giovedì 25 ottobre 2018

Preferiti della Redrumia: Ottobre 2018

11:24
Qua si lavora al post di Halloween, ma per non lasciare la blogosfera senza le mie indispensabili parole, anticipiamo di qualche giorno il post dei preferiti, giusto perché chiacchierare qui mi manca un po' e non mi va di aspettare la settimana prossima.



Signore e padrone del mese per me è stata Hill House, come penso per tutto il mondo. E a ragione, perché è uno di quei casi in cui possiamo usare una delle parole più odiate dei cinefili: Capolavoro con la maiuscola.
Ma di quella, appunto, parliamo per Halloween.

L'orrore però è stato comunque protagonista di ottobre (e, come sempre, del mio cuore) perché finalmente ho visto Hereditary.
Sì, ci ho messo troppo. Ma il momento è giunto e la paura più fredda e totalizzante ha preso anche me, e mi ha trascinato negli inferi nei quali evidentemente questo film è stato scritto. Quanta benedettissima paura può fare un film? Dovrei saperlo già, ma ogni volta mi sorprende come la prima. Come mi piace, come mi cago sotto.
Hereditary ha una scrittura che ha dell'incredibile, una regia ipnotica e attori benedetti dalla grazia di una qualche divinità cinematografica. C'è una scena, a mezz'ora dall'inizio. Lo sapete di che scena parlo, voi che avete visto il film. Oltre ad avere lasciato il pubblico con il bisogno di un paio di sedute di terapia per riprendersi, ci ha regalato una prova attoriale che non dimenticherò mai. Alex Wolff, classe millenovecentonovantasette, sta seduto in auto. Sguardo fisso davanti a sé, immobile, incapace di voltarsi per prendere coscienza di quello che è successo. Ma lo sa. Lo sappiamo anche noi, motivo della terapia di cui sopra.
I nostri cuori sono spezzati irrimediabilmente, le nostre menti ammaliate da una scena straordinaria e da un giovane attore che senza fare nulla fa tutto, le nostre anime votate ad una nuova, sfolgorante, divinità: Ari Aster.

Per i podcast è stato, finalmente, il mese di Serial.
Praticamente il più famoso della storia del mondo, e io ci arrivo solo ora.
Un true crime che racconta della morte di una giovane studentessa statunitense e del suo presunto assassino. Che forse assassino non è, o forse sì. Di certo sta scontando una pena che lo terrà per tutta la vita chiuso in un carcere, in uno Stato nel quale grazie al cielo non c'è la pena di morte.
I racconti sono completissimi, approfonditi, ma narrati con il tono di chi, a questa condanna, non crede molto. Immagino sia difficilissimo avere a che fare con giovani condannati senza cercare di vedere in loro almeno un barlume di innocenza, soprattutto quando sono cordiali e disponibili come Adnan Syed.
Un lavoro sopraffino e che immagino sia stato complicatissimo, poco ma sicuro. Il sito è completissimo, tutti i documenti di cui si parla sono a disposizione dello spettatore e chi si appassiona può continuare a 'giocare al detective', se lo desidera. Ma a me non ha lasciato niente, emotivamente, non mi ha coinvolto troppo la storia e non sono riuscita ad empatizzare con i suoi protagonisti. Serial è lungo, articolato, impegnativo.
Solo per veri appassionati di true crime.

Quest estate, poi, è arrivato il nuovo libro di Joyce Carol Oates.
Lei è una dea, lo sapete tutti bene, per me. Lei è il mio nome del cuore quando si parla di Nobel. Lei di solito sa entrarti sotto la pelle con l'inquietudine sporca delle cose brutte e cattive, e non ti lascia più.
Il collezionista di bambole è una raccolta di racconti, uno più cattivo dell'altro, uno più subdolo e viscido dell'altro.
Per quanto mi pesi il cuore ammetterlo, però, non ha fatto su di me lo stesso effetto miracoloso di altri lavori della mia amata, l'ho letto in una seduta che è stata sì bella angosciante ma altrettanto rapida nello scivolare via di dosso a lettura terminata.
Per me un'occasione sprecata.

