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venerdì 25 marzo 2022

Il cinema muto: Don't step on it - it may be Lon Chaney!

08:42

 Chiudere i due mesi dedicati al cinema muto è un po' strano e un po' un sollievo. Dalla prossima settimana tutto cambia, e il cinema torna ad essere un linguaggio più familiare.

Per chiudere questa prima carrellata nel nostro progetto sulla storia del genere che tanto amiamo, non poteva mancare un omaggio all'uomo che ha preso residenza nell'immaginario collettivo dal primo momento in cui ha messo piede su un set cinematografico e che non ha alcuna intenzione di lasciarlo a breve.

Come dice David J Skal nel suo The monster book, "The idea of Lon Chaney was everywhere", e forse è ancora così, a giudicare dal modo in cui parlano di lui le persone che lo amano.

Sarà impossibile nel 2022 scrivere un post innovativo sul signor Chaney e le sue mille facce, perché di lui si è detto e si continua a dire di tutto, ma in una rassegna che vuole ripercorrere la storia del genere più bello di tutti, non si poteva prescindere dalla sua fondamentale influenza.




La vita


La carriera di Leonidas Frank Chaney era segnata nel destino, se a questo genere di cose si crede, fin dalla sua nascita, nell'aprile del 1883, da genitori sordomuti. Usare il corpo per comunicare per lui non era un'arte, ma il modo più naturale di esprimersi. 

E sì, se ve lo steste chiedendo: ovviamente era uno di quei bambini che mettono su spettacoli in casa coinvolgendo fratelli e familiari.

Non sorprende quindi che, alla prima occasione possibile, diventato grande a sufficienza, abbia accettato un lavoro da prop boy a teatro, grazie al fratello John. Il passaggio da ruolo dietro le quinte a stella dello show è piuttosto rapido, ed è in tour che conosce Cleva, la prima moglie.

Non sono solita discutere della vita privata dei personaggi di cui chiacchieriamo in questa sede, ma il matrimonio con Cleva è significativo non solo perché porterà alla nascita dell'unico figlio Creighton, in futuro noto come Lon Chaney, Jr., ma anche perché finirà in mezzo a scandali e rotocalchi, e questo metterà in serio pericolo la carriera del Nostro. Cleva, aka Francis Cleveland Creighton, era una cantante altrettanto famosa del tempo, che aveva problemi di dipendenza e diversi tentativi di suicidio alle spalle, e gli scandali legati a questa relazione hanno rischiato di insabbiare il successo teatrale di Chaney che, senza più una lira in tasca e con un bimbo piccolo in sua custodia da tirar su, va a bussare alle porte di casa Universal.

Da quel momento è leggenda. Più di 150 film girati in poco più di quindici anni, con una varietà di generi, vicende, situazioni narrate forse ancora oggi unica. 

Eppure, della persona dietro al personaggio si sa e si è sempre saputo molto poco. Chaney ha sempre tenuto molto alla sua riservatezza. Di rado si è presentato alle prime dei suoi film, anche di quelli che ha combattuto in prima persona per realizzare, ancora più di rado ha lasciato interviste. Eppure il mondo era affamato di lui, dei suoi volti: era sulle copertine dei giornali, soprattutto di quelli dedicati agli esordi del cinema di genere, era nel linguaggio popolare, era ovunque e nessuno lo sapeva. Davvero, l'idea di Lon Chaney era ovunque. Ha messo per tutta la carriera i suoi personaggi davanti a se stesso, lasciando che fossero loro a parlare per lui. 

Capita spesso, leggendo di lui in giro, che le persone che hanno avuto la fortuna di averci a che fare parlino di lui come di un regular fellow, un tizio qualunque. Altrove si fanno supposizioni su un possibile brutto carattere, su un'eccessiva severità con il figlio, su una personalità troppo dura, sull'invidia che suscitava quotidianamente in Carl Laemmle. 

Sappiamo solo che, da brava persona di origini umili, ha sempre saputo che il suo tempo valeva caro, e in carriera ha fatto scelte uniche per l'epoca e molto coraggiose, lasciando la sicurezza di una grossa casa come Universal per darsi al lavoro da freelance, e arrivando a guadagnare cifre da capogiro. Non che abbia mai avuto un grande desiderio di ostentazione, però. Ha mantenuto uno stile di vita modesto, ma ai grandi capi di Hollywood ha portato via tutto quello che ha potuto.

Poco importa quello che si sa o meno, in realtà, e sicuramente poco importava a lui: con 150 film all'attivo, c'è ben poco altro da aggiungere.










Chaney muore nel 1930, solo due mesi dopo l'uscita del suo unico film sonoro, una riproposta del suo celeberrimo The Unholy Three con l'aggiunta di dialoghi. Ci ha detto tantissimo, non dicendoci nulla, e sebbene sarebbe stato interessante vederlo lanciarsi nella sfida del cinema sonoro, ci ha fatto alzare da tavola sazi: non gli serviva altro, per essere la leggenda che era.




I film

In questa playlist sul muto americano potete trovare alcuni dei film più famosi.


Se avete visto le storie di instagram di qualche giorno fa, saprete che sto per lanciarmi nell'ennesima polemica. Ho letto un testo, che riporterò nelle fonti. Lo scrive Michael F. Blake, il biografo ufficiale di Chaney, che oltre ad un testo strettamente biografico ha scritto anche questo che ho letto io, che si occupa più nello specifico della produzione cinematografica. Sia chiaro, da quel punto di vista è un testo ottimo perché riporta parte della corrispondenza dell'attore con il proprio agente, espone nel dettaglio problematiche e vicende che hanno portato alla nascita di alcuni dei lavori più famosi e da un punto di vista strettamente "tecnico" è molto interessante, e offre interessanti dietro le quinte del mondo del cinema degli anni '20. Però si apre con questa frase: "Lon Chaney was not an horror actor." 

Non solo, il signor Blake cita questa questione ogni volta che viene interrogato sul suo prediletto, e nel corso del testo in questione ci tiene a sottolineare diverse volte quanto sia degradante per la carriera di Chaney dargli una definizione così limitante. Poi applica la stessa problematica a Boris Karloff e su quello non mi esprimo nemmeno perché si fa giudicare da sé.

Ora, se è pur vero che Chaney non si è mai limitato ad un genere soltanto, che per tutta la vita ha spaziato ed esplorato le mille possibilità che il suo corpo gli poteva offrire, io me lo rivendico come attore dell'orrore. E non lo faccio solo io, che nel 2022 ho modo di vedere le immense influenze del suo operato in tutti quelli che sono venuti dopo, o di sentire direttamente make up artist e trasformisti ispirarsi tutt'ora a lui, ma la comunità del cinema di genere, che era acerba e si stava appena formando, se lo è adottato da subito. Ogni "rivista di mostri" aveva Lon Chaney in copertina, parlava di Lon Chaney, bramava Lon Chaney. 

Il cinema di mostri era già nato. C'erano già i vampiri, i Jekyll e Hyde, le creature infernali. Qualche folle aveva anche cercato di portare al cinema L'isola del dr Moreau. Il mostro, però, era cattivo, estraneo, foriero di cattive nuove. 

Il mostro di Chaney è il primo ad essere portatore di sentimenti umani. Quando sfocia nella "mostruosità" effettiva, e non si limita per esempio al trasformismo come per esempio nel sopracitato The Unholy Three, attribuisce alle sue creazioni una componente umana così potente che è diventata rivoluzionaria. 

Parlare di ognuno dei lavori di Chaney è impensabile in un solo post, ma a proposito di questo dobbiamo per forza parlare del mio preferito, che non poteva che essere altri che Il gobbo di Notre Dame. Dico "per forza" perché quella di Quasimodo ed Esmeralda è una storia che amo moltissimo in ogni sua versione, è proprio una parte del mio cuore. Il film lo ha voluto così tanto da spedire il suo povero agente in giro per mezza Hollywood per trovare qualcuno che lo girasse alle sue condizioni, francamente ridicole. Ma lui aveva una visione ben chiara in mente, serviva solo qualcuno che gliela finanziasse. 

La genesi del film sul Gobbo è combattuta; gli storici ne danno tutta la responsabilità a Irving Thalberg, personalità di spicco di Universal di cui a partire dal mese prossimo parleremo più approfonditamente, Blake ne dà ogni merito a Chaney. Nel testo citato su troverete i dettagli sull'argomento, ma quello che mi interessa qui è quello che è successo quando il film, alla fine, si è riusciti a farlo. Una produzione esorbitante, costosissima e logorante, così notevole che tra gli addetti ai lavori cominciò a girare un giornaletto pieno di aggiornamenti sulla lavorazione e inside jokes che si chiamava The Hunchback Illuminated, tanto per consolarli dalle tremende nottate al lavoro che si stavano facendo.

