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mercoledì 14 febbraio 2018

L'amore bugiardo, Gillian Flynn

16:35
Io mi rendo conto che parlare di questo film nel giorno di San Valentino possa suonare quantomeno cinico, ma non posso farci molto: pur amando moltissimo il 14 febbraio non sono una di quelle che impazzisce per le cose che parlano d'amore.
Oggi, quindi, niente storie romantiche nè dolcissime, per quello ci penserà stasera Del Toro quando sarò a vedere il film più atteso di tutta la mia vita.
Oggi, qui, parliamo di amori fedifraghi, vendicativi, cattivi, malati.
E buon San Valentino a tutti!🎔


Amy e Nick sembrano la coppia perfetta: bellissimi, intelligenti e dalla vita brillante e piena di interessi. Stanno benissimo e sono l'ideale della coppia libera e senza vincoli da scimmie ammaestrate, come si divertono a dire dei loro amici più gelosi.
Peccato che non sia proprio così, e alla prima difficoltà esca tutto il marcio di chi vuole mantenere una facciata di perfezione e un sottosuolo di menzogne, crudeltà e violenza.
Tutto questo ben di dio esce allo scoperto quando Amy scompare.

POST CON ANTICIPAZIONI, MA DEL TIPO CHE PROPRIO VI ROVINO TUTTO.

Arrivavo al romanzo avendo già visto il film, quindi conoscevo bene la storia e il finale.
Eppure, mi ha fregata.
Amy Dunne, la Mitica Amy, mi ha fregata come la peggiore delle bambocce.
Andiamo con ordine.
Il romanzo è narrato in prima persona da entrambi i punti di vista.
Di Amy leggiamo il diario, mentre Nick racconta la vicenda dal suo punto di vista.
Sapendo chi sia davvero Amy e cosa abbia davvero fatto, mi sarei aspettata di arrivare alla lettura un po' più sgamata. Niente da fare, a pagina 100 ero talmente affranta per lei, talmente sofferente che ero piena di comprensione.
Dopo, solo dopo, quando la Flynn ci ha ricordato che anche il diario era fasullo, sono rinsavita. La Flynn per me è stata bravissima.
Sarebbe stato facilissimo fare di Nick un uomo terrificante. Poteva essere un violento, farci passare tutte dalla sua parte e meritarsi ogni singolo secondo della sua vendetta. Invece no, Nick è solo un povero coglione. Irrispettoso e detestabile, ma non una cattiva persona. Ben Affleck per questo ruolo è stato perfetto, poco da dire, proprio in virtù del suo non essere un attore eccezionale. Un tonto con piena coscienza dei suoi difetti, però. Ogni mossa falsa di Nick (e dio solo sa quante ne fa, roba da ceffoni), è preceduta o seguita dal momento in cui si realizza l'errore, e ogni azione più o meno giusta necessita di troppo, troppo lavoro dietro per poter essere considerata 'naturale'.
Per questo motivo, per me, la Flynn è stata bravissima. Io ho provato per la trascurata Amy delle prime pagine un'empatia fortissima. Il dispiacere che provavo per lei era serissimo.
Mi capita spesso, con il mio ragazzo ma anche nelle altre relazioni con le persone, di non sapere cosa fare. Parlo? Sto zitta? La paleso questa mia perplessità o la tengo per me? Mi lamento o mando giù per passare da brava personcina che non si lamenta mai? Qual'è la cosa giusta? Cosa è meglio fare? Dove sta l'equilibrio?
Ho dovuto fotografare pagine intere nelle quali mi sentivo rappresentata come poche altre volte mi era successo.
Poi Amy è sparita.
Non ero shockata dagli eventi, ovviamente, ma ho provato un sincerissimo dispiacere che Amy non fosse quella che io avrei voluto fosse. Il che forse fa di me una seconda Nick.

Ormai lo sapete, non amo i gialli.
Ma la Flynn esplora le relazioni con profondità e sincerità, non ha paura di farci vedere i lati peggiori dello stare insieme, sia che si tratti di donne folli che vogliono incastrare il marito sia che si tratti di cose più semplici ma non meno dolorose, come un tradimento. Lo fa con una storia tesa, dolorosa e sfaccettatissima, impossibile da posare anche se non si ha la curiosità della fine.
Che comunque, quando arriva, un po' di male lo fa lo stesso.

mercoledì 31 gennaio 2018

La sovrana lettrice, Alan Bennett

13:30
Su Twitter impazza l'hashtag #LettureBrevi.
Ecco il mio richiestissimo consiglio.

Come al solito con i libri, partiamo da una situazione tipo.
Domenica mattina. State facendo una colazione placidissima, con la vestaglia di pile, il tè fumante e il gatto appollaiato sui piedi. Ve la sentite super regale.
Tiè, libriccino sulla monarchia.

Elisabetta II nel sorriso rassicurante con cui la conosciamo
La regina Elisabetta scopre, casualmente, che per Buckingham Palace gira un furgoncino - biblioteca. Ne fruiscono spesso i suoi dipendenti, e decide di prendere un libro a sua volta.
Così, per provare.
Nasce in lei una passione bruciante e quasi invalidante, che la rende inadatta al suo ruolo e assolutamente priva della voglia di fare qualsiasi cosa non includa la presenza di un libro.
Quando sei la Regina di una delle nazioni più importanti d'Europa, però, non è così facile sottrarti ai tuoi doveri.

In una cinquantina di pagine Alan Bennett tira fuori il meglio di sè.
La storia della passione di Elisabetta per i libri è spassosissima, con scene iconiche che vi torneranno in mente ogni volta che vedrete il suo volto, con una cura per i dettagli della vita di corte importantissima ma che passa in secondo piano rispetto all'assurdità, verosimilissima, della vicenda.
Ci sono impegni pubblici, navi da varare, personalità internazionali da incontrare, politici da ascoltare e una famiglia di sfondo di cui occuparsi.
Ma niente, niente, ormai conta più per Elisabetta.
Il sacro fuoco della lettura si è acceso, e ci sono anni, decenni, di lacune da colmare.
In breve tempo chiunque inizia a detestare la Regina, che non solo non fa altro tutto il santo giorno, ma che inizia a mettere a disagio chi questi libri non li conosce proprio. Domande inquisitorie, interrogatori, giudizi. Chiunque entri a contatto con la principale degli Uncommons (uno dei motivi per cui il libro si chiama così) è posto sotto il suo insindacabile giudizio. Se non leggi o non conosci uno degli autori preferiti della Regina, considerati fuori.
Se le rompi le scatole, considerati fuori.
Che vita meravigliosa, Lilibeth.

Oltre alle buffissime situazioni in cui Bennett pone la Regina, il libriccino è una lettera d'amore per la letteratura di una bellezza delicatissima.
Senza lo snobismo tipico di chi legge e se ne vanta, Bennett parla con grande amore dei grandi del passato (Eliot, Proust, Shakespeare...) ma strizza l'occhio ai nostri contemporanei, come Alice Munro, Kazuo Ishiguro e, figuriamoci se poteva mancare, Philip Roth, con un particolare accenno al fatto che forse Il lamento di Portnoy non è una lettura adatta alla Regina in persona.
Con una sola frase celebra i benefici della lettura, e la fa dire proprio ad Elisabetta, che riflette sulle conseguenze della sua nuova passione, e con le sue parole vi saluto, che tanto tutto quello che conta sta scritto qui:
È possibile che io mi stia trasformando in un essere umano. Non sono convinta che si tratti di un cambiamento auspicabile.

giovedì 25 gennaio 2018

La fata carabina, Daniel Pennac

08:50
All'inizio dell'anno, sempre nel pieno dei miei giorni più scombussolati dell'ultimo periodo, ero in pieno blocco del lettore. Iniziavo le cose poi le mollavo a metà annoiata.
Solo una persona poteva risolvere questo problema: Pennac.


La fata carabina è il secondo volume del ciclo dei Malausséne. Se non avete letto il primo, male! Si chiama Il paradiso degli orchi ed è una scintilla di gioia distillata.
Se possibile, La fata carabina ancora di più.

Ci troviamo come al solito in mezzo ad un giallo: qualcuno sta drogando i vecchietti. Indovinate chi si è portato in casa tutti gli anziani tossicodipendenti della zona? Ma Benjamin Malaussène, chiaramente, che con la sua opera di aiuto collabora con la sua ragazza, Julie, che sul caso dei vecchi tossici sta scrivendo un articolo. Nel frattempo, un'anziana signora uccide un promettente giovane poliziotto?
Se ricordiamo che di lavoro Ben fa il capro espiatorio, intuiamo facilmente chi sarà tra i primi sospettati.

 Io a volte non riesco a credere alle cose che partorisce la mente umana.
Se uno qualunque avesse scritto di un giro di droga geriatrico, probabilmente l'editore gli avrebbe riso in faccia. Pennac no. Pennac scrive di cose assurde col piglio di chi le prende incredibilmente sul serio non prendendo però sul serio se stesso. Si parla di sorelle futuriste e di anziani che prendono il nome della loro professione, di poliziotti travestiti e di giovinotti facoltosi che aiutano le anziane anzichè derubarle. Si parla di tortura, suicidio, cartelli della droga, figli illegittimi, relazioni fugaci, stati comatosi, e mai, mai, che si smetta di ridere.

