lunedì 15 aprile 2019

Fiori per Algernon, Daniel Keyes

16:23
Quando ho iniziato a leggere Fiori per Algernon l'avevo detto: ero a pagine 5 e avevo twittato che sapevo avrei pianto.
Ho pianto ogni pagina. Tutte, tutte quante. Non mi era mai successo prima.


Charlie Gordon ha un severo ritardo mentale. La famiglia e la società lo hanno rifiutato, ma lui questo rifiuto mica lo ha capito, e continua a vivere la sua vita con curiosità ed entusiasmo. Per questo quando si presenta la possibilità di sottoporsi ad un intervento chirurgico sperimentale che potrebbe aumentare l'intelligenza di chi vi si sottopone, Charlie è il candidato perfetto.
Lo conosciamo attraverso i suoi racconti, quando il processo per arrivare all'intervento è ormai avviato, lo vediamo operarsi e diventare intelligente, intelligentissimo.
Il resto è da leggere.

Io mi sono sempre sentita stupida. Non ho ritardi diagnosticati, non ho difficoltà a leggere e scrivere, niente del genere. Ma ho sempre sofferto molto il sentirmi meno degli altri, la mia mancanza di competenze specifiche (non ho fatto l'Università), cose del genere. Si tratta di un tema a cui sono sensibile, tutto qua.
Ve lo chiedo per favore: se anche voi siete sensibili a queste tematiche, per qualunque motivo, giù le mani da Algernon.
Senza ombra di dubbio è un libro magnifico. Ma non si può mica piangere così. La lenta presa di coscienza di Charlie verso tutta quella che è stata la sua vita pre-intervento è di un doloroso che non si riesce a dirlo. Una vita intera di vessazioni e angherie, di vigliacchi umani pronti a prendersi gioco del prossimo più fragile, dell'amore di una madre rifiutato perché non si sono rispettate le aspettative, di famiglie distrutte. Mai prima di questa lettura mi era capitato di confondere così tanto vita reale e finzione letteraria. Ho dovuto ricordare a me stessa più volte che Charlie non esiste. Anche se esiste, magari non si chiama Charlie ma Mario, Paolo, Silvia, Giordana...esiste ogni giorno perché viviamo in un mondo di persone cattive e vili e disposte a tutto per la facilità di una risata, anche al sacrificare la dignità altrui. La propria mai, quella è sacra. Ma quella degli altri, avanti, prego, prendetene e mangiatene tutti.
Ecco, capito? A me Daniel Keyes ha sta rendendo una di quelle che 'i kani sono meglio dll personeeee' e dio me ne scampi. Però le persone di quel libro qui, tutte quante, sono reali al punto che nemmeno i buoni sono buoni. Al punto che nemmeno chi voleva aiutarlo, sto Charlie, in fondo lo considerava un umano come gli altri.
Quando Charlie diventa intelligente, però, ecco che non lo vuole più nessuno. Ma bestie immonde che non siete altro, ma ringraziate che questo non ha costruito una bomba e vi ha fatti tutti saltare in aria!
Scusate, mi faccio trascinare. Ve l'avevo detto che mi aveva preso sul personale.

In un romanzo classificato come fantascientifico c'è un'immagine delle persone dura e analitica, di come cambiano in base alla percezione che abbiamo di loro, di come loro cambiano in base alla percezione che hanno di noi. Di cosa ci serva davvero per essere amati (colpo durissimo per la sinceramente vostra) e di cosa la gente si aspetti dagli altri.
Il tutto con uno stile di scrittura che cambia in base alla fase in cui si trova il suo protagonista e che leggiamo con un affetto sconfinato.
Dolce Charlie, che male al cuore mi hai fatto.

sabato 6 aprile 2019

Noi

12:29
 Perciò, così parla l’Eterno: Ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò. (Geremia, 11:11) 

Non ero sicura di scrivere un post sul nuovo film di Jordan Peele, perché ormai le recensioni singole su questo blog scarseggiano, ma mi sono innamorata, e questo posto qua è nato proprio per celebrare un amore grande, quindi eccoci qua.