Il risultato oggi non è così amato come si potrebbe pensare data la fama che lo precede. Sono diversi gli articoli che lo vedono come un buon prodotto solo grazie alla performance di Chaney. Il mio giudizio è di parte, trovo che questa storia sia sempre straordinaria, appassionata, dolorosissima e la amo anche in questa versione, ma è indubbio che questo Quasimodo, costruito su misura dal suo interprete basandosi su illustrazioni originali di Hugo e sulle descrizioni del romanzo, sia la cosa più potente. Quasimodo è mostruoso, ripugnante, ma non c'è un solo momento in cui il pubblico non soffra per lui, in cui le sue movenze storte e la sua lingua sempre fuori a inumidire le labbra suscitino sentimenti diversi dall'umana compassione. Quasimodo, nella sua rappresentazione estrema, è la base del diverso, il mostro che prima di tutti ci insegnato che la mostruosità è componente fondamentale dell'esperienza umana, e pone le basi per uno degli elementi più ricorrenti di Chaney: l'amore non ricambiato. I suoi mostri hanno cuore caldo, sono appassionati, guardano alle donne con bramosia e puntualmente sono rigettati. Anche quando per le donne arrivano a sottoporsi alle peggiori mutilazioni (come ne Lo sconosciuto). Il suo Erik, per fare un altro esempio, tanto celebre quanto ancora non citato in questo post, è un uomo rovinato prima di tutto dalla società, e infine dall'amore. Ed è anche il solo Fantasma dell'Opera che non ha sentito il bisogno di dover giustificare il suo aspetto: è così e basta.


È con il suo Quasimodo che nasce anche la leggenda delle torture che Chaney infliggeva al suo corpo per entrare nei panni dei suoi personaggi. Occhi tenuti spalancati, braccia tenute legate al corpo, pesi sulle spalle che impedivano la postura eretta, denti dolorosi. In un mondo in cui la cgi non era contemplata, c'erano solo due modi per avere aspetti mostruosi: il make up e gli artigianali attrezzi del demonio che non solo non intimorivano il nostro ma che anzi si creava da sé, con sorprendente iniziativa e artigianalità. Leggenda narra che non fu solo la sua bravura a trascinare la gente a vederlo al cinema, ma anche la genuina curiosità di scoprire a cosa si sarebbe spinto. Un pochino intrigati dal dolore lo siamo sempre stati.

Questo, signori miei, lo fa un attore dell'orrore. 

Certo, lo fa anche un attore americano degli anni '20, costretto ad assistere ai suoi coetanei di ritorno da una guerra che quelle stesse mutilazioni che lui ricreava le avevano davvero. E allora, forse, ad attirare al cinema era anche la voglia di ritrovare qualcosa di simile a sé, qualcosa di familiare, per cui poter tornare a casa e forse un po' accettarsi in un corpo nuovo e provato. Il suo essere mutilato lo rendeva l'uomo qualunque, distrutto dalle circostanze, dalla società, dalle persone che lo circondano. Ah, l'importanza della rappresentazione...


Parlando di lui, il sopracitato Thalberg dice:

He was great, not only because of his God-given talent, but because he used that talent to illuminate certain dark corners of the human spirit. He showed the world the souls of people born different from the rest, because he himself was bornof parents who were different.


Oggi lo sappiamo, che la diversità è parte naturale dell'umano, e stiamo lavorando affinché diventi un concetto scontato, ma Lon Chaney aveva iniziato a mostrarcelo un secolo fa, zoppicando sotto gobbe, ghignando dietro sorrisi dolorosi, levandosi maschere spaventose.

Avesse avuto più tempo, chissà di quanti altri mostri ci avrebbe mostrato l'anima, di quanti umani avrebbe evidenziato i lati oscuri, e di quanti amori avrebbe mostrato la triste sorte. E io me la sarò pure legata al dito, ma queste cose le fa proprio un attore dell'orrore. 



Le fonti di questo post:

(I link segnalati con un * sono link affiliati Amazon. Se i testi vi ispirano e li acquistate tramite questi link prendo una piccola percentuale, ma all'acquirente non costa nulla! Grazie se lo farete. Fine spazio pubblicitario.)

Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014

Tetro M., Azzara S., Chiavini R., Di Marino S., Guida al cinema horror. Dalle origini del genere agli anni Settanta, Odoya, 2021

Blake, M. F., A thousand faces: Lon Chaney's unique artistry in motion pictures, Vesteal Press, 1997

Skal, D.J., The monster book. Storia e cultura dell'horror, Cue Press, 2020

Gifford, Denis, A pictorial history of horror, Book sales, 1973

Una rara intervista a Chaney su un numero di Movie Weekly

Il sito ufficiale

Feast Your Eyes! The terrifying genius of Lon Chaney - documentario su Youtube (in questo doc si può ammirare lo splendido modo in cui si esprime Doug Jones e l'eleganza con cui gesticola. Se non lo si poteva amare più di quanto già lo amavo prima...)


venerdì 11 marzo 2022

Il cinema muto: dalla Germania agli USA - Paul Leni e gli altri

10:02

 Il modo in cui mi sono lasciata per ultimo l'Espressionismo Tedesco dandomi così modo di fare un post di collegamento tra USA e Europa mi commuove quasi. E io il post lo avevo lasciato ultimo solo per farlo la stessa settimana della live su Nosferatu, quindi posso commuovermi per la coincidenza perché non ne ho alcun merito.

Questa settimana vediamo come il cinema dell'orrore (ma anche il cinema tutto) sarebbero stati radicalmente diversi se la Germania degli anni '20 non avesse fatto schifo e non avesse costretto tanti dei suoi talenti ad andarsene dall'altra parte dell'oceano.


Come al solito, c'è una playlist sul mio canale youtube, che trovate a questo link.





Un minimo di contesto


L'abbiamo detto nello scorso post ma è bene ricordarlo: la Germania è uscita dalla Prima Guerra Mondiale più distrutta dei piedi di chi deve mettere per la prima volta i Dr Martens nuovi. Come se la sua cittadinanza non ne avesse avuto abbastanza delle menate dei potenti, nel 1920 il DAP, il Partito Tedesco dei Lavoratori, fa una piccola aggiunta al proprio nome, e diventa il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, e il resto è triste storia. 
Non siamo ancora al periodo in cui migliaia di persone devono lasciare il Paese per scappare da leggi razziali, quelle arrivano solo negli anni '30, ma è pur vero che gli Stati Uniti hanno da subito offerto un'alternativa molto accattivante a chi, nel proprio Paese, non poteva ottenere a sufficienza. 
In questo post per ovvie ragioni parleremo di chi ha portato gli Stati Uniti ad avere il cinema dell'orrore, ma i nomi di emigrati europei che hanno cercato possibilità altrove e sono diventati stelle del cinema sono numerosi e riguardano ogni genere possibile: Micheal Curtiz, Ernst Lubitsch, Marlene Dietrich...


I nomi che ci interessano più di tutti, però, sono due: Carl Laemmle e Marcus Loew, i co-fondatori rispettivamente di Universal e Metro-Goldwyn-Mayer. Loew è nato negli Stati Uniti da una famiglia emigrata nella generazione precedente, Laemmle è nato in Germania. Possiamo dire in tutta serenità che la loro influenza sull'industria è una di quelle cose che hanno cambiato il corso del mondo. Senza Laemmle, oggi, il cinema dell'orrore sarebbe radicalmente diverso e non ho alcun interesse a scoprire come sarebbe, dato che così è bellissimo.


Il signor Paul Leni



Il contributo di Laemmle, però, non comincia con il Dracula di cui avremo modo di parlare ampiamente. 
Anni prima, nel suo paese natale, ha avuto modo di vedere uno di quei film dell'Espressionismo di cui non abbiamo avuto tempo di chiacchierare la scorsa settimana ma che trovate nella playlist, a questo link. Si chiama Waxworks, a dirigerlo un tale Paul Leni. Tra gli addetti ai lavori Waxworks è uno dei titoli più significativi del movimento, e siccome tra gli addetti ai lavori Laemmle ci rientra alla perfezione, ne nota le potenzialità. Offre a Leni un lavoro non di grande prestigio ma ben pagato: negli USA può girare le intro ai film Universal, piccole produzioni che chiamavano Prologues. 
I prologues di Leni, però, sono tanto belli che non passerà molto prima che arrivi la proposta per un primo film "intero". È il 1927, e a Leni viene proposto di dirigere The Cat and the Canary, titolo italiano Il castello degli orrori. Ispirato ad una produzione teatrale, è la conferma di quanto dicevo ieri in live: il muto chiede tantissimo allo spettatore, ma in mezzo alla fatica ogni tanto spuntano dei film che sono una gratificazione estrema, e questo è uno di quelli. Il castello degli orrori fa così incredibilmente ridere che sono quasi pentita di tutte le volte in cui ho detto che ridere al cinema non mi interessa più di tanto. Iniziatore di uno dei miei sottogeneri preferiti, quello della casa infestata, parla di una ricca ereditiera che deve passare la notte in un castello che si dice essere infestato per dimostrare di non essere pazza e avere così accesso all'eredità che le è stata promessa, come da testamento del parente defunto. Ovviamente il resto dei parenti ruota intorno all'eredità proprio come vuole il titolo: come farebbe un gatto intorno ad un canarino. È sguaiatamente simpatico, e ogni tanto caccia certi momenti di tensione completamente inaspettati che tu, spettatore, che fino a due minuti prima te la ridevi di gusto, sei quasi risentito. C'è un momento in cui un signore sta nascosto sotto il letto di due povere signore ignare, e il momento della tensione comica in cui spera di non essere scoperto è buffissimo, fino a che una delle due si china per controllare sotto il letto, e il volto divertente del tizio è trasfigurato, con le sole luci, in una delle visioni più inquietanti che ho fatto dall'inizio dell'anno.
Non c'era davvero bisogno, Paul Leni, mi è preso un colpo.

