lunedì 8 gennaio 2018

E così l'horror è morto

13:26
Questi primi giorni dell'anno hanno fatto schifo, io ve lo dico già. Ci sono state brutte notizie e postumi di brutti eventi che mi sono trascinata e che mi hanno fatto vorticare i cosiddetti come girandole impazzite.
Ho pensato quindi di iniziare l'anno almeno nella Redrumia con un post pieno di speranze per il futuro e pernacchie sbavanti ai nostri nemici cinici.
Quindi sì, il titolo è ironico.


L'horror non solo sta benissimo, ma fa i soldoni alla faccia vostra, dove con voi intendo le mammolette frustranti che incrociano le braccia, scuotono la testa e dicono che no, signora mia, gli horror come una volta mica si fanno più.

Partiamo con il re indiscusso dell'anno: IT.
Spernacchiato, boicottato, insultato ancora mentre il buon Muschietti stava chinato a firmare il contratto. Lui si è messo i paraocchi da cavallo, ha fatto un film bellissimo e ha deciso di fare anche il colpaccio: It è diventato uno degli horror con l'incasso più alto di SEMPRE. Fa quasi ridere, oggi, ripensare ad ogni battuta, ad ogni lamentela, ad ogni rottura di maroni. Il film è costato 35 milioncini di paperdollari (che sono tantissimi) e se ne è presi in tutto il mondo quasi venti volte tanto.
Ora, io sono certa che i più competenti di me potranno stare qua ore a fare statistiche e calcoli con l'inflazione e i successi degli anni passati, ma io sono una tipa elementare: se spendo 1€ per fare una cosa e ne guadagno 20, sono stata bravissima. (Per i dettagli, comunque, io uso sempre Box Office Mojo, il link sta qua.)
Quindi, chi è stato bravissimo?
Muschietti, e tutti quelli che con lui si sono portati a casa un risultato incredibile.
Chi non è stato bravissimo, invece?
Voi, che avete frantumato l'anima e adesso meritereste di assistere ad ogni doccia in cui Andy Muschietti si lava le ascelle con le banconote da 500.

Prima di lui, però, un altro signore era stato proprio proprio bravo. Jordan Peele ha esordito alla regia con un film interessantissimo come Get Out. Il suo modo innovativo ed originalissimo di parlare di razzismo non si avvicina nemmeno lontanamente agli incassi di It, ma questo non significa nulla. Costato nemmeno 5 milioni di dollari, ne ha portati a casa venticinque. Un risultato ottimo per un film che se lo merita tantissimo, che avrebbe potuto portare in sala anche persone molto lontane dall'orrore e farle uscire soddisfattissime dalla sala.
Gli sono piovuti addosso nominations e premi di varia natura, come se i soldoni non bastassero. Perché lo so, vi vedo già carichi a scrivere che gli incassi non sono sinonimo di qualità.
Lo so bene, bestiacce. Siete gli stessi che non sono andati a vedere Blade Runner 2049?
Sicuramente soldi è diverso da qualità. Ma se il 2017 è stato evidentemente un anno preziosissimo per l'orrore principalmente per la bellezza di certe uscite, è importante anche notare che è stato l'anno in cui la gente l'horror l'ha visto, e l'ha visto al cinema. Ci serve che si vada in tanti al cinema a vederlo, altrimenti non ci distribuiscono più niente e noi dobbiamo darci all'illegalità.
È quello che vogliamo?

Passiamo poi a tempi più recenti.
Al Lucca Comics la città era tappezzata delle locandine per Happy Death Day
Midnight Factory deve essere scesa da cielo per il bene di noi italiani. Non sto dicendo che amo alla follia ogni prodotto distribuito in sala da loro, ma che la selezione delle uscite in home video è notevolissima e che il modo massivo in cui pubblicizzano è tale da volerli abbracciare tutti. Auguri per la tua morte, per esempio, me lo ritrovavo anche sulla carta igienica, ma ne è valsa la pena. Il film è stato internazionalmente un successo, con un budget di manco cinque milioni e 55 intascati. Un horror di quelli teen classici, ma carinissimo, che si è meritato ogni centesimo portato a casa e forse anche qualcuno di più.

Per motivi a me assolutamente sconosciuti la gente va ancora al cinema a vedere Saw. Nel 2017 è uscito il trentacinquesimo capitolo (in Redrumiano vuol dire l'ottavo) e si è portato a casa la sua dignitosa centinaia di milioni di euro. A me fa un po' ridere, ma siccome non voglio smentire quanto detto sopra, gioisco del suo successo e confido quei soldi vengano investiti bene e non, per esempio, in Saw 36.
Prima o poi, però, la maratona la faccio e indago. Indago sul motivo del suo successo. Divento un indagatore dell'incubo, laddove l'incubo è chiaramente il successo e non la saga.