Che il Pennacchioni sia intelligente mica ve lo devo certo dire io. La sua intelligenza finissima, secondo me, sta nella capacità di ironizzare su problemi serissimi senza mai passare per irrispettoso, ma anzi riportando l'attenzione su cosa conta davvero, e su come il bene sia, molto semplicemente, la cosa migliore che possiamo fare. Non è un caso allora che il povero Malaussène, per tutto il romanzo trattato dalla polizia come un pericoloso criminale, emerga alla fine come l'anima candida che è.
Quel Malaussène è un autentico santo, signor ispettore, probabilmente l'unico di questa città.
La famiglia è irresistibile. L'ambiente di familiarità è riconoscibile dalle primissime righe, anche se è passato qualche mese da quando ho letto Il paradiso degli orchi. Ogni Malaussène, con le sue piccole manie e le sue caratteristiche, è destinato a tatuarsi nel cuore.

Cosa fosse la vita di Pennac mica me lo ricordo.
Un libro suo è come un infuso di semplicissima contentezza, da usare per coccolarsi quando la giornata è un po' scura e il domani, come dicevano gli Articolo 31, fa un po' più paura. Avercene, di terapie omeopatiche così.

giovedì 13 luglio 2017

Nel guscio, Ian McEwan

17:51
Anni e anni fa ho letto Espiazione.
Pianti e disperazione, seguiti dalla decisione insindacabile che io, di McEwan non avrei mai più letto niente.
Accade poi che lo scrittore decida di prendere l'Amleto, un mio grandissimo amore, e di trasformarlo in un romanzetto breve ed esilarante, in cui a parlare sia un feto.
E niente, è stato di nuovo amore.



L'Amleto in questione, se così possiamo chiamarlo, è un feto senza nome, che vive beato nella pancia della sua mamma Trudy, involontario testimone del piano che Trudy e l'amante-cognato Claude stanno escogitando per uccidere John, il suo papà.
Nel frattempo degusta vini, ascolta podcast e dibattiti tv e si prende gioco di tutti noi.

Mettiamo che abbiate un pomeriggio libero. Che siate un po' stanchi, che il lavoro vi stressi, che il moroso vi tedi con la proposta di andare domenica a vedere l'Inter.
Facciamo così. Prendete Nel guscio, finitelo, poi tornate a ringraziarmi. (Anche se da ringraziare ci sarebbe Ian, ma tant'è). Sarà una lettura breve, quasi brevissima, ma piena. Il feto che parla è più brillante della maggior parte dei nati, ha spirito d'osservazione (paradosso, ok, intendo che è sveglio), e acume, assimila informazioni come una spugna e non manca di sottolineare tutto quello che sa, comprese le sue conoscenze sui vini (troppi) che la madre beve in gravidanza.

Gli adulti in questo libro sono passati sotto la più atroce delle lenti d'ingrandimento, quella dell'occhio giudicante e inflessibile dei bambini. Trudy è il personaggio più in contrasto, amatissima e tremenda madre assassina che il feto non può detestare sebbene lei con il suo comportamento sregolato lo metta anche a rischio, Claude è un pagliaccio, al quale il feto non concede un momento di tregua. Non ne fa una giusta, non è una bella persona e il feto non solo lo sa, ma nemmeno perde l'occasione di rimarcarlo. Il padre, invece, altro discorso. Ah, quanto amore ha questo feto per il suo papà! Sognatore illuso, il padre è un poeta innamorato e con delle fette di salame sugli occhi belle spesse come le tagliamo qui sul mantovano.

L'Amleto, quindi, diventa il racconto esilarante di una storia tragica, che non scade mai nella faciloneria delle risate crasse e scoreggione, ma che conferma come McEwan sia l'autore che tutti vorremmo essere.
Grazie al cielo abbiamo la fortuna di leggerlo.

giovedì 6 luglio 2017

Lo specchio nero - Gianluca Morozzi

19:45
Il bar in cui lavoro si trova in un paese che si chiama Bozzolo, è in provincia di Mantova. Domani sera, a Bozzolo, ci sarà Gianluca Morozzi a presentare il suo nuovo romanzo, Lo specchio nero.
Il caso vuole che io facessi la corte al signor Morozzi da un po', cioè da quando Francesca Crescentini, la solita Tegamini di cui vi parlo sempre, ha parlato di Radiomorte.
Radiomorte ancora non l'ho letto, ma la mia biblioteca aveva giusto appena comprato questo, quindi ne ho approfittato.


Il romanzo parla di Walter, direttore editoriale di una casa editrice bolognese. Un giorno si risveglia sul luogo di un delitto, chiuso a chiave tra due porte che solo lui stesso può aver chiuso. Walter non ricorda niente, ma sa per certo di essere innocente. Nella settimana successiva all'omicidio cercherà di fare chiarezza sull'accaduto.
Avevo detto che non ero più attratta dai gialli, e lo confermo. Inseguivo Morozzi perché le parole entusiaste di Francesca mi avevano contagiato (debole che non sono altro), ma non era tanto il genere ad interessarmi quanto piuttosto un nuovo autore con cui ricominciare il mio rapporto con la narrativa italiana.
Sono incuriosita?
Senz'altro.
Sono innamorata senza possibilità di redenzione?
No.
Lo specchio nero parte con ottime premesse, che suonano molto citazioniste (stanze chiuse dall'interno? Edgar Allan Poe, sei tu quello che intravedo?), e ritrae alcuni spaccati d'Italia molto interessanti. Ruoli di potere raggiunti con mezzi, diciamo, alternativi, sette religiose e le loro conseguenze, la realtà degradata dei quartieri più disagiati delle grandi città.
Tutto ciò, però, non sembra stare in piedi con un vero intento di approfondimento, quanto piuttosto come se tutto fosse solo volto alla risoluzione del caso. La sensazione è che ogni dettaglio sia messo lì apposta perché noi lo notiamo, così che poi il lettore possa sommare i pezzi del puzzle. Questo, ormai, è un lato dell'esperienza di lettrice che non mi importa più molto, ho avuto la sensazione di giocare ad un libro game e purtroppo non è più quello che cerco.
Oltretutto in questo caso l'assassino non è nemmeno un gorilla, che era una soluzione che con un eufemismo definirei brillante, quindi non ho nemmeno avuto particolare entusiasmo per il finale, che secondo me è il vero punto debole.
Questo non significa che ho chiuso con Morozzi. Radiomorte mi aspetterà, e non ho nessuna intenzione di fermare qui il mio ritorno all'Italia che scrive.
Solo, con qualche giallo in meno.

giovedì 29 giugno 2017

Il bazar dei brutti sogni - Stephen King

16:02
Non sono capace - nè tantomeno voglio - di porre alcuna resistenza quando esce il nome di King.
Finchè lui scrive io leggo, punto.
Non staremo qui a discutere degli alti e bassi della sua carriera, dei romanzi preferiti (Dolores Claiborne, Dolores Claiborne, Dolores Claiborne!) nè di quelli sfavoriti (oh, a me La Torre Nera annoia), nè del suo essere il più pop tra gli autori contemporanei.
Una cosa, però, è un dato di fatto, un dogma quasi religioso, un mantra da ripetersi nei momenti di incertezza:
Come li scrive bene lui, i racconti, quasi nessuno.




Il bazar dei brutti sogni è la sua ultima raccolta, datata 2015. È composta da 16 racconti, 2 poesie e 2 novellette. Non è che possiamo star qui a recensirli singolarmente, ma tanto per darvi un'idea veloce: secondo me sono più le storie che funzionano che quelle che falliscono. Che poi, non è che ami usare il verbo fallire, intendo solo che la maggior parte mi sono piaciute, ecco.

Storie come Ur, Miglio 81, Tuono d'estate, La duna, Il bambino cattivo e Una morte sono secondo me l'essenza del Kingone al cubo. Auto maledette (Miglio 81), dispositivi elettronici misteriosi, isole che anticipano la morte, bambini crudeli senza motivazioni e condanne a morte sono cose che abbiamo già sentito e amato dalle sue labbra. Non importa, perché quando l'argomento è maneggiato così bene potrà anche essere ripetuto all'infinito ma si ama comunque. Sono aspetti che hanno caratterizzato King fin dal principio della sua carriera e che oggi, dopo anni e migliaia di parole, non hanno perso smalto. Anche quando si corre il rischio di trovarli prevedibili (come è stato per me Giù di corda, già pubblicato in Notte buia, niente stelle), la qualità non cala.

Certo, non sono pazzeschi tutti e 18. Potrei (ehm) anche avere evitato del tutto le poesie. Nel complesso, però, le storie che proprio non mi sono piaciute sono pochissime, una su tutte Blocco Billy, la storia sportiva che mi ha annoiato a morte.
Quando Stephen King scrive racconti, però, tira fuori il meglio dalle sue parole, e ritorna agli antichi fasti.

Più noi pivelli pensiamo che King abbia finito il carburante e si avvicini alla destinazione, più lui se la prende a male e allora ricominciano i brividi.
Di gioia, però.

giovedì 8 giugno 2017

Il paradiso degli orchi, Daniel Pennac

16:33
Come avevo detto nel primo post sul giro in libreria, mi sono finalmente decisa a conoscere Malaussène.
Ho fatto bene.


Benjamin Malaussène è un capro espiatorio. Di lavoro, infatti, si prende la responsabilità di tutti gli errori di un centro commerciale, recitando la parte del pover'uomo e convincendo i clienti a ritirare le lamentele. Quando torna a casa si occupa dei suoi fratellastri e delle sue sorellastre, che la madre gli ha lasciato in gestione per andare in giro per il mondo con la fiamma del momento. Un giorno, nel centro commerciale scoppia una bomba. E poi un'altra, e poi un'altra.
Chi potrà essere il primo sospettato, se non un capro espiatorio?