Il film piace a tutti, e la cosa non stupisce affatto. È un successo quasi unanime, e Laemmle chiede immediatamente altri 3 film: The Chinese Parrot è oggi perduto, ma subito dopo arriva quello che forse è il contributo più iconico di Leni per Universal: L'uomo che ride, che essendo tratto da un romanzo di Victor Hugo vi lascia intuire che a ridere è solo il protagonista. Protagonista interpretato da un grande, amatissimo, ritorno nella rubrica: Conrad Veidt, volto dell'Espressionismo Tedesco che è arrivato Oltreoceano a far fare notti insonni pure agli spettatori statunitensi. Il suo volto deturpato e costretto in un sorriso eterno non ha solo ispirato certi autori di certi fumetti, ma è anche diventato in qualche modo una delle immagini simbolo del cinema muto americano, ed è francamente spaventoso. Il film a me, in tutta sincerità, piace meno, lo trovo più impegnativo e meno digeribile del precedente, ma l'influenza è indubbia. Certo, finali tragici come quelli di Hugo negli Stati Uniti mica si potevano fare, quindi qui la faccenda si conclude su note positive, facendo strada ad un trend che gli americani ancora faticano ad abbandonare: se prendono un film e lo rifanno (cosa che comunque accade di rado, proprio non hanno questo vizio) spesso rendono il finale più family freindly, anche quando parliamo di cinema dell'orrore. Ecco, è cominciato tutto qui. 

Il contributo di Leni al cinema statunitense si conclude con L'ultimo avviso, The Last Warning, che con le classificazioni che diamo oggi al cinema sarebbe più un thriller che un horror duro e puro. Ambientato nel mondo degli spettacoli teatrali, in cui si deve risolvere un vecchio caso di morte sospetta, è l'ultimo lavoro di Leni prima della sua morte, nel 1929.
Per lui c'erano grandi progetti, anche se i lavori successivi al Castello sono stati meno amati. Tra gli altri, un certo adattamento di un certo romanzo sui vampiri, il cui ruolo principale doveva andare al suo prediletto, Veidt. Non ha fatto in tempo, e la storia ha voluto che quel ruolo e quel film lo prendessero altre persone. 

L'Universal di Laemmle, però, non stava lavorando solo con Leni, e nei post delle prossime settimane avremo modo di vedere con quali altre piccole personalità ha avuto modo di formare la scena dell'orrore degli anni '20. 
Tutto grazie all'emigrazione di un tedesco.


Non solo Leni


Ve lo ricordate Paul Wegener, l'attore e regista appassionato del Golem? È volato in America anche lui. Pur avendo avuto una carriera più breve rispetto a Leni, almeno negli USA, è comparso in alcuni dei film più famosi del periodo: The Magician, film tratto dall'omonimo romanzo di Somerset Maugham e ispirato alla vita di Aleister Crowley. Il film è passato alla storia e molto amato, ma Wegener non impressiona particolarmente e torna con la coda tra le gambe nella sua Germania, dove continua a lavorare fino alla morte, negli anni '50. 

Anche Christensen, lo scandinavo regista de La stregoneria attraverso i secoli, tenta il periodo americano, ma per lui va decisamente meglio: tra il '26 e il '29 fa una trilogia di quelle che possono essere considerato commedie del mistero, The Devil's Circus, The Haunted House e House of Horror, quest'ultimo perduto. Il suo contributo più famoso, però, è forse Sette passi verso Satana. Anche lui come Leni, però, conclusa questa esperienza torna in Danimarca. Forse perché alla proiezione di quest'ultimo film si dice che l'autore del libro da cui è tratto abbia pianto tutte le sue lacrime, e non per la gioia? 


In generale, le esperienze di questi registi europei negli USA sono oggi ricordate positivamente, anche perché con la distanza che ci ha offerto il tempo siamo in grado di individuare il ruolo fondamentale che hanno avuto nel corso della storia. All'epoca, però, non hanno goduto dei favori di pubblico e critica. Intendo con questo che gli Stati Uniti non hanno alcun gusto per il bello?
Assolutamente sì, e infatti tutto il bello che hanno è europeo, o deriva dall'europeo, o è stato influenzato dall'europeo. Mi piace vincere facile, le sole cose davvero americane le avevano distrutte da tempo. 
Facilonerie stupidotte a parte, è indubbio che il cinema sia stato una felice unione di culture ed influenze, e sono contenta di averle ricordate in questa fase, perché dal mese prossimo temo che questa rubrica finirà per essere americacentrica almeno al 70%.

Stima assolutamente casuale.



Le fonti di questo post:
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venerdì 4 marzo 2022

Il cinema muto: info veloci per fare bella figura con quell* tip* del Dams con cui ci vuoi provare parlando dell'Espressionismo Tedesco

11:59

 Lo sapevo che questo momento non poteva ritardare troppo. Ho cercato di procrastinare e rimandarlo il più possibile, ma non potevo iniziare il secondo mese dedicato al cinema muto con qualcosa che non fosse l'Espressionismo Tedesco, la prima e forse l'ultima volta fino ai tempi recenti in cui il cinema dell'orrore è stato considerato come una cosa seria da persone intellettuali. Lungo il post capirete perché ho aspettato proprio questa settimana.

Poiché questo è forse il movimento più chiacchierato e studiato di sempre, metto le fonti ad inizio post. Internet è ricolmo di informazioni sui tedeschi più famosi di sempre, io mi limito a farne un post giusto per dovere di completezza e che butto in caciara giusto per non soccombere all'ansia. Vi lascio però una serie di testi (seri, giuro) che possono interessarvi se volete approfondire quello che l'Espressionismo è stato per il cinema tutto.

Come sempre, i link con l'asterisco sono affiliati Amazon. Se acquistate da questo link io prendo una piccola percentuale che mi può aiutare a proseguire in questa missione nella storia. Grazie se lo farete!


Questo post di Film Inquiry

Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014

Tetro M., Azzara S., Chiavini R., Di Marino S., Guida al cinema horror. Dalle origini del genere agli anni Settanta, Odoya, 2021

Kracauer, Siegfried, Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, Lindau, 2007

Eisner, Lotte, The Haunted Screen. Expressionism in the German cinema and the influence of Max Reinhardt, Univ. of California Pr, 2008.

Questa intervista di Friedkin a Fritz Lang




Perché proprio in Germania?

Prima della Prima Guerra Mondiale non interessava troppo agli amici tedeschi il cinema. Erano un po' in ritardo rispetto al resto d'Europa, c'avevano le Cose Serie da fare. Tra le Cose Serie, una guerra da scatenare (scherzo, lo so che le cose sono più complesse di così, ma possiamo ammettere in tutta serenità che i tedeschi rompevano i coglioni a tutti), che poi hanno finito per perdere in maniera proprio bruttarella e lasciando la popolazione inguaiata e con anche una stima ai minimi storici per l'autorità. Ci stupisce? No, noi stiamo ancora a quel punto qua, figuriamoci. 

Come sopravvive il popolo a tanto dolore? Con gli strumenti che ha: magia, misticismo, credenze popolari, fantasia, irrazionalità. Sorprende quindi che sia proprio un movimento come l'Espressionismo a nascere in questa fase? 

I tedeschi non avevano più una lira, ma la cosa al cinema andava benissimo così, e il motivo è semplice: per prima cosa si esportavano i film a prezzi concorrenziali (e la storia ci insegna quanti film abbiamo salvato solo grazie all'esportazione), e soprattutto la gente aveva già capito che l'evasione a poco prezzo che il cinema poteva offrire è salvifica quando tutto il resto della vita è da prendere e buttare nell'umido. Del resto la storia delle storie è la più vecchia del mondo: ne abbiamo bisogno da sempre. 

In Germania quindi succedono due cose: il governo blocca l'importazione durante degli guerra (e quindi se vogliamo i film ci tocca farceli) e nasce una casa che ci regalerà la gran parte delle cose di cui parleremo in questo post, la UFA, il cui nome completo non scriverò perché il tedesco non è una lingua, è una condanna a morte. 

Insomma, se qualche silver lining in quella montagna di merda che è stata la prima guerra mondiale vogliamo trovarlo, questo è il cinema tedesco.


Sì ma l'Espressionismo cos'è?


Lo sapete cosa so io di storia dell'arte? 

Nulla, manco studiata al liceo perché io ho fatto un liceo della mutua. Quindi vi riporto una definizione bella a modino di Film Inquiry:

German expressionism was an art movement that began life around 1910 emerging in architecture, theatre and art. Expressionism art typically presented the world from a subjected view and thus attempted to show a distorted view of this world to evoke a mood or idea. The emotional meaning of the object is what mattered to the artist and not the physical reality. While already making waves in the art world, expressionism would really come into its own when expressed in cinema.


Per metterla giù un po' più concreta: si usano, nell'arte come nel cinema, segni distorti, che esasperano i sentimenti, ignorando in maniera spudorata il buonsenso e la logica. A noi quella roba non piace, lasciate il realismo ai noiosissimi italiani. Per fare degli esempi di cosa si intende quando si dice così, se li volete riportare alla vostra crush del Dams, la soluzione è guardare Caligari, che sarà pure scontato ma è quello che fa sempre fare bella figura. 

