giovedì 15 febbraio 2018

La forma dell'acqua

08:59
Mi sono chiesta a lungo se alla fine un post su La forma dell'acqua l'avrei scritto o meno.
Ma tale e tanta è stata l'attesa, e tanto vi ho rotto l'anima ultimamente, che mi sembrava giusto mettere un punto a questa attesa che è sembrata infinita.
Ma soprattutto, voglio con tutto il mio cuore unirmi al coro quasi unanime di voci che ha parlato del miracolo firmato Del Toro.
Perché La forma dell'acqua è un miracolo, di quelli potentissimi e talmente evidenti da regalare la fede anche a chi non l'ha mai avuta.


Saltiamo la noiosissima parte della trama, questa volta, il trailer è sufficiente.
Che Guillermo del Toro sia il mio regista preferito non è certo un mistero. Lo considero proprio il mio regista, quello che parla direttamente a me e al mio cuore, e spesso me lo sono custodita gelosamente.
Che sofferenza, però, vedere un talento che ai miei occhi è sempre stato così ovvio e immenso, così snobbato. Lui, che ha sempre fatto film dalla dolcezza potentissima, venire trattato così male, dalla gente che non lo guardava in sala, penalizzandone gli incassi, e dalla critica.
Lo stavamo per perdere, mi sa.
Il cinema sarà anche arte, ma è arte costosissima e se non ci sono i soldi, amici miei, arrivederci e grazie.
Allora lui si è rimboccato le maniche. Ha deciso che era ora di mostrare di cosa è capace, e ha buttato il carico da mille. Mi ha aperta in due, esattamente come sapevo che avrebbe fatto, con un baule carico di un'emotività così strabordante che avrò bisogno di giorni, settimane per smaltirla.
Anche se quello che sento adesso, quella magnifica patina che i film incantati lasciano sulla pelle, non vorrei sciacquarla via mai.

I titoli di testa del film sono un'ovattata ripresa della casa di Elisa sott'acqua. Sotto l'acqua è tutto morbido, sinuoso, leggero. Non dirò che è l'atmosfera di tutto il film, perché sapete bene che quando GDT mette i cattivi li mette cattivissimi.
Ma quella cosa lì, quell'aria lì, è Elisa.
Una donna delicatissima, minuta come un giunco, silenziosa e con un viso dolcissimo. Si è circondata di personaggi adorabili che compensano facilmente la sua mancanza di parole, ma è tutto intorno a lei.
Fino a ieri sera ero certa che la McDormand si sarebbe portata a casa l'Oscar. Ci avrei scommesso tutti i soldi che non ho. Ma Sally Hawkins è stata un incanto, con la sua gestualità e il suo viso così fine e così magnificamente comunicativo, un corpo intero al servizio di un film in cui la comunicazione verbale non serve a niente.
Perché, ve lo ricordo, questa si innamora di una creatura marina che per ovvi motivi non parla.
E quindi si incontrano questi due, con nient'altro che occhi e mani con cui parlarsi, a cui però non manca nulla. Basta una mano appoggiata piano piano su un vetro, e si dice già tutto.
Io ogni tanto me lo dimentico, che basta così poco.
Ma come sempre, del Toro mi ricorda che spesso il 'così poco' è invece un tantissimo, un tutto.
Tutto quello che serve.

Non avrete da me la solita scheda tecnica che vi racconta di colori, regia, musica, il lavoro strepitoso di un Doug Jones che merita molta più attenzione di quella che ha. E nemmeno un'apologia del diverso e dell'apertura all'altro. Se avete mai visto un film di del Toro lo sapete già, che è un maestro. Il più grande di tutti, per quel che mi riguarda.
Avrebbe potuto rassegnarsi ad una vita di Pacific Rim e sequel di zarrate sui vampiri, e avrebbe fatto forse più soldi.
Questa volta, invece, ha deciso che era ora di mostrare anche a tutti quelli che lo ignoravano, a tutti quelli che non lo prendevano sul serio, che ha sempre avuto ragione lui. Che il Cinema è questo, è tutto il cuore del mondo preso e messo in un mare d'acqua, insieme a due amanti che ballano, ignari delle differenze, del dolore, delle gocce d'acqua che cadono nel cinema di sotto, colmi solo di quella cosa grande e indefinita che lui nemmeno ci prova, a definire.
Aveva ragione lui, e ora non possiamo che chinare il capo e scusarci, per non averlo mai ascoltato abbastanza.