Su cos'altro ho perso tempo questo mese?
Ah, sì, su un documentario in otto parti.
Su Youtube.
A proposito di Jake Paul.
La cosa divertente?
Non seguo Jake Paul.
Ma Shane Dawson, autore del documentario, sì. Ecco, quindi, come sprecare intorno alle 7 ore della propria vita davanti al pc. Con un documentario su Jake Paul. 
Non me ne capacito.

Vi saluto così, con un'ammissione di idiozia.
Ci sentiamo per Halloween.




domenica 14 ottobre 2018

La trilogia di Cormoran Strike, Robert Galbraith

16:52
Il 18 settembre è uscito Lethal White, il quarto volume della saga di Cormoran Strike, la rinascita di J. K. Rowling con lo pseudonimo di Robert Galbraith.
Pare sia giunta l'ora di parlare dei primi tre.



Alla fine del primo libro, Il richiamo del cuculo, ero certa avrei mollato. Non è che non mi fosse piaciuto in toto, ma nemmeno mi sentivo rapita come devo essere se voglio continuare una saga che nemmeno volevo iniziare.

Facciamo un passo indietro.
Nella Redrumia i gialli sono i libri che leggo quando sto in crisi del lettore, il che mi capita più spesso del previsto ultimamente. Trovo questi sul mio hard disk adorato, li carico e decido che temporeggio con loro.
Risultato: divorati in tre settimane nette.

Cormoran Strike, oltre ad essere il proprietario di un nome pregiatissimo, è un investigatore privato di Londra. Figlio a malapena riconosciuto di una rockstar e di una groupie, privo di una gamba e del suo amore folle che lo lascia proprio all'inizio del primo romanzo, veterano di guerra e con ben pochi legami.
Nella sua vita entra Robin, che lui assume come segretaria e che si rivelerà molto di più.
Niente 'will they, won't they?' non è il romanticismo che ci interessa, e Robin ha un vistoso anello di fidanzamento al dito.
Il legame professionale è più che sufficiente.

Dicevamo, Il richiamo del cuculo. 
Per buona parte della lettura ho pensato di stare leggendo una sceneggiatura, il che non necessariamente è un male dato che è pure uscita la serie e avranno avuto buona parte del lavoro fatta. Però che palle. Dialoghi su dialoghi su dialoghi e interrogatori e consultazioni e incontri e chiacchierate e djesoo solo sa cos'altro avessero da dirsi sti stronzi che gli si saranno bruciate le dita a forza di fare le virgolette.
Il francese è la lingua nazionale in Redrumia, ormai lo saprete.
Però però però.
Alla fine mi ero detta che andava bene così, non avrei continuato la saga e buonanotte, era uscito il nuovo della Oates nel frattempo e potevo recuperare lui. Però a me il giorno dopo Cormoran mancava. E quindi via di nuovo, con il due e il tre.

Io alla fine li ho trovati sinceramente giallini mediocri. I personaggi non portano nulla di nuovo all'immaginario dell'investigatore privato in rovina e tormentato e nemmeno a quello della novella Veronica Mars inconsapevolmente bellissima ma anche brillante e tosta e senza paura.
Dei casi mi interessava francamente poco.
Quindi, vi chiederete, perché siamo ancora qua a parlarne?
Perché c'è una cosa che la Rowling sa fare ed è rendere umani i suoi personaggi in un modo che li fa entrare dentro al lettore e non li fa uscire più. Con una parola, una riga sola, li tira fuori dal cliché in cui rischiano sempre di finire e li rende credibilissimi, tridimensionali, e senza nemmeno accorgersene iniziano a stare a cuore. Con la sua scrittura semplicissima e senza fronzoli sa parlare delle persone in un modo onesto e profondo, e alla fine ci siamo dentro con tutte le scarpe, in questa improbabile coppia inglese bizzarramente assortita.