Annabelle: Creation è stato costosino. 15 milioni investiti in un film che diviso un po' le opinioni. A me, ve lo dico sinceramente, ha fatto un paurone del dodici. Al box office se l'è cavata niente affatto male, più di 300 milioni in tutto il mondo. Immagino miriadi di ragazzini in sala a ridere come dannati, a lasciare in giro le scatole dei popcorn e a stare al cellulare illuminando a giorno la sala e poi dormire con la luce accesa.
Vi conosco, siate maledetti voi e la vostra prole.

Al di là degli incassi, però, il 2017 è stato una ventata d'aria fresca. Di fianco alle immancabili aggiunte a saghe millenarie (Rings, Leatherface, Cult of Chucky, Amityville il risveglio, Jeepers Creepers 3...) ci sono state certe chicche che, incasso o meno, sono state un sollievo per i miei vecchi occhi secchi.
Il progetto XX mi era piaciuto molto, un horror antologico tutto al femminile che ci ricorda che i filmacci li facciamo anche noi ragazzine e che li facciamo anche bene.
Di Gerald's Game è stato detto già tutto: un romanzo che sembrava impossibile si è trasformato in un film micidiale. Bello bello e ancora bello. E d'altronde, con Flanagan al timone non mi aspettavo niente di meno.
Sono solo due esempi, questi, perché come vi dicevo nel post dei preferiti ho visto davvero poca, poca roba dell'orrore quest'anno. Proprio l'anno più figo del decennio.
Ma recupero, eccome se recupero.

mercoledì 27 dicembre 2017

Il mio primo post di preferiti dell'anno!

14:42
Fare le liste mi piace un casino. Ne faccio tantissime dalla dubbia utilità, poi ogni tanto mi cimento in missioni impossibili come questa. Quando devo scegliere le mie cose preferite vado in crisi, mi dispiaccio per gli esclusi, piango un po' in posizione fetale.
Odio le scelte.
Per questo motivo, oggi, sfido il mio problema con le selezioni e faccio la lista delle mie cose preferitissime del 2017.
Se sopravvivo alla pressione della scelta ci vediamo l'anno prossimo!


MUSICA
Su Redrumia non parliamo mai di musica, ma siccome da un po' condivido sulla pagina facebook (che sono certa voi seguite) le mie canzoni preferite, butto giusto giù due righe anche qui.
A dispetto delle millecinquecento cose diversissime e bellissime ascoltate quest anno, la mia mente è sempre e solo andata a lui: Stromae.
Indovinate chi ha mollato la musica, almeno per un po'?
Ecco, appunto.
Se mancasse tantissimo anche a voi come a me, vi linko un'opera d'arte. Buona fortuna poi nel riprendere una vita normale.
La trovate qui.

PAROLE SCRITTE
Se il 2016 era stato per me l'anno dedicato a David Foster Wallace, quest anno un altro brillante signore ha fatto capolino nella mia vita: Philip Roth.
Se non lo avete mai letto, beati voi. Avete la freschezza dell'inizio e la bellezza della sorpresa. Non fate però come dicono tutti, non iniziate con le cose super portentose come Pastorale americana o La macchia umana.
Vi voglio incuriositi fino al midollo, vi voglio con gli occhi sbarrati e la risata costante: si inizia con Il lamento di Portnoy. Si inizia così, e non lo si molla mai più.
Il mio romanzo dell'anno, però, non è stato di Roth. Quest anno su consiglio di una sconosciuta ho comprato Shantaram, ed è stato un viaggio pazzesco nell'umanità più fragile e nel paese più intrigante del pianeta. Ho pensato a lungo che potesse essere lui il mio più amato, ma mentirei sapendo di mentire. Diciamo che si porta a casa la medaglia d'argento.
Il romanzo del 2017, nonché istantaneamente entrato tra le cose più amate di sempre non poteva che esserci Lui: L'Esorcista. 
Ne parlo un pochino più approfonditamente qui.
È un capolavoro punto e basta, e io ammetto che non me lo aspettavo nemmeno per sbaglio. Le parole di Blatty sono lame affilatissime ma guidate dalla mano più delicata possibile. Colpiscono profondamente ma sei talmente ammirato che nemmeno te ne accorgi e quando hai finito ti ritrovi in un angolino a leccarti le ferite.