Il dr. Caligari e il suo gabinetto sono un'esperienza cinematografica unica nella sua specie, come La passione di Giovanna d'Arco era stata la scorsa settimana. Io ho avuto la fortuna sfacciata di poterlo vedere in un cinemino con gli studenti di Musicologia che suonavano dal vivo, e non assomiglia a nient'altro. Ne Il gabinetto del dottor Caligari il ritratto fedele del mondo viene volentieri sacrificato in favore di scenografie che contribuiscano a costruire anche in noi poveri spettatori ignari la totale alterazione della realtà. E del resto parla di ospedali psichiatrici e di persone instabili, non poteva che renderci il più possibile simili a loro. È tutto storto, allungato, dalle mie parti si dice che è tutto di bighega. Se avete poco tempo per prepararvi all'appuntamento, vedete lui e basta, che tanto è di quello che si finisce sempre a parlare. Poi dipende tutto dalla persona che avete davanti, ma se volete fare i goliardici e suscitare forti reazioni, buttate lì che solo Shutter Island ha reso giustizia al film di Wiene, e guardate la rivolta dell'intellettuale medio iniziare. 

Per Roger Ebert è lui, Caligari, il primo vero film dell'orrore. Ormai abbiamo visto che la storia è ben più complessa di così, ma è indiscutibile che abbia segnato un punto di svolta senza precedenti.


Certo è che Caligari è un film parecchio pessimista, cinico, infelice. E il fatto che sia anche questo lo rende un ottimo portavoce di tutto il movimento, che di sicuro non è caratterizzato dalla profonda fiducia in un futuro migliore. Lo sconforto regna sovrano. Prima della triste storia di Cesare e Franz, c'era stata quella di Balduin, e già se parlate di lui che è meno noto al grandissimo pubblico un paio di stelline con la crush me le guadagnate. Balduin è Lo studente di Praga, un infelice poveraccio che si innamora di una donna che non si può permettere di desiderare. Balduin e la sua storia ci permettono di aprire un milione di temi, ma ne vediamo solo due. Il primo è Paul Wegener, ma su di lui torniamo dopo. Il secondo è uno dei temi ricorrenti dell'Espressionismo: il doppio. Balduin per avere soldi facilmente cede ad un misterioso individuo il suo riflesso allo specchio, e non esiste al mondo un solo caso in cui la faccenda si possa risolvere felicemente. La storia di un amore triste, di un'ambizione punita, di un futuro bruciato, che Stellan Rye racconta è un esempio molto classico del movimento tedesco, perché pur non arrivando mai agli estremi estetici dei suoi film più celebri è un ottimo riassunto di tutti i suoi temi principali: il patto con il diavolo (o con chi per esso), la perdita dell'identità, l'ineluttabilità del proprio destino. Non ci sono quasi mai creature soprannaturali, in questo cinema, il terrore deriva dal perdersi, dal vendersi, dal non sapere più chi si è, e davvero non stupisce che sia così, in un momento di identità nazionale così compromessa come può esserlo solo dopo una guerra da cui si è usciti distrutti. 

Sono le persone smarrite ad essere le protagoniste, le persone che non riconoscono più se stesse, come il protagonista de Le mani dell'altro, un pianista che perdendo le proprie mani perde anche la propria identità. Gli vengono donate le mani di un assassino condannato a morte poco prima, e la faccenda giocherà brutti scherzi alla sua psiche compromessa. Ora, ci siamo detti che in questo periodo serviva evasione, serviva allontanarsi dal reale per respirare un po'. Questo è vero, ma solo per un po': non si poteva lasciare la sala credendo che avere delle nuove mani installate al posto delle proprie rendesse un mostro, così come non si poteva lasciar credere che esistessero medici pronti a far uccidere le persone ai loro pazienti sotto ipnosi. Nascono così alcuni dei finali più sconvolgenti e oggi noti del cinema, in cui con un twist si riporta tutto al piano della realtà: ti sei divertito con la storia di Cesare? Perfetto, però ricordati che è il frutto della mente di un folle. E le mani del povero Orlac? Solo un piano diabolico congegnato per estorcergli denaro. Perché va bene divertirsi ma sempre entro un certo limite.


I personaggi chiave, un mini elenco per distinguerli

che faccio in elenco puntato perché davvero, per parlare di tutti in modo approfondito avrei dovuto mettermi in malattia al lavoro


  • Robert Wiene. L'abbiamo già citato più volte e sarò breve: è il regista di Caligari e di quello sulle mani del pianista, Le mani dell'altro. In realtà ha una bella lista di produzioni, ma per far bella figura sono sufficienti il suo capolavoro e, se proprio volete esagerare e unirci il bonus letteratura russa, che fa subito anima impegnata, ha fatto un adattamento da Delitto e castigo nel '23, che si chiama Raskolnikow.
  • Fritz Lang. Nel post non abbiamo ancora citato lui e i suoi lavori, ma è bene che prima dell'appuntamento almeno vi leggiate la sua wiki perché lui funziona molto, fa subito presa. Lang lo distinguete dagli altri perché è quello della fantascienza, del thriller. Quando si dice che il noir deve molto all'espressionismo, è a Lang e al suo cinema che ci si riferisce, di solito. Anche perché è vissuto talmente tanto che è finito anche temporalmente a farli davvero, i noir, non solo a ispirarli. Di lui sicuramente parleremo più volte nel corso della rubrica, fatevi un post it che ci torniamo, cos' avete di che parlare anche al secondo appuntamento.
  • Conrad Veidt. Questa volta un attore e non un regista, Veidt è il volto di Cesare, quello della foto su in cui evidentemente sta un fiore, ma in realtà sta ovunque. È il pianista già più volte citato, è il Balduin innamorato nel primo remake dell'originale, ma sta anche in Il gabinetto delle figure di cera, La testa di Giano, nel Satana di Murnau, ne L'uomo che ride. Più di tutti, forse, rappresenta l'Espressionismo perché, semplicemente, gli ha dato un volto. Il Christopher Lee dell'Espressionismo Tedesco, che sta ovunque e sta sempre, sempre bene.
  • Paul Wegener. Con lui andate sul sicuro, non potete confonderlo: è quello ossessionato col Golem. Ma quanto gli piaceva, a Paul, il Golem, una roba proprio incredibile. Wegener era il Balduin originale, e dopo questo successo produce e interpreta (ma anche co-produce e co-dirige, perché era proprio la sua storia prefe) un primo film sul famigerato mostro d'argilla della tradizione ebraica. Si chiama Der Golem, e siamo nel '15. Lui fa proprio la creatura. Si diverte così tanto che tempo due anni ne fa una parodia, ma li abbiamo persi entrambi perché la vita fa schifo. Ritorna sul suo personaggio nel '20, con l'unico film della trilogia che è arrivato a noi, un prequel: Il Golem - Come è venuto al mondo, noto al pubblico italiano anche con il pregevolissimo titolo di Bug - L'uomo d'argilla. È un film magnifico che parla sì di leggende e folklore ma anche e soprattutto di soprusi, antisemitismo e segregazione. 



Il grande assente


È sotto gli occhi di tutti che in questo post manchi uno dei più grandi esponenti dell'Espressionismo, Murnau. Non è un caso, ovviamente. Oggi, però, il 4 marzo 2022, il suo film più famoso, Nosferatu, compie cento (CENTO) anni, e ieri sera per celebrare questa occasione che ci è parsa un pochino dimenticata, io e il mio amico Sauro, che potete leggere a questo link, abbiamo deciso di farci su una bella chiacchierata su Twitch, che se vi fa piacere vi lascio qui sotto. 





Io naturalmente in questo post sono stata sintetica e stupidella, perché l'Espressionismo è un fenomeno a cui la gente dedica anni interi di studio che in nessun modo potevano essere riassunti in un post solo. Però non mi sarei mai sentita a posto con la coscienza se non avessi almeno detto due parole in croce sul tema, e soprattutto se non avessi reso giustizia a Bug, l'uomo d'argilla. 


venerdì 25 febbraio 2022

Il cinema muto: Dreyer e la Scandinavia

16:34
Temo che già dal prossimo decennio gli Stati Uniti diventeranno il centro di questa rubrica. Non nutro per loro una stima degna di nota, come mi avrete spesso sentito dire, ma è innegabile che siano il centro della cultura contemporanea, e che non si possa prescindere dalla loro influenza su tutto il mondo occidentale.
Prima del famigerato 1931, però, anno in cui l'orrore per definizione nasce, possiamo permetterci di girare un pochino anche per altre regioni del mondo che temo finiremo per ignorare nei mesi a venire.
Se questa faccenda poi funziona e vi piace, finiti i decenni (intorno a giugno 2023, se resto nei tempi), possiamo valutare di iniziare un viaggio nel cinema internazionale.
Per ora, però, dedichiamoci ad una parte d'Europa che passa spesso in secondo piano rispetto alle nostre nazioni vicine, e spostiamoci a Nord, in Scandinavia. 


Come al solito, ho creato una piccola playlist su Youtube con tutti i film principali, la trovate a questo link.





Streghe del Nord

Ogni volta che il cinema scandinavo ha 5 minuti da riempire, brucia una strega.

Così sembra avere detto Elizabeth Dylis Powell, storica critica cinematografica del Sunday Times, parlando de Il settimo sigillo.

Dylis Powell non aveva torto. Di streghe temo che ne abbia bruciate un bel po' tutta l'Europa, ma l'entusiasmo con cui la cosa è stata messa in scena nelle fredde terre del nord è insuperato.

Certo non è un caso. Lo è mai? La Scandinavia è stata una delle ultime regioni a convertirsi al cristianesimo, e aveva una cultura pagana potentissima. Uno dei principi fondanti della SaNtIsSiMa religione cristiana è il perdono, concetto interessante da cercare di inculcare in una cultura, quella pagana del nord, in cui il valore principale era la sana vendetta. Non stupisce quindi che, una volta inculcati i valori della nuova religione, esistesse un grande timore che rispuntassero quelli appena abbandonati.