Il terzo romanzo, poi, parla di violenza sulle donne, tra le altre cose. E lo fa come solo una donna potrebbe fare: con dettagli crudeli, personaggi disgustosi e vittime che da sole devono rialzarsi. E quando si parla di argomenti così importanti in modo impeccabile (vedesi anche Broadchurch stagione 3, indimenticabile), non si può che cambiare idea su quanto detto prima.

Per la Rowling si passa sopra questo e altro.

giovedì 11 ottobre 2018

The Hitchbook: Nodo alla gola

19:08
Ritorniamo a parlare di Hitchcock dopo un po'. Ora che ho finito le scuse per procrastinare (trasloco, niente internet, morte apparente...) è ora di ricominciare a parlare delle cose serie e se non è serio Alfred Hitchcock io perdo ogni certezza.
È il turno di Rope, Nodo alla gola.
Il mio preferito.





Non posso chiamarlo altrimenti che un pasticcio.
Diceva Hitch a Truffaut. Lui di Rope non aveva una gran stima e io, amante dei perdenti dalla notte dei tempi, lo considero uno dei film più grandi del mondo.
Non tanto per l'esperimento tecnico insuperato, di cui parliamo dopo, nè per l'interessantissimo dibattito filosofico che suscita, anche lui più avanti nel post, ma semplicemente per la tensione durissima che mi ha fatto provare. Una gelida mano poggiata sulla schiena che ogni volta mi tiene dritta incollata allo schermo, come se un epilogo o un prologo diversi fossero possibili.
Quando si parla di maestro della suspance per me si parla di quel film qui.

Un minimo accenno di trama poi passiamo alla sviolinata che, ai miei occhi, questo film merita.
Brandon e Philip uccidono un loro amico, David. Mica hanno un movente, solo la voglia di testare cosa si prova a togliere a qualcuno la vita, commettendo il delitto perfetto. Ma Brandon è frizzantino, e non solo non è per nulla sconvolto da quanto ha fatto, ma decide di non liberarsi del corpo e di tenerlo lì, in casa, chiuso in un baule.
In casa, però, sta per svolgersi una festa, e quel baule diventa la tavola su cui viene servita la cena.
Nessuno degli ospiti sa di stare mangiando su un loculo.

Il loculo si trova in uno splendido appartamento, dal quale non ci muoviamo mai. Come in quella meraviglia di The Party, o in Carnage, l'appartamento è quasi un personaggio. Qui forse ancora di più, dato che uno dei pezzi dell'arredo è il protagonista. Lo sguardo, sia nostro che della macchina da presa si sposta di rado da lui, fulcro dell'attenzione e dell'angoscia più attanagliante. Intorno a lui si muovono lusso e raffinatezza, pianoforti, libri, liquori, ospiti eleganti e candele profumate. Quella che si respira, però, è un'aria di cattiveria pura e durissima, che traspare dai dettagli e dai gesti atroci, e che assume le sembianze di Brandon. Giovane rampante dalla presunta (e per nulla rilevante) omosessualità e dall'ideologia estrema, manipola chiunque lo circonda fin nelle cose più apparentemente superficiali, partendo dal metter becco in faccende sentimentali fino ad arrivare all'invitare i cari della vittima ad una festa in cui la vittima è presente, ma in forma di cadavere. Il legare i libri dati al padre della vittima con l'arma del delitto è una raffinata crudeltà, la ciliegina sulla torta di una situazione esasperata ai limiti del grottesco, in cui i dialoghi sembrano registrati in un manicomio.
Invece la follia non c'entra nulla, il movente è solo un esagerato egocentrismo, un senso di superiorità talmente esasperato da rimuovere in maniera totale ogni barlume di lucidità in una mente ormai disumana.
Si parla del legittimare assassini, dell'omicidio come forma d'arte, come una sorta di selezione che è giusto avvenga in un mondo in cui non siamo tutti ugualmente intelligenti e di conseguenza non tutti portatori della stessa dignità. Ascoltare certi dialoghi che avvengono con la freddezza dei vecchi party in casa è agghiacciante. Ascoltarli sapendo che il morto è a due passi ancora di più. Nel più classico degli scenari che creano suspense, lo spettatore è ben consapevole del morto e non riesce a pensare ad altro, perché gli ospiti, ovviamente, non lo sono. Ogni volta che qualcuno si avvicina al baule è una tortura.

