venerdì 8 marzo 2019

Period. End of sentence.

13:44
Buona Giornata Internazionale della Donna! Che sia, come mi auguro ogni anno, lo spunto per migliorare quello che non va. La strada da fare è tanta, ma non ci ha mai spaventato.
Per festeggiare, quindi, parliamo di ciclo.


Anno del Signore 2019, Italia.
Qualche settimana fa ho tagliato i capelli e fatto la frangia. (Sì, sono in lutto e no, non ne voglio parlare.) Quando ho detto a mia mamma che sarei andata si è raccomandata una cosa: "Controlla di non avere il ciclo che poi sai che i capelli non vengono bene."
La settimana prima sono andata a trovare la mia proziotta amatissima, la cosa più simile che ho ad una nonna. Mi avvicino ammirata ad un suo ficus di più di dieci anni, allungo una mano per sfiorarlo ma lei, sfoderando una velocità inaspettata per i suoi 90 anni, mi ferma e mi chiede: "Non hai le tue cose vero nani? Non mi toccar la pianta se hai le tue cose che me la fai marcire."
(Nani, vezzeggiativo cremonese, cfr con Nano, versione mantovana.)

L'Italia vive in questa fase di mezzo: la parte meno istruita della popolazione crede ancora ad antiche dicerie sul ciclo e ne parla poco e malvolentieri, un'altra parte, più fortunata, sguazza tra i mille tipi di assorbenti di cui disponiamo (ma che ricordiamo sono beni di lussissimo tassatissimi) e addirittura sta cercando modi per gestire il ciclo che siano meno impattanti per l'ambiente.

Quando pensiamo ai milioni di problemi che hanno i paesi meno sviluppati, spesso ci capita di dimenticarci di pensare ad alcune cose che per noi sono scontate. Ecco allora che intervengono prodotti come Period. End of sentence. che, con un titolo bellissimo, ci porta in India, a capire quali problemi causi alle donne avere il ciclo mestruale e cosa The Pad Project sta facendo per aiutarle.

Un piccolo passo indietro.
Il documentario ha ricevuto alcune critiche severissime, ve le linko qua.
Io direi che la visione di un documentario di mezz'ora, perché così dura, e un solo articolo non fanno di me una persona preparata per esprimere un'opinione certa, quindi mi limito a lasciarvi anche la voce contraria, in modo che possiate farvi un'idea o approfondire la questione se lo ritenete.

Adesso possiamo parlare del documentario, che si apre con una squadra di ragazze che al solo parlare del ciclo davanti ad una telecamera impallidiscono. Risatine imbarazzate, ben poca voglia di toccare l'argomento e pochissima conoscenza.
Nella loro normalità il ciclo è un tabù tremendo che non solo rende complicata la quotidianità, ma che arriva ad avere conseguenze su tutto il futuro delle donne. Le ragazze smettono di studiare, spesso, quando il ciclo arriva. E non come noi che stiamo a casa un giorno al mese, poi facciamo la giustifica sul libretto e torniamo a scuola felici, contente e con gli assorbenti freschi e profumati.

Alle ragazze del piccolo villaggio che sta fuori Nuova Delhi viene inviata, dall'associazione The Pad Project, appunto, una macchina che produca con costi ridottissimi, assorbenti igienici che siano alla portata (economica) delle loro amiche, sorelle, vicine. Inizia una piccola impresa, di donne che producono e vendono assorbenti.
Non si è solo mandato loro un modo per aiutarle a contenere il sangue (30-40 ml per un ciclo medio che ci portiamo a spasso e che da qualche parte dovranno andare a finire), non sono solo stati mandati loro degli assorbenti. Hanno ricevuto la libertà.
E vedere donne che solo qualche scena prima avevano paura solo a dire che cosa succedesse al loro corpo (ogni mese, per ben più di metà della vita) stare sedute insieme a scegliersi gli assorbenti, a parlarne, finalmente, a trovare supporto l'una nell'altra, a lavorare per la prima volta, a rinunciare al timore, è stato molto commovente. Una delle ragazze ha preso delle monete in mano, le ha guardate perplessa per un po', e poi ha esclamato: 'Soldi! In tasca mia!' e aveva un sorriso così grande, che il mio cuore è rimasto lì.