mercoledì 14 febbraio 2018

L'amore bugiardo, Gillian Flynn

16:35
Io mi rendo conto che parlare di questo film nel giorno di San Valentino possa suonare quantomeno cinico, ma non posso farci molto: pur amando moltissimo il 14 febbraio non sono una di quelle che impazzisce per le cose che parlano d'amore.
Oggi, quindi, niente storie romantiche nè dolcissime, per quello ci penserà stasera Del Toro quando sarò a vedere il film più atteso di tutta la mia vita.
Oggi, qui, parliamo di amori fedifraghi, vendicativi, cattivi, malati.
E buon San Valentino a tutti!🎔


Amy e Nick sembrano la coppia perfetta: bellissimi, intelligenti e dalla vita brillante e piena di interessi. Stanno benissimo e sono l'ideale della coppia libera e senza vincoli da scimmie ammaestrate, come si divertono a dire dei loro amici più gelosi.
Peccato che non sia proprio così, e alla prima difficoltà esca tutto il marcio di chi vuole mantenere una facciata di perfezione e un sottosuolo di menzogne, crudeltà e violenza.
Tutto questo ben di dio esce allo scoperto quando Amy scompare.

POST CON ANTICIPAZIONI, MA DEL TIPO CHE PROPRIO VI ROVINO TUTTO.

Arrivavo al romanzo avendo già visto il film, quindi conoscevo bene la storia e il finale.
Eppure, mi ha fregata.
Amy Dunne, la Mitica Amy, mi ha fregata come la peggiore delle bambocce.
Andiamo con ordine.
Il romanzo è narrato in prima persona da entrambi i punti di vista.
Di Amy leggiamo il diario, mentre Nick racconta la vicenda dal suo punto di vista.
Sapendo chi sia davvero Amy e cosa abbia davvero fatto, mi sarei aspettata di arrivare alla lettura un po' più sgamata. Niente da fare, a pagina 100 ero talmente affranta per lei, talmente sofferente che ero piena di comprensione.
Dopo, solo dopo, quando la Flynn ci ha ricordato che anche il diario era fasullo, sono rinsavita. La Flynn per me è stata bravissima.
Sarebbe stato facilissimo fare di Nick un uomo terrificante. Poteva essere un violento, farci passare tutte dalla sua parte e meritarsi ogni singolo secondo della sua vendetta. Invece no, Nick è solo un povero coglione. Irrispettoso e detestabile, ma non una cattiva persona. Ben Affleck per questo ruolo è stato perfetto, poco da dire, proprio in virtù del suo non essere un attore eccezionale. Un tonto con piena coscienza dei suoi difetti, però. Ogni mossa falsa di Nick (e dio solo sa quante ne fa, roba da ceffoni), è preceduta o seguita dal momento in cui si realizza l'errore, e ogni azione più o meno giusta necessita di troppo, troppo lavoro dietro per poter essere considerata 'naturale'.
Per questo motivo, per me, la Flynn è stata bravissima. Io ho provato per la trascurata Amy delle prime pagine un'empatia fortissima. Il dispiacere che provavo per lei era serissimo.
Mi capita spesso, con il mio ragazzo ma anche nelle altre relazioni con le persone, di non sapere cosa fare. Parlo? Sto zitta? La paleso questa mia perplessità o la tengo per me? Mi lamento o mando giù per passare da brava personcina che non si lamenta mai? Qual'è la cosa giusta? Cosa è meglio fare? Dove sta l'equilibrio?
Ho dovuto fotografare pagine intere nelle quali mi sentivo rappresentata come poche altre volte mi era successo.
Poi Amy è sparita.
Non ero shockata dagli eventi, ovviamente, ma ho provato un sincerissimo dispiacere che Amy non fosse quella che io avrei voluto fosse. Il che forse fa di me una seconda Nick.