CINEMA DELL'ORRORE
Quest anno l'ho trascurato. Mi sento come una mamma che compra un cucciolo di gatto e trascura il micione vecchio e grosso che ha da anni. Il genere horror, poi, è davvero stronzo come un vecchio gatto. A volte ti ferisce, a volte ci resti male, poi ogni tanto ti grazia con fusa inaspettate e tu ti senti la persona migliore del pianeta.
Le mie fusa personalizzate quest anno ci sono state eccome. Quasi percependo che io lo stavo ignorando, il cinema ha deciso che era l'anno buono per buttare fuori bombe dell'orrore incredibili.
La mia scelta, però, è la più banale. Il mio horror dell'anno è stato It. Per come è riuscito a farsi strada anche in un cuore inizialmente scettico come il mio, per come si è preso gioco di tutti gli haterz maledetti diventando il film di genere con l'incasso più altro di sempre, per come mi ha fatto un paurone. Per me It è stato magnifico.

CINEMA E BASTA
Che annata sto 2017. Mi gira la testa a dover fare una selezione. Ma voi ve lo ricordate com'ero quando ho aperto questo blog? No, la fantascienza mi fa schifo, no gli alieni che pena, no ma non me ne parlare di Blade Runner che non ne voglio sapè.
Fino a due secondi fa ero in crisi su cosa fosse la mia scelta, ed era tra Blade Runner 2049 e Star Wars: The Last Jedi. Giuro che mi viene da ridere per quanto mi sembra ancora assurdo che questi due possano essere i miei film dell'anno.
Ho scelto Blade Runner 2049 per un motivo: è stato un flop incredibile. La prova è che l'umanità è scema come tutto sommato già sospettavamo, e io invece punto i piedi per terra e lo scelgo come film dell'anno, perché è magnifico.
Forse esservelo perso al cinema è una punizione sufficinete per non averlo premiato quando potevate.

SERIE TV
Sono sempre stata complicata con le serie. Ne guardavo pochissime e le selezionavo come una pazza, non mi piaceva niente. Quest anno mi sono lanciata in certi binge watching a cui preferisco non ripensare. Mi sono ridotta ad un'ameba sul letto, con dolori di schiena lancinanti al solo tentativo di rialzarmi, con scatole di biscotti e una coperta disgustosamente piena di peli di gatto.
È stata un'annata seriale di emozioni enormi e pianti a dirotto, perché io sempre vado a cercare cosine easy e dallo scarso impegno emotivo.
In mezzo a donne maltrattate (e per un po' con la Atwood ho chiuso), la quarta stagione del mio immenso Sherlock e il ritorno dell'altra grande serie della mia vita, Sense8, per me il 2017 è stato l'anno della scoperta di Doctor Who. Ha cambiato il mio immaginario, le mie citazioni, le conversazioni con il mio ragazzo. L'ingresso del Dottore nella mia vita è stato impetuoso e travolgente, ha sbaragliato tutto il resto e mi ha trascinata con sè in un mondo fatto di alieni, viaggi nel tempo e avventure pericolose. Mai nella vita avrei creduto che tutto ciò mi avrebbe conquistata. E invece mi ha fregata. Maledetto Dottore, quanto ti amo.

COSE
Il 2017 è stato l'anno in cui Mari's Red Room è cambiato in aspetto, nome e contenuti. Non sono ancora arrivata al risultato che volevo, ma è un work in progress che mi sta piacendo molto. Ha seguito me e il mio cambiamento e per ora posso ritenermi soddisfatta.
Qualche mese prima, però, Per l'amor di Asgard ha visto la luce. È stata un'emozione incredibile e ancora adesso quando ci penso mi gira la testa perché mentre io sto qua dietro al pc a vivere la mia vita come prima, lui sta lì a farsi la sua vita autonoma in giro per l'internet.
Mi commuove sempre un po'.

In questo ultimo anno i miei gusti sono cambiati in maniera quasi irreale. Ho pianto ogni mia lacrima per la trilogia de Il pianeta delle scimmie, mi sono affezionata a dei robot, ho amato oltre ogni dire un film in cui una tizia comunica con degli alieni, ho guardato molti, ma molti, meno horror della mia media e ho anche letto meno. Però è stato un anno pieno di emozioni giganti e pianti importanti, ho guardato più serie tv di quante ne abbia viste in una vita intera.
Sono contenta di essere diventata un pochino meno snob e complicata e di avere lasciato che tante emozioni inaspettate mi colpissero e mi rendessero un pochino migliore.
Che per tutti il 2018 sia pieno di emozioni così!

lunedì 25 dicembre 2017

Il popolo dell'autunno, Ray Bradbury

16:10
Facciamo che avete mangiato, che siete pieni di cibo fino a farvi scoppiare i capillarini degli occhi. Non avete energie per alzarvi dal divano, ruttate cronometrandovi come una madre in travaglio e se avete superato i 25 bevete tisanine depurative sperando di non passare una notte insonni in piena indigestione.
È il giorno buono per Something wicked this way comes.