E come li rappresentiamo, questi vecchi e crudeli valori, se non con le donne?

Ecco allora che ci cacciano dueoredue di documentario muto sulla stregoneria, che mescola finzione e intenti documentaristici, e diventa una delle più famose produzioni dell'epoca: La stregoneria attraverso i secoli è un lavoro gigantesco del 1922, che trovate nella playlist linkata su, di Benjamin Christensen (Lucia, se mi leggi: prometti che non faremo mai una stagione di Nuovi Incubi su svedesi e vicini di casa perché mi rifiuto di dire i loro nomi. Christensen ancora ancora, il resto è un incubo).

Chi l'avrebbe mai detto che in un film del genere avrei ritrovato il nostro amico di vecchia data, Pazuzu. Si ripercorrono, in quattro segmenti separati, momenti diversi della storia della stregoneria: dall'antica Mesopotamia, al Medioevo. Le streghe che racconta Christensen sono donne deviate dal diavolo in persona (in anima? in spirito? come si dice?), tradite da chi le accusa, forzate a confessioni estorte con la violenza. Sono già vittime. 

Specifico già perché l'ultimo processo per stregoneria in Occidente sembra essere quello di Helen Duncan, ventidue anni dopo l'uscita del film.


Lo stesso Dreyer che sta nel titolo del post, un signore di cui potreste avere già sentito parlare, ha lavorato parecchio sulle streghe. 

Qualche anno prima della sua ben più nota Giovanna d'Arco, Carl Theodor Dreyer, danese, classe 1889, si fa notare con un film che si chiama Pagine dal libro di Satana. Sta sempre nella playlist e lo ammetto, questo è pesante come il piombo, una visione che, come dirlo dolcemente? richiede molto allo spettatore, ecco. Anche questo è a episodi, anche lui ripercorre epoche e momenti storici diversi, dei quali il secondo è proprio il periodo dell'Inquisizione. Tornerà anche negli anni '40 a parlare di donne bruciate sul rogo dalla fragilità maschile, ma è ovviamente della sua pulzella d'Orléans che dobbiamo parlare.

Mi rendo conto che parlare di film dal tale livello di fama è quasi ridicolo, soprattutto perché è dalla sua uscita (94 anni fa) che si parla dell'incanto di questo film, ma io voglio fermarmici lo stesso perché lo amo e penso ne valga sempre la pena. Per lo spettatore medio di oggi, categoria nella quale rientro con tutte le scarpe, questo è un film con tutte le carte in regola per essere definito respingente. È muto, ovviamente, e in alcune versioni che si trovano in giro lasciato anche senza accompagnamento musicale. È ridotto all'osso, non ci sono scenografie, spesso ci sono lunghissimi momenti di una lunghezza quasi esasperante in cui primissimi piani su sfondo bianco si alternano alle didascalie. Parla di temi religiosi che per qualcuno, di nuovo, me compresa, rientrano nell'ambito della fantascienza.

Eppure c'è un momento in cui il film riesce a scavalcare le difficoltà, ad entrare sotto la pelle, e da quel momento è disperazione cieca: Giovanna è prigioniera di miserabili pronti a tutto pur di estorcerle realtà che esistono solo nella loro testa. È una contadina, non ha nulla, non sa nulla, ma soprattutto non sa leggere. Il momento in cui è costretta ad ammetterlo è devastante, è il momento della vittoria dell'oppressore, è il momento in cui capiamo che la tortura che lei subirà più avanti è gratuita. La sua posizione di netta inferiorità è la sua rovina fin dal primo istante, non c'è un solo secondo in cui si possa sperare che per lei la triste faccenda finisca bene, a prescindere dalla fama che la precede tra gli spettatori. Il film è interamente nelle mani della prova recitativa di una donna che ha fatto davvero qualcosa che ha del miracoloso. Come sempre, in me non troverete mai tecnicismi che non mi appartengono, è solo di emozione che mi piace parlare, e se la visione di questo film non vi lascia dilaniati, siete senza anima ed è il momento di vedere qualcuno che vi aiuti. Il Dio cattolico è stato per milioni di persone come Giovanna il faro, la guida, il lato buono del mondo, e che qualcuno abbia per decenni interi deciso di strapparlo ai più fragili mi angoscia. Prima si nutrono le anime con qualcosa di creato ad hoc per funzionare e poi li si minaccia di portarlo loro via, nella più classica delle dinamiche di sopraffazione che la chiesa indossa così bene da quando esiste. 

La smetto, eh, è solo che La passione di Giovanna d'Arco è un film che fa così male che per liberarmene dovevo parlarne un po'. 


Non solo streghe ma comunque restiamo nella religiosità


Come abbiamo visto parlando dei film citati su, anche gli scandinavi hanno avuto la loro bella passione per il nostro ormai compare Satana. Possiamo dircelo: Satana piaceva più di Dio. Ce lo sentiamo vicino perché abbiamo bisogno di attribuire a qualcuno di esterno la nostra voglia di evadere, di sbagliare. Dobbiamo sentirci dire che non è colpa nostra, che siamo stati tentati, nella trovata più paracula della chiesa di cui sopra. 

Satana lo vediamo percorrere la terra mietendo vittime, bussare alle finestre delle donne per allontanarle dai mariti, calpestare le terre calpestate dal figlio di dio spargendo falsità. Insomma, la Scandinavia si allinea al resto d'Europa, mettendo il principe dei demoni spesso protagonista.


In uno dei film più famosi, però, è un altro il tema spirituale che affrontiamo. Parlo de Il carretto fantasma e della vita dopo la morte, ovviamente. Se non ci fosse stata Giovanna, questo sarebbe stato il mio preferito. È del 1921, di un regista di cui non so nemmeno come scrivere il cognome sulla tastiera e quindi per correttezza lo copincollo: Victor Sjöström.

 Una leggenda vuole che l'ultima persona a morire allo scoccare della mezzanotte di Capodanno debba acquisire un compito: guidare per un anno il carretto della morte, e girare per il mondo raccogliendo le anime dei defunti. David è il defunto dell'anno in corso, e la persone che lo ha preceduto nel ruolo gli spiega che cosa, nella sua vita, lo abbia condotto a fare quella fine miserabile. Sì, è un Canto di Natale ancora più crudele, infarcito del moralismo che solo una storia del genere può portare con sé, ma che lo è perlomeno con scopi nobili. È tratto da un romanzo omonimo, scritto da Selma Lagerlof (che scopro essere la prima donna ad avere vinto il Nobel per la letteratura) su commissione: visto il preoccupante dilagare della tubercolosi, all'autrice venne chiesto di scrivere un testo che aiutasse a prevenirne la diffusione. A lei però di scrivere un saggio non andava, e quindi via di romanzone in cui il protagonista vive un'esistenza piena di errori e scelte sconsiderate, che lo portano non solo ad ammalarsi ma anche a rovinare le vite di tutti quelli che lo circondano. Più morale di così si muore, e David, infatti, muore.

Solo dopo avere preso a picconate la porta del bagno, però, che Kubrick quell'ispirazione lì doveva pur prenderla da qualcuno.

Nella playlist di questa settimana trovate anche un film successivo dello stesso regista, La prova del fuoco, che però la Vostra non ha avuto tempo di vedere. Mi sono sopravvalutata per questa missione della storia del cinema? Questo è proprio fuori da ogni dubbio.


Quel film lì famoso di Dreyer che ancora non abbiamo nominato


Questa è la prima volta che in questa rubrica bariamo, ma se di Dreyer parliamo temo che noi non si possa saltare quel film del '31 che tecnicamente spetterebbe al decennio successivo. Bariamo due volte, perché non solo è del decennio dopo ma è pure una produzione mezza francese che non dovrebbe stare in un post sulla Scandinavia. Anzi, bariamo tre: non è nemmeno muto. Ma tant'è, a noi cippiace l'anarchia.

Vampyr è recentemente tornato in sala, e indovinate chi se lo è perso? Proprio io. Proprio io. Per nostra fortuna sta nella solita playlist. 

Qui mi permetto di fare la cinefila dell'internet che ripensa con nostalgia ai bei tempi andati e dice che l'horror è morto, ma non posso che chiedermi: oggi, con il modo che abbiamo di disporre della luce e dei suoni, è ancora possibile fare un film sinistro come questo? Non è muto, ma è indubbiamente molto più silenzioso di tutto quello a cui siamo abituati. Il modo in cui le cose che succedono in questa storia entrano nella schiena dello spettatore e fanno accapponare i peletti della nuca è quasi inedito, a chi come me sia ancora lontano dal conoscere bene questo periodo del cinema. Ci si avvicina convinti che l'avanzamento tecnologico ci abbia abituato a tutto, e invece è proprio quello a cui non siamo più abituati a lasciarci atterriti sul divano. 

La storia è goticheggiante e il film sovverte quelli che oggi consideriamo cliché del genere prima ancora che questi fossero del tutto formati: è ambientato quasi tutto alla luce del sole, gli attacchi del vampiro sono appena intravisti...e poi c'è la vampira donna, che solo più avanti impareremo a riconoscere come elemento ricorrente, nonostante la Carmilla.



La Scandinavia delle origini non aveva nulla da invidiare al resto del mondo. Il suo cinema era angosciante, pieno di sorprese, critico verso la storia, la religione e la società, ma anche molto emozionante, e io di questo non finisco mai di sorprendermi.