Ormai lo sapete, non amo i gialli.
Ma la Flynn esplora le relazioni con profondità e sincerità, non ha paura di farci vedere i lati peggiori dello stare insieme, sia che si tratti di donne folli che vogliono incastrare il marito sia che si tratti di cose più semplici ma non meno dolorose, come un tradimento. Lo fa con una storia tesa, dolorosa e sfaccettatissima, impossibile da posare anche se non si ha la curiosità della fine.
Che comunque, quando arriva, un po' di male lo fa lo stesso.

lunedì 12 febbraio 2018

Aspettando The Shape Of Water: Il mostro della laguna nera

14:22
Ci siamo quasi.
Sono andata contro le promesse che mi ero fatta e ho resistito: non ho guardato in modo illegale La forma dell'acqua. 
Non è la prima volta che aspetto un film di Del Toro in sala, ma l'attesa di Crimson Peak è stata niente di fronte al travaglio che è stato attendere questo film.
Ogni premio, ogni recensione estasiata, sono stati pugnali nel cuore. Questi ultimi giorni saranno interminabili e non riesco a dirvi quanto entrerò in sala gonfia di tutta l'emozione di vedere il mio regista del cuore, quello ignorato, quello snobbato, quello che non fa soldi manco a chiederglielo per cortesia, finalmente trionfare come merita e ha sempre meritato.
Vorrei davvero che provaste l'emozione che ho provato io ascoltandolo a Venezia, che provaste tutti un'emozione gigante come quella che ho provato ascoltandolo nominato per tutto il possibile ai prossimi Oscar.
Se una passione non vi rende felici così, non è quella giusta.


Per celebrare la settimana di La forma dell'acqua, allora, torniamo insieme alle origini del Gill-Man.
Lo so che tutti avremmo voluto la storiellina d'amore per Abe Sapien, ma non è così, mettiamocela via.

Il mostro della laguna nera è una creatura marina, il Gill-Man, appunto, che vive in Amazzonia. Nuota felice nella sua laguna, indisturbato fino all'arrivo di un gruppo di scienziati.
Esattamente come il mio gatto Elia, non si infastidiscono le creature selvagge.
Mai.

Sono passati più di 60 anni dalla comparsa sul grande schermo del Gill-Man.
Sarà anche invecchiato, ma è uno di quegli anziani che sembrano vecchiotti appena li conosci poi quando inizi a farci due chiacchiere li scopri più attivi e arzilli di te che a 27 anni hai la cervicale e le ossa rotta e le mani spaccate.
L'uso della seconda persona singolare a sottolineare che non stavo assolutamente parlando di me.

In questi giorni ho visto molti film, perché sto preparando il post sulle speranze per questi Oscar in arrivo. Ho visto film splendidi e un paio un po' meno.
La conclusione a cui sono giunta è che se mi ha commosso di più la storia di un anfibio che ama da sott'acqua una splendida scienziata in costumino bianco rispetto ad una (dolcissima, lo riconosco) storia d'amore estivo tra due bellissimi giovani, o io sono una creatura di ghiaccio che si scongela solo con i mostri oppure Il mostro della laguna nera è un film capace di parlare di mostri umanizzandolo come ormai nemmeno più gli umani veri.

Il povero, tragico, Gill-Man, che vuole sfiorare Julie Adams e invece si trattiene, che osserva da lontano, che nuota sinuoso sotto di lei, mi ha emozionato più dei due ragazzi di Guadagnino.
Non sappiamo nemmeno chi sia, da dove venga, se sia l'unico della sua specie. Sappiamo solo che vive nella laguna nera da cui nessuno sembra mai avere fatto ritorno e che, in quella laguna, ci muore.