Sapevo che Pennac mi sarebbe piaciuto. La sua fama lo precede, e sapevo che questo modo fresco di scrivere mi conquista sempre. Ero stata ben attenta a non costruirmi delle aspettative particolari, però, ché quelle lì sono delle nrutte bestie e rovinano sempre tutto. Quello che non sapevo, quindi, era quanto Pennac mi sarebbe piaciuto.
Ora lo so: tanto.
Se la bizzarria della famiglia Malaussène non fosse sufficiente a farvelo amare, e io credo basti da sè, vi dirò di più: la scrittura di Pennac è deliziosamente inaspettata. Pensavo a qualcosa di molto elementare nello stile che finiva per avere il suo risalto nei contenuti. Niente di più sbagliato.
Daniel Pennac scrive in un modo incantevole, che è sì leggero e scorrevole come olio di cocco sulla padella calda su cui state per fare i pancakes, ma è molto meno immediato rispetto all'idea che mi ero fatta. Nelle prime pagine, soprattutto, in cui il rapporto tra i membri della famiglia Malaussène non è ancora chiarito, serve un momento per fare il punto della situazione senza finire a pensare di essere impazziti.
La routine familiare è adorabile, ogni fratello ha caratteristiche e passioni molto pronunciate, che rendono ciascuno indimenticabile a modo suo. L'equilibrio in cui Benjamin deve restare per gestire da solo una famiglia molto numerosa e un cane epilettico ricorderà a tutti gli assurdi giochi di gestione familiare, in cui le bizzarrie di ciascuno non sono più assurde ma quotidiane, in cui ogni secondo della giornata è incastrato alla perfezione per non lasciare fuori le necessità di nessuno e in cui, tutto sommato, è l'affetto a tenere in piedi la traballante baracca.
Oltre a ciò, il giallo, le bombe che esplodono e i personaggi altrettanto inconsueti che lavorano nei Grandi Magazzini. Niente è lasciato al caso, ogni dettaglio è curato e divertente, e sì, ogni dettaglio fa ridere.
Fino alla risoluzione del caso, lì non c'è proprio niente da ridere.
Ed è lì che Pennac passa dal raccontare una storia buffa ad una ben più grande con un solo giro di pagina. In poche righe il romanzo assume tutt'altra piega, entrando nella lista dei Grandi, facendosi spazio nel cuore del lettore senza che questo nemmeno se ne renda conto.
È troppo impegnato a ridere.

giovedì 1 giugno 2017

Nonsolocinema: I segreti di Heap House

15:42
Maledette siano le aspettative e chi le ha create. O ancor più maledetta io, che mi conosco eppure continuo a farmele.
Puntavo questo libro da mesi. Avvistato in libreria e bramato immediatamente, è stata la lettura più desiderata di questi mesi.
Mi è piaciuto?
No.
E adesso venite a dirmi che non è una sensazione da schifo.



La famiglia Iremonger è disprezzata dall'intera città. Vive in una casa costruita da e su una discarica, e ha consuetudini molto radicate e bizzarre. Per fare un esempio, ad ogni Iremonger viene consegnato un oggetto natale, cioè un semplice oggetto della vita quotidiana (come un tappo da bagno) da conservare con estrema cura. Clod è un membro della famiglia, un ragazzino esile e malaticcio che ha la caratteristica di sentir parlare gli oggetti natali.

Quello che mi fa incazzare è che le premesse le ho amate. Se andassi in libreria e trovassi un altro libro simile, lo vorrei allo stesso modo, perché se c'è qualcuno che ripensa con nostalgia ai bei vecchi tempi in cui il nominatissimo Tim Burton faceva bei film quella sono io. I segreti di Heap House avrebbe potuto essere un nuovo La sposa cadavere e rendermi la ragazza felice e piena di soddisfazioni che ogni tanto credo di meritare di essere.
INVECE NO.
Quanto le volevo quelle atmosfere weird un po' schifosine in cui non capisci bene se i personaggi ci sono o ci fanno, volevo i rapporti familiari malsani, volevo un clima goticheggiante mischiato con una dose inaspettata di ironia. Questo mi diceva la copertina, questo suggeriva la quarta, così mi ha illuso Bompiani.
Tu quoque, Bompiani mia?
Mia amatissima, incantevole casa editrice. Nel post di giovedì scorso avevo appena palesato al mondo il mio amore per te, e tu ti prendi gioco dei miei sentimenti così, con un romanzetto che ci prova fortissimo a fare l'Henry Selick della situazione ma manca l'obiettivo cadendo rovinosamente nella pila dei libri non riusciti.
(Avete mai notato che nelle foto di profilo Selick pare l'Uomo Pallido de Il Fauno? Sono pazza?)

Ci sono gli ambienti giusti, ci sono alcuni personaggi che mi sono piaciuti (la Nonna e Tummis), altri che ho detestato in ogni momento (Lucy, Lucy, LUCY!), ma tutto sommato è il mordente che è mancato. Non ho letto passione, non ho letto la storia un po' marcia e un po' romantica che mi aspettavo. Mi fossi limitata a volere una lettura piacevole magari l'avrei pure amato, ma così no.

Peerò, oh, i disegni dell'autore quelli sì che son proprio belli.

giovedì 18 maggio 2017

Non solo cinema: Breve storia di (quasi) tutto

19:42
Mai letto saggi in vita mia, fino ad ora. Sono sempre stata tra quelle spaventate all'idea di leggere polpettoni infiniti, e i romanzi continuano ad essere quello che cerco più volentieri.
Però è arrivato Bill Bryson, e qualcosa è cambiato.


Breve storia di (quasi) tutto è quello che promette: un lungo racconto sulla nascita delle scienze come le conosciamo oggi.
Spoiler: fa tanto ridere.

Partiamo dai miei precedenti: io sono un'umanista, mi pare quasi ovvio. Alle superiori ogni parvenza di scienze mi dava la nausea, ho sempre fatto francamente schifo in ogni materia scientifica e oggi non so niente. NIENTE NIENTE. Esco con una compagnia di persone decisamente più intelligenti di me che ogni tanto si perdono in interessantissime discussioni di natura fisica, o chimica, o medica, e sono certa siano divertentissime. Io mi limito al sorrisino da bionda a cui si è bucata la gomma della macchina e attendo che si ritorni a parlare di scemenze, quelle che mi vengono meglio.
Adesso, però, posso raccontare loro di quel ricercatore che si beveva tutti i beveroni e infatti l'hanno trovato secco sul tavolo della cucina perché chissà cosa si era preparato.
E sapete perché?
Perché il testo di Bill Bryson è così.
Con un linguaggio a prova della bionda di cui sopra, ripercorre la storia dell'umanità e delle nostre conoscenze, riuscendo, ai miei occhi in maniera miracolosa, a non essere mai noioso. E badate che il libro è lungo venticinquemila pagine, il rischio c'era.
(Parlo per iperbole, ormai ci siete abituati, vero?)
La sua ironia è sottile e inaspettata, spunta tra una spiegazione e un racconto, con una battuta fulminea o con un aneddoto incredibile, ed intrattiene con la piacevolezza di poche cose che ho letto di recente.
Quanto avrei voluto leggerlo al liceo! È brillante, spiritoso, scorre come acqua fresca, e fa onestamente tanto tanto ridere, ma proprio di gusto.
Io non credo che qualche mia compagna di classe del liceo legga il mio blog, ma riesco ad immaginare i loro volti di fronte a me che rido di gusto quando si parla di fisica. Esterrefatti.
Lo sarebbe anche il professor Barbieri, il portatore originario dell'epiteto 'nano malefico' prima che Berlusconi entrasse nella mia vita da cittadina votante.

Breve storia di (quasi) tutto è il saggio da leggere se odiate i saggi, se non vi piacciono i polpettoni ma avete comunque uno sguardo curioso sul mondo.
Ah, e dice la verità su Einstein. acciocchè vi sia possibile umiliare pesantemente quelli che su facebook mettono foto improbabili con citazioni che il vecchio E. non ha mai fatto.

giovedì 11 maggio 2017

Non solo cinema: La principessa sposa

20:00
Lo scorso weekend a Cremona c'è stato il mercato europeo. Il centro della città era pieno di banchetti alimentari e non, ed è un evento che a me piace sempre tanto. Sotto la galleria della città, però, stavano i libri.
Con cosa sono tornata a casa?
Con una copia di The Princess Bride, in inglese e con questa copertina bellissima qui:


Facciamo che avete un bambino nella vostra vita. Un cuginetto, una sorellina, un vicino di casa affezionato, un nipote, un amico. Se ne sta lì, e gioca con le spade di legno. Oppure fa finta di cavalcare la scopa, oppure ancora ama i pirati. 
Mettiamo anche che ci sia la circostanza giusta per fargli un regalo, al bambino in questione (non che serva occasione per regalare libri ai bambini, ma tant'è).
Ecco, mettete da parte ogni vostra idea, perché c'è una sola cosa che farà gongolare il vostro bambino da qui all'eternità: La principessa sposa.
Ci sbilanciamo? Ci sbilanciamo: è perfetto.
È un mix esplosivo ed esilarante di avventure varie ed imprevedibili, di combattimenti e cuori che palpitano, di vendette e di torture. 

Di cosa parla lo sapete se avete visto La storia fantastica, ma ve lo riassumo così:
Buttercup (Bottondoro in italiano) e Westley sono innamoratissimissimi. Ma proprio di quell'amore grande e che scavalca le montagne. Il fato li separa: Westley viene rapito dal perfido pirata Roberts, Buttercup viene data in sposa ad un crudele principe. 
Riusciranno gli amati a riunirsi?