Non che esista un giorno sbagliato, per un libro del genere.
È, in pieno stile Redrumianesco, un romanzo in cui due ragazzini sono soli a combattere contro le forze del male. Il male stavolta è sotto forma di un misterioso luna park arrivato in città proprio intorno alla notte di Halloween, e nasconde misteri inquietanti ben oltre ogni immaginazione.

Io non so cosa farci, mi dispiace se spesso posso risultare banalotta e sempre uguale a me stessa nelle scelte, ma cercate di capirmi: ho un debole per queste storie. I protagonisti sono Will e Jim, venuti al mondo praticamente insieme e da allora inseparabili vicini di casa. L'arrivo del luna park nella loro cittadina li insospettisce fin dal primo momento. Ogni segnale indicava di starne alla larga, ma date segnali di pericolo ad un tredicenne e chiedetegli di starne alla larga, cento euro che non vi ubbidirà. L'attrazione che i due provano per il luogo incantato si rivela pericolosa davvero perché, come sempre in questi casi, le cose non sono esattamente quello che sembrano.

Non si ama Neil Gaiman nel modo in cui lo amo io, cioè con tutto il cuore che ho, senza essere passati dalla storia di Will e Jim, due dei personaggi che prenderanno residenza nel vostro immaginario. Le loro avventure sono pericolose e la tensione è reale. La preoccupazione per la loro sorte è quasi più forte del desiderio di scoprire come questa faccenda vada a finire. Sono così reali che sembra di toccarli, così diversi e così vicini come sono. Sono i due modi opposti di affrontare un problema, e sono la dimostrazione di come il nostro modo di affrontare il suddetto problema si allenti, si ammorbisca, si allunghi un po', per andare incontro al modo dell'altro.

Se ne avete una vecchia copia sgualcita in casa disegnateci un cuoricino e passatelo a qualche cuginetto più piccolo affamato di avventura e di brividi, è una favola nera con un cuore grande come un circo e con due protagonisti indimenticabili.
Un pomeriggio passato con loro è quanto di più bello vi auguri per un Natale magico.

mercoledì 20 dicembre 2017

Broadchurch - stagione 3

14:37
Quando è successo lo scandalo Weinstein mi ero ripromessa di tacere. Il milione di opinioni che stavano spuntando in ogni dove mi dava un gran mal di testa. Avevo deciso che non potevo farmi il fegato in pezzi per colpa di chi non capisce e di chi fa della propria non comprensione un vanto.
Incredibilmente, ho taciuto davvero.
Anche quando persone insospettabili postavano immagini ridicole, anche quando perdevo la stima per qualcuno per colpa di questa storia sporca.
Oggi, però, l'argomento della violenza lo tiriamo fuori parlando della terza stagione di una delle serie che più mi aveva toccato: Broadchurch. Questa, almeno, è finta.


Tennant aka la testa più piccina della Gran Bretagna e anche di tutto il Commonwealth
Se nelle prime due stagioni il tema era l'omicidio di un bambino, la terza racconta di uno stupro e delle indagini che seguono. Trish, una donna di 49 anni, è stata violentata alla festa di compleanno della sua migliore amica e ha denunciato l'evento qualche giorno dopo. Il caso viene assegnato alla coppia Miller - Hardy.

Ormai lo sapete, il femminismo è un lato fondamentale di quello che sono e di quello in cui credo. È un tema a cui sono sensibile, sul quale non accetto humor ed è anche uno dei pochi argomenti per cui litigo. Passo sopra a tante cose, per non rompere l'anima, su questo mai.
Mi sono approcciata alla terza stagione con cautela perché so che con Broadchurch le emozioni sono spesso devastanti, e questi otto episodi non sono stati da meno. Se l'omicidio di un bambino è un argomento facile, passatemi il termine, con uno stupro si toccano terreni ben meno lisci. Intendo che lo scalpore, l'orrore e il dolore che si provano per il primo caso sono naturali, e colpiscono chiunque, indistintamente. Se resti indifferente ad un bambino morto hai qualcosa che non va, ed era facile colpire una gigantesca fetta di pubblico.
Lo stupro è molto, molto, molto meno scontato, e in questo la serie conferma la sua intelligenza fine. Non è così ovvio che le reazioni ad una violenza sia unanimi.
In questo sta uno dei punti di forza della stagione. Quello che ho appena detto, sulle reazioni alla violenza, non fa che essere confermato dalla serie. Vediamo se riesco a spiegarmi meglio.

