Infinite Jest un esorbitante romanzo (1179 pagine di romanzo effettivo a cui fanno seguito un centinaio di pagine di note che, sì, dovete leggere perché sì, sono essenziali alle vicende narrate) scritto nel 1996 da un autore, David Foster Wallace entrato nel mito perché quando le persone si tolgono la vita la conseguenza è entrare nel mito. Ogni lettore amante della letteratura contemporanea americana inciampa prima o poi sulle caviglie di DFW, e io ci sono finita un paio di mesi fa.
A lettura ultimata mi sento di parlarne un po' con voi. Prima di tutto per rassicurarvi: se io sono riuscita a scalare questa montagna incantata, voi potete farcela ad occhi chiusi. Servono giusto un paio di accorgimenti. 

Credo che però sia giusto dire prima di tutto chi non deve leggere IJ: 

  • chi ama l'avventura. Qua non ce n'è, alcuna. Ci sono storie, ci sono eventi, ci sono flashback e ci sono dialoghi. Ma azione proprio no. Succedono cose, certo, ma non lo definirei un libro adrenalinico. E perché si inizino a tirare le somme ci vogliono almeno 800 pagine, prendetevela comoda.
  • chi si trova a proprio agio nel leggere romanzi dalla trama lineare e classica, dove con classica intendo 'inizio - evento sconquassatore - conclusione'. Qua non solo la trama non è affatto lineare, ma non so nemmeno se posso sentirmi a posto con la coscienza a chiamarla 'trama'. È un gomitolo di eventi, un abbraccio di persone le cui storie sono incrociate o si incroceranno nel corso del tempo. Bisogna prestare attenzione alle date, sperando di ricordarsi la data letta all'inizio del capitolo precedente, magari una cinquantina di pagine prima. Bisogna ricordarsi dettagli, aneddoti buttati lì apparentemente per caso, perché TORNA TUTTO. Al limite prendete appunti. Non ammetterò mai di averlo fatto a mia volta. 
  • chi trova piacere nel leggere una scrittura scorrevole, penso per esempio a L'amica geniale della Ferrante. Lo stile di DFW è incantevole. Mi sono ritrovata più volte a fotografare pagine intere per non scordarle. Ma scorrevole proprio no. Le frasi durano pagine intere, a volte bisogna tornare indietro per ritrovarsi, il vocabolario è vastissimo e variegato, mai ripetitivo e quindi talmente ampio da rendersi necessario un giretto su Google ogni tanto per capire bene che ciumbia sta dicendo. Soprattutto se come me non sapete nientenienteniente di tennis, per esempio.

Detto ciò, parliamo di chi invece IJ lo vuole leggere ma desidera qualche dritta da una pirletta che non solo è sopravvissuta alla lettura, ma che si trova anche in condizione di parlarne costantemente.
Il consiglio più importante di tutti è anche il più banale: non sentitevi in dovere di leggerlo. Non solo non vi renderà più intelligenti farlo ma vi farà sentire tremendamente stupidi, perché il confronto con una mente straordinaria è sempre impietoso. Prenderlo come una missione che va fatta una volta nella vita non solo lo renderà un obbligo, ma trasformerà per magia un libro unico in un lavoro, e la sua pesantezza (perché leggero non è) diventerà insostenibile. Godetevelo come il bel romanzo che è, e nessuno si farà male.
Prestate attenzione. Perdersi è un attimo. Come dicevo sopra, ogni cosa narrata serve poi per giungere alla conclusione comprendendo qualcosa. Non siamo dalle parti di Tolkien, in cui si poteva passare velocemente su alcune pagine perché millemilioni di parole per descrivere la Contea non sono esattamente necessarie alla comprensione. Qua si salta una pagina e già si capisce poco e niente. Certo, tenete sempre conto che io non brillo per sapienza, ma è pur vero che in ogni pagina c'è qualcosa che conta.
Non prendete però il tutto troppo sul serio: Infinite Jest è prima di tutto un grosso, gigantesco, perculo. Diventa un po' meno divertente quando ci si accorge di quanto, anni fa, ci avesse preso su alcune faccende (allego screen di tweet della sottoscritta), e su quanto le vittime della sua feroce ironia siamo tutti noi, ma leggerlo fa sghignazzare.



Ma insomma, a me sto libro è piaciuto?
Molto, con un MA.
Infinite Jest ha una scrittura inarrivabile, mai letto niente di simile. DFW ha un modo di utilizzare le parole che mi ha affascinata come mai mi era successo prima d'ora, ed è sbalorditivo. Il mio plauso a chi si è trovato a doverlo tradurre, 'sto lavorone. La mia testa, appassionata di parole più che di ogni altra cosa, ne è stata rapita.
Meno la mia pancia, che come sapete è il motore che guida questo posto. Se IJ prende la mente e la porta da un'altra parte, in un luogo in cui si è costretti a non pensare ad altro che alla famiglia Incandenza, la mia emotività non ne è stata coinvolta in modo eccezionale. Dopo avere letto in giro un po' di info sul romanzo, avevo predetto che mi sarei innamorata di Hal Incandenza, il protagonista (se così si può dire). Invece no, le vicende non mi hanno scombussolato le viscere e non riesco a capire se questo è quello che DFW voleva o se, semplicemente, con me il libro non ha fatto breccia.
Tutto sommato, però, non credo che questo sia un romanzo passibile di opinione personale. Forse nemmeno deve piacere. Deve essere studiato. Quasi non sembra un romanzo, ma più un approfondimento, un'analisi, un saggio, in cui dobbiamo accomodarci per seguire il percorso fatto dal pensiero dell'autore, e lasciarcene trasportare. Un viaggio, un'esperienza, che sono felice di avere fatto. Non escludo di tornare su questa barca, per ora lascio che le parole di DFW continuino a fluirmi nella testa attraverso gli altri libri, avrò tempo per tornare qua e capire quante cose non ho colto a ventisei anni.
Sono certa che sarà un viaggio completamente diverso.