Il tutto, con una tecnica sperimentale che è quella che alla fine ha convinto Hitch che il suo film fosse un pasticciaccio. A lui piacciono i film segmentatissimi, cosa gli vuoi dire. Un milione e mezzo di inquadraturine tutte staccate e altrettante bestemmie quando poi il film è da montare, suppongo. Stavolta no. Il montaggio se lo era bello che fatto lui nella testa, e il film è fatto solo di dieci gigapezzettoni tenuti insieme da primissimi piani di raffinatissime giacche scure. Le leggende narrano di operatori imbavagliati e portati a gridare fuori quando pezzi di attrezzatura sono caduti e hanno rotto piedi, bicchieri cadenti afferrati al volo, il tutto per non infastidire la scena che poi era tutta da rifare ed era un macello. Altre leggende ancora ricordano come la luce cambiasse di continuo e allora tutti a correrle dietro e a riprodurla, bobine intere da rifare perché era il primo film a colori e c'era da farci un po' la mano per non avere tutto arancione, e altri simpatici aneddoti che a noi interessano tantissimo da leggere ma che secondo me all'epoca hanno causato solo che un gran numero di originalissime imprecazioni. Risultato? A noi piace un casino, tutto bello fluido come una ballerina di danza del ventre, a lui sta sulle balle.

Ma, diciamoci la verità, ce ne frega qualcosa?

lunedì 1 ottobre 2018

Preferiti della Redrumia: Settembre 2018

17:58
Io l'avevo detto che ci avrei preso gusto a fare il post dei preferiti come nella vera moda dell'Internet del 2012. Anche settembre però è stato infarcito di cose deliziose quindi mi fa piacere condividerle con i miei fan. (Scherzo, scusate, non vi ci chiamo più così.)


La prima: @accidentallywesanderson, l'account Instagram con cui fare bella figura con le ragazze hipsterelle con cui volete provarci. Foto dai toni del regista del cuore delle ragazze da borsa di tela, una più bella dell'altra, che non faranno altro che portare una ventata di serenità e bellezza nel vostro feed pieno solo di foto di emrata. Vi conosco.



Ho quasi vergogna a dirvi quale è stato il mio film del mese. Aprire un blog di cinema senza avere visto il Capolavoro Senza Tempo© di cui sto per parlarvi è un affronto che la categoria dei cinebloggers potrebbe non perdonarmi.
Ho visto solo ora Scott Pilgrim Vs The World ed è stato magnifico. 
Il mio immaginario gli gira intorno da quando l'ho guardato la prima volta. Eppure lo sapevo. Lo sapevo perché Edgar Wright è una delle persone grazie alle quali questo blog esiste. Quando sono una seriosa pigna nel sedere, Wright riprende il mio entusiasmo e lo rilancia tra le stelle, ridonandomi la gioia immensa che solo un certo tipo di cinema mi dà. Scott Pilgrim e i sette evil exes hanno preso il mio entusiasmo e gli hanno fatto fare il giro intero del mondo. Lo AMO. Ho riso fino ai dolori di pancia, mi sono anche un pochino emozionatina e ad un certo punto ero talmente esterrefatta da quello che vedevo da non riuscire manco più a ridere. È tutto talmente tanto da lasciare interdetti, rimbambiti, ma mai che stanchi. Non supera mai il confine che divide il tanto dal troppo, ed è un giocattolone magnifico di quelli per bambini intelligenti. 
Mi sono innamorata, ne vorrei altri mille.