Prima ottima idea: la vittima della violenza non è una strafigona di diciotto anni. È una donna di mezza età, non convenzionalmente attaente. Una donna normalissima, quasi banalotta. Le viene anche fatto notare, con una delicatezza inimitabile, che pare strano sia stata violentata proprio lei, con tutte le donne che c'erano. Eppure, pensa un po', vittime lo possiamo essere tutte. Tutte e tuttI, senza distinzione di età, aspetto, vestiario. La violenza non fa selezione, non ha gusti precisi. Avviene e basta, e non c'è alcuna differenza tra un episodio e l'altro.
Una volta avvenuta la violenza, poi, arriva il peggio: il dopo. La reazione delle persone, le ferite che devono guarire, le indagini, le domande inopportune, l'assenza delle persone care e l'eccessiva presenza di chi invece non si vorrebbe vedere. Iniziano le chiacchiere, le supposizioni, le visite di cortesia. C'è molta cura verso la vittima, in questa serie, che non è solo la poverina violentata ma che è una persona che con grande dignità (niente affatto dovuta) cerca di rialzarsi. È quello che accade intorno a lei che fa schifo. Poliziotti stessi pronti a non crederle solo perché la denuncia non è avvenuta immediatamente dopo la violenza, per esempio. Poliziotti donna pronti a metterla in dubbio. Ricorda qualcosa? Perché io ci ho pensato. Ho pensato a come sarei dopo una violenza. Conoscendomi, sarei incazzata come una vipera. E se invece fossi spaccata in due da un dolore sconosciuto? Se la mia lucidità fosse annebbiata? Se la mia volontà fosse sciolta in un mare di caos acido che non saprei in grado di gestire? E chi ci pensa ad andare dalla polizia? Dovrei rialzarmi, ritirarmi su i pantaloni, togliermi la terra di dosso e andare in caserma? Io non riesco a crederci. È tutto talmente reale che mi sono infilata le unghie nelle mani a forza di stringerle.

C'è stato il 'Beh? È solo sesso, lo aveva già fatto prima!', per esempio. Questo non lo commentiamo, perché siete abbastanza intelligenti da non richiedere un commento a questo. C'è stata la molestia verso la poliziotta, c'è stato l'odio tra donne, c'è stato lo stalking, non è mancata la vigliaccheria, la spavalderia di uomini che credono il sesso sia loro dovuto, gli insulti, le ferite.
C'è l'analisi a 360° di un reato tremendo e di quello che gli gira intorno. Ci sono uomini viscidi e ripugnanti, ragazzotti che meriterebbero sberle in faccia date con la paletta per ammazzare le mosche e poi ci sono gli Hardy. Uomini come Alec che guardano inorriditi alla realtà che li circonda e provano a comprendere, inutilmente.
Di fronte a tante serie in cui i detective erano utili solo a risolvere il caso, Broadchurch spicca per la sua capacità di mostrare come, mantenendo un'indiscutibile professionalità, nemmeno i migliori tra i detective possono restare indifferenti. I casi li colpiscono e spesso le indagini si muovono proprio insieme alle emozioni di chi le sta conducendo. Tennant e Olivia Colman sono stati eccezionali, come attori e come personaggi, colpiti tanto quanto noi dalla realtà terrificante che stava emergendo.
Una realtà fatta di uomini violenti e incapaci di comprendere quanto le donne siano esseri senzienti dotati di una propria volontà, di uomini incapaci di arrendersi ad una relazione finita, di ragazzini irrispettosi del corpo altrui e di donne incapaci di reale solidarietà, quella che non è fatta di pietà ma solo di reale e profonda compassione.
Insieme a loro, persone semplicemente buone, disposte all'aiuto e all'ascolto, in grado di condividere un dolore e di mettersi al servizio degli altri. No, non parlo solo del prete.