Non è che non li capisca, sti umani. Al loro posto sarei semplicemente morta dallo spavento lasciandogli modo di mangiarmi e tanti cari saluti. Ma da spettatori non amarlo è impossibile, e non soffrire per la sua morte altrettanto.

Non lo so se Del Toro gli renderà la giustizia che merita o se, per la prima volta in vita sua, prenderà una sola. Non ve lo dico nemmeno cosa credo succederà, ma sto provando ad essere oggettiva.
Dovesse anche, questa Forma dell'acqua essere un film deprecabile, avremo almeno l'occasione di vedere per la creatura un minimo di riscatto, e ne sarà comunque valsa la pena.

Non crederei comunque ad un brutto film di Del Toro nemmeno se ce lo avessi davanti agli occhi, tanto per mettere le cose in chiaro.

sabato 10 febbraio 2018

Tutto il blu di Thomas Danthony

18:28
Io e la mia ignoranza in fatto di illustratori passeggiamo spesso su Pinterest.
Un giorno scorro la bacheca e incontro un'immagine tutta blu. Un po' noir, un po' misteriosa.
Mi innamoro.
Esploro il suo creatore e scopro che non fa una e una sola immagine che non sia così bella.
Le mie preferite qui di seguito.










venerdì 9 febbraio 2018

Your Name

12:57
Sono in piena maratona pre Oscar. Non sono mai stata agguerrita come quest anno, proprio l'anno in cui non mi so decidere perché mi sta piacendo tutto quanto. Siccome agli Oscar verrà dedicato un post a parte, però, devo riempire buchetti di programmazione qua e là, e oggi tocca ad una promessa che ho fatto a mio fratello.




Mitshua e Taki sono una ragazza e un ragazzo. Vivono distanti e non si conoscono nemmeno, fino a che un giorno scoprono che durante la notte riescono a scambiarsi i corpi. Lui in quello di lei, e viceversa. La situazione è problematica, ma loro trovano il modo di comunicare, lasciandosi messaggi in giro per il cellulare, e di non essere troppo un problema uno per la vita dell'altra.
Il loro rapporto si fa molto stretto, e Taki decide di partire per andare a conoscere Mitshua.

Questa è la terza volta che provo a buttare giù qualcosa su questo film, perché Kevin, mio fratello, ci teneva e io avevo paura di deluderlo. Quando si scrive di qualcosa che si sa essere così amato da qualcuno di caro è difficile.
La cosa che mi rende il compito meno gravoso è che Your Name è davvero l'incanto che tutti, Kevin compreso, dicono.

Non che la pensassi sempre così.
A metà film ero dispiaciutissima al pensiero di dovergli dire che a me sto film stava dicendo poco e niente. Una commediola body swap carina e buffa, ma niente di più.
Questa prima parte, però, serve giusto a farci mettere a nostro agio, comodi. Non pensiamo che di lì a poco saremo distrutti dalle emozioni, non ci mettiamo in posizione di protezione.
Quando quindi succede qualcosa di grande grande il nostro cuore non se lo aspetta e cade in frantumi. Io, poi, che del film non sapevo davvero davvero niente, mi aspettavo una storiella buffa su due innamorati destinati ad incontrarsi.
Non è così semplice, qui.