Essere femministi oggi non significa solo combattere per i cartelli deficienti della Lega di Crotone (Lega. Di Crotone.). Le donne che crescono e hanno grandi opportunità possono fare grandi cose, e a volte queste grandi cose comprendono aiutare le altre, che cresceranno e a loro volta aiuteranno, in una grande e solidale rete di supporto che ci può portare fino alle stelle.
No, 'ci' non vuol dire noi donne.
Vuol dire noi umanità, tutta quanta.
Forse non tutte potremo mettere in piedi un nuovo Pad Project, o un nidi gratis project, o un antiviolenza project.
Ma forse qualcuna sì, e allora continuare a combattere ne sarà valsa la pena.


venerdì 1 marzo 2019

Cose di Febbraio

11:27
Lo so, sto trattando questo povero posto malissimo. Lo mollo, poi lo riprendo, poi me lo scordo...

È solo che per il momento sto dando la precedenza ad altro. La seconda storia per ragazzi by me medesima è finita, sto ultimando le ultime cosine poi la lancerò al mondo, solo che questa volta il mondo non sarà Amazon, almeno non subito. Se andrà male la strada dell'editoria classica tornerò con la coda tra le gambe al grande gigante gentile.
Questo non significa che non abbia visto nè letto niente, questo mese, quindi qualcosina di cui parlare ce l'abbiamo lo stesso, anche se in forma ridotta.
Il post non si chiama Preferiti come al solito perché questo giro niente mi ha rubato il cuore.

Buona parte del mio mese di letture è stata rubata da Delitto e castigo.
Conoscevo Dosto solo da Le notti bianche che mi aveva emozionato come poche altre cose prima di lui, ma prima o poi dovevo fare il salto di qualità. 
Penso sia chiaro a tutti che potendo scegliere il mio grande amore i classici russi non rientrerebbero tra le mie prime scelte, ma Delitto e castigo tocca argomenti che pizzicano la mia sensibilità e lo fa con le parolone grandi e magnifiche che rendono i classici quello che sono. Non diventerà mai uno dei miei libri preferiti, ma figuriamoci se mi metto a sindacare Dostoevskij.
Per riprendermi dall'impegno di una lettura così cicciona sono passata ad un horrorino.

Il libro si chiama Nel buio della mente, di Paul Tremblay. 
Cosa cerca di fare, Tremblay? Ma certo! Di dare uno sguardo fresco e nuovo al tema della possessione demoniaca!
La storia è quella di una ragazza, Merry, che sta raccontando ad una giornalista la storia della propria famiglia. Quando Merry aveva 8 anni, infatti, sua sorella maggiore Marjorie ha iniziato ad avere qualche problema. Lo psichiatra non sembrava aiutarla, così il papà, non senza opposizioni della mamma, si è rivolto ad un prete. La famiglia però inizia ad avere grossi problemi economici, così per rimpolpare le casse decide di partecipare ad un reality show, The Possession, che seguirà tutta la procedura di esorcismo.
Partendo dal presupposto che a me è sembrato un libro senza infamia e senza lode, forse è il caso di argomentare un minimo.
Il punto di vista della sorellina minore è interessante, poteva offrire spunti nuovi e freschi, mentre si limita a farlo solo in parte, perché si ricade nel solito demone intrigato anche dall'altra femmina fragile di casa, che si palesa solo quando c'è lei, eccetera eccetera. Poteva anche non essere male la questione reality show, con i risvolti legati alla notorietà, al rendere pubblico qualcosa di così estremo, invece si accenna alla faccenda in un dialogo e basta, chiusa lì. Il difetto principale del libro è questo, per me: provare a portare in tavola qualcosa di nuovo e non farlo abbastanza. 
Per il resto, poi, è tutta la solita solfa: corpo che non risponde al padrone e fa cose innaturali, parolacce, masturbazione, insulti alla chiesa, camere da letto gelate, dubbio se si tratti davvero di possessione o meno ma nel dubbio facciamo un esorcismo. Bla bla bla.
Detto ciò: a me ha fatto paura? Chiaro che sì, se ci sono posseduti in Redrumia ci facciamo la cacca addosso, fossero anche posseduti scadenti.
Alla fine è un libro utilissimo per staccare la spina, che sembra essere una cosa così ambita, e chi ama le possessioni 'canoniche' ci troverà tutti gli elementi del caso.