Una stagione per me anche superiori alle prime due, strazianti. Reale in un modo quasi doloroso e scritta divinamente, ha fatto la fine che solo le cose così incredibilmente belle fanno.
È finita.

venerdì 15 dicembre 2017

Star Wars - Episodio VIII: Gli ultimi Jedi

14:04
Questo post avrà più premesse che opinioni, accettiamolo com'è e vediamo cosa ne esce.
Premessa 1: non sono (o non ero?) una fan della saga, ho visto solo qualche episodio e sono fidanzata con un appassionato di quelli feroci che prima di ogni visione mi fa i riassuntoni educativi.
Premessa 2: mi sono rotta le palle dei cinefili, quelli che si arrabbiano se gli tocchi il film dell'infanzia, quelli che devono litigare su chi ha torto e chi ha ragione, di chi non vede oltre il proprio naso e soprattutto di chi rompe i coglioni agli altri.
Dico questo perché Gli ultimi Jedi mi è piaciuto da impazzire e non voglio frantumazioni di maroni con critiche che, siamo sinceri, se il film si chiamasse Pistollettate Galattiche non esisterebbero.
Mi è piaciuto più di tutti gli altri che ho visto.
Sì, anche di Una nuova speranza.



Saltiamo senza vergogna la parte in cui di solito parlo della trama per passare alla premessa numero 3. Ognuno di noi ha temi sensibili, che ci colpiscono un po' più forte. Uno dei miei, da sempre, è la rivolta. I ribelli che si oppongono ad un sistema malsano e cattivo, gli eroi che si sacrificano per ragioni più grandi, le sommosse, le rivoluzioni nascoste, i gruppi smaciullati di persone che non perdono la speranza, gli ideali immortali.
Non so argomentare, è solo un tema che mi colpisce dritto al cuore. Credo di dover dare la colpa ad Harry Potter e l'Ordine della Fenice, in cui un altro vecchio gruppo è dovuto tornare a combattere contro un male che si credeva sconfitto. Che bello che è, L'Ordine della Fenice. I grandi che combattono insieme ai giovani, che commozione.
Potrei fermarmi qui e capirete da voi il motivo per cui Star Wars mi è entrato nel cuore. Questi Ribelli sono un sogno per me. Questo ottavo episodio ha fatto l'inimmaginabile: mi ha fatta innamorare di una saga di scienza.
The last Jedi prende questo mio sentimento di amore grande per i rivoltosi e lo espande all'infinito.
Chissenefrega allora di quella scena lì con Leia che mi ha fatto anche un pochino ridere, chissenefrega dei Porg (astenersi battutine, ho amato pure quelli, patatinininini amorininini bellinininini), chissenefrega se in questa saga maledetta tutti trattano male il mio adorato C3PO. The last Jedi è la storia bellissima di un ideale che non muore mai, di una speranza che non accenna ad affievolirsi nemmeno quando l'odore di cacca arriva dritto in faccia, di una fiammella che arde nei cuori e li eleva da umani ad eroici. È una storia di bambini che guardano le stelle e sognano, un giorno, di combattere insieme a chi adesso si sta sacrificando per il bene dell'universo intero.
Io, che prima di qualche anno fa ripugnavo la fantascienza, mi sono commossa per un'astronave in fiamme. Mi è saltato un battito durante quell'altra scena di silenzio profondo. Perché se accetti i difetti e lasci che la guerra stellare ti prenda, sei finito. Esci dal cinema e sei un Ribelle. E il giorno dopo, al lavoro, mentre prepari un cappuccino e cuoci una brioches (parlo in seconda singolare come il Dottor Manhattan), ti accorgi che la testa è ancora tra le stelle.

Ho creduto di avere il cuore in pezzi alla dedica per Carrie Fisher. Non vi dico neanche come mi sono sentita quando ho visto sua figlia. Io, fino a qualche anno fa così scettica, l'ho vista la magia che fa Star Wars, ed è anche in questo. Se non bastasse il solito, meraviglioso, evento per cui generazioni diverse finiscono insieme al cinema con la stessa passione negli occhi, come se non fosse sufficiente vedere bambini e bambini sognare insieme allo zio, alla nonna, al cugino grande, è chiaro quanto non sia solo una saga. È una famiglia enorme, composta non solo da chi nelle guerre stellari ci è finito sul set, ma anche da tutti quelli che le vivono come fossero proprie, da ogni persona che ha dedicato un disegno alla Principessa di tutti quando si è spenta, dalle ragazzine che guardano sempre lei, il Generale Organa, e vedono una forza e una resistenza più dure della roccia, da quelle come me, che ieri sbuffavano al solo sentire la Marcia Imperiale e oggi, invece, piangono come bambine.