Lo so che ormai il film lo avete visto tutti e io sono l'ultima ad arrivare alla festa, ma ero riuscita a salvarmi dalle anticipazioni. Non lo sapevo cosa sarebbe successo quando finalmente Taki sarebbe andato a cercare Mitshua. Non lo sapevo, quindi cuore infranto e fine di tutte le speranze. La delicatezza con cui un certo lato del Giappone riesce a distruggere te e tutto ciò che hai di più caro non finirà mai di sorprendermi. Non è solo una questione di animazione (che è splendida e non ve lo devo certo dire io. Your name è proprio bellissimo), è proprio il modo di strutturare una narrazione complessa e che va ben oltre la classica storiella di due amanti dal destino avverso che combattono per stare insieme.
È una storia di ricerca anche di sè. Se io sono te e tu sei me, cercandoti trovo anche un po' di quello che sono io. Il Taki che torna da Itomori non è lo stesso che ha lasciato Tokyo. La storia tra i due, anche solo lo scambio di corpi, li trasforma, li rende migliori, più sicuri, meno adolescenti traballanti e più giovani adulti consapevoli e maturi. E se un rapporto ti trasforma così, è impossibile lasciarlo correre via.
Gli ostacoli del tempo e dello spazio sembrano nulla. 
E in una favola come questa, non possono che diventare nulla, di fronte all'enormità del poter stare insieme.
Insieme, e migliori.

Grazie, Kevin, per questa meraviglia.

mercoledì 7 febbraio 2018

La sfolgorante luce di due stelle rosse

13:55
Sono tornata nella mia bibliotechina del cuore dopo mesi di assenza.
Ogni volta che vado mi perdo nella sezione per ragazzi, e anche questa volta sono uscita con una perla.


La sfolgorante luce di due stelle rosse è un romanzo di Davide Moronisotto, ed è bello da morire.

Nadya e Viktor sono due gemelli e vivono a Leningrado durante la Seconda Guerra Mondiale. Non storcete il naso, non è uno di quei volumoni che pensate sia. Però la guerra c'è, e i due vengono allontanati dalla loro città e dai loro genitori. Per errore vengono separati in stazione e finiscono per perdersi. Si promettono, però, di continuare a scriversi su dei quaderni che il papà ha dato loro, per potersi dire cosa è successo loro una volta che si saranno ritrovati.
Non dubitano nemmeno per un istante di ritrovarsi.

Che ventata d'aria fresca, che bellezza, che cura meticolosamente meravigliosa per i dettagli.
Quello che noi leggiamo è il racconto che i gemelli si fanno di quello che accade loro a partire da qualche giorno prima della loro partenza e per tutto il tempo della loro separazione. Questi quaderni sono finiti in mano alle autorità, che li riempiono di commenti su ogni singolo reato commesso dai due.
Indovinate un po'?
I reati che due bambini possono commettere in guerra e in un regime rigido come quello russo sono molti.

La storia che racconta Moronisotto è magnifica.
Non solo ci ricorda che la Seconda Guerra Mondiale ha coinvolto molti più paesi di quelli che sono soliti essere ricordati, in particolare nella narrativa per ragazzi, ma non ha paura di raccontare fatti tremendi. Ci sono morti, il freddo micidiale, la fame, i nemici. Non è una storia edulcorata nè addolcita. I ragazzini sono perfettamente in grado di capire e tollerare cosa ci sia nel mondo e Moronisotto lo sa. Ci sono bambini lasciati soli a se stessi che si muovono a piedi nell'immensa Russia solo con la speranza di sopravvivere.
Bello intenso.

Dall'altro lato, però, ci insegna che i ragazzini quando vogliono e quando il mondo degli adulti glielo impone, sono fatti di acciaio, e se hanno un forte motivo per sopravvivere non solo sopravvivono, ma si salvano a vicenda e creano famiglie estemporanee nell'attesa di ritrovare la propria.
I ragazzini, qui, sono importanti non solo in quanto, ovviamente, protagonisti, ma perché vengono ascoltati. Viktor si impone come leader del piccolo gruppo e cerca sempre di far sentire la sua voce agli adulti, Nadya ha ottime idee e nessuna paura di alzare la mano e dirle.
Sono furbi, provati dalla situazione ma brillanti e coraggiosi.
L'esempio che vorrei i bambini avessero nei libri.
Si vogliono un bene di quelli grandi e insegnano a chi li circonda a volerne, sono umani, pasticcioni, convinti di essere sempre nel giusto e inclini a fare a pugni.
Ma va bene così, perché bisogna sopravvivere in guerra, e qua nessuno ha intenzione di soccombere.