Link utili a chi volesse approfondire la questione:
Il post di Tegamini. Io spero abbiate Snapchat per seguire Francesca anche lì dove francamente dà il meglio di sè. In caso non amiate i social, il suo post su IJ è completissimo, scritto nella spassosissima maniera che la contraddistingue e davvero davvero utile per chi vuole sapere di cosa cavolo parla. 
L'immancabile post de Il Post, prima di tutto per l'amore appassionato che mi lega alla testata online e poi perché quest anno il lavoro di DFW ha compiuto 20 anni e loro giustamente ce l'hanno ricordato.
Un post di Buzzfeed, perché le mie fonti sono sempre di altissimo livello.
Un bellissimo video dell'unica Youtuber italiana che seguo con sincera ammirazione su DFW.
L'ovvio ma utilissimo wikia di IJ. Nel caso vi perdeste, e non sarebbe così assurdo, sarà lui a prendervi per mano e ricordarvi chi cavolo è sto personaggio che avete incrociato per due paragrafi 300 pagine fa.

Da poco è uscita una nuova edizione tascabile (per quanto si possa tascabilizzare) di IJ, la trovate qui:


Infinite jest in italiano
 

La versione in inglese per i più coraggiosi di voi

sabato 5 novembre 2016

Non solo cinema: Stoner

13:31
John Williams è il più famoso tra gli scrittori sconosciuti, e Stoner è il più bel romanzo che non avete mai letto.
No, non è la mia presunzione a parlare e a dedurre che voi non abbiate mai letto Stoner, quella sopra è la frase che dicono tuttituttitutti quando parlano di questo romanzo, e mi sembrava un buon modo per iniziare il primo post su Williams. Spoiler: non sarà l'unico, perché è sbocciato in me il seme dell'amore.

La prima notabile cosa del signor autore è che tutti i suoi romanzi hanno copertine bellissime, di quelle che ti fanno scegliere un libro in libreria senza saperne niente. A voi una rapida carrellata:





Amici di Fazi: Bravi.

Torniamo al romanzo che al momento occupa i miei pensieri in modo costante.
Stoner è il cognome di un uomo, che di nome fa William. È un uomo come molti. Lascia la poverissima famiglia di contadini per studiare Agraria all'università, sperando di portare un valore aggiunto al lavoro di famiglia, ma gli viene fatto notare da un illuminato professore di avere in realtà la passione per l'insegnamento. E con la trama la chiudiamo qua, anche se sono convinta che raccontarvela non toglierà nemmeno un briciolo di valore all'incantevole libro che spero abbiate già tra le mani.

Cosa distingue William Stoner dagli altri uomini? Niente. È l'emblema della mediocrità, della vita che ci si aspetta da un uomo comune. Fa il percorso che i genitori vogliono da noi figli: studia, e intanto lavora ché è un uomo responsabile e si mantiene, conosce una ragazza, la sposa, mantiene il lavoro per tutta la vita.
Ho iniziato a piangere a pagina due e vorrei, VORREI, che questa fosse una delle solite esagerazioni di cui il mio linguaggio è pieno. Vi sia chiaro, però, che a Williams non interessa contare le vostre lacrime, e che di certo il suo interesse principale non è commuovere. E se lo è, (in quel caso gli augurerei le peggiori notti sul water), lo nasconde molto bene.
Cosa commuove così tanto nella banale storia di Stoner?
Credo che nelle sue poche pagine, è un romanzo che si legge in tre/quattro giorni. anche meno se siete presi quanto lo ero io, dia spazio ad ogni lettore per trovare quel quid che colpisce forte e fa un po' male. Il mio, ormai lo sapete, sono le storie familiari. I genitori di William sono persone poverissime, che vivono del loro lavoro nei campi e che non hanno alcuna pretesa. Le scene, che sono nelle prime pagine e quindi non sono un'anticipazione, in cui i genitori spendono i pochissimi risparmi della famiglia per comprare vestiti nuovi per partecipare alla laurea del figlio, o quella in cui, completamente fuori luogo, arrivano all'università, mi hanno stretto lo stomaco. E vi ci vedo a chiedermi se questa commozione fosse data dalla dolceamara descrizione dei sacrifici che i parenti fanno per gli adoratissimi figlioli. NO, non lo è. Nessuna descrizione del profondo sentimento di amore che ti spinge a privarti del pane pur di vedere l'erede avere tutto quello di cui abbisogna. Ad onor del vero, nessuna descrizione di alcun sentimento. Quasi mai. Va da sè che le poche emozioni esposte mi hanno devastata. Per la maggior parte del tempo non abbiamo accesso nè alla sua mente nè al suo cuore, poi succede che ogni tanto questa nebbia si spanna e ci è data un po' di visibilità, che colpisce forte.

Insomma, il giovane Stoner si laurea. Non in quello che la famiglia desidera, ma si laurea. Inizia il futuro radioso del giovane professore appassionato? Eh, insomma. La vita personale va male, quella professionale a rilento. E lui, William, sta lì, a guardare la sua vita scorrere senza mai prendere il volo, e lui la lascia fare.
Quanto mi sono arrabbiata, con quel Willy che avrei tanto voluto vedere felice.
Non credo certo nelle idilliache vite delle pubblicità, ma una gioia UNA gliel'avrei voluta donare. Un lavoro gratificante, un amore vero, una fonte di soddisfazione. Eppure lui, porca miseria, non fa niente per andarsele a prendere, eh, le gioie. Si accomoda in questa vita che gli è stata donata, così come gli è stata donata, e l'ha vissuta senza provare a migliorare alcunché. Ogni cosa successa gli è piovuta dal cielo, gli è stata suggerita, incoraggiata, consigliata. Ma lui, di suo, niente. Accomodato in un'esistenza mediocre.
Perché?
Perché ci fa paura concederci la possibilità di provare ad essere felici? Perché la comodità ci blocca così tanto, perché uscire dalla comfort zone fa così paura? Perché la mediocrità è così confortevole?
Mi tocca dirvi che Williams non conclude il romanzo con una gran morale che dà tutte le risposte.
E forse meglio così.