Mi rendo conto che la mia capacità di sintesi sia deplorevole, e che quindi sembri una storiellina d'amore per cucciolini indifesi. 
Ma manco per niente. 
Questo è un libro per bambini sfacciati e coraggiosi, con le mani che fremono dalla voglia di avventura e il tono della voce sempre troppo alto. Ci sono i pirati, gli eroi, gli spadaccini, le principesse, i cavalli, i cattivi cattivissimi e i cattivi non proprio cattivissimi, qualche parolaccia qua e là per sentirci grandi. Non manca niente, è una formula vincente per chiunque. Ai bambini regala sogni enormi, di quelli che fanno fantasticare anche quando il sogno è finito, ma è agli adulti che regala le vere sorprese.
Ragazzi, La principessa sposa fa spaccare dal ridere.
Io mica lo sapevo, ho visto il film da bambina e poi basta, lo ricordavo come una cosa seria. Devo rettificare: divorato in due giorni, risate incredibili. Battute brillanti, descrizioni spiritosissime e un po' di sarcasmo qua e là messo giusto per strizzare l'occhio a quei lettori che abbiano già le capacità per coglierlo.
Ma argomentare è anche inutile.
C'è Inigo Montoya, e tanto basta.

giovedì 4 maggio 2017

Non solo cinema: La tetralogia di Bartimeus

13:42
Oggi è un giorno cupo.
La vita intorno a me sembra scorrere normale, con il viavai di esistenze che mi circondano. Eppure oggi è un po' più triste, per me. Perchè oggi, giovedì 4 maggio, è il giorno in cui ho finito di leggere la saga di Bartimeus.


Questo incanto di saga per ragazzi (anche se lo sappiamo che i target a noi non interessano), uscito dalle ugualmente incantate mani di Jonathan Stroud, è formata da quattro volumi che parlano di magia. Io quando un libro parla di magia perdo la ragione.
In questo caso la magia è trattata in un modo bizzarro. I maghi, nel mondo di Stroud, non sono portatori di poteri magici, ma traggono la loro posizione privilegiata dall'essere in grado di governare i demoni. Demoni come Bartimeus, re indiscusso della saga.

Il primo volume, L'anello di Salomone, è un volume a sè stante, separato dai seguenti che formano una trilogia a parte. Tra l'altro è stato scritto dopo la trilogia, quindi non capisco perchè Salani l'abbia messo prima, in quell'edizione di cui vedete la copertina sopra, ma ce ne faremo una ragione. In questo primo volume siamo a Gerusalemme, nel regno di re Salomone, cosa che sono certa il titolo nasconde bene. Salomone, affamato di potere e ricchezze, manda maghi suoi sottoposti in giro per il mondo a trovargli tesori con poteri magici. Uno di questi pensa che sia una buona idea mandare Bartimeus. Nello stesso momento, una regina di un regno vicino a quello di Salomone manda una delle sue guardie ad uccidere il Re.
Chiariamo per l'ennesima volta una cosa: se si parla di medioriente io non ho difese, amo appassionatamente. Questo libro, quindi, che parla di magia a Gerusalemme (una delle città che smanio dalla voglia di vedere), sembrava fatto su misura per me. La città è quasi un personaggio a sè, insieme al deserto.
È qui che si fa la conoscenza per la prima volta di Bartimeus, un jinn di quarto livello.
Qualora la magia, i libri per ragazzi, e i libri orientali o londinesi non facessero per voi, lasciate che sia Bartimeus a trascinarvi in questo mondo pazzesco. Fondamentalmente è un cazzone. Non ha alcun rispetto per l'autorità, è furbo e dissacrante, con una visione distorta di sè e con un'ironia costante. Si perde la testa per lui dalla prima convocazione. È brillante, comunicativo, e anche piuttosto forte. È convintissimo che il mondo sia ancora in piedi solo grazie alla sua fondamentale presenza e dice di avere lavorato per i grandi. Ma tutti tutti i grandi. Sarà lui, oggi, a mancarmi più di tutto il resto, dopo 1600 pagine di costante Bartimeusitudine smettere sarà difficilissimo.

Questo personaggio, che già nel primo volume è perfetto, cresce a dismisura quando si inizia la trilogia. Questo perché il nostro demone preferito trova un padrone: Nathaniel.
A questo nome risponde un ragazzino, apprendista mago. È la definizione di apprendista che gli sta stretta: Nathaniel è curioso, un Hermione Granger al maschile pieno di cervello e voglia di imparare. Il suo maestro gli insegna le basi e lui già evoca demoni di nascosto nella cameretta. Ormai, però, dovremmo sapere che i cervelli brillanti sono anche inquieti. Il ragazzino, infatti, preso dalle sue (ottime) intenzioni, finisce per non combinarne una giusta e per creare una serie di eventi enormi che spesso sfuggiranno al suo controllo.
L'unione di questi due è felicissima. Se mi sarei aspettata un'amicizia di quelle alla Red e Toby, però, ecco che Stroud stravolge le aspettative: Bartimeus e Nathaniel si detestano per buona parte del tempo. Bisticciano, si insultano, si mettono vicendevolmente nei casini e se si salvano l'un l'altro è perché un vincolo importante come la vita li lega l'uno all'altro, decisamente contro la loro volontà.
Insieme, però, sono un fuoco d'artificio.
Come se questo non fosse sufficiente a farmi amare la saga, ecco che arriva lo sfondo: una Londra in rivolta, in cui i comuni (i babbani, insomma) non accettano la supremazia dei maghi e cercano una riscossa. Ci sono furti, atti vandalici, Finiamo in guerra in America, a Praga, nell'Altro Mondo. Il governo, formato da maghi, è in crisi e nessuno sembra avere la minima idea di come risolvere il problema.

Questa meraviglia di libro, però, non ha solo la storia ad essere bella. I libri hanno uno stile particolarissimo: si alterna la prima persona con cui Bartimeus racconta la sua versione della storia e la terza, con cui seguiamo Nathaniel. Come se ciò non bastasse, ecco le note, con cui il demone si rivolge direttamente al lettore. Delle perle esilaranti.

È stato un viaggio divertentissimo, pieno di valori buoni insegnati senza alcuna banalità, in cui il bene e il male si mescolano, esattamente come nella vita reale.
Un regalo incredibile se avete ragazzini a cui volete molto molto bene.

giovedì 13 aprile 2017

Non solo cinema: Ano Hana

20:04
La cultura giapponese non mi appartiene. Non leggo manga (o almeno, non li ho letti fino ad ora), non guardo anime, ho provato a leggere persino Murakami Haruki ma non mi è piaciuto. Per qualche motivo che non so spiegarmi lo Studio Ghibli fa eccezione, ma non è di Loro che voglio parlare oggi.
È del mio primo esperimento manga: Ano Hana, consiglio di mio fratello che della cultura nipponica ne sa molto più di quanto ne saprò mai io.


La storia è quella di un ragazzo che si è chiuso in se stesso, ha fallito l'esame d'ingresso in un prestigioso liceo della città, e ha perso gli amici dopo la morte di un membro del gruppo, Menma.
Il fantasma dell'amica scomparsa inizierà a fargli visita, intenzionato ad esaudire un proprio desiderio con l'aiuto dell'amico.

Il collegamento con la recente e ancora fissa in testa visione di 13 reasons why è immediato anche se un po' superficiale: una morte, un ragazzo ossessionato da questa morte, un gruppo di altri ragazzi che gli gira intorno. Se la serie Netflix mi aveva però completamente conquistata in nome di uno stile molto affine a quelli che sono i miei gusti, con Ano Hana il mio apprezzamento è arrivato con calma.
Il manga è composto di soli tre volumi che si leggono alla velocità della luce, motivo per cui ho scelto di iniziare da lui, e si prefigge di raccontarci l'elaborazione di un lutto così profondo. La cosa all'inizio mi aveva fatto storcere il naso.
Insieme a questo, la traduzione atroce e l'uso francamente offensivo della punteggiatura mi avevano fatto voglia di prendere i volumi e lanciarli dal balcone. Non sono miei quindi mi sono trattenuta. Non hanno aiutato nemmeno le espressioncine kawaii che a me fanno venire i brividi freddi.
Col tempo però è successo qualcosa.
Quello che all'inizio mi dava l'impressione di essere un drammone melò scritto con toni e riferimenti che non comprendo, pagina dopo pagina si è rivelato altro. Il fantasma di Menma non è comparso con lo scopo dolcissimo e strappalacrimissime di riunire gli amicy nel gruppo mitico dell'infanzia.
Se succede, è un effetto collaterale. Lei ha semplicemente fatto una promessa (che riconosco essere profondamente frignona e che quindi ammetto avermi fatto storcere il naso) e la vuole mantenere. In poche pagine si riesce a trattare il tema del lutto e dell'amicizia (insieme a quello, enorme e a mio parere trattato meglio), senza troppi fronzoli, andando dritti al sodo e con la voglia di dimostrare quelle che sono le cose che contano davvero. E poichè i miei amici sono la mia famiglia, direi che con me ha vinto facilissimo. La crescita, vista sia mentre avviene che grazie al confronto con i protagonisti bambini, è genuina e onesta, ho rivisto molte cose della Mari di qualche anno fa sparse per diversi personaggi. Ribadisco, in tre volumi si è riusciti a creare personaggi che pur essendo lievemente caricaturali sono riusciti e, se ridimensionati, credibilissimi.