Facciamo una breve parentesi Oscar? Facciamola.
Sono contenta per tre cose tre: la Colman, Cuaròn alla fotografia e Spiderman.
Arrivederci e grazie, per il resto possiamo chiuderla qua, perché sebbene tutti sappiamo che il valore vero di un film non lo fanno i suoi premi e tutto quanto, gli Oscar sono e restano comunque per il grande pubblico il punto più alto della carriera di chi lavora in questo ambito, e che La Favorita sia andato a casa quasi a mani vuote per favorire i buoni messaggi e la meraviglia della vita mi fa incazzare. 
Ma mai quanto i costumi e la scenografia a Black Panther. 
Quello proprio è un abominio.

Io quest anno ero partita ben poco preparata, dirò la verità, ma voi avete dato così tanto spazio a Bohemian Rhapsody che avevo ragione io a essere poco preparata, perché è un film osceno, beati voi che vi divertite così poco. E se a farvi uscire esaltati dalla sala è la scena del Live Aid dell'85, cosa che potrei anche capire, basta aprire Youtube. Quello originale sta lì, gratis, ogni volta che volete. Ma sottoporsi alla visione di quella roba lì solo per essere contenta per una scena una è una tortura che nessuno di noi merita. E una canzone dei Queen io ce l'ho tatuata addosso, non è che non mi piacciano loro, è proprio il film che non va bene.

In compenso questo mese ho visto per la prima volta Ritorno al Futuro.
Basterà per compensare?
Ah, sì, e anche Marvelous Mrs Maisel.
Ma di lei parliamo a parte, che è una meraviglia e si merita un post tutto suo.


mercoledì 6 febbraio 2019

Stagione degli Oscar: La Favorita

15:32
Uscite le nomination io l'avevo detto: tifo matto e disperatissimo per Lanthimos e nient'altro che Lanthimos. Amore, coriandoli, e trombette squillanti per Lanthimos.
Però poi mi sono accorta che non avevo scritto niente del film, quindi eccoci qua, rimediamo.



Alla regina Anna non importa più niente di niente delle questioni pratiche che il suo ruolo comporta. Non è più giovanissima, non sta una favola, ha altro per la testa. Delle sue mansioni si occupa Sarah, la sua più fidata consigliera. Erano una macchina rodata e perfettamente funzionante, ma un giorno la cugina di Sarah, Abigail, entra a far parte della corte e scombussola tutto quanto.

Lanthimos ci ha trollati tutti.
L'ultima volta che ci ha chiamato al cinema è stato per Il sacrificio del cervo sacro, siamo usciti dalla sala tutti quanti scombussolati e con un discreto bisogno di terapia. Ci si aspettava qualcosa del genere, quanto meno.
E invece no, abbiamo preso una strada diversa, indispettendo un numero considerevole dei cinefili che seguo.
Io sarò sempliciotta, ma a me questo taglio nuovo è piaciuto tanto.

Parlare del potere a Lanthimos è sempre piaciuto tanto e lo ha sempre fatto bene, con modi e toni che rendevano il suo cinema poco fruibile. Erre, che è sempre il mio metro di giudizio 'esterno', quando ripensa al Cervo Sacro mi si impalla ancora. Si ferma letteralmente, socchiude gli occhi e cerca da qualche parte nella sua testa delle spiegazioni che non avrà. Mica perché servano dei master ricercatissimi che solo Noi Veri Autentici Cinefili abbiamo, ma solo perché non tutti amano dover uscire dalla sala e fare ore a riflettere su quello che hanno visto.
Questa volta non ci sono metafore nè troppo grottesco che a qualcuno può risultare indigesto, qui si parla di potere e lo si fa forte e chiaro, usandolo nella sua forma più famosa, se vogliamo: la nobiltà.
E questa regina è favolosa. Io devo cospargermi il capo di cenere perché Olivia Colman prima di Broadchurch mica la conoscevo. Se già nella serie aveva dato prova di essere brava, ma brava per davvero, qua proprio esce dagli argini e gli distrugge, inondando tutto. Un personaggio così desolante, insieme allo straordinario potere che ha possiede lutti atroci, solitudine, disturbi, una bocca sempre sporca di cibo. Debolissima, una cucciolona fragile che si lascia abbindolare dal primo sorriso che la illude di darle affetto. E la Colman è indescrivibile.