Sapevo che sarebbe stato bello, voci che considero autorevoli me ne avevano parlato in modo estasiato. Se possibile, lo è stato ancora più di quanto mi sarei aspettata.

domenica 18 settembre 2016

New York Times By The Books Tag

18:18
Ho rubato un tag dal Tubo! Si può fare, dite? Rischio qualcosa?
Oh, si parla di libri, quando si parla di libri diciamo che il mio concetto di legalità si ammorbidisce un po'.
Mi andava di parlare di libri, di pubblicare un post rapido e leggero, e quindi qui siamo.
In quanto Tag dovrei taggare qualcuno, ma siccome parlare di libri è una delle cose più belle del mondo io spero che lo facciate tutti perché voglio parlarne con chiunque, sempre, ovunque. Rispondete anche qua sotto, va bene qualsiasi cosa.


1. Quale libro stai leggendo in questo momento?
Mai un solo libro per volta, stavolta è il turno di Infinite Jest di David Foster Wallace e La breve favolosa vita di Oscar Wao di Junot Diaz. Diversissimi ma sto amando molto entrambi. IJ più che un libro è un'esperienza di vita, ma di quelle gigantesche dopo le quali non si è più gli stessi. Oscar Wao parla di una famiglia dominicana esportata negli States, e lo fa con un tono leggero e brillante, infarcito di riferimenti nerd. Non è un romanzo gioioso (con un titolo così...) ma rispetto all'altro signore che sto leggendo è una passeggiata.

2. Qual è l'ultimo grande libro che hai letto?
Forse l'ultimo gigante (e ci aggiungerei una serie di parole in rima adeguate come devastante, estenuante...) è stata la Trilogia della città di K di Agota Kristof. Non so se oggi sarei in grado di rileggerlo, non amo le cose che parlano di guerra e onestamente nemmeno mi ricordo perché mi ci sono tuffata. Romanzo notevole, ma stancante.

3. Se potessi incontrare un grande autore - vivo o morto - chi sarebbe? Cosa gli chiederesti?
Scegliere uno solo è frustrante, però.
In questo preciso momento, data la mia fissa, direi David Foster Wallace, ma mica gli chiederei nulla. Starei a guardarlo, accenderei una miccia per farlo partire con un discorso e poi starei a guardarlo adorante. Vorrei conoscere quello che era il filo dei suoi pensieri, entrare in quel gigantesco cervello e lasciarmene affascinare ancora di più.
L'altro, ovviamente, Neil Gaiman. Il mio lettore ebook si chiama Neil perché se devo intitolare qualcosa di prezioso a qualcuno quel qualcuno è lui. (La mia macchina si chiama Joyce per la Oates, forse ho un problema.) Con Neil invece vorrei interazione totale, lo seppellirei di domande sulla nascita dei suoi prodotti, su come si siede al tavolo la mattina e dalla sua testa esce Coraline. Come funziona? Cosa senti nella testa? Parti dalle voci o dalle immagini? Ti viene più semplice creare dialoghi o immaginare mondi? Voglio sapere tutto.

4. Quale libro saremmo sorpresi di trovare sugli scaffali della tua libreria?
I mammuttoni della Newton Compton sulla cucina, quelli da 4,90€ l'uno:D
Ho un feticismo, mi piacciono da matti.

5. Come ordini la tua libreria?
La mi libreria è una cartella sul pc, leggo quasi esclusivamente in digitale.
I pochi libri fisici che ho conservato sono divisi per collana o casa editrice e in ordine di altezza decrescente.
Sul pc, invece, ho un ordine ossessivo compulsivo. Prima una divisione generica: classici, contemporanei, italiani, horror, saggi e romanzi in inglese. Ogni cartella poi è divisa di nuovo: provenienza dell'autore prima, e poi per singoli autori, mentre i miei booktuber preferiti hanno cartelle a loro riservate con all'interno i libri che hanno consigliato nei loro video.

6. Quale libro desideri leggere da sempre ma non l'hai ancora fatto? Quale libro ti vergogni di non avere ancora letto?
Io e il mio problema con i libri giganti facciamo la corte a Guerra e Pace da un bel po', soprattutto dopo il mio periodo di fissazione con Anna Karenina. Sta lì, pronto alla lettura, ma ancora non ci sono arrivata. Vergogna no, ho un percorso da lettrice piuttosto variegato, avrò tempo per tutto. Se mai uscirò viva da Wallace.

7. Deludente, sopravvalutato, semplicemente brutto. Quale libro avrebbe dovuto conquistarti ma non è accaduto?
Piano con le parole, però. Io leggo solo cose che al 90% mi piacciono, ho imparato a conoscermi. L'ultima volta che con infinito dolore ho lasciato un libro è stato Io sono il tenebroso della straordinaria Fred Vargas. Il grande dolore è dato dal fatto che si tratti del secondo volume di una trilogia, quella degli Evangelisti, il cui primo volume al momento è uno dei miei libri preferiti di sempre, con un primo capitolo indimenticabile. Il secondo non mi è piaciuto altrettanto e non l'ho finito, la delusione era cocente. Ma lo riprendo, non esiste che Vargas mi deluda, non è contemplabile.

8. Che tipo di storie ti attirano? Da che generi ti tieni lontano, invece?
Qualunque cosa: è più lo stile di scrittura che mi coinvolge piuttosto che un genere in particolare. Mi ritrovo a cercare spesso gli horror perché li sento sempre affettivamente vicini, ma non sono necessariamente il mio genere letterario preferito. Mi tengo lontanissima da romanzi d'amore (con quale presunzione qualcuno crede di poter davvero parlare d'amore? Anche i film non li tollero, con pochissime eccezioni) e dai gialli, di cui ho fatto indigestione al liceo. Oggi tollero solo Vargas.

9. Puoi far leggere un libro al Presidente. Quale sceglieresti?
Ho pensato al Presidente del Consiglio e ho pensato alla saga dell'Amica Geniale di Elena Ferrante. È ambientata a partire dagli anni '50, ma incredibilmente attuale, un ritratto dolceamaro dell'Italia del Sud, ma non solo.