Ho due serie tv in corso di cui parleremo alla fine ma sulle quali devo dire due cose veloci.

Brooklyn Nine-Nine fa un ridere, ma un ridere!
Mentre guardavo (stirando, da brava massaia quale sono diventata) il primo episodio temevo l'allarme idiozia. Io sono detestabile ma l'ironia proprio scemona mi dà fastidio.
Idiota è idiota.
Ma quanto mi diverte non lo so dire. Quanto li prende in giro sti cliché sulle solite serie nei commissariati, quanto non gliene frega niente di niente, solo di dire cagatone e fare un ridere incredibile. Lo adoro.

The Terror, invece, non fa ridere manco per niente. Fa paura, angoscia, sofferenza. Io convinta al mille per mille che non me ne sarebbe fregato niente della storia delle navi bloccate alla ricerca del passaggio a nord ovest, invece quando lo guardo mi sento l'aria mancarmi in gola. La situazione è talmente esasperante da far impazzire anche lo spettatore. E l'inquietudine trasmessa è di grande impatto e molto più intensa di quella di tanti film che sembrano provarci più forte ma riuscirci molto meno. Il freddo poi è il nemico numero uno della Redrumia, e a me The Terror fa sentire male al solo pensiero di quanto freddo avessero questi poveretti. Mi struggo per loro, sotto la mia copertina di pile il primo ottobre.

Infine, solo un accenno velocissimo ai libri perché voglio scrivere un post a parte sul tema: sto divorando come ciliegie i gialli della Rowling con lo pseudonimo di Robert Galbraith. Se ci penso e provo ad essere oggettiva non li trovo eccezionali ma per qualche ragione che ancora non ho messo bene a fuoco non li so mettere giù.
Io, quella che era stufa dei gialli.

Con l'ennesima contraddizione della Redrumia vi lascio al vostro lunedì sera, augurandovi che sia come il mio: camomilla, felpa, librottone da finire e pioggerellina autunnale.
Banalotto, ma che bello.


mercoledì 19 settembre 2018

Sulla mia pelle

20:01
Vuoi non farla l'intro smelensa?
Facciamola.
Mi sono appena trasferita, ma fino ad un mese fa abitavo vicino ad un micro parchetto del paese, classico e anche un po' banalotto luogo di ritrovo di ragazzini con la canna in bocca. Sono ragazzini che ho visto venire su, in un mondo in cui volente o nolente ci conosciamo tutti, li conosco per nome, so le facce delle loro famiglie. Li sentivo ridere e ascoltare la musica fino a notte fonda e spesso ho augurato loro scariche diarroiche debilitanti.
Io ho cambiato casa, ma loro sono ancora là, con le macchine con i finestrini abbassati, le morosine sulle canne della bicicletta e le lattine di birra sempre lasciate in giro.
Non è così scontato, pare.


Le leggo, quelle persone capaci di analisi profonde e utili. Le leggo e le ammiro.
Io no.
Io mi sento ribollire, mi sento come se mi si fosse rotto qualcosa dentro, mi si appiattisce il cervello e riesco solo a pensare 'Ma come?'. Niente parolacce, niente insulti, niente. Solo 'Come?'.
E se esiste un lato di me che ancora per tutelarsi da una realtà così tremenda nega o si distrae (ho dovuto vuotare la lavastoviglie mentre vedevo il film, e preparare la cena, per riuscire a vederlo), l'altro grida internamente che niente di tutto ciò è comprensibile.
E allora, con tutti i diritti, vi chiederete cosa lo scrivo a fare, un post in cui le parole mi scappano via, che non farà altro che unirsi al coro di voci che vi dicono che il film va visto, che Borghi è bravo - bravissimo, eccezionale - e Cremonini pure, che la storia la racconta in modo equilibrato e che spero abbia il riconoscimento che merita.
Ma non ce la faccio a considerare il film, non si può andare oltre, quando si vedono le foto delle anteprime e si vede Ilaria abbracciare i partecipanti, ci si può provare ma non si può.
In tutta questa faccenda io non faccio che pensare a lei, Ilaria.
Ho un fratello più piccolo che ci ha dato qualche pensiero nel corso degli anni, ma che è tutta la vita che ho. E guardo quel donnino piccolo piccolo che ha dovuto fare da parte il suo dolore per combattere per il suo, di fratello, e ogni volta finisco in lacrime che arrivano da posti in profondità e che è difficile far passare con un fazzoletto. Le asciughi, le ricacci indietro, ma sono sempre lì.