Saltiamo la parte in cui vi dico la trama per passare al sodo.
Facciamo che sei un giovane regista. Facciamo che il tuo primo lavoro non è solo un esordio travolgente ma in generale un film che sarebbe incredibile anche in mani esperte. Facciamo che riesci a portarti a casa pure un Oscar alla sceneggiatura originale (che per un horror non è un buon risultato, è un miracolo) che guarda caso è pure il primo per un regista afroamericano.
Altro, Jordan?
Altro, perché quelli come te, se ho capito che tipo sei, non si accontentano. Quelli come te hanno milioni di cose da dire e nessuna paura di farlo.
Allora arriva Us, Noi, che ci è stato presentato con un titolo intrigante, una serie di poster da bava alla bocca e un trailer gustosissimo. Ti abbiamo aspettato come si aspetta l'arrivo del messia.
E tu, che sei un uomo di parola, non hai tradito né noi né le nostre aspettative, perché Noi è uno di quei film che si imprimono negli occhi e non se ne vanno più.


Potremmo stare qui ore a disquisire del vero significato del film, del suo finale e del suo sottotesto. Di cose da dire ce ne sarebbero. Il web è pieno raso di post, podcast, articoli di gente illustrissima che titola 'Us: Ending Explained', ma a me così sembra di fare un torto al film e al suo regista.
Non c'è proprio un bel niente da spiegare, c'è da sedersi sulle poltroncine di un cinema (disonore su di voi, sulla vostra famiglia e sulla vostra mucca se non andate al cinema per Jordan) e lasciarsi trasportare in un racconto magnifico.
Jordan Peele tutto quello che serve sapere l'ha messo nel film. Teorie, congetture, analisi, non fanno altro che sporcare l'esperienza, che invece è così genuinamente spaventosa che è un peccato incrinarla. Perché Us fa anche paura. Dando in mano le parti ad attori capaci e con un po' di luci sistemate a modino, ce la si fa discretamente sotto, per via di quell'inquietudine viscerale che solo occhi convincenti sanno trasmettere.
Non sono certo io a dovervelo dire, ma nel film ci sono Lupita Nyong'O ed Elizabeth Moss. Capirete da voi che a due come loro basta dare il la e queste diventano belve. Bastano gli occhi. La Moss ha poco tempo in scena ma le basta perché lei è una bomba e tutto quello che tocca diventa oro, come una specie di re Mida delle scene cinematografiche. Davanti allo specchio è spaventosa. Lupita è tutto il film. Pur essendo circondata di comprimari altrettanto brillanti, tra cui due ragazzini spaziali da tenere d'occhio, lei proprio viene da un altro pianeta. Eccezionale. Il suo viso fa mille minuscoli movimenti che la rendono enigmatica e complessa, basta un piccolo accenno di cambiamento e non si sa più chi è cosa. Nessuna parola le renderà giustizia.
Intorno a lei, i colori. Il film è molto, molto rosso, ovviamente. Poi però a volte è blu, e bianco, e beige e ogni singola inquadratura è stoppabile per diventare un quadro. Il paesaggio della spiaggia, la casa in penombra, quella sequenza finale...ha un gusto estetico il regista che incontra così tanto il mio da aver reso la visione del film simile ad un giro in un museo.
Alcune sequenze di Noi sono da esporre nelle pubbliche piazze. La scena di Fuck the police è da annali, ho dovuto combattere contro l'istinto di battere le mani. Il finale è da alzarsi in sala con la mano sul cuore.


Stateci voi a farvi domande sul Vero e Profondo Significato del Film, io sono impegnata a goderne.

mercoledì 3 aprile 2019

Cose di Marzo

14:27
Mi stavo scordando!
Confermandomi la professionalissima blogger che sono, arrivo ad aprile iniziato per raccontarvi le cose belle di marzo.