Una donna così non può passare inosservata, è la più ghiotta delle occasioni, nella scalata al potere. Un paio di occhi belli che si prendono cura di lei e niente, senno perso del tutto, guerra e stato in mano a chiunque, e per Anna solo amore e pace dei sensi, niente di quelle storie rognose di politica e strategia. è quando gli occhi belli diventano quattro che la faccenda si fa interessante. Bastava l'arrivo di una damina di corte dal passato complicato e dallo sguardo sveglio a spodestare Sarah dal suo trono. E allora il semplice film in costume si trasforma in una storia di competizione e ruolo. Di potere, quindi.

Tra loro due, che si venderebbero pure la famiglia pur di ottenere il prestigio del ruolo di preferita, ci sta lei, la regina, che alla fine voleva solo qualcuno che le volesse bene. Umiliata, presa in giro, distrutta anche fisicamente da un male che forse fisico non è (inizia il film in piedi ma si riduce in carrozzina), ma pur sempre la regina.
Quel finale lì lascia poco all'immaginazione: dite e fate quel che volete, ma io sono la regina e voi non siete un cazzo.
Conterà poco, per il suo povero cuore ferito, ma io una rinascita ce l'ho vista.

Per me Lanthimos ha vinto e stravinto, e se quello che serviva per farlo amare anche al grande pubblico era un film più convenzionale non solo non ci vedo nulla di male, ma anzi ben venga.
Per farsi amare al mille percento, poi, ci ha regalato Mark Gatiss con parruccone inglese, e tanto basta perché il film vinca ogni statuetta possibile.

venerdì 1 febbraio 2019

Preferiti della Redrumia: Gennaio 2019

08:54
L'anno è iniziato solo da un mese e io già portato a casa il buon proposito che era il numero uno del 2019: cambiare lavoro.
Sono ovviamente scombussolata agitata nervosa inquieta e tanti altri aggettivi senza nemmeno la virgola in mezzo, però mi sono tolta un grosso e invadente zaino dalle spalle.
In mezzo a tutti questi sconquassamenti ci ha pensato la finzione a distrarmi dal mio essere scombussolata agitata nervosa e inquieta, perché è stato un mese di cose bellissime che mi hanno riempito di meraviglia.


I primissimi giorni dell'anno sono stata a vedere Suspiria.
Se l'anno prosegue così, signori, io sono a posto. Guadagnino ha preso il film di Argento, lo ha guardato bene bene, poi lo ha appoggiato da parte per fare una cosa tutta sua, e gli è riuscita benissimo. Non si tratta solo della straordinaria ricostruzione degli anni '70, nè di attrici che avevano una gran voglia di levarsi la brutta fama di dosso (per me, Dakota Johnson, sei assolta da tutti i tuoi peccati), si parla di un'aria densa e pesante come minestrone, di immagini incise negli occhi, di una regia maestosa e di almeno un paio di sequenze che è difficile non sognarsi la notte. E poi io sto film lo avrei voluto candidato ai costumi, per le tute e i vestitoni, per l'abito di scena dello spettacolo, per il modo in cui erano vestite tutte quante alla tavolata a cena. Ma no, candidiamo sempre e solo i film in costume.

Ovviamente altri film del mese non possono che essere Glass e La favorita. 
Se Glass mi è piaciuto con qualche piccola riserva, La favorita è proprio da volarci via.
Io l'avevo detto (su Instagram, mi seguite vero? ci resto male se no) che tifavo per Lanthimos prima ancora di vederlo. Poi l'ho visto ed è uno di quei film grandi grandi che quando arrivano fanno vergognare tutti gli altri. Tre donne portentose davvero, ma la Colman viene da un altro pianeta. Non vedo l'ora di vederla nella terza stagione di The Crown, la stiamo aspettando da troppo.