10. Prossima lettura?
Ho in canna Il giardino dei Finzi Contini. Opinioni? L'avete letto?

Avanti, miei prodi. Parliamo di letteratura.

martedì 2 agosto 2016

Non solo cinema: Sandman

14:57
Io sono una persona invidiosa, scendiamoci a patti.
Non invidio le stragnocche, nè quelli ricchi sfondati, nè quelli che guadagnano per fare poco o niente. Cioè, un po' sì, ma non COSì tanto.
I veri oggetti della mia invidia più tremenda, quella che mi fa tremare le labbra dal risentimento sono i bei cervelli. No, non i sapientoni con una conoscenza sconfinata, quella la possiamo (più o meno) raggiungere tutti. Io invidio i cervelli in fermento, quelli viaggiatori, quelli che, insoddisfatti del mondo reale, se ne creano altri mille dal nulla, tutti nuovi. Ancora di più invidio quelli che il mondo reale lo sfruttano, spolpandolo fino al midollo, ispirandosene per creare universi incredibili.
Uno di questi fortunati signori, portatori di menti straordinarie, è Neil Gaiman.


Incontro Sandman grazie a Riccardo, ovviamente. Me lo consiglia perché sa (e chi meglio di lui) che lo adorerei. Quindi, me lo procuro.
Primo ostacolo: disegni dall'aspetto vecchiotto, tavole a volte confuse e una necessità di attenzione che non pensavo un fumetto richiedesse. Mollo la presa.
Ma ricomincio, tempo dopo. Decido che posso dare un po' di più a qualcosa, se Riccardo mi dice che ne vale la pena. Oltretutto lo dice anche l'unica Youtuber al mondo per cui provo sincera ammirazione (lei), non posso resistere oltre. Perché, ma questo lo scopro dopo, Sandman vuole tutto. O si è disposti a dargli la massima attenzione, come se niente altro al mondo esistesse, o lui si trasforma in un caotico insieme di disegni molto scuri. Dategli la vostra concentrazione, e lui si scioglierà tra le vostre mani, come una miciona che fa le fusa.

Ma sto Sandman chi è?
È Morfeo, il signore del sogno. Uno sciocco romantico che si autocommiserava, ma con una certa dose di fascino personale, come l'ha definito uno dei suoi fratelli (il mio preferito, tra i suoi fratelli).
E com'è?
È bellissimo.
Alto, magro, con abiti scuri, mantelli, sempre blu o neri, i capelli spettinati, l'aria trasognata e misteriosa di un poeta francese, circondato di donne ma sempre scostante, affascinante ma inquietante. Lo amo appassionatamente. Poi, sì, è una lagna, e non esiste per lui definizione migliore di quella che gli riserva suo fratello. Sta spesso solo, a rimuginare sui (parecchi) mali della sua vita, a fissare il vuoto del suo sconfinato regno ripensando alle donne che ha perso. Mi fa impazzire, un eterno emo ma dai poteri sconfinati.


Se il potere dell'opera di Gaiman fosse da ricercarsi solo nel suo protagonista, però, temo che 25 anni dopo non saremmo ancora qui a parlarne con così tanto amore. Il punto di Sandman è che intorno a Sogno sta un universo intero. Uno splendido, poetico (questa parola tornerà spesso, nel post, temo), colorato, bizzarro universo, fatto di epoche storiche diverse, personaggi noti, corvi che parlano, teste di zucca, cieli scurissimi, demoni e angeli (un indimenticabile Lucifero), storie e avventure.
Più importanti del resto, però, ci sono gli altri Eterni. Morfeo ha sei fratelli: Delirio (la mia sorella preferita, torno a parlarvi di lei dopo), Morte, Disperazione, Desiderio, Destino e il fratello perduto, Distruzione. Ognuno di loro è così incredibilmente perfetto nella resa da far commuovere. Funzionano in modo sbalorditivo, con i loro colori, i loro vestiti, le loro parole. Qualunque mente abbia creato queste figure non può essere una mente comune.
Cercare di spiegare alle persone i motivi per cui Sandman dovrebbe davvero entrare nella loro vita è difficilissimo. È come cercare di dar voce ai motivi di un sentimento.
'Perché ti sei innamorata proprio di quello lì?'
'Mah, non lo so, è bello, è buono, è intelligente...'
Potrebbero pure essere tutte motivazioni verissime, ma il sentimento è molto di più, e si fa forza proprio della sua irrazionalità. Non posso spiegarti perché amo, amo e basta.

E se amare vuol dire anche lasciar andare le proprie difese ed arrendersi all'evidenza, Sandman fa lo stesso. Il mio occhio non è abituato a disegni così datati, io arrivo da una storia di letture di fumetti molto più basici nella rappresentazione. Qua, se si accetta di uscire dalla propria comfort zone ci si ritrova con doppie pagine blu scuro, come la spettacolare immagine di una gigantesco Destino che cammina nel cielo, affascinantissimo con il suo libro e il suo cappuccio. Sono certa che se avete letto il fumetto avete ben presente di che pagina sto parlando.
Se si accetta di entrare in qualcosa di molto più complesso del convenzionale fumetto d'intrattenimento, l'esperienza è irripetibile. Bisogna dimenticarsi di come si fa a leggere per 'perdere tempo', perché qua l'arricchimento che se ne ricava è straordinario. Se questo impegno può spaventare, e lo capisco, ne vale assolutamente la pena.
Quello che vi deve spaventare più di tutto, però, sono i vostri sentimenti. Arriverete alla fine dei volumi con un coinvolgimento emotivo importante, e la fine sarà devastante. Io ne sono reduce giusto da qualche minuto, e non sto bene. Da un lato vorrei non averlo mai letto, per poterlo ricominciare ora con il cuore intatto e il cervello neutro, dall'altro avendone coscienza non vorrei mai più sottopormi ad uno sballottolamento emotivo così forte.
Quando si possiede una mente così vasta e vagabonda, come quella di Gaiman, non si riescono più a comprendere i confini tra i generi. Hai un'idea, la sviluppi, e finisci per travalicare qualsiasi etichetta. Sandman è fumetto, pittura, romanzo, racconto, scultura, cinema, poesia, arte. È un modo nuovo di vedere il mondo, le cose, le storie. Ed è un modo che influenza tutto il resto, coinvolge il modo di approcciarsi a ciò che ci circonda, stimola il cervello a creare, invita a lasciare libera la mente, ché il mondo del Sogno è libero e vagabondo.