Il fil rouge del mio mese è stato il femminismo.
Sia chiaro, io sono femminista ogni giorno di ogni mese che passa, ma in particolare a marzo ho avuto visioni e letture orientate verso un tema piuttosto che un altro.

Per esempio, è stato il mese in cui ho scoperto Alice Munro.
Lo so che tutti i lettori veri e seri la conoscono da sempre, soprattutto per i suoi racconti. Io la conoscevo solo di fama, e solo a marzo ho letto per la prima volta qualcosa di suo. Ho cominciato proprio dai racconti, da Chi ti credi di essere? che è un insieme di racconti con la stessa protagonista, che a spizzichi e bocconi finiscono per raccontarne la vita intera in una sorta di formato ibrido tra il racconto e il romanzo.
Rose è prima bambina, poi adolescente e infine donna, e noi attraversiamo ogni fase con lei, vedendola crescere e affrontare problemi diversi per ogni età, e la vediamo attraverso il racconto onesto e privo di fronzoli della sua scrittrice, che esplora difficoltà e problemi di una vita comune, che in quanto tale sentiamo vicinissima. Un racconto di donna completo e sincero, che non addolcisce né indurisce quello che significa essere una donna alla ricerca di sé e della propria indipendenza oggi, ieri e sempre.

Al cinema è stato il mese di Captain Marvel, che non mi ha detto niente né lasciato niente, ma che ha avuto ovviamente un ruolo nel ricordare alla maschilistissima community geek che non solo le donne esistono, ma che vogliono essere protagoniste. Anche di film mediocri con poco da aggiungere alla mitologia MCU. La sola cosa che mi ha urtato di questo film è che lo sappiamo tutti che Brie Larson è molto, molto più brava di così. Mi è sembrata sottotono e mi dispiace molto.

La grande novità del mio mese, però, è stata la stand up comedy, il che è già una barzelletta così perché io ho sto blog da mille anni e da mille anni dico che non mi piace la roba che fa ridere. Invece, complici la nostalgia per Mrs Maisel e Ellen Nostra Signora DeGeneres, mi sono messa a guardare le comedian su Netflix. E da lì, la rivelazione: non è che non mi piace la comedy, è che non mi piace quasi mai quando a farla sono gli uomini. Ne parleremo in un post a parte, perché me le sto sciroppando tutte quante come una pazza.

Per quanto riguarda le serie tv, a marzo è stata la volta di The Umbrella Academy. Anche di quella parleremo in un post a parte perché voglio leggere il fumetto prima di scriverne, ma voglio dire solo una cosa. Se avete visto la serie, venite qui. Abbracciamoci. Lo so. Klaus manca a me.

Infine, già che si parla di femminismo: potrebbe essere interessante un post su tutti gli account a tema che seguo sui social? Esula un pochino dagli argomenti principali del blog, ma insomma, io chiedo.


martedì 26 marzo 2019

I parassiti, Daphne du Maurier

11:08
Mi sa che è da un po' che non scrivo di libri qua su, vediamo se mi riesce ancora.
(Su Instagram però ne parlo sempre e da brava egoriferita vi ricordo che se mi seguite lì mi fate tanto contenta.)
Questa volta tocca alla dea Daphne, ispiratrice dei Grandi.


I Delaney sono un incubo.
Sono tre fratellastri, Niall, Maria e Celia, nati da due geniali artisti di metà del '900. Padre cantante, madre ballerina, figli demoniaci. Viziatissimi, selvaggi, indisciplinati.
Li incontriamo in una noiosa domenica pomeriggio, ormai adulti, quando vengono chiamati 'parassiti'. Non importa chi li chiami così, tanto nulla esiste al mondo tranne loro. La cosa li porta a viaggiare in una giornata di ricordi e ricostruzione del loro passato, dove ci accompagnano fino alla fine del romanzo.