Le fonti di questo post:

(I link segnalati con un * sono link affiliati Amazon. Se i testi vi ispirano e li acquistate tramite questi link prendo una piccola percentuale, ma all'acquirente non costa nulla! Grazie se lo farete. Fine spazio pubblicitario.)

Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014

Tetro M., Azzara S., Chiavini R., Di Marino S., Guida al cinema horror. Dalle origini del genere agli anni Settanta, Odoya, 2021

Questo articolo su multiglom.com

Questo articolo di cinemascandinavia.com

The story of film, documentario disponibile su Raiplay

sabato 19 febbraio 2022

Il cinema muto: la situazione italiana

17:45

 Se siete su questo blog è molto probabile che prima o poi nel corso della vostra vita vi siate ritrovati a googlare qualcosa del tipo: horror italiano, cinema italiano dell'orrore, italian horror.

E Google, convinto di stare facendo per bene il suo lavoro, vi ricondurrà ad articoli, saggi, post, che parlano di due cose: il giallo all'italiana e Dario Argento. È altrettanto possibile che vi si dica che il primo film horror italiano è I vampiri, di Riccardo Freda.

Questo, di post, esiste perché non sono più disposta ad accettare una così spudorata mancanza di rispetto verso il mio uomo Dante, autore della più sconvolgente opera dell'orrore del suo tempo, e di tanti tempi dopo il suo. E pure verso tutte le altre truculente opere classiche che abbiamo adattato per il cinema.


Andiamo con ordine e vediamo insieme come nasce il cinema dell'orrore italiano.





Costume&Società


Siamo tutti sul pezzo su quello che è successo in Francia quando il cinema è nato. In Italia ci siamo mossi subito per adeguarci ai tempi. Con cosa cominciamo? Qualche documentario, perché non sia mai che passiamo per i fratelli scemi dei mangiabaguette. Qua abbiamo la cultura da diffondere. 

Quello che però è davvero stato interessante per me è stato scoprire che il cinema in Italia è nato come fenomeno itinerante, al pari di fiere e spettacoli circensi. Oggi passiamo da un estremo all'altro, basta guardare cosa c'è in sala questa settimana: o i Me contro Te (contro i quali non ho assolutamente nulla anzi sono felice che portino i bimbi in sala) o uno smaronamento (sarà anche bellissimo, ma concedetemi la perdita di pazienza) che parla di? Mafia, esatto. 

Una volta, invece, all'inizio di questo viaggio lunghissimo, il cinema era la più popolare delle attrazioni, e con popolare non intendo famosa ma proprio del popolo. Amatissimo nelle zone rurali, dove concedeva svago alla faticosa vita di lavoro,  diventa di tale successo da portare anche qui da noi alla nascita di sale di proiezione fisse. E ok, ne siamo tutti felici, ma pur sempre italiani, e da una cosa bella ne abbiamo fatto un po' di casini, che vado ora ad elencarvi in ordine rigorosamente casuale:

  • abbiamo intuito che sarebbe presto diventato un'industria, quel cinemello qui, e ne abbiamo affidati i finanziamenti ad una classe aristocratica, parassitaria, completamente scollegata dalla realtà e incapace di comprendere il mezzo. Il risultato? Si fanno soldi, ma resta sempre un'industria precaria. 
  • ci siamo spaventati perché siamo i più buoni dell'universo e questo nuovo mezzo poteva mettere a dura prova la nostra nota incorruttibilità. La morale era a rischio! Già nel 1913 arrivano le prime leggi ufficiali, ma la Lega per la moralità nasce nel 1902 (non gli hanno manco dato il tempo di emettere i primi vagiti, a sto neonato mezzo, e già gli tranciavano le gambe). Naturalmente ogni mezzo per controllare i contenuti è di natura politica e non morale, ma questo lo sappiamo oggi. 
  • abbiamo permesso che l'influenza vaticana arrivasse anche qui, e per questo i film religiosi non si contano. 
  • abbiamo coinvolto i letterati, perché in fondo abbiamo continuato a considerare il cinema un'arte troppo bassa per i nostri scopi educativi, e abbiamo cercato fin dall'inizio di darle un tono più elevato. Siamo pur sempre la patria dell'opera perdio, comportiamoci come si deve.
Ma è qui che mi casca l'asino. Gli asini, noi. Perché se la letteratura vogliamo tirare in ballo allora dobbiamo usare quella nostrana, e la letteratura nostrana e quella classica sono il paradiso dell'amante dell'orrido. Certo, questo ha fatto sì che la cosa in cui siamo stati l'eccellenza fossero i kolossal, i film storici, ma in questa rubrica non possiamo scordarci che la letteratura classica, pure lei come Méliès, è cosa nostra. E che pure se la chiesa ha cercato in tutti i modi di farci essere un popolo a modino, è pur sempre la stessa che ha creato il diavolo, e non è che adesso può romperci le palle se lo usiamo. 
Insomma, l'ho detto la volta scorsa ma lo ripeterò in ogni occasione possibile: la gente vuole la paura da sempre, e anche se abbiamo tutto contro un modo per farci sentire lo abbiamo sempre avuto.


Sì, ok, ma i film?
(la playlist di questo post sta qua)


Come dicevo più su: è Dante che ha mosso il sole e le altre stelle. Ci ha presi e portati letteralmente nell'indicibile, l'inferno.
Pensare di adattare l'immensità del suo lavoro è quantomeno ambizioso, eppure ci siamo lanciati subito senza paura in quest'operazione, perché va bene che è tutto spaventoso ma è pur sempre del sommo poeta che parliamo e quindi era accettabile anche per la società bene. 
Ne è risultata un'opera gigantesca, uscita nel 1911, che vista oggi è magica. I dannati volavano, Cerbero aveva le sue consuete tre teste, Ugolino ne stringeva una in mano, Minosse. Ci sono quasi tutti, e non sono solo facilmente identificabili perché ce li siamo tutti studiati a scuola, ma anche perché, pur nel silenzio imposto, la loro vicenda o almeno la loro situazione nell'aldilà è rappresentata in modo cristallino. Per Paolo e Francesca c'è un flashback, e io me lo sono riguardata tre volte perché non ci potevo credere. 

Ovviamente il tema satanico sarà uno dei più prolifici, era scontato che sarebbe stato così ma non sarò mai io a lamentarmene. Se quello che era importante fare era prendere spunto dalla letteratura e dalle cose moralmente ineccepibili, cosa c'è di meglio della Bibbia stessa? Se nel tempo del kolossal dobbiamo restare, però, allora anche la narrazione dell'inferno deve esserlo, quindi come l'adattamento dantesco anche il Satana, il dramma dell'umanità è un polpettone ad episodi, imponente e maestoso. Ma va bene così, io amo anche questo. 
O meglio, lo amerei se lo avessi visto, perché qui si apre un'annosa questione: la reperibilità. No, non quella che il vostro capo dovrebbe pagarvi e invece ignora, quella dei film.


Parliamo di prodotti che hanno più di cento anni, c'è da parte mia tutta la comprensione del mondo. Tantissime cose sono andate perdute per sempre (inserire qui suono del mio cuore che si spezza), tante sono state recuperate e tenute insieme con lo scotch e le dita incrociate, alcune sono in ottimo stato. Se però trovare opere straniere del periodo è immediato perché si trova tutto sul tubo rosso davvero con il minimo sforzo, lo stesso non si può dire per le poche cose italiane. Nel testo Horror Italiano di Simone Venturini, si citano decine di film che non ho avuto modo di trovare da nessuna parte. E io faccio pena in tante cose, ma anni di orrore mi hanno insegnato a cercare i film sul web per benino. 
Si trovano cose nelle cineteche, magari solo copie d'archivio che le rovini se le incroci con lo sguardo, magari dimenticate in magazzini impolverati, magari solo perse per sempre. Perché cazzo siamo così o caciaroni o elitari con la cultura è un mistero che non so da che parte iniziare a svelare. La playlist che vi ho messo in alto, quindi, è molto poverella, ma ci sono cose bellissime.
C'è Maciste all'inferno, e sto.


Fonte interessante ma dall'interfaccia decisamente poco user friendly è il sito della Cineteca di Milano, che si trova qui.



Lyda Borelli, aka la prima delle Scream Queens



Dico davvero, possiamo prescindere dallo stereotipo dell'italiano sciupafemmine se poi il divismo lo creiamo noi? In America arriva, ma la patria quale altro poteva essere? 
In questo periodo erano due le italiane che regalavano sogni agli spettatori: Francesca Bertini e Lyda Borelli. Con tutto l'affetto possibile per Bertini, la nostra donna è Borelli. 
Borelli non ha una carriera lunghissima, ha fatto meno di quindici film, ma sono due in particolare quelli che la rendono one of us. 
C'è Malombra, una roba impressionante. Film del 1917, di Carmine Gallone, racconta della povera Marina, orfana che si trasferisce da un vecchio parente. La sventurata chiede una stanza vista lago, ché si sa che l'acqua pulisce tutte le ferite, ma nella stanza trova una lettera: la prima moglie dello zio è morta in circostanze misteriose e la faccenda inizia ad ossessionarla, e sempre più forte è il suo desiderio di vendetta. Io lo so che col cinema muto sono una principiante e che forse devo solo adattarmi all'idea di guardare cose in cui non sento le situazione spiegate anche attraverso i dialoghi, ma per me il modo in cui questo film riesce ad essere torbido, malsano e ossessivo è magnetico. Nella playlist per fortuna lo trovate, è una sorta di precursore del gotico. Lo sguardo prima sconsolato poi ossessionato di Borelli è indimenticabile. 
E poi, naturalmente, la sua Rapsodia satanica. Film sempre del '17, di Nino Oxilia, è un Faust al femminile. Ci insegna due cose: che le donne da quel momento nel cinema italiano saranno sinonimo di male, e che l'idea che la cosa principale della vita di una donna sia l'amore ha una lunghissima tradizione. La contessa Alba d'Oltrevita stringe un patto col diavolo perché l'idea di invecchiare proprio non le piace e lui le dice "Bazza, ma non ti innamori più." 
Lei accetta perché pelle senza rughe > uomini e la cosa finisce in tragedia.