Se al cinema sono stata molto fortunata è con la narrativa che questo mese ho proprio sbancato, ho infilato una lettura bellissima dopo l'altra, come una quaterna secca al lotto.
Ho iniziato il 2019 con il nuovo saggio di Harari. Io ho un problema con la saggistica, perché sebbene sia abbastanza curiosa e interessata a tante cose, se non incontro una scrittura bella dinamica e che sia soprattutto all'altezza di ognuno (principalmente perché sono ignorante come uno zoccolo) la mollo, la faccio vincere a tavolino e torno al favoloso mondo della fiction. Invece Harari, che è intelligente per davvero, prende il lettore per mano e lo accompagna attraverso le sue conoscenze, leggero e spontaneo come chi la cultura la possiede davvero e non deve farne sfoggio. 21 lezioni per il 21esimo secolo è bello e tocca tantissimi abiti, dal lavoro alla politica, dalla religione al senso del vivere, il tutto con uno sguardo a lunghissimo raggio sul futuro pur cercando di tenere i piedi per terra, vicino a noi. Splendido Harari.
Di The hate you give abbiamo parlato un post tutto per lui, mentre ho ritenuto di non avere niente da aggiungere su Il deserto dei tartari. 
Il modo in cui scriveva Buzzati è fuori concorso. Non riesco a capacitarmi di come possa averlo ignorato fino all'anno scorso. Ha una prosa che non ho mai ritrovato in nessuno. Parlasse anche di idiozie senza senso, io sarei ai suoi piedi, a venerare il suo uso delle parole e persino delle singole lettere.
Ho chiuso gennaio con Pennac, poi. Io faccio così: dopo che leggo qualcuno di immenso mi viene la crisi del lettore. Chi ha il coraggio di venire dopo Buzzati scusa? Come si fa?
La mia soluzione al blocco è sempre Malaussène. Stavolta, quindi, toccava a La Prosivendola, che mi ha fatto meno ridere de La fata carabina, ma che ha certe uscite che mi hanno preso il cuore e lo hanno sbriciolato fine fine.
Ogni tanto, nel corso della mia vita, mi sono chiesta quanto tempo ho perso stando dietro ai libri. Ma chi me lo fa fare, ma cosa ci sarà di così speciale, ma cosa perso le giornate a leggere, cosa mi piace così tanto. Quando riprendo persone come Buzzati e Pennac, me lo ricordo. E mi maledico per essermelo dimenticata.

Questo mese, infine, ho ripreso a scrivere. Avevo messo da parte il Libro Per Ragazzi Numero 2 By Me perchè sono una cazzona incostante, e perché troppe volte mi sono lasciata convincere che in Italia non si vive scrivendo i libri.
Sono certa sia assurdamente difficile, leggo da troppo tempo per non conoscere nessuna dinamica editoriale, ma devo concedermi di provarci, o non me lo perdonerò mai. Sono quindi all'oscuro di novità musicali e/o cosine varie a cui mi dedico di solito: sto tutto il giorno con la mano ingrigita dalla matita e per farlo di solito ho bisogno di silenzio tombale e di una tazza di latte caldo col nesquik.

Febbraio lo sto iniziando con il nuovo Spiderman.
Mi pare che quest anno non sia male.

giovedì 24 gennaio 2019

Stagione degli Oscar 2018: Black Panther

18:06
Da secoli non faccio recensioni di film singoli. Però ho pensato che almeno per gli Oscar potevamo fare due chiacchiere insieme sui nominati, in particolare quest anno che le nominations sono state così controverse.
Ora, ribadiamo l'ovvio: sono forse gli Oscar la principale conferma della qualità di un prodotto?
No, certo che no.
Ma sono divertenti ed è come giocare al fantacalcio.
Iniziamo quindi con Black Panther, candidato a 7 premi: miglior film, miglior canzone, miglior scenografia, costumi, colonna sonora originale, sound editing e sound mixing.

Recensione in breve per chi non avrà voglia del post lungo e polemico: nello stesso giorno ho guardato anche Gli Incredibili 2 e mi è piaciuto dieci volte tanto.


Trama molto in breve: nell'utopica nazione del Wakanda il re è morto. Sarà il figlio T'Challa a prendere il suo posto, e dovrà dimostrare di esserne all'altezza, anche se questo dovesse signiicare andare contro quello che suo padre aveva fatto prima di lui.