I parassiti è un romanzo che profuma di lusso e ostentazione, della vita caotica e fuori dagli schemi di chi fa l'artista di professione. Ha protagonisti che sono completamente fuori dal mondo 'reale' e coi piedi per terra di chi deve lavorare per vivere, di chi ha problemi comuni e nessuno che glieli risolva, di chi non ha governanti. Sono, a tutti gli effetti, i parassiti del titolo, che vivono del successo dei genitori senza mai concludere qualcosa di proprio , senza mai spingersi ad esplorare il mondo, senza mai chiedersi se ci sia una vita diversa da quella che hanno sempre vissuto. 
Stanno così, accomodati su poltrone di raso, che si lasciano scivolare di dosso l'insulto mentre parlano, e parlano, e parlano. D'altronde, non hanno altro da fare. 
Niall e Maria legati da un rapporto morboso che del fraterno ha ben poco, dipendenti l'uno dall'altra come dall'aria che respirano eppure incapaci di sentimenti reali per qualunque altra cosa o persona, legati solo all'altro e a se stessi, e Celia che ha sacrificato una vita al padre, schiva e mansueta come un agnellino, infelice e completamente annullata anche dai fratelli. Neppure lei, però, così all'apparenza distante dagli altri due, ha mai cercato di fare altro, di dare un senso alla sua esistenza. Lei è un personaggio splendido proprio perché ha accenni di quell'umanità che agli altri manca, ma è pur sempre una Delaney, e stare al mondo non le riesce bene. Tutti e tre sono stati in grado di prendere un talento e gettarlo al vento, perché anche i talenti più magistrali necessitano di essere seguiti e coltivati, e loro non hanno mai sentito il bisogno di farlo.

La bellezza della scrittura di Daphne du Maurier sta nel fatto che non si parli mai esplicitamente di ricchezza. Come non si parla mai del vero rapporto tra Niall e Maria, così come non si parla più di tanto della morte della madre, che viene solo accennata e poi mai più nominata. Non ne ha bisogno, perché disegna talmente bene i personaggi che tutto il resto è perfettamente comprensibile senza che se ne parli mai. Non ci sono descrizioni, non ci sono momenti di riflessioni esterne ai tre personaggi, non ci sono altro che i tre fratelli. Non serve altro che far agire loro per farci vedere alla perfezione tutto il mondo che ruota loro intorno. Solo che noi quel mondo qua lo vediamo, perché nel mondo reale abitiamo ogni giorno, mentre a loro tre scorre intorno come se non ci fosse. Ogni contatto con il mondo esterno alla famiglia Delaney è fallimentare. Sono troppo distanti dalla gente reale. Non riescono nemmeno a interagire con le persone, se non sono al loro servizio. Mamma e papà sono quelli che li hanno resi i parassiti che sono, eppure anche loro compaiono solo da lontano: figure quasi mitologiche e distanti quando i bambini erano ancora piccoli, e inesistenti da adulti, fatta eccezione per il rapporto di dipendenza che il padre ha nei confronti di Celia. Pur avendoli formati, non contano più nulla, perché nulla conta davvero.
Tutto è vano, lontano, non importante. 
Pur dicendolo sempre, però, la du Maurier non lo dice mai.
E questo è il motivo per cui è una dea.

lunedì 18 marzo 2019

The Marvelous Mrs Maisel, finalmente!

11:13
Quando internet entra in fissa con una cosa bisogna ascoltarlo. A volte si tratterà di una sola pazzesca, ma altre sarà Midge Maisel, e allora ogni sola precedente sarà valsa la pena.
Perché sì, The Marvelous Mrs Maisel è davvero l'adorabile delizia che si dice essere e perché adesso fino a fine anno siamo a bocca asciutta e per consolarmi voglio parlarne un po'.


Se ancora non lo avete visto cercate di non saperne niente, ve lo chiedo per favore.
Vi dico solo che Miriam (Midge) Maisel è una squisita donnina anni '50, tutta sorrisi e abiti magnifici, che viene improvvisamente lasciata dall'amore della sua vita, il marito Joel. Si ubriaca, va in un club, prende in mano un microfono e parla, parla, parla.
E di parlare non smette più.