Come primo approccio al mondo, direi che Ano Hana è stato un successo. Non ho in programma di diventare un otaku con il Giappone come solo scopo nella vita, e state tranquilli che non mi vedrete mai ad una fiera del fumetto conciata come un personaggio di finzione, ma sono uscita dalla solita comfort zone ed è stato bello.
Datemi bello e finisco per recensirvi Checco Zalone.

giovedì 16 febbraio 2017

Non solo cinema: Camere Separate

19:20
Abbiamo aperto la settimana di San Valentino parlando di come si sopravvive alla morte di un'amata. Proseguiamo con lo stesso tema, ma con toni notevolmente diversi. 

Io non conoscevo Pier Vittorio Tondelli, giuro che non l'avevo mai sentito nominare, perchè quando si parla di letteratura italiana sono di un'ignoranza vergognosa. Ora sto approfondendo la conoscenza, perchè la lettura del suo ultimo romanzo mi ha folgorato.


Camere separate è la storia autobiografica di come si sopravvive ad un amore che muore. Non nel senso di una relazione finita ma, come era stato per Nina Forever, nel senso del sopravvivere ad un amato che muore. Leo, l'alter ego di Tondelli, conosce Thomas a Berlino e se ne innamora. Quella che nasce è una storia d'amore immensa, che ci viene raccontata attraverso i numerosissimi flashback di cui il libro è cosparso.

In un numero limitato di pagine Tondelli esplora una vastita di sentimenti, drammi, angosce, e li riporta sulla carta con una chiarezza cristallina, quasi vivisezionandoli. Non lo vediamo mai scadere nell'autocompassione, ma analizzare con sguardo quasi freddo quel dolore che lo sta annientando. Una capacità incredibile, che spero con tutto il cuore gli sia stata d'aiuto a superare un lutto così assurdo, perchè se davvero Leo è Tondelli allora io, Pier Vittorio, che bene che ti voglio. Quanto ho sofferto con te. Leo è un personaggio come pochi altri ne ho trovati. È talmente tridimensionale, completo, umano, reale, che è impossibile non avere empatia massima. Non si lamenta mai del suo dolore, non se ne fa investire, ne vive semplicemente le conseguenze non potendo fare altro che osservarle compiersi. 
A noi questa sopravvivenza è raccontata in modo quasi chirurgico: la storia non è narrata in modo lineare ma con episodi disparati, della vita quotidiana, che diventano il modo migliore per conoscere i due amanti. La lingua di Tondelli non è la stessa mia, non è l'italiano che usiamo per parlare. È preciso ma semplicissimo, non fa uso di esagerazioni nè di vezzeggiativi. Sono i fatti a parlare da sè. Il modo di esplorare come mai Leo si comporta in un modo piuttosto che un altro è di un'umanità disarmante, anche quando non si condividono le sue azioni è impossibile non comprenderle. 

In tutto ciò, protagonista è l'amore. Amore nato come travolgente passione, raccontata nei dettagli ma priva di qualsiasi volgarità, e diventato la storia della vita. Arrivato dopo una storia di fondamentale importanza, dalla quale Leo credeva non si sarebbe ripreso mai, Thomas si è preso uno spazio incredibile, costruendo con il protagonista una storia senza precedenti, per peculiarità e intensità. Leo e Thomas sono stati lontani, non si sono parlati, si sono presi e lasciati, si sono avuti ma mai posseduti. 
Poichè di solo amore non è fatta la vita, però, incrociamo anche gli altri grandi temi della vita di Leo: l'omosessualità e quindi il rapporto con la società, la fede, il lavoro. Temi di tutti e di nessuno. Ma poche altre volte ne avevo letto così.

Come mi era successo con Storia di una vedova sono rimasta affranta da una lettura intensa nei temi ma mai nei modi. Ed è proprio la dignità con cui questi lutti sono stati affrontati ed esposti a farmi amare così appassionatamanete i due autori.
Però come è difficile volere bene agli Artisti, a volte.


(Per un po' basta sofferenze, perchè qua non si può mica andare avanti a questa maniera)

giovedì 9 febbraio 2017

Non solo cinema: Guillermo del Toro Cabinet of Curiosities

19:16
Giusto un paio di settimane fa dicevo che leggo in digitale. Un guilty pleasure cartaceo, però, è rimasto: i coffee table books, ovvero quei libri che sono quasi oggetti d'arredamento, belli quasi più da sfogliare che da leggere. Grafiche interessanti, colori, volumi bellissimi. Chiamarli guilty pleasure è un po' sbagliato, in effetti, perchè io li sogno e basta, mica li compro, perchè i bastardoni sono costosissimi. Il Cabinet of curiosities dell'uomo della mia vita GDT è un regalo, infatti (💝). Costa una sassata. Fare una recensione di un libro del genere è quasi impossibile, ma può essere interessante discutere insieme del prezzo e del valore effettivo, per valutare quanto valga la pena.


Intanto è un volumone. Ma proprio grosso, di quelli che in libreria dovete tenere coricati. La carta è spessa e liscia come la pelle di un avambraccio dalla parte del palmo. Si alternano pagine interamente fotografiche o di illustrazioni ad altre discorsive, oltre a quelle con illustrazioni e foto più piccoli. Anche quelle di sole parole, però, non sono classiche pagine bianche, ma di un bellissimo beigiolino di cui vorrei almeno un paio di vestiti, con quelle bellissime cornicette intorno che mi fanno venir voglia di sfogliare il libro e basta, tanto per rendegli giustizia. È, in soldoni, esteticamente un volume splendido, da sfogliare e risvogliare.

Accade poi, per una felicissima unione di bellezze, che il libro in questione parli interamente di Guillermo del Toro. Se non avete letto questo post non lo sapete, ma il messicano è il mio regista del cuore. Il primo preferito, quello che parla in un linguaggio che pare fatto su misura per me. Un libro intero su di lui non è solo una cosa bellissima, è un sogno. Quindi sconsiglio l'acquisto a chi non ama il signore in questione, che pare una cosa scontata ma oh, non si sa mai.
Si parte parlando della sua vita, ed è interessantissimo. Più avanti si parlerà delle influenze artistiche e della creatività, ma qui ci sono proprio le origini, la bellezza di una mente geniale che si forma e che brulica da subito di entusiasmi ed interessi. Certo, potete guardare Trollhunters per vedere una fedele rappresentazione del giovane Guillermo (qua il post della mia amica Kara Lafayette), ma se non dovesse bastarvi, qua c'è il resto.
Non farò spoiler per chi se lo vorrà comprare e leggere queste cose da sè, ma la cosa migliore devo dirla. La famiglia di GDT era povera in canna quando lui era bambino. Un bel giorno suo papà ha vinto alla lotteria e hanno fatto i big money. Il papà DT, che per fare un figlio così scemo scemo non doveva essere, pensava che a fare la differenza in una casa fossero i libri. Prima cosa comprata con i big money in questione, quindi, furono due enciclopedie: una medica e una di storia dell'arte.
Adesso rileggete quest'ultima parte e ditemi se non è la sintesi perfetta di quello che è il lavoro di DT. Non ne avevo idea prima di leggere il libro, ma quando ho letto questa frase ho pensato che non poteva che essere così. Anatomia e arte.

La sezione successiva parla di quel capolavoro che è Bleak House, il Cabinet of curiosities reale di quello sperperatore seriale di danaro che è Nostro Signore. L'intera abitazione è un museo, pieno (MA PIENO SBOBBATO) di reliquie, ricordi, libri (tantissimi libri), statue, pezzi da collezione, che derivano dal mondo del cinema, della letteratura, dell'arte e non solo. Ha stanze tematiche, angoli dedicati ad artisti in particolare, ricordi del suo lavoro, opere dei fan. È strabiliante, un giorno intero non sarebbe sufficiente a scoprire ogni piccola cosa presente. Ed è tutta rossa, il che mi fa sempre sentire a mio agio.

Pare poi che il divino sia un fanatico della scrittura, credo sia nel gruppo delle Cartopazze su facebook in incognito. Tiene da anni migliaia di quaderni pieni di annotazioni, disegni, schemi, idee. Il tutto per le sue figlie. O meglio, ha iniziato perchè è fatto così, e capisco che tenere a bada una mente così attiva senza segnarsi niente sia pure complesso, ma col tempo ha deciso di averne particolare cura, perchè restassero alle figlie. Se riuscite a non commuovervi...
Pensate a che patrimonio gigantesco avranno per le mani ste ragazze, non oso pensarci.
Nel volume abbiamo l'onore di vedere alcune delle pagine di questi quaderni: sono frenetiche, scarabocchiate, colorate, scritte metà in inglese e metà in spagnolo. È un piccolo spaccato sul suo lavoro, sul suo modo di creare, ed è magico.

Infine, finalmente, si parla del suo cinema. Dopo una parte in cui si parla delle sue influenze e delle sue preferenze, in arte e in letteratura, si inizia a parlare dei suoi lavori, sia di quelli di cui (grazie. al. cielo.) possiamo fruire, sia di quelli mai completati (ancora ci spero in quelle Montagne della follia....). Il tutto in una chilometrica intervista, in cui GDT ci prende per mano e ci accompagna nel suo lavoro, dall'idea alla realizzazione, film per film. È un incanto

Quelle che per me sono la vera chicca del libro intero, però, sono le parole degli altri. Il libro intero è disseminato di brevi interventi di nomi di gente assolutamente irrilevante: James Cameron, Mike Mignola, NEIL amoremio GAIMAN, Ron amoresuo Perlman...
Leggendo l'infinita stima che questi giganti provano per lui si conferma la cosa più importante. Il valore della nostra vita, delle nostre opere, del nostro lavoro, si valuta in base a quello che lasciamo agli altri.
E quello che lascia Lui è immenso.