Premesse paraculine: non so niente niente niente del fumetto, e per una volta ho colto leggermente impreparato anche Erre, che di solito mi spiega le cose quando parliamo di cinecomics. La seconda è che spero di non essere offensiva, perché se il film ha citato o omaggiato elementi tradizionali di una o più culture africane io non lo so e non l'ho colto, e spero di non essere maldestra nel criticarlo.
Criticarlo, sì, perché dopo averlo visto vorrei prendere gli Oscar di quest anno e buttarli nell'indifferenziato, anche se siamo solo alle nominations.

Abbiamo visto finalmente le persone nere rappresentate. Abbiamo visto il continente che il cinema più snobba finalmente ritratto e protagonista, se pur con una nazione fittizia, abbiamo finalmente guardato qualcosa di diverso. Non poteva, perdio, essere anche qualcosa di bello?
Non sarà premiando questa roba ai premi più famosi che combatteremo il whitewashing. Non che lo creda possibile di portarsi a casa qualcosa, ma è frustrante vedere succedere ancora cose così.

Protagonista indiscusso del film è il Wakanda. Nazione utopica ipertecnologica e magnifica, ritratta splendidamente. In effetti, è quasi la sola cosa che mi sia piaciuta, insieme alla bellezza quasi dolorosa di Lupita Nyong'o e dei due protagonisti maschili. Mi è piaciuto anche che i poteri della Pantera siano removibili e reinstallabili come un'app del cellulare.
Apprezzabilissima la motivazione dell'antagonista, anzi un ottimo pretesto per parlare di temi fondamentali senza pesare come mattonate in faccia.
E poi c'è Martin Freeman, e lui è sempre la mia cosa preferita in ogni prodotto in cui metta la faccia.

Ma il film si apre con lo spiegone. E a me lo spiegone iniziale già predispone male. Mi sa di pigrizia di sceneggiatura. E sì, vale anche per La compagnia dell'anello. 
E lo spiegone è in italiano. Ora, i film a me piace sempre vederli in sala, quando posso. E da me le offerte in lingua originale sono limitatissime, quasi assenti, quindi vedere un film al cinema significa vederlo in italiano. E porco cane Black Panther in italiano è un insulto al caro vecchio doppiaggio italiano che i cinefili veri ci tengono sempre a definire uno dei migliori al mondo. Ha reso la situazione talmente imbarazzante che sono certa se lo rivedessi in inglese forse cambierei idea. Ed è la seconda volta che mi succede una cosa del genere e mi dispiace profondamente. Non rinuncerei mai all'esperienza in sala, ma io sono scoppiata a ridere più volte, e non nel modo in cui forse il film sperava di farmelo fare in scene indigeribili come quella delle ciabatte.
Cosa è andato storto?
Perché qua non è una questione economica. Qua qualcuno ci ha speso una montagna di soldi, e il risultato è un'aberrazione. Nessuno da salvare. Angela Bassett ridotta ad una attrice di soap latine. Che peccato, davvero.

Quando arriva il momento in cui la gente poi inizia a menarsi io e Erre diamo il meglio, di solito. Qui zero. L'inseguimento a Busan sembra uscito dritto dritto da Fast and Furious Tokyo Drift, e a saperlo prima mi sarei guardata quello che almeno mi diverte sempre tanto. Per tutto il resto del film piattume totale fino alla battaglia finale, in cui per smuovere la noia si è dovuto ricorrere ai rinoceronti che fanno sempre una bella impressione.

Ma la candidatura che non posso accettare, quella che davvero pesa sul mio cuore come un macigno, è quella per i costumi, dove porco di un cane porchissimo avrebbe dovuto esserci Suspiria e invece ci sta sto coso con la roba che pare uscita da Desigual. E parla una che ama l'estetica etnica, ma qua di etnico ci sono solo gli insulti che ho creato con la mia testa quando ho visto le nominations.