Quando ho finito il primo episodio ho spento la tele e mi sono messa a scrivere. Rimandavo da giorni delle modifiche grosse ad un lavoro che credevo finito e invece bam! Venute fuori le parole come acqua fresca. Ho trovato talmente tanto ispiratrice la serie, in ogni episodio, che non contengo le cose che voglio fare. Midge ha sì un talento naturale per la stand up comedy, ma ci lavora anche su. Prende appunti, studia, ascolta, a volte fallisce e spesso trionfa. Si fa ispirare dal mondo che la circonda e prende tutto quello che può per assimilarlo e trasformarlo in un momento di arte. E vederglielo fare, con la sua freschezza e il suo sguardo tagliente, non può che ispirare voglia di fare altrettanto.

Tutto, in Mrs Maisel, è delizioso. L'ambiente, i costumi (i costumi, i costumi, i costumi!), i personaggi, le loro interazioni, la ricostruzione degli anni '50 e dell'elite newyorkese. I coniugi Palladino ci avevano regalato la prima ventata di aria fresca quasi vent'anni fa, con l'esordio delle Gilmore Girls e del loro Una mamma per amica, e sono tornati con un ventennio di esperienza in più sulle spalle. Mrs Maisel è Una mamma per amica fatto meglio. E sia chiaro, io Una mamma per amica l'ho adorato (ma gli ultimi 4 episodi non esistono e non sono mai esistiti). Questa volta, pur con alcuni difetti soprattutto nella seconda stagione, è come se avessero dato una marcia in più a quella che era già la loro formula vincente: dialoghi brillanti, relazioni speciali, personaggi che rasentano la macchietta senza mai perdere di credibilità, trattamento nuovo di temi già visti.

I personaggi sono, come lo erano nella serie degli anni Duemila, il centro e il cuore di tutto e hanno nel corso di due stagioni uno sviluppo che è interessantissimo e credibile e profondo. Nessuno viene stravolto, ma tutti cambiano e crescono. Ad ogni comprimario è dato un tempo in scena sufficiente a farci affezionare, ad Abe più che a chiunque altro.
Joel nei primi episodi è una specie di Nino Sarratore per il quale non si possono che desiderare dolori e sofferenze. Eppure pian piano si mostra quello che è: un padre affettuoso, un uomo fragile che ha sbagliato e ne sta pagando tutte le conseguenze, un uomo spaventato dal talento e dall'indipendenza della moglie ma che non può che riconoscerne il talento e che quindi diventa spalla e supporto, un ottimo imprenditore. Ha fatto una scelta che ha stravolto la sua vita, e questo lo ha cambiato molto, lo ha fatto crescere. Alla fine ho provato una tenerezza per lui che mi ha stretto il cuore, proprio io che nei primi episodi urlavo contro di lui alla tele.
Susy è un personaggio pazzesco. Volevano mostrarcela piccola, sporca, povera e antipatica. Non le ci è voluto molto per schiudersi e diventare una perla: appassionata, determinata, piena di risorse. Ha riconosciuto un talento ed è riuscita a tirarne fuori non una ma due carriere. Non ha paura di niente e nessuno, forse perché la vita le ha già giocato contro tutte le sue carte peggiori, ha una voce e sa come farla ascoltare. Non ci sono ostacoli, per Susy Myerson, e se ci sono lei prende la rincorsa e salta sopra a tutti quanti. E soprattutto vuole bene davvero, anche quando è scorbutica e silenziosa e aggressiva. Vuole bene e combatte per i destinatari del suo affetto.