(Sì, il libro li vale i soldoni. Se potete, è imperdibile.)

giovedì 2 febbraio 2017

Non solo cinema: Il barone rampante

16:42
Per secoli mi ripromettevo che avrei letto Calvino. Poi, molto semplicemente, gli preferivo altro. Fino a che, scorrendo la mia libreria digitale per caricare il lettore (qua parliamo del mio lettore e della sua storia appassionante), trovo un Calvino, messo lì, in disparte. E allora che sia finalmente il suo turno.


Il barone rampante è un ragazzino di nome Cosimo, di evidenti nobili origini, che dopo un litigio col padre decide di salire su una pianta per non scenderne mai più. La sua storia ci è raccontata dal fratello minore, Biagio.

Ci sono un po' di anticipazioni, occhio

La prima metà de Il barone rampante l'ho divorata nella prima sessione di lettura. Mi accattivava tutto: nomi dei personaggi, storia, il bizzarrissimo e splendido stile di Calvino mi avevano completamente assorbita. La malefica sorella Battista, ad oggi, è ancora il mio personaggio preferito. La caratterizzazione dei personaggi era stravagante, anche solo i loro nomi erano divertenti. Credo anche che tutto questo dilagante entusiasmo che avevo fossero merito del fatto che fosse il mio primo incontro con Calvino. Non avevo la più pallida idea di che tipo fosse, a parte le ovvietà che si studiacchiano a scuola, quindi sulle prime mi sono lasciata trascinare in giro per la follia che mi stava raccontando.
Poi sono arrivata a metà. E lì mi sono inchiodata.
Finire sto benedetto romanzo, che è tra l'altro brevino, mi è costato una fatica incredibile. Occhi sanguinanti.
Io mi rendo conto che con l'affermazione che segue rischio di giocarmi il diritto di parlare di libri, ma se devo continuare a parlare di pancia, e voglio farlo, devo dirvi come sono andate le cose: mi sono rotta le balle. 
Prima il cane, simpaticissimo, va bene.
Poi il ladrone, bizzarro, prendiamo anche lui.
Avrei voluto ci fermassimo lì. Anzi, ritratto: non lo so cosa avrei voluto, perchè di fatto non è mancato niente. Gli avvenimenti ci sono stati, non è un romanzo statico, c'è stata la critica alla società, che ci piace sempre e non passa mai di moda (sarà che non passa mai di moda perchè noi umani del ciumbia non cambiamo mai? Così, la butto lì), c'è anche stata la storia d'amore con il ritorno della viziatissima Viola. Si è parlato di famiglie, di amori, di questioni paesane, di legalità, il tutto con quello stile che all'inizio mi aveva tanto appassionata.
Da metà in poi, però, vuoi perchè la mia mente non era più sovrastimolata dalla bellissima novità di una scrittura diversa da quelle a cui sono abituata, vuoi perchè lo stare sugli alberi aveva smesso di essere il punto della questione, io alla fine mi sono annoiata.
Sono pronta a scommetterci tutti gli arti insieme che alla fine la colpa sarà mia perchè sarò io che non avrò capito un cdn, non me ne stupirei, quindi prendete questa opinione per quello che è: un sincero discorso di slancio.

Su Calvino torno di sicuro, magari non subito, ma state pur certi che mi terrò lontana dalle piante per un po'.


giovedì 26 gennaio 2017

Non solo cinema: Il peso dei segreti

18:23
Io e la letteratura orientale ci siamo incontrate poche volte. C?è stato un periodo della mia vita in cui credevo mi piacesse Banana Yoshimoto, ma praticamente è finita lì. Poi una booktuber ha parlato di questo libro e quando l'ho visto lì, freschissimo d'acquisto, tra le novità della mia biblioteca, non ho saputo resistere.


I segreti di cui parla il titolo sono quelli di una famiglia giapponese. Il primo che ci viene svelato riguarda un omicidio, compiuto da una figlia ai danni del padre, che ha avuto luogo il giorno in cui su Nagasaki fu sganciata la bomba atomica, e che grazie a questa coicidenza temporale resterà nascosto per anni.

Una simile premessa poteva far pregustare un noir di quelli belli profondi e d'atmosfera, un libro sul senso di colpa, sul tormento.
Con una copertina così, però, chi voglio prendere in giro?

Il peso dei segreti è 'soltanto' una saga familiare, strutturata in quattro miniromanzi, vissuti da altrettanti punti di vista diversi. Ogni capitolo è introdotto da una splendida illustrazione, alla Feltri sono stati bravissimissimi. Si arriva al succo del problema con il tempo, la scrittrice non ha alcuna fretta, nonostante racconti più di 50 anni di storia in un romanzo che non è un tomo insormontabile. Con la pacatezza che di consuetudine attribuisco all'Oriente veniamo condotti in una storia che di pacato non ha nulla. Parlando della vita di alcune persone ci viene fatta una panoramica della storia del Giappone, non solo intorno alla seconda guerra mondiale. Il rapporto con Corea e Russia, per esempio, la società divisa per famiglie importanti, l'importanza dell'apparenza. Una società sviscerata nel racconto di alcuni suoi membri, che sono convenzionali solo in apparenza. Come ogni 'normalità, però, è inconvenzionale per definizione, quindi ogni membro della famiglia nasconde qualcosa, e sono proprio i vari qualcosa a comporre la storia.
Ha senso questa frase? Chissà.
Il romanzo si divora in pochissimo, complice un linguaggio semplicissimo, fatto di frasi concise e capitoli altrettanto, che scorrono come ciliegie, uno via l'altro. Per quanto mi riguarda, è stato proprio un bel viaggio.

Confrontandomi così di rado con una società così distante dalla mia mi sono trovata diverse volte a chiedermi il perchè di certi comportamenti e di certe affermazioni (per esempio, pare che i giapponesi abbiano una lacrimazione costante. Piangono più di me e credetemi che è tutto un dire). Bisogna solo aprirsi un po' e io, che sono così viziata dal surplus di cultura occidentale, ho bisogno di esercitare questo aspetto della mia vita sia da lettrice che da cinefila.
Quando ci si prova, però, ci si rende conto che alla fine quel modo di dire che sostiene che tutto il mondo sia paese è proprio vero. Che le preoccupazioni, i dubbi, le fonti di serenità sono le stesse per tutti.
E tutto il resto passa in secondo piano.


mercoledì 18 gennaio 2017

Di come la lettura in digitale mi ha salvato la vita

21:44
Non ho mai posseduto tanti libri. I motivi sono diversi: la biblioteca comunale del mio paese di nascita stava sopra alla mia scuola materna, quindi quando uscivo da scuola mia mamma mi accompagnava quasi tutti i giorni al primo piano a prendere qualcosa, creando in me una dipendenza patologica dall'ambiente bibliotecario. Il secondo, forse ancora più importante, è che i libri costano uno sproposito.
Questa mia tendenza a non acquistarne mai mi ha accompagnato nel corso degli anni e ancora oggi che ho un lavoro e un'indipendenza scelgo di non comprarne quasi mai. Io 25 sbleuri a Sperling&Kupfer per l'ultimo King non li dò nemmeno sotto tortura.
Una gioia però illumina il mio sentiero: sono nata nel secolo giusto. Esiste la lettura in digitale.
Il mio lettore ebook vive con me da tre anni, è stato il regalo di compleanno migliore che potessi ricevere, è diventato il mio migliore amico e chiaramente ha un nome: Neil.

Ciao sono Neil

Da tre anni a questa parte, quindi, le mie abitudini da lettrice sono molto cambiate, e dopo avere sottoposto il mio Neil alle migliori avventure sono pronta ad avere un'opinione a riguardo.
Prima, un po' di presentazioni: Neil è un lettore della TrekStor, è un modello Pyrus 2 LED. Pesa niente, non ha internet, è in bianco e nero e non ha touch ma i cari vecchi tastini.
Perchè partire dalla presentazione?
Intanto perchè Neil è educato. In secondo luogo per toccare il primo tema, quello che ha influenzato la mia scelta e che è il beneficio principale, imho: il risparmio.
Comprare un lettore può avere un prezzo contenuto, si trovano device anche intorno ai 60€, e da lì è tutto in discesa. Certo, se volete l'ultimo Kindle magari spendete un attimo di più, ma lì è una scelta. Se volete stare in un budget le possibilità ci sono e sono sconfinate.
Ora, avete il vostro lettore. Lo amerete dal principio.
A questo punto, cosa fare?
C'è da procurarsi i libri.
La prima strada che a tutti viene in mente è quella illegale, e non devo certo insegnarvela io. Questo ambito va a discrezione del vostro senso etico, i torrenti da navigare li conoscete. Restiamo nell'ambito del legale, però. La prima cosa da sapere è che la stragrande maggioranza dei classici sono in download libero e legalissimo, perchè non più vincolati dai diritti d'autore. Tolstoj, Shakespeare, la Alcott, Dickens, e infiniti altri, sono disponibili e fruibilissimi. Liber liber è solo uno dei mille siti che offrono questo servizio.
La seconda possibilità è il prestito bibliotecario digitale. Sì, so che è il suono del Paradiso, ma una cosa del genere ESISTE. Il sito si chiama, ovviamente MediaLibrary. Funziona così: andate in una biblioteca fisica sperando che aderisca al servizio. Se non aderisce cambiate biblioteca. La bibliotecaria vi crea un account autorizzato e voi siete pronti. No, non potete farvelo da casa, deve passare attraverso una biblioteca. Un paio di accorgimenti tecnologici (che se sono riuscita ad avere io sono proprio a prova di scimmia), e si parte. Il catalogo è GIGANTESCO, e in più il sito offre a sua volta il servizio di download definitivo dei classici. Scegliete il libro, lo scaricate, lo mettete sul vostro dispositivo e leggete. Una quindicina di giorni dopo il file si cancella, e la restituzione è automatica.
È una manna dal cielo.
In tutto ciò non avrete speso una lira.
Altre belle notizie: gli ebook per ovvi motivi costano meno dei loro fratelli cartacei, le librerie online (Amazon in particolare) fanno spesso offerte incredibili e potete bazzicare nell'ambiente dell'editoria indipendente e del self publishing.