Devo chiudere il file del fumetto, sul pc, e non mi va.
Chiuderlo vuol dire rientrare nel mondo reale, e niente sarà più all'altezza.

mercoledì 27 luglio 2016

Non solo cinema: L'incubo di Hill House

16:41
Mi ero imposta di non parlare più volte dello stesso autore almeno per la prima ventina di post letterari. Mi rimangio tutto.

L'incubo di Hill House (che se siete amici di Stefanone King conoscerete come La casa degli invasati) è probabilmente il romanzo più famoso di quel meraviglioso donnino di Shirley Jackson.
Vi anticipo già che non è stato il mio preferito, il mio cuore va ancora a quello strabiliante Abbiamo sempre vissuto nel castello che mi ha agghiacciata per settimane.


In questo caso siamo a Hill House, cosa che non avrete affatto immaginato, e siamo con un bizzarro gruppo di 4 personaggi: il professor Montague, responsabile di aver convocato gli altri nella casa per i motivi più svariati, affinché insieme potessero scoprire qualcosa di più sui fenomeni paranormali per cui la casa è nota, Eleanor, la protagonista, Theodora, una maledetta e detestabile principessa sul pisello, piena solo di viscida ipocrisia, e Luke, il legittimo erede dell'abitazione.

Come suo solito la Jackson non scalpita dalla voglia di farti saltellare nel letto dalla paura. Ci arriva, ad inquietare e a farlo seriamente, ma lo vuole fare a modo suo e con i suoi tempi, tanto è vero che il romanzo stavolta è arrivato a piacermi in ritardo.
Ha un incipit bellissimo, di quelli che oggi fa solo Fred Vargas (perdonatemi, sono una fangirl della Vargas), ma la prima parte mi aveva conquistato ben poco. Quando però i personaggi sistemano le loro chiappe bizzarre in Hill House, ecco che cambia qualcosa. La magica scrittura di chi ha tanto talento riesce di colpo a ritirare su la mia opinione.
Iniziano i fenomeni paranormali, iniziano le manifestazioni, inizia l'incubo.
Prima, però, ci sono miriadi di parole tra i personaggi. Dialoghi che a me a prima vista erano sembrati bizzarri e che poi invece mi sono parsi perfettamente sensati (ambiente nuovo e lugubre, persone sconosciute a cui si vorrebbe tanto piacere..non solo ha perfettamente senso, è tutto facilmente comprensibile, soprattutto se come me assomigliate un po' alla stramba Eleanor) aiutano a delineare personalità e rapporti.
Quando poi il fantasma (se di questo si può parlare)(poi basta parentesi, giuro) si manifesta sono un po' dei dolorini, perché la signorina Jackson è tanto raffinata e non necessita di immagini di fortissimo impatto immediato per colpire, sta zitta e buona per metà del romanzo, poi subdola e silenziosa come solo lei sa essere ti sbatte in faccia il primo avvenimento importante e ti spiazza per sempre. Perché sono le sberle date di soppiatto a far più male.

Qui, dove con qui si intende sì L'incubo di Hill House ma anche tutta la sua produzione, il sangue e i buh dei fantasmi non servono. Con molta grazia siamo condotti nei baratri della mente umana, nei luoghi in cui siamo più vulnerabili, in quei punti in cui la pazzia si raggiunge con lo schiocco di due dita. E poi, da lì, siamo portati direttamente al dolorosissimo finale, che già da solo varrebbe la lettura.
In due notti (specie se come me avete l'insonnia tra gli amici di facebook) entrerete e uscirete da Hill House.
Ammesso che ne usciate vivi.

martedì 31 maggio 2016

Non solo cinema : Kobane Calling

16:45
Per tutta la vita ho pensato che io e i fumetti fossimo due rette parallele destinate ad ignorarsi con sufficienza. Se poi i fumetti in questione riguardano supereroi di qualsiasi forma e colore, allora CIAO, lontani da me.
La verità è che di fumetti ne leggo un po', ma devono essere come dico io. È stata la lettura di Kobane Calling a farmi intuire il collegamento tra le mie letture disegnate. Io leggo solo fumetti con un cuore grande. I Peanuts, Mafalda, Calvin and Hobbes, Sandman, Dylan Dog, quel lavorone di Locke and Key, mi sto avvicinando ad Alan Moore. . . 
Voglio cose dolcemente malinconiche, voglio case fumose, bambini brillanti e sfigatelli, voglio che mi tremino le mani dalla passione che trasuda da quello che sto leggendo, voglio menti geniali, voglio emozionarmi, e piangere poi ridere poi piangere ancora poi sorridere tra le lacrime.


Kobane Calling è la quintessenza di quello che ho sempre cercato. Ho sempre saputo che sarebbe stato così, dal momento in cui ho letto su Internazionale il primo estratto di quello che è, per me, il punto più alto toccato finora dall'incredibile Michele Rech, noto al web come Zerocalcare. 
Innamorata fino al midollo di lui da quando ho scoperto il suo blog, ho avuto la certezza che il mio amore fosse ben riposto dopo averlo sentito fare due chiacchiere allo scorso Festivaletteratura di Mantova. 
Quando lo senti parlare ha l'aria stralunata. io me lo sono immaginata in un'altra epoca come uno di quegli artisti folli con i capelli ingestibili e migliaia di fogli sparsi per il tavolo, uno di quelli costantemente insoddisfatti, che appallottolano la carta e sbuffano. Stava lì, a rispondere alle domande di un gruppo di ragazzi, con l'aria di chi non aveva la più pallida idea del perché fosse lì e soprattutto del perché ci fossero così tante persone ad ascoltarlo parlare. Niente di quello che fa o dice è a scopo di notorietà. (Non potrebbenemmeno permettersi di essere così chiaramente politicamente schierato se così fosse)
Questa scarsa considerazione di se stesso, questo suo sentirsi inadeguato, è onnipresente nei suoi lavori, è la spinta principale della sua (auto)ironia, è quello che me lo fa guardare con ancora più apprezzamento. Quanto avrei voluto abbracciarlo, ogni volta che in KC parla di se stesso come di un idiota, dello scemo del villaggio! Quanto vorrei che sapesse che nel mio mondo ideale le persone hanno tutte la sua passione e il suo cuore.