Ma soprattutto combatte per Midge, il gioiello della serie.
La perfetta casalinga anni '50: prima fan e supporter del marito, lo aiuta e consiglia, lo segue nel suo sogno anche se lui è una pippa e non si fa mai trovare struccata. Si prende le misure tutti i giorni, ha la piega impeccabile, conosce ogni segreto del make up. Ha un visino incantevole e un armadio pieno di vestiti dal taglio sartoriale.
Allo stesso tempo è sboccatissima, logorroica, spavalda, brillante, spesso inopportuna e fuori luogo, acuta osservatrice. Cerca di farsi spazio in un mondo maschile in cui argomenti legati alle donne non si possono nemmeno toccare, figuriamoci se detti dalle donne stesse.
Che poi, lo sappiamo che le donne non fanno ridere, no?
No, infatti.
Non fanno ridere, non sono credibili, non possono cavarsela senza un uomo. Quelle belle, poi, non sia mai. Quelle sono solo trofei per i maritini orgogliosi. C'è una scena in cui Midge e Susy stanno protestando perché un uomo viene meno ad un accordo. Urlano, scalpitano, si fanno valere. Niente da fare, quello non cede. Deve intervenire un uomo per aiutarle. La serie ritrae benissimo alcune di queste dinamiche per le quali non siamo considerate in grado di badare a noi stesse. Viene proprio presa per matta, perché vuole e può cavarsela da sola. Midge non solo divorzia, ma rifiuta categoricamente di riprovare a conquistare il suo uomo, e questo per l'epoca è scandaloso. Cosa potrà mai fare una donna da sola?
Lei non solo trova un lavoro, ma si costruisce una carriera parallela a quel lavoro. Non solo, la serie è stata anche criticata (da qualche casalinga frustrata su Twitter, probabilmente), perché Miriam rappresenta un pessimo esempio di madre. Verissimo, questa ha due figli che sono seminati in giro per New York e che lei vede una volta ogni tanto quando capita per casa se loro sono svegli. E va benissimo così, finalmente! Una donna che non vive solo per la prole. La risposta dell'attrice è stata semplice e perfetta. Anche Walter White e Don Draper erano genitori terrificanti. Nessuno che se ne sia mai lamentato, però.

La seconda stagione ha avuto alcuni momenti di piccolo eccesso che avrei preferito venissero evitati per lasciare spazio ad altro (la scena del pittore?), e a volte si è percepito un piccolo 'Midge ottiene sempre tutto perché è bellissima' che è stato fastidioso perché il punto del suo personaggio è essere molto, molto di più che un bel faccino e che quindi hanno stonato, ma niente di esageratamente inopportuno.

Date un po' del vostro tempo a Midge Maisel e alla squinternata banda di ebrei che è la sua famiglia. Non è solo una serie adorabile, è anche il ritratto di quello che tutte noi potremmo essere se ci lasciassimo un po' andare, se smettessimo di avere paura dello sguardo degli altri e ci lanciassimo nel vuoto.
Qualcuna finirà su un palco a fare stand up, qualcuna esporrà i propri disegni, qualcuna scriverà e qualcuna canterà. Male o bene non importa.
Basta trovare il coraggio di buttarsi.

venerdì 8 marzo 2019

Period. End of sentence.

13:44
Buona Giornata Internazionale della Donna! Che sia, come mi auguro ogni anno, lo spunto per migliorare quello che non va. La strada da fare è tanta, ma non ci ha mai spaventato.
Per festeggiare, quindi, parliamo di ciclo.


Anno del Signore 2019, Italia.
Qualche settimana fa ho tagliato i capelli e fatto la frangia. (Sì, sono in lutto e no, non ne voglio parlare.) Quando ho detto a mia mamma che sarei andata si è raccomandata una cosa: "Controlla di non avere il ciclo che poi sai che i capelli non vengono bene."
La settimana prima sono andata a trovare la mia proziotta amatissima, la cosa più simile che ho ad una nonna. Mi avvicino ammirata ad un suo ficus di più di dieci anni, allungo una mano per sfiorarlo ma lei, sfoderando una velocità inaspettata per i suoi 90 anni, mi ferma e mi chiede: "Non hai le tue cose vero nani? Non mi toccar la pianta se hai le tue cose che me la fai marcire."
(Nani, vezzeggiativo cremonese, cfr con Nano, versione mantovana.)