A volte mentre facevo trasloco mi sono sentita sola. Parenti e amici tutti impegnati o lontani, mi sono ritrovata tante ore qua da sola in una casa vuota. A volte presa da stanchezza e pensieri ho pianto un po'. Come può essersi sentito un ragazzo morente, per una settimana, senza nemmeno sapere che i suoi cari fuori stavano pensando a lui? Ci penso in ogni momento. Ci penso ogni volta che ho davanti la faccia di Stefano o dei suoi, allontanati da lui. E allontanati, ora e per sempre, dalla speranza di una vita normale. Io spero che ci pensino tutti, ogni persona che in quei giorni di Stefano ha visto la faccia. Spero non la dimentichino mai, spero compaia nelle loro notti insonni, che gli occhi pestati di 'solo un povero tossico' siano ricordo cristallino di quello che non si è stati. Persone.
E se esiste ancora un briciolo, una puntina da qualche parte sepolta nell'anima di chi da questa storia è così toccato, non possiamo che sperare che qualcuno dei coinvolti, oggi, sia cambiato. Che una violenza nata per chissà quale motivo sia diventata, viste le conclusioni, anche lo stimolo per cambiare.
Se non mi sforzo di pensarlo non sopravvivo, in un mondo di persone che quella violenza qui la legittimano.

Pensavo che avrei pianto dal primo momento, dalla prima scena in cui ci si accorge che di Stefano non è rimasto nulla se non un corpo spaccato. E invece no, mi sono inflitta la tortura di guardare tutto senza il filtro delle mie lacrime, senza distrarre la mia mente pensando a dettagli della vita reale mia e di chi mi circonda, senza far entrare nulla d'altro.
Ed è entrato tutto.
Era davvero meglio se dormivi dai tuoi, Ste.

giovedì 13 settembre 2018

Saga

13:44
Io mi rendo conto che arrivo sempre dopo la puzza.
Però se c'è una sola persona la mondo che non avesse letto Saga e, letto questo post, decidesse di iniziarlo, io saprò che qualcosa di buono al mondo l'avrò fatto con questo blog.



La Saga in questione è quella di un universo intero, funestato da una sanguinosa guerra. A combattersi sono un pianeta e la sua luna. I loro abitanti si detestano da generazioni.
Qualcuno, però, si è dimenticato di dirlo a Mako, lunare, e Alana, terrestre.
Sti due hanno l'ardire di innamorarsi.
E di procreare.
E, quindi, di scappare.

I grandi racconti del fantastico hanno una cosa in comune: la capacità di creare mondi indimenticabili. Basta mezza nota della colonna sonora per chiudere gli occhi e sentirsi nella Contea. Basta una saetta per pensare ad Hogwarts, tanto per citare le grandi banalità. Saga costruisce con una semplicità disarmante la storia intera di un universo, in cui convivono creature di mille razze e con caratteristiche diverse, con relazioni politiche e diplomatiche che regolano le leggi dell'universo.
Ha la forza di una storia costruita con tempi narrativi praticamente perfetti e con la passione di chi ha tanto da narrare, ha disegni moderni e coloratissimi ma che ci mettono una tavola sola per diventare potenti ed evocativi, e tirare fuori tutto il cuore del mondo. Ha una varietà di razze così diverse e intriganti, che devono convivere in poche pagine ma che non mancano mai di avere ognuna lo spazio che merita e che sono una più bella dell'altra.