Sentir parlare Zerocalcare è un'esperienza: un secondo prima è lì impacciato e con l'accento romano che francamente è il più buffo d'Italia e un attimo dopo il suo tono cambia, quello che sembrava un ragazzetto goffo si trasforma in un uomo pieno di opinioni nette, di capacità di analisi della società e delle persone che fa invidia, di esperienze, di storie da raccontare.


Questa, in particolare, è la storia di due viaggi. Il primo, nel 2014, nei pressi di Kobane, la quasi mitologica città nota per essere il cuore della resistenza al tanto chiacchierato ISIS, la città che ha resistito, la città che si è liberata. Lì Michele ha collaborato ad azioni umanitarie, portando cibo e medicinali. L'anno dopo, invece, decide di tornare nella zona dell'utopica regione del Rojava, ma in un viaggio diverso. Stavolta incontra (e ci racconta) i volti di chi per questa guerra si sta preparando, degli uomini e delle donne che sono scappati dal regime turco, racconta la motivazione di chi da quella guerra è apparentemente lontano (sì, parlo di lui stesso e di tutte le persone che condividono con lui questo viaggio e questo sogno) ma che ci si sente vicino, con il cuore e con la mente, e che quindi decide di andare vicino con il corpo, per comprendere un po' di più.


E sarebbe facile parlare di guerra e morti e orrore e sangue usando quei pipponi retorici che tanto ci piacciono, che commuovono le gienti e che ci fanno sentire così distanti, così fortunati nella sicurezza dei nostri paeselli. Ma Zerocalcare è più intelligente di così, lui ti racconta di come le guerrigliere del PKK quando sono insieme si divertano, scherzino insieme, di quanto materna sia la donna che le addestra, e tu le senti vicine, le senti tue amiche, poi ti racconta che la più piccola di loro si trova lì per scappare da un matrimonio combinato con un uomo che la violentava e tu torni piccola piccola, umile, abbassi la testa, quasi colpevole per la fortuna sfacciata che hai avuto a nascere da questo lato del Mediterraneo.
E lui, per tutto il tempo, si è sentito così: in soggezione, lo scemo del villaggio, appunto. Perché hai davanti uomini e donne che sembrano tanto assomigliare a te e che invece hanno un fardello sulle spalle incredibile, e che nonostante questo sorridono.
Con la sua dolcissima ironia Zerocalcare mi ha conquistato per l'ennesima volta, scoccando splendide frecciatine al sistema dei media italiani, al modo in cui il mondo curdo ci è presentato, al modo in cui lo stesso ISIS ci è presentato, al modo in cui parliamo parliamo parliamo e poi non sappiamo un bel cdn (cit).
Qua non siamo più dalle parti del (comunque bellissimo) Armadillo, nè nelle tavole del blog, nè dei polpi alla gola. Qua siamo più su, nella consacrazione di un talento vero, nato solo dal cuore grande di uno a cui piace fare i disegnetti. 


Vorrei che gli insegnanti leggessero Zerocalcare nelle scuole, che i tg lo invitassero a parlare (ma tanto mica ci andrebbe), che il suo messaggio passasse forte e chiaro a chiunque lo incroci per caso.
Lui mica propone soluzioni, non le ha. Ma invita a conoscere. Io manco sapevo cosa fosse, il PKK. E manco YPG o YPJ. Sono quelle persone che, mentre noi creiamo hashtag per commemorare i morti di Parigi e Bruxelles per mano dell'ISIS, questo benedetto Daesh lo stanno combattendo per davvero. 
Oggi, grazie a Calcare, io so che queste persone esistono, che viviamo la nostra serena vita perché qualcuno sta rischiando quotidianamente la sua. 
Per poi essere classificato nell'elenco delle associazioni terroristiche dall'ONU.
Ma questa, per ora, è un'altra storia.

Comprate i libri di Zerocalcare, supportate i giovani pieni di talento e cuore e cervello e disegnetti buffi dai richiami 80s. 
Lui ci fa i soldi, ma voi guadagnerete molto di più.

sabato 5 marzo 2016

Non solo cinema: Storia di una vedova

14:00
Ho incontrato JCO per la prima volta nell'amatissima biblioteca del paese. (Amatele ste biblioteche, sono i posti più belli del mondo. Più delle librerie)
Appoggiato su un tavolo stava un libro rosa barbie. Sulla copertina stava una bambina, truccata come quelle bimbe degli inquietanti concorsi di bellezza. (O era una bambola con quelle fattezze? Non mi ricordo e non voglio googlare, vado a memoria).
Ora di quel libro (Sorella, mio unico amore) ricordo poco e niente, vorrei riprenderlo, ma non è questo a importarci ora.
Il succo è che da quel romanzo in poi la Oates è stata la linea parallela che ha accompagnato quella della mia vita.


Storia di una vedova non è un suo romanzo, è un memorial, lo dice il sottotitolo. Racconta, come è facilmente intuibile dal titolo, del momento in cui suo marito è mancato. Dagli ultimi giorni in ospedale fino al dopo, la sua sopravvivenza.