L'Italia vive in questa fase di mezzo: la parte meno istruita della popolazione crede ancora ad antiche dicerie sul ciclo e ne parla poco e malvolentieri, un'altra parte, più fortunata, sguazza tra i mille tipi di assorbenti di cui disponiamo (ma che ricordiamo sono beni di lussissimo tassatissimi) e addirittura sta cercando modi per gestire il ciclo che siano meno impattanti per l'ambiente.

Quando pensiamo ai milioni di problemi che hanno i paesi meno sviluppati, spesso ci capita di dimenticarci di pensare ad alcune cose che per noi sono scontate. Ecco allora che intervengono prodotti come Period. End of sentence. che, con un titolo bellissimo, ci porta in India, a capire quali problemi causi alle donne avere il ciclo mestruale e cosa The Pad Project sta facendo per aiutarle.

Un piccolo passo indietro.
Il documentario ha ricevuto alcune critiche severissime, ve le linko qua.
Io direi che la visione di un documentario di mezz'ora, perché così dura, e un solo articolo non fanno di me una persona preparata per esprimere un'opinione certa, quindi mi limito a lasciarvi anche la voce contraria, in modo che possiate farvi un'idea o approfondire la questione se lo ritenete.

Adesso possiamo parlare del documentario, che si apre con una squadra di ragazze che al solo parlare del ciclo davanti ad una telecamera impallidiscono. Risatine imbarazzate, ben poca voglia di toccare l'argomento e pochissima conoscenza.
Nella loro normalità il ciclo è un tabù tremendo che non solo rende complicata la quotidianità, ma che arriva ad avere conseguenze su tutto il futuro delle donne. Le ragazze smettono di studiare, spesso, quando il ciclo arriva. E non come noi che stiamo a casa un giorno al mese, poi facciamo la giustifica sul libretto e torniamo a scuola felici, contente e con gli assorbenti freschi e profumati.

Alle ragazze del piccolo villaggio che sta fuori Nuova Delhi viene inviata, dall'associazione The Pad Project, appunto, una macchina che produca con costi ridottissimi, assorbenti igienici che siano alla portata (economica) delle loro amiche, sorelle, vicine. Inizia una piccola impresa, di donne che producono e vendono assorbenti.
Non si è solo mandato loro un modo per aiutarle a contenere il sangue (30-40 ml per un ciclo medio che ci portiamo a spasso e che da qualche parte dovranno andare a finire), non sono solo stati mandati loro degli assorbenti. Hanno ricevuto la libertà.
E vedere donne che solo qualche scena prima avevano paura solo a dire che cosa succedesse al loro corpo (ogni mese, per ben più di metà della vita) stare sedute insieme a scegliersi gli assorbenti, a parlarne, finalmente, a trovare supporto l'una nell'altra, a lavorare per la prima volta, a rinunciare al timore, è stato molto commovente. Una delle ragazze ha preso delle monete in mano, le ha guardate perplessa per un po', e poi ha esclamato: 'Soldi! In tasca mia!' e aveva un sorriso così grande, che il mio cuore è rimasto lì.

Essere femministi oggi non significa solo combattere per i cartelli deficienti della Lega di Crotone (Lega. Di Crotone.). Le donne che crescono e hanno grandi opportunità possono fare grandi cose, e a volte queste grandi cose comprendono aiutare le altre, che cresceranno e a loro volta aiuteranno, in una grande e solidale rete di supporto che ci può portare fino alle stelle.
No, 'ci' non vuol dire noi donne.
Vuol dire noi umanità, tutta quanta.
Forse non tutte potremo mettere in piedi un nuovo Pad Project, o un nidi gratis project, o un antiviolenza project.
Ma forse qualcuna sì, e allora continuare a combattere ne sarà valsa la pena.


venerdì 1 marzo 2019

Cose di Febbraio

11:27
Lo so, sto trattando questo povero posto malissimo. Lo mollo, poi lo riprendo, poi me lo scordo...