E poi, chiaro, ci sono le bombe, i cannoni, i pianeti, le creature, le esplosioni, le strategie, gli Adam TiAmoSempreMolto Driver, i robottini e i robottoni, le navi bellissime e gigantesche e quelle piccole e arrugginite.
Ma più di tutto c'è un ideale straordinario, più forte della sconfitta, più intenso della speranza. È quella fiammella qui che conduce ai momenti finali del film, quegli ultimi due minuti che hanno acceso un cuore arido come il mio di una nuova speranza.
Chi l'avrebbe mai potuto pensare?
Mi sono innamorata.

mercoledì 13 dicembre 2017

The Crown 2

15:29
Correva l'anno 2016.
Tutto il web è esploso per Stranger Things, il fenomeno di Netflix.
Sbagliando?
No, perché Stranger Things è bellissimo e la seconda stagione lo è stata ancora di più.
Questo successo intergalattico, però, ha fatto anche una cosa brutta: ha messo nell'ombra The Crown. 
La serie in questione è una splendida ricostruzione del regno di Elisabetta II, beniamina mia e del mio migliore amico, a partire dalla morte di suo padre, re Giorgio VI fino ad oggi. Il piano è di dedicare un decennio ad ogni stagione.
Ho appena finito il chiusone sulla seconda stagione e confermo: smettetela di sottovalutare The Crown che è superba.


Premetto prima che mi lanciate i sassi che ho una conoscenza veramente limtata della famiglia Windsor e solo alcuni ricordi della storia inglese dai tempi della scuola. Questo per dire che qua si giudica la serie per quello che è: un prodotto di finzione ispirato ad una storia vera. Ma che prodotto d'intrattenimento resta. Ho sentito gente sollevare polveroni inutili su dettagli quali i sottoposti che danno le spalle alla Regina, e ho desiderato solo per un momento l'estinzione della specie.

Questo perché la serie è davvero un incanto. La ricostruzione dei luoghi, degli abiti, dei gioielli ha dell'incredibile. È un sogno ad occhi aperti, con una cura per i dettagli che fa impallidire. I castelli, le residenze, perfino le scene all'aperto sono sensazionali. Elisabetta inginocchiata a tagliare le rose non perde un briciolo di autorità, nemmeno al confronto con l'Elisabetta in tenuta ufficiale con tutto l'armamentario brillante messo in bella vista.

Ah, Elisabetta.
Se la Regina è davvero come è ritratta io vorrei abbracciarla. È una creatura di ghiaccio, in questa stagione molto più che nella prima. Se l'anno scorso l'abbiamo vista imparare il nuovo ruolo strada facendo, in questa stagione non c'è più bisogno di alcun aiuto. Elisabetta è una donna adulta e molto, molto più forte di quanto chiunque avrebbe creduto. È competente e presentissima, circondata delle persone giuste e in grado di gestire ogni situazione. Ha trovato il proprio spazio non solo nel suo Regno ma nel mondo intero, guadagnadosi amore e rispetto.
Ma è nella sfera privata che Elisabetta tira fuori i lati più interessanti. Se nella prima stagione era stata la parte storica ad attrarmi di più, qui gira tutto intorno alla sfera personale. Non che la storia manchi, solo che a me è interessata meno. La relazione tra Elizabeth e Philip è instabile e problematica, e ce ne vengono mostrati anche gli aspetti più dolorosi. Ad onore del vero, sembra che questi ultimi siano molti di più rispetto ai momenti felici, che sono ritratti poco ma molto dolcemente.
Philip, lo ricordiamo, è interpretato da Matt Smith che, ricordiamo anche questo, è destinatario di un amore cieco e appassionatissimo da parte della sottoscritta. Il suo personaggio è atroce, dalla prima stagione si cova nei suoi confronti un risentimento che trascende la parete della finzione. Eppure ogni tanto ci si sofferma su uno sguardo, su una mano che si passa preoccupata tra i capelli, su una battuta, su un sorriso, e ci si ricrede un po'. Forse forse questo matrimonio complesso turba anche lui e non solo per il suo incessante senso di inferiorità. Forse forse in mezzo a battutine evitabili ed un altrettanto evitabilissimo flirtare con ogni creatura femminile che respiri c'è una persona sinceramente affezionata ad Elizabeth. Non credo lo sapremo mai. La parte fragile di me ama pensare che in lui ci sia affetto sincerissimo e solo un'incapacità di gestirlo quasi leggendaria, se fossi un briciolo più pessimista direi che l'amore qua ce lo sogniamo e abbiamo solo due persone che hanno imparato a convivere.
Dall'altro lato, l'Elizabeth della serie prova un amore enorme che traspare in ogni gesto e in ogni scelta, soprattutto in quelle più discutibili. Io, poi, che sono così fumantina, la guardavo incredula. Silenziosa, con occhi che parlavano di un dolore enorme (che brava Claire Foy, che bravissima) e una bocca invece silenziosissima. Mesi di pensieri trattenuti solo per essere tirati fuori con calma frustrante solo all'occasione giusta, foto conservate, dubbi coltivati. Il tutto nel silenzio e nel candore di una conversazione mantenuta forse un pochino fredda ma pressoché identica. Io sarei esplosa, perché manifesto il dolore nel modo più rumoroso possibile, mentre lei non ha versato una lacrima una in tutta la stagione. Io, che la guardavo, fiotti di lacrime furiose e addolorate, lei rigida come una statua di pietra. Il suo sguardo ha spesso bucato lo schermo, però, ed è stato sufficiente.
La posa, la camminata, le braccia delicatamente appoggiate alla borsa, tutto in Claire Foy è stato eccezionale.
Pare la cambieremo nella prossima stagione, e sarà per me molto triste.
Se se ne va pure Matt Smith io tentennerò. La guarderò comunque, ma tentennerò. E con questa minaccia pericolosissima so che Netflix mi ascolterà.