I film hanno una cosa in comune, ed è proprio il personaggio di Borelli: la donna è cattiva, dicevamo, e in quanto tale porta alla perdizione degli uomini che avevano il solo difetto di desiderarla troppo. Le sue protagoniste hanno un'obiettivo e niente da perdere nell'inseguirlo. Marina vuole vendetta per la sua anima perduta, la contessa vuole eterna giovinezza, e se per ottenere quello che desiderano devono sacrificare la purezza della propria anima sono pronte a farlo senza nemmeno dubitare un secondo. Perché siamo creature demoniache e lo rivendichiamo fin dagli anni Dieci del Novecento.


Lyda Borelli ha contribuito a creare un fenomeno che negli anni diventerà rappresentativo degli anni d'oro del cinema, un Olimpo fatto di divinità terrene che spostavano l'industria a loro piacimento. E noi oggi la omaggiamo, anche se solo con un piccolo post su un piccolissimo blog, perché delle donne del cinema ce ne siamo sempre dimenticati troppo spesso.




Insomma, non è che Google abbia torto: una vera e propria tradizione dell'orrore davvero non la vediamo che solo dopo quei famosi Vampiri del '57. 
L'orrore, però, lo vedremo praticamente in ogni post di questi primi due mesi, non nasce mai da un momento preciso ma piuttosto da un insieme di piccoli elementi che unendosi e crescendo insieme hanno dato forma a quel linguaggio che oggi ci è così familiare. 
I primi passi italiani sono stati pomposi, imponenti, diabolici. Però acculturatissimi, perché non si dica che non siamo i più intelligenti di tutti.





Le fonti di questo post:


(I link segnalati con un * sono link affiliati Amazon. Se i testi vi ispirano e li acquistate tramite questi link prendo una piccola percentuale, ma all'acquirente non costa nulla! Grazie se lo farete. Fine spazio pubblicitario.)


Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014

Tetro M., Azzara S., Chiavini R., Di Marino S., Guida al cinema horror. Dalle origini del genere agli anni Settanta, Odoya, 2021

Venturini, Simone, Horror Italiano, Donzelli Editore, 2014

Brunetta, Gian Piero, Il cinema muto italiano: Da "La presa di Roma" a "Sole". 1905 - 1929, Editori Laterza, 2014








venerdì 11 febbraio 2022

Il cinema muto: George Méliés

12:56

 Come arriviamo a Méliés, ma in breve


L'umanità ama e sfrutta la paura da quando esiste, è ora che i benpensanti se ne facciano una ragione. Vi dice niente Medusa, con i serpenti al posto dei capelli? Il benedetto Minotauro? Donne che trasformavano uomini in porci? Non fatemi nemmeno iniziare sul contributo assolutamente fondamentale che paradossalmente ci arriva dal peggiore degli incubi della vita reale: la religione cattolica. La Bibbia è un contenitore storico e impagabile di ispirazioni costanti. Per arrivare poi allo sconvolgente folklore medievale o alla letteratura gotica e romantica. E poi lo citiamo? Citiamolo dai, il Grand Guignol parigino che serve anche a ricordarci che la New Extremity non poteva essere altro che French. Ad un certo punto ci siamo persino messi a fotografare i morti, che oggi non mi pare una cosa proprio lucidissima, ma insomma. Ah, e poi sì, quella notte a Ginevra che ha cambiato l'immaginario del mondo.

Avere paura ci piace da sempre, e vi prometto che questa serie di post non sarà mai un'analisi psicanalitica del perché amiamo così tanto cose che ci suscitino questo tipo di reazioni. Al momento mi basta sapere che è così, e godere di questa storicità ogni giorno. 

Non è neppure un caso che il cinema sia nato in un'epoca che nel mondo occidentale coincide proprio con un interesse sempre maggiore per lo spiritismo, per l'assottigliarsi del confine tra il mondo dei vivi e quello dei defunti. Insomma, se tutto quel glorioso avanzamento tecnologico lo dovevamo sfruttare per qualcosa, almeno che fosse qualcosa di soprannaturale. 

La nascita del cinema, quindi, ci arriva come una combo magica: strumenti meccanici e tecnologici sempre più raffinati in mano ad una fetta della popolazione che giocava già abitualmente con il movimento e la superstizione popolare.


Tale reverendo Thomas Mitchell, incalzato sull'incedere di questo nuovo sguardo aperto e curioso sul meraviglioso, pare avere detto: "There is no other human sentiment so prolific of evil consequences to mankind as the love of the marvelous." Se il povero Thomas avesse saputo cosa avrebbe avuto la storia del meraviglioso in serbo per noi, non credo si sarebbe limitato a parlare di evil consequences. Noi, però, queste benedette brutte conseguenze ce le stiamo godendo tutte, ed è meraviglioso per davvero.


È pur vero, però, che la definizione proprio da vocabolario di film dell'orrore non la incontriamo fino alla comparsa sulla Terra di quel piccolo miracolo che risponde al nome di Dracula, ma a quel punto siamo già negli anni '30. Dal 1895 al 1931 non sono solo successe una marea di cose al cinema in generale, ma ci sono stati diversi fattori che, messi insieme a tanti piccoli elementi che di volta in volta vedremo, hanno portato alla creazione di un linguaggio intero che oggi chiamiamo cinema dell'orrore. 

Certo, uno scheletrino molto tenero in un microfilm lo avevano già messo i Lumière, talmente carino che è gioioso già dal titolo, e che fa dei ballettini perdendo pezzi. È questo cosino qui, un amore:




Senza voler togliere nulla ai due ragazzi francesi, è un altro il nome che dobbiamo invocare ogni giorno nelle nostre preghiere: quello di George Méliès.

Perché iniziare da lui e non, che so, dagli spudorati americani, dai ben più simpatici ma altrettanto poco umili inglesi, dagli epici italiani? Cronologicamente siamo lì. È solo perché sono una sempliciotta, e mi dovete credere: Méliès mi sta simpatico da morire.


Una umile biografia






George nasce con il grano. La sua famiglia era proprietaria di una fabbrica di scarpe, si sarebbe potuto fare la sua vita serena da giovane ereditiero francese e anche se con ogni probabilità oggi nessuno si sarebbe ricordato di lui, magari non sarebbe morto quasi in miseria. 

Nel 1884 la famiglia lo spedisce a Londra per tenerlo lontano da una storia d'amore indesiderata (ma anche per imparare la liiiingua, dai, basta pensar male di questa povera famiglia) e figuriamoci se si aspettavano che questo gli tornasse mago. A Londra ha conosciuto Maskelyne, famoso mago dell'epoca discendente da una famiglia intera di illusionisti, e da lui ha imparato i primi trucchi. Non solo gli è tornato mago, ma pure sposato, perché non è che se mi allontani da una mi allontani da tutte, porta pazienza. Il padre, di conseguenza, non gli dà una lira e lui torna a lavorare in fabbrica.


Certo, questo gli fa comodo, gli ha regalato una grande manualità, e la combo con i trucchi di magia imparati è presto fatta: si compra il teatro Robert-Houdini e se lo gestisce per anni, affinando le sue tecniche e le mille possibilità del mondo dell'illusione. George, però, non è solo un simpatizzante di tecniche innovative, è anche nato per raccontare storie, e già con il suo teatro lo dimostra: non si limita a creare numeri di illusionismo che già da soli gli avrebbero dato giusta gloria. Mette in piedi vere e propri sketch di magia, scenette intere con anche una decina di persone per volta sul palco. Lo so che il suo immenso contributo è anche dovuto alle straordinarie innovazioni che creava con le mani, alle illusioni e ai primi rudimentali tecnicismi, ma è al suo immaginario che sono più affezionata.


Nella notte fatata a cui i romantici attribuiscono la nascita del cinema, il 28 dicembre del 1895, George c'era. Assiste allo spettacolo che i Lumière hanno messo in piedi per il pubblico e, finita la presentazione, ha fatto la cosa che qualsiasi persona piena di soldi avrebbe fatto al posto suo. Si avvicina alla famiglia Lumière e vuole comprarsi tutto. E sì, me lo immagino come un bauscia con il libretto degli assegni in mano che vuole comprare tutta la baracca. 

Loro dicono di no perché il loro strumento doveva servire al mondo della medicina e non a rappresentazioni pubbliche (dissero, durante una rappresentazione pubblica) e allora lui, che non l'ha presa bene, torna in Inghilterra e si fa fare il suo, tiè.