Per favore, un supereroe nero è importante. Ci sono migliaia di bambini nel mondo che vorrebbero qualcuno a cui guardare per immedesimarsi che sia del loro stesso colore, conta davvero tanto.
Fategli vedere Gli incredibili, chè lì almeno ci sta Siberius.

mercoledì 16 gennaio 2019

The hate you give, Angie Thomas

13:31
Ho iniziato l'anno con il saggio nuovo di Harari, XXI lezioni per il 21esimo secolo, che racconta di spaventosi scenari per il futuro. Ho proseguito con un romanzo che parla delle realtà spaventose di adesso, soprattutto se sei nero e vivi negli Stati Uniti. 
Ha vinto la categoria Best of the best su Goodreads per il 2018, e per me è più che meritato.
So che è già uscito il film, e lo vedrò di sicuro, appena i personaggi avranno smesso di avere nella mia mente la faccia che ho dato loro.


Starr Carter frequenta una prestigiosa scuola privata. Ha amiche, gioca a basket, sta con un adorabile fidanzato che stravede per lei. Però Starr è nera, e non vive nel quartiere in cui vivono i suoi compagni. Dove vive lei droga, scontri, gang e povertà sono all'ordine del giorno. Lei ci prova a tenere un equilibrio tra questi due mondi così lontani, ma quando il suo amico Khalid viene ucciso da un poliziotto diventa tutto più difficile. Soprattutto perché lei è la sola testimone, e deve trovare la forza di parlare.

Si legge in un paio di sedute, The hate you give. Non è lunghissimo e ha una di quelle belle scritture semplici che scorrono come acqua fresca. Non ci prova nemmeno a fare il complicato, perché a complicare la faccenda ci pensa il tema trattato. O meglio, ci pensano i temi trattati, perché in una sola storia c'è racchiuso un mondo intero.
Starr è giovanissima, ma ha la durezza tipica di chi non può nemmeno uscire a giocare per strada per non essere massacrato. Da un criminale o da un difensore della legge. Da bambina i suoi le hanno insegnato come comportarsi in presenza delle forze dell'ordine, e la vita nella sua scuola, frequentata in modo quasi esclusivo da bianchi, le ha insegnato come comportarsi per non essere mai additata come 'quella del ghetto'. Parlare bene, con calma, mai essere scalmanate, o arrabbiate, o tristi. 
Ha una famiglia preziosa come l'oro, che la ama calorosamente. Eppure niente può proteggerla dal mondo, e infatti proprio lei, così lontana dalle dinamiche criminali del quartiere, si ritrova ad essere l'unica testimone di un omicidio brutale e ingiustificato. 
Non solo, perché l'omicidio di Khalil è la punta di un iceberg rivoltante: polizia che copre il collega colpevole, media che travisano la verità e la rivoltano a loro piacimento, amici che non comprendono, amici che non si vuole aiutare a comprendere, genitori che vorrebbero proteggerti e subiscono le conseguenze delle tue scelte. Una ragazzina con la sola colpa di essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato ha ora la responsabilità di far arrestare un omicida. 

Non si parla quindi solo di violenza della polizia verso la gente di colore, che è certamente la cosa più importante. Si parla anche di un'adolescente che deve fare chiarezza su chi sia e cosa voglia, su cosa la caratterizza davvero, sulle sue radici e sul suo futuro. Si parla di saper prendere decisioni forti, di capire che a volte bisogna decidere da che parte stare e accettare che si perderà qualcuno inevitabilmente lungo la strada, si parla di imparare a riconoscere il marcio, che spesso fermenta sotto i nostri occhi quando nemmeno ci accorgiamo della sua gravità, e di imparare anche a convivere con i propri rimpianti, perché quello che ci rende quello che siamo è anche il modo in cui reagiamo. Si cerca di far luce su come in molte realtà la criminalità sia la sola scelta possibile per restare vivi, sulla mancanza di prospettive per una marea di persone, sulla fine della speranza.

E si fa in un solo libro, che andrebbe portato nelle scuole, nelle piazze. 
Io lo porto qui.




giovedì 3 gennaio 2019

Fame, Roxane Gay

16:43
L'ultimo libro che ho letto nel 2018 è stato quello che mi ha dato la megamazzata finale, per chiudere in bellezza un anno che definirò solo complicato per non cadere nell'autocommiserazione già al 3 gennaio.
Però è stata una megamazzata di quelle che servono, che aiutano a rimettere bene a fuoco il mondo.