Insieme a regina e principe consorte, però, ci sono anche gli altri membri della famiglia.
Una su tutti Margareth.
Che bene che le voglio, povera creatura.
Folle, fumantina (ricorda qualcuno?), selvaggia, innamorata dell'amore e anche di qualche uomo, ha sofferto come un cane e non ha esitato a comunicarlo ripetutamente a tutto il mondo. Viziata, troppo sicura di sè, a volte detestabile, è stata semplicemente, per la seconda volta, la mia preferita.

Che splendore The Crown.
Giuro, sono seria quando dico che non è solo per Matt Smith.

giovedì 7 dicembre 2017

Survivor's club

18:31
Le aspettative sono la solita brutta bestia che ammazza gli entusiasmi.
Avevo sentito parlare di questo fumetto qualche tempo fa, e l'ho bramato ardentemente. Sempre non disponibile su Amazon, sui siti torrenziali non lo trovavo. Spunta per caso in un sito dalla legalità sospetta. Circumnavigo la mia etica per fiondarmi nella lettura.
Avevo su questo Survivor's club, fumetto del 2015 di casa Vertigo, aspettative stellari.
Risultato? Non mi è piaciuto per niente.
Sono di una tristezza incalcolabile.


No, diciamolo meglio: mi girano proprio le palle.
Il motivo è presto detto. L'idea alla base di Survivor's club è splendida. I ragazzini sopravvissuti agli orrori dei classici anni '80 si sono ritrovati. Non si parla di film esistenti, ovviamente, ma i riferimenti sono ben chiari: c'è la bambola che ammazza, il fantasma orientale, il videogioco della morte...solo non si vedono i due leocorni.
Nell'87 ognuno dei protagonisti di questo breve fumetto sono sopravvissuti ad eventi tremendi e sovrannaturali. Oggi, per mano di una di loro, si ritrovano per sconfiggere definitivamente quello che non era riuscito ad ammazzarli anni prima.
Suona familiare?
Chiaro, ma siccome qua non me ne frega più niente dell'originalità la cosa non mi infastidiva affatto. Speravo in un viaggio nostalgico e cruento, e sarei stata la persona più felice sulla faccia della Terra.
Sul cruento ci siamo. Non ci si può lamentare, tutto il sangue è al suo posto e potremmo anche essere contenti così.

Però però però.
Narrativamente il povero club dei sopravvissuti è un macello incredibile. Le storie del passato sono solo accennate quando ci sarebbe stato spazio sufficiente per mostrarle, e non solo raccontarle indirettamente. La storia del presente è caotica e non solo per i disegni articolati e confusi. Mi sono quasi affaticata a leggere, tornavo indietro per vedere se mi fossi persa qualcosa o se avessi frainteso dei particolari, confondevo i personaggi, e come se il tutto non fosse già penoso per un fumetto così breve, mi sono anche annoiata.
E allora mi girano le palle, perché se hai una buona idea ma non sai svilupparla bisogna che ti fai aiutare, mica che illudi me con una premessa interessantissima e uno svolgimento mediocrissimo.
Mica si fa così.
Una ci resta male.

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