Da allora Méliés impazzisce, gli prende qualcosa nella testa e comincia a fare le cose mattissime che me lo rendono così simpatico. Lo so che parliamo di straordinarie scoperte tecniche che hanno reso il cinema quella cosa che conosciamo oggi ma amo pensarle come le mattate di un folle genio. Si fa uno studio per i fatti suoi, lo riempie di botole, aggeggi, buchi, trappole, inganni. Lo fa tutto per benino con le vetrate così sfrutta la luce come gli pare a lui. Ci si chiude dentro con una preistorica macchina da presa che, anche quella, si è costruito da solo, pesante come il piombo, che chiamava macinacaffè perché faceva un casino infernale, e ha fatto qualcosa come 500 (cinquecento) (cinquecento) film. Gira con sta macchina per la città e immagino che o la portasse con un transpallet o avesse due braccia molto potenti, la macchina gli si inceppa e lui invece di bestemmiare come avremmo fatto noi comuni mortali ci trova una figata dentro e in poche parole con uno sbaglio crea un inizio di montaggio.

Per non dilungarmi all'infinito: prima un successo fuori dal buonsenso, con tanto di ammeregani che si piratavano le sue cose (questa cosa di fare loro cose straniere evidentemente ha una lunga tradizione), una casa di cinematografica fondata - la Star-Film - in declino che lo ha fatto arrabbiare proprio un casino e gli ha fatto bruciare quasi tutto (quasi, per fortuna nostra e dei posteri), un negozio di dolci o giocattoli con la moglie per mantenersi e una riscoperta tardiva, che ha fatto sì che anche oggi, nel 2022, un microblog di cinema del web italiano abbia deciso di partire nella propria scoperta del cinema proprio da lui. 

Una vita che è valsa come mille.


Il suo cinema

questo link trovate una trentina dei film più famosi




Ci sono giganti probabilità che io mi sbagli, ma ho la sensazione che oggi il grande pubblico associ il nostro ormai amico George principalmente al cinema di fantascienza. Lungi da me voler andare contro una verità così universalmente riconosciuta, perché il suo contributo è assolutamente fuori discussione. Lo potete vedere da voi, nella playlist ci sono anche alcune delle sue cose fantascientifiche.

Però io devo portare acqua al mio mulino infestato, e mi dispiace amici del sci-fi, ma George è roba nostra.

Una delle sue prime cose è un corticino che dura poco più di tre minuti, e lo so che lo conoscono anche i sassi ma non possiamo non citarlo. Siamo nel 1896, un anno dopo quella serata in cui quegli sbruffoni dei Lumière hanno indignato fratm, e lui fa una cosa che si chiama Le manoir du diable. Ci torniamo, sulla sua piccola ossessione per il demonio. In questo momento George ha ancora a disposizione tempi limitati, si potevano fare cose molto brevi, e lui decide di metterci tutto: c'è il diavolo, i pipistrelli, i fantasmi, le streghe...è una goduria.

Nel corso delle sue infinite creazioni, tutti gli elementi che aveva già messo in questo film tornano, ma non sono i soli. Con la scusa di sfruttare tutte le sue tecniche da illusionista e di poterle finalmente mischiare con una tecnologia finalmente all'altezza dei suoi pensieri, Méliès gioca spessissimo con il corpo umano, che spesso è il suo: gonfia e sgonfia teste, le fa esplodere, se le stacca e riattacca. Butta i corpi nei calderoni mefistofelici e brucia vive le persone, prende le eleganti signorine e le trasforma in scheletri. Questo, amici miei, è proprio un regista dell'orrore. 


Su questa cosa ci torneremo anche negli altri post, ma è importante ricordare che parliamo di cinema muto, che non potendo approfondire quello che mostra con il dialogo ha bisogno di contare sulle conoscenze pregresse di chi si approccia. Qui non parliamo dei soliti due fratelli che mostravano la quotidianità e le scene di vita reale: qui siamo dalle parti del fantastico e, se si hanno pochi minuti a disposizione, serve che la gente già sappia, per esempio, chi era Faust. Eppure, guardare oggi un film come il suo Faust aux enfers è forse un'esperienza ancora più ricca di quanto non fosse allora, perché oggi, per fare solo un esempio, lo sappiamo quanto lavoro deve essergli costato creare scenografie così pompose. Ogni momento di questo breve racconto è pieno di cose, dettagli, il suo inferno è barocco, suggestivo, affascinante. Così distante da quello a cui siamo abituati eppure così pieno di quello che è ancora oggi il nostro immaginario. L'abbiamo solo migliorato graficamente, ampliato forse, ma con la testa siamo ancora lì, ai calderoni, alle fiamme, ai dannati. 




Satana, Mefistofele, il signor demonio, sono una presenza preponderante. Con le sue corna molli, la sua calzamaglia, il suo mantello, il diavolo di Méliès, sinceramente, è indimenticabile. È folle, presuntuoso, si prende costantemente gioco delle sue vittime, balla loro intorno, le sfinisce. E per quanto, come nel Faust di cui sopra, spesso il vero momento di tensione sia legato all'apparizione di un mostro, è sempre quel diavolo a rubare la scena. Lo vediamo danzare, buttare giovani donzelle indifese nel fuoco, spaventare povera gente che voleva solo andare a letto, ingigantirsi fino a diventare enorme, disturbare i preti. È spesso comico, questo cornuto infestatore, con le sue gambette che sballonzolano qua e là e le sue faccette provocatorie. È francamente adorabile.

Lo vediamo spesso vincitore ma altrettanto spesso incrociamo una figura salvifica che libera i nostri poveri umani torturati: c'è una statua che prende vita e lo ridimensiona, c'è il prete che si fa coraggio e lo scaccia, non prima di avergli anche dato un po' di botte, ci sono apparizioni benevole che aiutano. Il diavolo esiste ma non è invincibile, e sembra voglia ricordarcelo spesso. 


Quindi sento di poter dire nel modo iperbolico che contraddistingue questo blog che GM ha anticipato: la fantascienza, i film di esorcismo, il body horror, tutto quello splendido filone di film sulle streghe, i monster movie e pure le horror comedy.

Con il tempo e le sempre maggiori possibilità che gli si andavano offrendo, il suo cinema diventa sempre più lungo (ma parliamo sempre di cose che non superano i trenta minuti), e se prima ci si concentrava su impatto emotivo e sorpresa, con il tempo inizia a costruire narrazioni sempre più complesse, piene di personaggi e situazioni avventurose, qualche volta anche uscendo dal suo studio e spostandosi all'aperto. I suoi lavori più famosi, quelli fantascientifici, sono lavori ben più complessi dei brevi corti che vi sto citando qui.


Il mio preferito, però, quello che del Nostro mi ha fatto innamorare, è Barbe Bleu. È anche nella playlist che vi ho linkato su, ma è così bello che voglio metterlo anche qua: 




La storia è ovviamente quella della fiaba di Perrault, e la vediamo qui adattata in un film di dieci minuti. Mi piace tutto, di questi dieci minuti, ma c'è un momento in particolare che mi ha rapita, ed è naturalmente il momento in cui la Sposa entra nella stanza proibita, con un diavolo tentatore che le gattona alle spalle, incitandola ad entrare e festeggiando il suo successo con delle capriole. La Sposa entra, e la stanza è buia. Nella penombra si vedono i magnifici abiti delle vecchie spose, inquietanti come veli di spettri. Ancora non l'abbiamo visto, che dentro agli abiti ci stanno le donne appese. Le stanno dietro, mentre lei si muove per un po' alla cieca, e sono sinistre, spaventosissime. L'immagine è di un bello che si fa fatica a credere. La Sposa apre le tende e i vestiti si rivelano essere donne impiccate, ed è un'immagine fortissima. Ed è del 1901. Dopo poco, le stesse spose, questa volta davvero in forma di spettri, infesteranno la stanza da letto della Sposa, in un'altra scena che seppur non potente come la prima, è per me magnifica.


È impossibile cercare di riassumere in un post la vita e il lavoro di qualcuno che ha preso una forma d'arte nuova e ha iniziato a giocarci come gli pareva, senza paura del nuovo, ma anzi con il deliberato intento di continuare a sorprendere. Mi piacciono le storie delle menti brillanti, e mi piace troppo l'immagine che mi sono creata nella mia testa di George Méliès, quella di un folle tutto impolverato e pieno di schegge nelle dita, chiuso in uno studio in campagna magari pure a farsi un male cane, a giocare con luci, tende, botole, giganteschi pezzi di cartone che prendono vita e diventano le rocce dell'Inferno. 


Sono una sognatrice, ma non troppo sprovveduta. Il cinema è fin dalle sue origini un'industria, una potente macchina di soldi che non è nata da un giorno con l'altro ma con il lento crescere di nuove possibilità tecniche, ma lasciatemi divertire così, immaginandolo con le mani sporche di pittura e una carriola con dentro una macchina da presa tenuta insieme con la passione. 

Mi piace anche pensare che sia la stessa mia, la vostra, la nostra. 




Le fonti di questo post:


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Il sito del George Méliès Project

Questo documentario su Youtube

AA.VV., Il libro dei film, Gribaudo, 2020 

Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014

Tetro M., Azzara S., Chiavini R., Di Marino S., Guida al cinema horror. Dalle origini del genere agli anni Settanta, Odoya, 2021

Phillips, Kendall R., A place of darkness. The rhetoric of horror in early american cinema, University of Texas Press, 2018

Benshoff, Harry M., A companion to the horror film, Wiley-Blackwell, 2014

Gifford, Denis, A pictorial history of horror, Book sales, 1973

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