Roxane Gay è una scrittrice americana di 44 anni, nera, bisessuale. Ce le ha tutte per indispettire i buoni protettori della società, eh?
Ah, ne ha anche un'altra, di caratteristica: è obesa.
Questo è il libro in cui questa obesità viene sviscerata, dalle sue origini alle sue conseguenze.

Ce lo chiarisce subito, nelle prime righe, Roxane.
Questo non è un libro a lieto fine. Non è la storia di un miracoloso dimagrimento, non ci sono foto di before and after come vanno tanto di moda sui social delle personal trainer, non c'è un solo passo avanti. Roxane questo corpo qua mica lo vuole, ma è il suo e lo rispetta. E ce lo racconta.

Vorrei che arrivaste alla lettura neutri come ci sono arrivata io, da un lato, perché sto libro mi è passato sopra come un treno e sono ancora un po' frastornata, e così il suo messaggio arriva ancora più forte.
Dall'altro lato, però, non riesco mai a tenere per me le cose che amo molto, quindi eccoci qua.

Solito preambolo personale di cui potrebbe non fregarvi nulla: io sono ciccia. Non sono largamente obesa, sono 'solo' un po' sovrappeso. Sono ben più di dieci anni che combatto contro questa cosa, e siccome sono ancora ciccia direi che la battaglia è ancora ben lontana dall'essere vinta.
Nello scorso anno, però, il mio rapporto con il mio corpo è peggioratissimo. Se prima non mi piaceva ma nemmeno mi faceva piangere la notte, ora la notte, quando la mia insonnia mi tortura, è a quello che penso. Quando vado fuori a cena, quando devo spogliarmi per lavarmi, quando giro per negozi. Non compro vestiti da un anno con l'eccezione di una magnifica felpa che in quanto gigantesca mi nasconde.

Potete immaginare cosa ha fatto in un simile desolante panorama la storia della Gay? Mi ha preso l'anima e l'ha fatta a pezzettini piccoli piccoli, poi ha lanciato sti coriandoli per aria ridendomi anche in faccia.
Roxane Gay con un linguaggio quasi chirurgico non ha paura di niente. O meglio, io sono certa, e lei stessa lo ammette, che dire certe cose nel modo in cui le ha dette le sia costato una fatica indicibile. Ma a noi lettori arriva tutto con una schiettezza disarmante, con l'onestà di chi a queste cose ha pensato a lungo, e le ha vissute nella quotidianità. Le sue frasi sono nette e taglienti, e creano un alone di disagio nel lettore che obeso non è.
Perché il rapporto complicato con il proprio corpo lo comprendiamo tutti. Chi più chi meno, chi in forme e modi diversi, ma sono milioni le persone che non si amano. Dall'altro lato, però, chi non è obeso si trova nella posizione di sentirsi a disagio, leggendo, perché ci sono milioni di cose di cui non ci si rende conto. Non è solo il dover cercare online le foto dei ristoranti per vedere che sedie ci sono, o il dover comprare due biglietti aerei per volta. Più che altro è questione di sguardi della gente, di commenti, di persone che ti amano e cercano di aiutarti ma facendolo fanno ancora più male. Soprattutto, è questione di dignità personale, che viene inesorabilmente distrutta, perché pensando di non valere niente si permette agli altri di fare di noi quello che loro ritengono giusto. Ci si lascia usare, importunare, scrutare. La persona diventa il suo corpo, e il suo corpo diventa tutto quello che conta.
Che importa allora se Roxane è una donna molto intelligente, dal carattere solitario ma piacevole, dalla storia familiare dolcissima, dai valori importanti? Prima di tutto è grassa, e tutti, tutti, tutti, sappiamo che questa è la prima cosa che si ricorda parlando di lei. Tutto è così dolorosamente vero.

Non parlerò dei motivi per cui la Gay è grassa, nè degli altri importantissimi temi che escono nel libro.
Vorrei solo che chiunque di voi abbia anche solo il minimo problema con il proprio corpo questo libro lo leggesse, perché è profondissimo e semplicissimo allo stesso tempo, e perché parla talmente chiaro alla mente di chi non si ama che non può che essere d'aiuto.
Quando lo avete finito, poi, cercate di volervi un po' più bene.
A volte è tutto quello che serve per partire, anche se è la cosa più difficile.


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