Ma più di ogni altra cosa ha la voglia di pace, di rivolta di fronte a governi malvagi, di tolleranza tra i popoli, la voglia e il bisogno di salvezza per sè e per chi è più piccolo e per questa salvezza ancora non può combattere, ha un amore da tutelare come la più preziosa delle gemme, ha famiglie surrogate e reali che si sacrificano per gli altri, ha tutta la passione di chi per i propri cari smette di avere paura e inizia ad avere coraggio, ha piccoli gesti che parlano più di quelli plateali e ha una sequela di personaggi indimenticabili che sfileranno di fronte ai vostri occhi con le loro storie. Ognuno che porta su di sè a modo proprio le conseguenze di un conflitto non richiesto, ognuno che ha cicatrici che cerca di nascondere ma che diventano inevitabilmente la motivazione per ogni scelta, ognuno con una storia storta da raddrizzare. Sia i principali che i comprimari diventeranno volti amici e compagni di battaglia, la cui sorte diventerà cara come la pelle. Le loro vicende sono così reali e 'terrestri' che non riusciranno mai a sembrarci aliene. Nel bene e nel male.

Saga è un'avventura magnifica, dalla quale riemergere senza lasciare indietro nemmeno un pezzettino di cuore è impossibile.
L'immaginazione, però, ne esce ingigantita, ed è un regalo immenso.
Questo regalo qui, se non l'avete ancora ricevuto, fatevelo.
Sarà un viaggio indimenticabile.



martedì 28 agosto 2018

Notte Horror 2018: Splatters, Gli Schizzacervelli

21:00
La Notte Horror è l'evento più bello della blogosfera.
Per tutti i martedì d'estate ci impossessiamo dell'internet e parliamo di orrore, quindi per me è sempre una grande festa.
Io quest'anno sono in chiusura, con Alessandra di Director's Cult, per i motivi del post precedente. E non potevo che chiudere con Peter Jackson.



Splatters racconta di una scimmia - ratto, di una coppia funestata da una sorte infelice, e di un ninja di Dio.
Ed è tutto quello che ho intenzione di dirvi.

Se una persona se ne esce un giorno con 'Oh ma lo facciamo un film in tre parti da Il Signore Degli Anelli?' quello che verrebbe da fare è prenderlo e rinchiuderlo. Non perché non ci siano speranze, ma perché è una roba da matti. Il risultato è stata una delle più magistrali trasposizioni cinematografiche mai realizzate, ma questo non smentisce la condizione iniziale: essere completamente, irrimediabilmente, fuori di testa.
Avremmo dovuto saperlo, che Peter era un folletto malefico e matto.
E avremmo dovuto saperlo perché prima de Il Signore Degli Anelli c'è stato Splatters. 

Mettiamo una sera di fine estate.
Divano, clima acceso, amici cazzoni. Niente patatine perché porco cane il film fa schifo davvero, non consiglio il consumo di alimenti.
Splatters sulla tv.
Io sono certa che mi divertirei come una cretina.
Perché il condizionale?
Perché i miei amici (che pur amo con tutto il mio cuore) non sono così cazzoni da lasciarmi scegliere una meraviglia della comedy horror, talmente disgustosa che non si può far altro che piegarsi in due. Peter Jackson non si ferma davanti a niente, non ha certo paura di inorridire le signorine nè di esagerare. La prima mano mozzata è al minuto 3.  Da lì in avanti è un susseguirsi, senza un secondo di tregua, di scene una più ripugnanti dell'altra, in una sorta di gara con se stessi per vedere fin dove ci si spinge. Morti che si gonfiano ed espellono sostanze verdi misteriose, cani divorati da anziane nonnine, amplessi zombi con labbra mozzate, preti che fanno kung fu.

Un tripudio di purissima idiozia neozelandese, che non si prende sul serio nemmeno per sbaglio, che non ha paura di esagerare perché parte volendo esagerare, e lo fa con un entusiasmo che è una gioia per gli occhi.

Più Splatters per tutti.

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