Andiamo con ordine.
Io sono profondamente innamorata. Ho provato con tutte le mie forze ad ostacolare questo problema sul nascere, ma quando poi il sentimento è partito (perché parte) l'ha fatto con un rinculo pazzesco, lasciandomi indolenzita e piena di botte.
Non sono una di quella che vuole le relazioni da film, tutte scombussolate ma romanticissimissime, con i piatti lanciati e poi le scene commoventi sotto la pioggia.
Io amo tantissimo il mio rapporto sano, reale, ma profondo, in cui ci sono giorni che dopo anni il bisogno di un suo abbraccio ancora mi cava il fiato. Amo questo modo di vivere le cose più pacato. Le macchiette da film romantico non mi interessano e non hanno alcun fascino su di me.
Ho al mio fianco una persona, come ce l'hanno altre milioni di persone. È con me quando ho giorni bellissimi, quando ho giornate mediocri, o quando ho momenti terribili, o ancora quando piango a dirotto, per giorni interi, perché un romanzo mi sta spezzando il cuore.
Ed è questo il caso.

In seicento pagine (che pesano come cinquemila), JCO fa un lavoro di esplorazione della sofferenza che credo essere senza precedenti.
Sono quasi certa che nessuno l'abbia costretta usando la violenza a scrivere questo libro. La profondità a cui si va sarà stata sicuramente una sua scelta, avrà ovviamente deciso lei cosa e quanto esporre.
Eppure, per tutto il tempo, ho sentito che era sbagliato. Che non avrei dovuto stare lì, che avrei dovuto lasciarla sola, nella sua sconfinata sofferenza, che mi stavo intromettendo in qualcosa di troppo grande e troppo intimo, che stavo spiando attraverso il buco della serratura una donna piangente.
Perché questo infinito memorial è questo: ogni parola, ogni sillaba, persino la punteggiatura, sono un'infinito - ma composto e dignitosissimo - pianto disperato.
È la mancanza di chi riempiva ogni cosa, che lascia quindi tutto vuoto. Ed è qui che mi ricollego con la mia supercheesy introduzione. Joyce e Raymond hanno vissuto insieme ogni giorno della loro vita per anni, e da quello che traspare dalle parole di lei era proprio una relazione di quelle che amo. Quelli di lui erano gli occhi che guardava la mattina appena sveglia, era sua la bocca per cui cucinava, erano sue le mani con cui ha costruito una carriera. E, all'improvviso, niente di tutto questo c'era più. Il solo pensiero (che durante la lettura ho avuto troppo spesso) di una simile eventualità mi fa saltare un battito.

Inizia un profondo viaggio in un insensato senso di colpa, in un'autoaccusa (che ai nostri occhi sembra assurda) di egoismo che è talmente dura da non riuscire nemmeno più a commuovere. Ray non può mangiare, non mangio nemmeno io. Ray non può più fare questo, non è giusto che lo faccia io. Dio, è insostenibile. È durissimo vederla farsi coraggio, per la voglia di non pesare, e poi vederla crollare. Così come è difficile leggere le sue mail (che esposizione totale, darci in pasto le parole che aveva riservato agli Amici), e sentirla parlare di se stessa in terza persona.
Dall'apertura più totale, quella che usiamo quando parliamo con i nostri compagni di vita, all'uscita da se stessa: Joyce diventa la futura vedova prima, la vedova dopo, e questo passaggio ci è sbattuto in faccia con la delicatezza che la contraddistingue, riuscendo comunque a colpirci durissimo, e noi non possiamo che osservarlo impossibilitati a fare alcunché.

Se cercate un libro commovente, qualche lacrimuccia facile, cercate altrove.
Questo è dolore nella sua forma più pura, spogliato di qualsiasi romanticismo, di qualsiasi voglia di compiacere.
E fa un male cane.





giovedì 10 dicembre 2015

Non solo cinema: Annientamento

08:00
Se siete qua significa che avete una connessione Internet, e avere una connessione Internet di questi tempi è la sola condizione necessaria per sapere cosa sia Annientamento.


Per chiunque sia appena tornato sulla Terra da un viaggio interplanetario: trattasi del primo libro della trilogia del momento, quella dell'Area X, frutto del lavoro del buon Jeff Vandermeer, che se amate scrivere come moi conoscerete per quell'incanto del Wonderbook. Pare essere la trilogia che dà nuova veste al new weird, la rivoluzione, il culto.

Sempre se siete appena tornati dal viaggio di cui sopra vorrete sapere di cosa si parla: si parla di quattro donne, senza nome ma identificate solo tramite il loro lavoro, che partono per una spedizione all'interno di una particolare zona degli Stati Uniti, la famigerata Area X. Pare che questa Area sia una zona particolare, in cui la natura ha ripreso il sopravvento e in cui si verificano fenomeni poco chiari. Le precedenti spedizioni sono state un fallimento, nessuno è tornato e chi lo ha fatto era meglio se ne stava dov'era. Noi affrontiamo la dodicesima, la prima ad essere composta da una squadra di sole donne.

Io sono convinta che Vandermeer abbia una mente di quelle a cui guardo con un misto di invidia marcissima e sconfinata ammirazione. Lo pensavo sfogliando il Wonderbook e lo penso avendo concluso il primo volume di questa benedetta trilogia di cui non me ne poteva fregare di meno fino a quando il web si è messo in testa che la dovevamo amare tutti.

Io sono una lettrice veloce, mangio i libri e non c'è alimento che mi sazi di più.
Eppure, queste 180 paginette mi hanno portato via un sacco di tempo. Perché all'inizio ho DETESTATO Annientamento con tutte le mie forze.
Poi ho realizzato che non era il libro ad essere il destinatario del mio odio, quanto quella viscida, algida, supponente e presuntuosa della sua protagonista.
Ho faticato a proseguire nella lettura perché tutte queste pagine sono in prima persona. Sono considerazioni personali e riflessioni di questa sublime stronzetta.
Resa assolutamente umanissima e tridimensionale dalle capacità del suo creatore, ma detestabile come poche.