La comodità è il secondo, straordinario, beneficio della lettura digitale. Che voi siate pendolari o viaggiatori seriali, o anche solo che amiate portarvi in giro sempre qualcosa da leggere, su un lettore leggero come l'aria stanno un quintale di libri. Ho letto parte di Infinite Jest in digitale e vi assicuro che le mie spalle ne hanno giovato. La batteria ha un'autonomia incredibile, i device di solito hanno mille volte la resistenza di uno smartphone medio e potete passare con tranquillità da un volume all'altro. Non c'è davvero storia.

Mi è servito tempo ad adattarmi ad un nuovo stile di lettura, e ci sono volumi che ancora oggi preferisco per comodità leggere in cartaceo (Infinite Jest per le note e Casa di foglie per l'impaginazione stravagante, per fare due esempi), ma ho una sola opinione su chi sostiene tesi antidigitale arrecando giustificazioni completamente prive di senso come quelle riportate in questo brillante articolo de Il Corriere della sera: questa è gente che non legge. Se ti distrai leggendo un libro in digitale le ipotesi sono due: o non hai testa perchè in quel momento non sei al massimo, e succede a tutti, non è sempre il momento buono per leggere, o semplicemente il libro non ti piace. Provate ad iniziare la saga della Ferrante in digitale e tornate a dirmi se siete stati in grado di distrarvi. L'articolo dice anche che con gli ebook empatizziamo meno perchè non capiamo a che punto siamo del testo e quindi sembra tutto uguale. Lascio a voi il giudizio su questa frase perchè a me ha lasciato con un po' di mumble mumble aleggianti sulla testa. Questa è gente che non solo legge poco e probabilmente male, ma è anche gente che un ebook non l'ha mai posseduto in vita sua.
(Disclaimer: se hai letto tutto Dostoevskij non vuol dire che leggi bene. Vuol dire che magari leggi tanto, e non è la stessa cosa.)
Che le preferenze personali siano sacrosante ed intoccabili è indubbio. Il mio ragazzo compra solo ed esclusivamente libri nuovi, l'usato non gli piace e in biblioteca ci va solo quando non trova quello che cerca (e quando finirà la saga di Dune secondo me non ci tornerà per un po'!), eppure considerando che Neil è un suo regalo direi che non ha pregiudizi sul digitale.

La mia opinione è piuttosto sempliciotta e banale, ma se non altro non è polemica: se quello che ami è il contenuto, allora accogliamo il futuro nel nostro presente e godiamone. Se questo modo dovesse avvicinare qualcuno in più alla lettura allora avremo vinto tutti. Penso magari ai quei famosi giovani che sappiamo essere sempre molto peggio degli adulti, brutti giovanotti non ci sono più quelli di una volta che vendete il bonus cultura.
E Djenteelonee che fa??

giovedì 5 gennaio 2017

Non solo cinema: Blankets

11:31
Da mesi facevo la corte a Blankets, ma la lettura veniva costantemente rimandata dalla mia povertà: 30 sacchi per una graphic novel mi paiono un attimo eccessivi. Giusto giusto per Sandman potrei spenderli. In mio soccorso arriva il mio amico ricco Tobia, che si porta a casa il volumone e in un eccesso di generosità me lo presta. Devo ancora riportarglielo.


Trattasi di racconto della vita dell'autore, che risponde al nome di Craig Thompson. In particolare, si affrontano alcuni momenti della sua infanzia: il rapporto con il fratello minore, l'educazione religiosa ricevuta e più in generale la fede, e la prima storia d'amore. Le coperte sono il fil rouge della crescita di Craig, sono prima il simbolo di una condivisione intimissima, quella del letto, e poi diventano il ricordo migliore di un affetto andato perso nel tempo. È bellissimo l'uso dell'immagine della coperta come simbolo del calore non solo di temperatura: Thompson lo sa e intorno alle coperte ci costruisce una storia intera.

Blankets è, facciamola breve, bellissimo.
È dolce, intimissimo ma riservato, ricercato, sentitissimo. Che stiamo parlando della vita stessa di chi scrive si percepisce, perchè i personaggi sono trattati con un calore che traspare dai disegni e dalle (poche) parole. Craig si ritrae anche nei lati peggiori, come l'essere vittima di bullismo, che lo rendono non una macchietta da fumetto ma un umano reale e a tutto tondo. Come lui, gli altri personaggi che lo circondano. Il fratello minore Phil, che è studiato più in relazione al fratello che come persona a sè, i genitori e Raina, la ragazza per cui si prende la prima cotta. Sono tutti imperfetti, ma umanissimi. I genitori sono cattolicissimi e 'sbagliati', eppure sono umani. Lo sono all'inizio quando ci sembrano mostri terribili e lo sono alla fine, quando sembrano una famiglia come tutte le altre. Raina è una ragazza con più lati di quelli che sembrano: è la ragazza ribelle e popolare a scuola, e la bravissima sorella maggiore che accudisce i fratelli minori problematici. Sarebbe stato troppo facile incasellarla in una sola definizione, e approfondire quella. Essendo tutti personaggi reali, però, un solo lato non è sufficiente a disegnarli.

I disegni sono 'grossi', non sono certo fatti di linee delicate e fini, sono spesso scuri e importanti, ma si finisce per disegnare gli occhi con solo due linee, che finiscono per essere molto più espressivi di tutto il contorno.

Per me Blankets è stato una delle letture a fumetti più intense dell'ultimo periodo. Non si parla di cuori spezzati con questa classe così spesso.

Vi lascio un'intervista che lo youtuber italiano Dario Moccia ha fatto a Thompson. Conoscere l'autore è il modo migliore per capire quanto di lui ci sia nel suo racconto.



Questo il link per acquisare Blankets su Amazon

giovedì 22 dicembre 2016

Non solo cinema: Guida galattica per gli autostoppisti

21:13
Che a me viene sempre da chiamare Guida galattica per l'autostoppista. Al singolare.

Ce la ricordiamo la Mari di una volta? Ostile alla fantascienza tutta, 'che non mi si parli di robot e astronavi che vi lancio fuori dalla finestra'. E sì, horror e fantascienza sono due lati dello stesso genere, quello del Fantastico, e sono tanto legati e si vogliono tanto bene, ma a me ne piace solo uno. Così è la faccenda.
O meglio, così era la faccenda, dato che in una settimana si è parlato prima di Star Wars e ora, immancabilmente, di Douglas Adams.
Non lo so cosa sia successo e non voglio parlarne, prima o poi mi rivolgerò ad un professionista così che risolva quel groviglio di orrori che è il mio cervello.


La Guida galattica è una trilogia in cinque parti, che ha questa premessa: la Terra è andata distutta, e con essa l'umanità intera. Con un'eccezione però: il terrestre Arthur Dent è sopravvissuto al disastro, salvandosi insieme a Ford Prefect, il suo amico alieno. Non che Arthur fosse a conoscenza della sua natura extraterrestre, comunque. Insieme elemosineranno un passaggio ad un'astronave di passaggio, e da quel momento inizierà per loro una sequela di avventure in giro per l'universo.

Partiamo da alcuni sacrosanti presupposti:
1. Douglas Adams era un fenomeno, questo è indiscutibile e la sua capacità immaginifica era straordinaria. Chissà cosa avrebbe creato con un po' più di tempo a disposizione.
2. A me il nonsense piace molto. Mi diverte da matti.

Con queste premesse crederete che la Guida galattica sia diventata uno dei miei libri preferiti.
Ehhhhh. No.
Siamo di fronte a 800 e qualcosa pagine (se si legge la trilogia in cinque parti per intero) di puro nonsense. Quasi non c'è altro. Sì, ci scappano l'avventura, lo spazio, i robot (Marvin <3, ti ho amato appassionatamente), i topi. Ma fondamentalmente è un distillato di fortissima e ferocissima ironia britannica.
Insomma, fa spaccare dal ridere. Ma proprio di quelle belle risate a voce alta!
Però per me ad un certo punto è stato troppo. Ok, io sono quella che non ama la comicità, è mille volte più facile farmi piangere che ridere, eccetera eccetera, ma guardate che 800 pagine di solo ed esclusivo humor, battute, frecciate, trovate folli, si sono susseguiti quasi spintonandosi per uscire per tutto il tempo, ed alla lunga questo mi ha reso la lettura un po' impegnativa. Ho anche considerato che fosse colpa mia: io leggo quasi sempre più di un libro per volta e alternare questo uragano di follia a qualcosa di più convenzionale forse me lo avrebbe reso più digeribile. Adesso sono in iperglicemia, sono riempita di zucchero da qui all'eternità, mi tocca una tragedia greca per ribilanciare.