Come se questi non fossero motivi sufficienti per lasciarsi trasportare dall'avventura dei gemelli, il libro è esteticamente bellissimo e sì, io mi faccio fregare.
Ci sono i testi scritti con colori diversi, appunti laterali come in quella mastodontica magnificenza di S - La nave di Teseo, ci sono foto, immagini, mappe, biglietti, articoli di giornale, i dettagli sono curatissimi (con tanto di font simil-cirillico buttato qua e là) e tanto, tantissimo rosso.
Il libro perfetto per piccoli compagni in erba.

mercoledì 31 gennaio 2018

La sovrana lettrice, Alan Bennett

13:30
Su Twitter impazza l'hashtag #LettureBrevi.
Ecco il mio richiestissimo consiglio.

Come al solito con i libri, partiamo da una situazione tipo.
Domenica mattina. State facendo una colazione placidissima, con la vestaglia di pile, il tè fumante e il gatto appollaiato sui piedi. Ve la sentite super regale.
Tiè, libriccino sulla monarchia.

Elisabetta II nel sorriso rassicurante con cui la conosciamo
La regina Elisabetta scopre, casualmente, che per Buckingham Palace gira un furgoncino - biblioteca. Ne fruiscono spesso i suoi dipendenti, e decide di prendere un libro a sua volta.
Così, per provare.
Nasce in lei una passione bruciante e quasi invalidante, che la rende inadatta al suo ruolo e assolutamente priva della voglia di fare qualsiasi cosa non includa la presenza di un libro.
Quando sei la Regina di una delle nazioni più importanti d'Europa, però, non è così facile sottrarti ai tuoi doveri.

In una cinquantina di pagine Alan Bennett tira fuori il meglio di sè.
La storia della passione di Elisabetta per i libri è spassosissima, con scene iconiche che vi torneranno in mente ogni volta che vedrete il suo volto, con una cura per i dettagli della vita di corte importantissima ma che passa in secondo piano rispetto all'assurdità, verosimilissima, della vicenda.
Ci sono impegni pubblici, navi da varare, personalità internazionali da incontrare, politici da ascoltare e una famiglia di sfondo di cui occuparsi.
Ma niente, niente, ormai conta più per Elisabetta.
Il sacro fuoco della lettura si è acceso, e ci sono anni, decenni, di lacune da colmare.
In breve tempo chiunque inizia a detestare la Regina, che non solo non fa altro tutto il santo giorno, ma che inizia a mettere a disagio chi questi libri non li conosce proprio. Domande inquisitorie, interrogatori, giudizi. Chiunque entri a contatto con la principale degli Uncommons (uno dei motivi per cui il libro si chiama così) è posto sotto il suo insindacabile giudizio. Se non leggi o non conosci uno degli autori preferiti della Regina, considerati fuori.
Se le rompi le scatole, considerati fuori.
Che vita meravigliosa, Lilibeth.

Oltre alle buffissime situazioni in cui Bennett pone la Regina, il libriccino è una lettera d'amore per la letteratura di una bellezza delicatissima.
Senza lo snobismo tipico di chi legge e se ne vanta, Bennett parla con grande amore dei grandi del passato (Eliot, Proust, Shakespeare...) ma strizza l'occhio ai nostri contemporanei, come Alice Munro, Kazuo Ishiguro e, figuriamoci se poteva mancare, Philip Roth, con un particolare accenno al fatto che forse Il lamento di Portnoy non è una lettura adatta alla Regina in persona.
Con una sola frase celebra i benefici della lettura, e la fa dire proprio ad Elisabetta, che riflette sulle conseguenze della sua nuova passione, e con le sue parole vi saluto, che tanto tutto quello che conta sta scritto qui:
È possibile che io mi stia trasformando in un essere umano. Non sono convinta che si tratti di un cambiamento auspicabile.

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