Bisogna essere disposti a passarci su. Accettando che lei è così e facendosela andare bene, si passa a vedere tutto quello che c'è dietro, e quello che c'è dietro, in quanto frutto della mente di cui sopra, non poteva che essere un lavoro incredibile.
Si tratta 'semplicemente' di sana ma atroce inquietudine, quella che pervade completamente e lascia annientati, appunto.
Con quella brutta cretina di una biologa entriamo in un luogo ostile e di cui non sappiamo nulla, non sappiamo niente di quello che ci può succedere, nè del modo in cui ci può accadere. L'Area X è un mistero di quelli completi e totalizzanti: ci vai (volontariamente, per i motivi più disparati) ignorando quasi tutto di quello che la riguarda e nel giro di pochissimo tempo ti renderai conto che anche quel poco che sai è falso. Non sai niente nemmeno di chi ti circonda, chi sia o meno meritevole della fiducia che, volente o nolente, in una situazione simile sei costretto a dare. E, a loro volta, gli altri non sanno niente di te, e tu hai delle importanti limitazioni su quello che puoi o vuoi dire.

La biologa è vittima da qualsiasi punto di vista: è vittima dell'Area, che ha su di lei un'influenza che non si può controllare, è vittima della psicologa che ha il ruolo grossomodo di leader della missione, è vittima della misteriosa organizzazione che studia l'Area, è vittima delle proprie radicali e infrangibili convinzioni. Ogni passo compiuto in una certa direzione potrebbe essere l'ultimo, ogni scoperta, ogni volta che sembra di stare andando nella direzione giusta, ci si sta avvicinando invece sempre più al pericolo.
Un pericolo senza faccia, senza nome. Perché non si tratta solo di una creatura, di un mostro che, in quanto reale e singolo, si può sempre (in potenza) sconfiggere. Qui il problema è che il pericolo è ovunque e non si ha la più pallida idea di cosa sia e di cosa possa causare.
È paralizzante.

Il mio amico Jeff va letto.
Se non altro per sapere se questa volta l'amore collettivo del web è stato ben incanalato.
E per me, nonostante tutto, sì.

giovedì 18 giugno 2015

Non solo cinema: Julia

08:42
QUALCHE SPOILER PERCHE' SONO UN'INCAPACE

Fino a qualche tempo fa ero convinta che Peter Straub fosse il vicino di casa sfigatello di Stephen King, il quale mosso a compassione aveva aggiunto il nome dell'amico accanto al suo in certi titoli.
Invece no!
Peter Straub ha grossomodo quella faccia qui:


Oltre a teneri occhialini rossi cum coppola, il signor Straub ha anche una gran bella penna con cui scrive tanti romanzi horror.
Si è avvicinato al mondo del fantastico con questo breve Julia, nel quale dà al romanzo il titolo della sua protagonista.

Julia, appunto, è una donna che, in seguito alla perdita in circostanze tragiche della figlia Kate, decide di lasciare il marito Magnus. Compra una nuova casa, nella quale però accadono strani eventi che la portano a indagare sul passato dell'abitazione e dei suoi precedenti inquilini.


Non mi ha comprata da subito, il libretto di Straub, anzi.
Proseguendo, però, la realizzazione che niente stava andando come avrei pensato mi ha fatto completamente cambiare idea.
Ma andiamo per gradi.
Julia scappa dal marito perché lo ritiene responsabile della dipartita della piccola Kate. Fin dalle prime pagine, però, frasi accennate e indizi appena mostrati ci convincono che la colpa sia in realtà attribuibile alla madre.
E io, dall'alto della mia somma ignoranza e della mia incapacità di aspettare di finire un libro prima di giudicarlo, pensavo: 'Ma perché me lo dici ora?'

E CERTO che me lo diceva subito, perché l'oblio che ha colpito la nostra protagonista è solo il primo sintomo di un disagio che crescerà in modo esponenziale fin dalle prime pagine del romanzo. E perché la morte della figlia non ha alcuna rilevanza ai fini della trama, se non l'essere il motivo scatenante della sua fuga.

Questo perché, ad un certo punto, arrivano i fantasmi.
O meglio, arriva IL fantasma.
Che si palesa nei modi più convenzionali possibili: apparizioni allo specchio, rumori improvvisi, stanze caldissime, acqua del rubinetto disgustosa (vi dice niente Casper?). . .
Julia, in preda al dolore, si convince che sia la figlia.
Non ci vorrà molto a comprendere che ci troviamo di fronte ad un doppelganger perfetto che andrebbe incorniciato.

Quello che poi è ancora più affascinante è che le medesime apparizioni potrebbero essere tranquillamente da parte di umani: Magnus sta controllando a vista la moglie, entra in casa e volutamente lascia disordine e fa rumore per spaventarla.
Lei ne è consapevole, ma abbiamo tra le mani una donna di una fragilità estrema: pur sapendo a chi attribuire il vaso di fiori distrutto, è convintissima della presenza di un fantasma. Dimentica di lavarsi, di mangiare, la sua stessa salute passa in secondo piano rispetto alla necessità di scoprire cosa sia successo in quella casa e perché quel fantasma ce l'abbia proprio con lei.

Oltre all'interessante questione dell'entità e della precedente proprietaria, a farmi capire quanto svagliavo a sottovalutare il povero Peter sono stati i personaggi secondari.
Una medium terrorizzata, per esempio. Che pare una baggianata, ma è fin troppo facile ritrarle come donne esperte che ne hanno viste di ogni e ormai non hanno paura di niente.
Un marito potente, con una personalità dominatrice, ma anch'esso pieno di sofferenza e che, nel momento adeguato, riesce a convincersi che qualcosa di sovrannaturale ci sia davvero.
Mark, il cognato, che si rivela completamente diverso da quanto credevamo, e infine Lily, uno dei motivi per cui questo libro è così grande. Lei e il suo essere così viscida, una donna subdola e opportunista, legata in modo morboso e quasi lannisteriano al fratello Magnus.


Una discesa nemmeno troppo lenta verso l'inferno personale di Julia, in cui siamo trascinati insieme a lei, in modo apparentemente semplice e che in realtà si rivela efficace e coinvolgente.
Scusa, Peter, se ti ho sottovalutato.

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