Io lo regalerei tantissimo a qualcuno di molto giovane: l'inventiva di Adams nel creare marchingegni spaziali è esilarante (c'è il Motore ad Improbabilità Infinita, la macchina Nutrimatica, il Vortice di Prospettiva Totale...) e ispiratore, la vicenda è appassionante e si presta benissimo alla fandom più selvaggia, la scrittura è leggera e scattante. Sarebbe perfetto per un ragazzino di 15 anni e tanta passione da sfogare. Io, purtroppo, ne sono stata colpita solo in parte, e sono arrivata a finirlo per senso del dovere. Di Adams comunque cercherò di leggere altro perchè un cervello così va valorizzato il più possibile.

C'è anche da dire questo, in difesa del romanzo: io e la fantascienza ci guardiamo ancora male e a distanza, non fa niente se mi è piaciuto molto Star Wars. Forse se tutto questo delirio colorato e arzigogolato fosse stato impiantato in una storia più affine ai miei complicatissimi gusti l'avrei amato alla follia, chi lo sa. Forse un horror idiota così mi avrebbe perso un filino di pathos, ma magari gli avrei voluto bene comunque.
Mi sa che ho solo fatto il passo più lungo della gamba.

Qui il link per acquistarlo su Amazon

mercoledì 14 dicembre 2016

Non solo cinema: Barcamenarsi nel marasma Stephen King

18:09
Entrate in una libreria, preferibilmente in una grande catena a caso. Dritti a muso altro verso la sezione Horror. Davanti a voi solo due cose: Twilight e Stephen King.
Questo è sbagliato sia per la povera narrativa dell'orrore che per il mica tanto povero SK, che secondo me ne ha anche un po' piene le tasche di sentirsi limitato ad un genere.
Siamo vicini a Natale, e se la mia Guida ai regali non fosse sufficiente, ecco un altro spunto. Il vostro amico/amore/genitore/collega vuole iniziare con King ma voi non ne sapete niente? Ecco come uscire indenni dalla sezione horror della vostra libreria.

Una rara foto di SK mentre fa il cosplay di Leo Ortolani

La prima regola per non toppare il regalo è conoscere un minimo il destinatario. Sembrerà banale, ma guardate che non è così. Questo post è pieno di miei suggerimenti basati su quelli che sono i miei gusti, e come tale va preso. Altro disclaimer necessario è che non ho letto tutta la produzione del signore in questione per un semplice motivo: ho solo 26 anni e il fetecchione è la penna più veloce del west.
I link in rosso sono quelli che, come al solito, vi rimandano alla pagina Amazon.

Un primo, grande, dilemma: è vera la diceria sul fatto che dopo l'incidente King si sia dimenticato quello che sapeva fare?
IMHO, sì.
Quindi via libera a tutto ciò scritto prima del 99 e un po' più cautela con quello venuto dopo.

Prima grande distinzione da fare: romanzi o raccolte di racconti?
Tenendo sempre bene presente il gusto del destinatario del libro, il mio consiglio è sempre uno: racconti >>>>>>> tutto il resto.
Se diamo per scontato che SK sia molto bravo e basta, dobbiamo anche ricordare che è umano e che qua non siamo (più) fangirl: ha pregi e difetti, in alcune cose è più bravo che in altre, e per me i suoi racconti sono quasi perfetti.
La mia preferita è tra le più famose. Banale? Siamo d'accordo, ma se una cosa diventa così popolare un motivo ci sarà. Signori, c'è da leggere Scheletri. I racconti contenuti sono tanti e generalmente brevi, e fanno l'ovvio effetto ciliegia, ne inizi uno e ne vorresti leggere altri quindici. Manipolare con cautela: è contenuto qui un racconto che ad oggi è il mio preferitissimo ma che ai tempi mi ha tenuta ben sveglia la notte: La Nonna. Perché SK non fa paura sempre, ma nemmeno lo vuole. Ogni tanto, però, lo vuole, e allora sono volatili senza zucchero per tutti.
Le raccolte di racconti di King si distinguono in due 'sottocategorie': le raccolte con quattro/cinque storie più lunghe, quasi delle novelle, che non prediligo, e quelle brevi, le cui raccolte contano centordici storie per volta e che ci lasciano sazi e soddisfatti. A questa seconda categoria appartiene anche Tutto è fatidico, non da sottovalutare. Un nome su tutti per la categoria 'novelle': Stagioni diverse. Ma occhio ai cuori deboli: è quella di Stand by me.
La cosa molto carina delle raccolte di racconti è che presentano sempre qualche riga per raccontare la nascita del racconto, e King è sempre adorabile quando parla di sè.

Prima di passare ai romanzi è il caso che vi procuriate dei popcorn, temo che faremo notte.

Il mio preferito: Dolores Claiborne. Paradossalmente, ha uno stile che non c'entra niente col King a cui siamo abituati, ma a me ha intrattenuto come pochi altri libri in vita mia. In prima persona, Dolores racconta, in un lunghissimo interrogatorio con la polizia, fatti ed eventi della sua vita, che culminano con la morte della donna di cui lei era la colf. Divertente all'inizio, importante poi. Parla di rimorsi, tragedie e amicizia. Va bene regalato a chiunque, salvo magari la vecchia zia bigotta a cui non piacciono le parolacce. Ma a lei evitate proprio di regalare SK, ecco. Un centrino può andare.

Mettiamo invece che ci sia il vostro cuginetto dodicenne che si diverte come un matto a guardare i film horror di nascosto dalla mamma. A lui va regalato It, non si discute. Qualcuno dovrà iniziare il giovane ai capolavori della letteratura, e quel qualcuno volete essere voi. È lunghissimo ma ha il solito linguaggio molto colloquiale che lo rende agibile a tutti. Tu ci metti impegno perché gli dedichi molto tempo, ma lui alla fine ti ripaga, perché è indimenticabile. Pensate al vostro cuginetto sotto le coperte, con la torcia perché la mamma vuole la luce spenta alle 10 (clichè? concedetemelo), a farsela sotto con un volumone gigantesco, ma incapace di smettere. Come parla di bambini lui, pochi altri. E ok che per mezzo romanzo i protagonisti sono adulti e vaccinati, ma quell'infanzia lì, e soprattutto quell'incubo lì, se li sono portati dentro. E così farà il vostro cuginetto, amandovi appassionatamente per il grande dono che gli avrete fatto.

Nelle vostre conoscenze, poi, si staglierà indefessa la figura del cinico, quello che King non va bene perchè l'horror è caccapupù per i deviati eccetera eccetera. Costoro meritano dolore e sofferenza. Pet sematary dovrà scendere su di loro per rimettergli l'anima a posto. Ne riparliamo, miscredenti.

Cose preziose è uno dei romanzi più controversi: o lo si ama o lo si odia. Io, che sono appassionata delle storie ambientate in piccole comunità, ho finito per adorarlo. In generale, le piccole cittadine del Maine sono una costante del Re, e se abitate in paesini alienanti come la sottoscritta (3500 anime a voler arrotondare un po') e volete fare un po' di autoironia paragonando i vostri compaesani a personaggi da fiction, a voi serviti: La tempesta del secoloColorado Kid (non amatissimo, ma io a tratti l'avevo trovato interessante), il più recente Joyland, perché comunità più chiuse dei luna park non me ne vengono in mente.

Sono molto affezionata anche a La bambina che amava Tom Gordon, per motivi a me del tutto sconosciuti, dato che è un romanzo in cui succede poco e niente. Ma alla bambina del titolo ho voluto un gran bene, quindi consiglio anche lui.

Per un purista dell'horror nudo e crudo, invece, ci vogliono i vampiri. SK tira in ballo di tutto: fantasmi, alberghi infestati, persone con poteri sovrannaturali, automobili con una coscienza, il Diavolo in persona. Ma niente, niente, funziona come i suoi vampiri. Le notti di Salem è quasi una lettera d'amore per Dracula, e come tutte le lettere d'amore, funziona benissimo.
In ultima istanza, all'horrormaniaco va regalato Danse macabre, che vuole essere un saggio sull'horror ma che alla fine si rivela il racconto di una vita narrato attraverso la storia di una grande passione: quella per il cinema horror, appunto. SK ne sa a pacchi, ha visto quasi ogni cosa possibile e ne parla con amore e competenza.

E la serie de La Torre Nera?

Quello che sto per dire è forte e pregno di provocazione: non mi è piaciuta. È una saga fantasy in millemila volumi, di cui a me ne è piaciuto solo uno (il secondo, La chiamata dei tre), tanto da costringermi a mollarla all'inizio del quarto volume. YOLO. Da regalarsi solo agli amanti del fantasy o ai fan sfegatatissimi in attesa smaniosa di quella che non ho ancora capito se sarà una serie tv, un film, o entrambi.
[NB: le prime foto del set però sono bellissime, e se tutti sono rimasti affascinati da Idris Elba, io ho lasciato il cuore su Matthew McConaughey. CIAO.]

Il vero potere di SK, per me, aldilà della bellezza delle sue storie, è quello di essere così incredibilmente popolare. Il mondo è pieno di persone che non leggono o che leggono troppo poco, ma che hanno sempre l'ultimo King in casa. E se avvicini anche solo una persona alla lettura, per me hai vinto. Se aiuti l'editoria di tutto il mondo a fare ancora qualche soldino a me va bene sempre, anche se ultimamente ti sei dimenticato di come facevi battere il cuore alle persone, dalla paura o dall'emozione.
God save the King.




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