È solo che per il momento sto dando la precedenza ad altro. La seconda storia per ragazzi by me medesima è finita, sto ultimando le ultime cosine poi la lancerò al mondo, solo che questa volta il mondo non sarà Amazon, almeno non subito. Se andrà male la strada dell'editoria classica tornerò con la coda tra le gambe al grande gigante gentile.
Questo non significa che non abbia visto nè letto niente, questo mese, quindi qualcosina di cui parlare ce l'abbiamo lo stesso, anche se in forma ridotta.
Il post non si chiama Preferiti come al solito perché questo giro niente mi ha rubato il cuore.

Buona parte del mio mese di letture è stata rubata da Delitto e castigo.
Conoscevo Dosto solo da Le notti bianche che mi aveva emozionato come poche altre cose prima di lui, ma prima o poi dovevo fare il salto di qualità. 
Penso sia chiaro a tutti che potendo scegliere il mio grande amore i classici russi non rientrerebbero tra le mie prime scelte, ma Delitto e castigo tocca argomenti che pizzicano la mia sensibilità e lo fa con le parolone grandi e magnifiche che rendono i classici quello che sono. Non diventerà mai uno dei miei libri preferiti, ma figuriamoci se mi metto a sindacare Dostoevskij.
Per riprendermi dall'impegno di una lettura così cicciona sono passata ad un horrorino.

Il libro si chiama Nel buio della mente, di Paul Tremblay. 
Cosa cerca di fare, Tremblay? Ma certo! Di dare uno sguardo fresco e nuovo al tema della possessione demoniaca!
La storia è quella di una ragazza, Merry, che sta raccontando ad una giornalista la storia della propria famiglia. Quando Merry aveva 8 anni, infatti, sua sorella maggiore Marjorie ha iniziato ad avere qualche problema. Lo psichiatra non sembrava aiutarla, così il papà, non senza opposizioni della mamma, si è rivolto ad un prete. La famiglia però inizia ad avere grossi problemi economici, così per rimpolpare le casse decide di partecipare ad un reality show, The Possession, che seguirà tutta la procedura di esorcismo.
Partendo dal presupposto che a me è sembrato un libro senza infamia e senza lode, forse è il caso di argomentare un minimo.
Il punto di vista della sorellina minore è interessante, poteva offrire spunti nuovi e freschi, mentre si limita a farlo solo in parte, perché si ricade nel solito demone intrigato anche dall'altra femmina fragile di casa, che si palesa solo quando c'è lei, eccetera eccetera. Poteva anche non essere male la questione reality show, con i risvolti legati alla notorietà, al rendere pubblico qualcosa di così estremo, invece si accenna alla faccenda in un dialogo e basta, chiusa lì. Il difetto principale del libro è questo, per me: provare a portare in tavola qualcosa di nuovo e non farlo abbastanza. 
Per il resto, poi, è tutta la solita solfa: corpo che non risponde al padrone e fa cose innaturali, parolacce, masturbazione, insulti alla chiesa, camere da letto gelate, dubbio se si tratti davvero di possessione o meno ma nel dubbio facciamo un esorcismo. Bla bla bla.
Detto ciò: a me ha fatto paura? Chiaro che sì, se ci sono posseduti in Redrumia ci facciamo la cacca addosso, fossero anche posseduti scadenti.
Alla fine è un libro utilissimo per staccare la spina, che sembra essere una cosa così ambita, e chi ama le possessioni 'canoniche' ci troverà tutti gli elementi del caso.

Facciamo una breve parentesi Oscar? Facciamola.
Sono contenta per tre cose tre: la Colman, Cuaròn alla fotografia e Spiderman.
Arrivederci e grazie, per il resto possiamo chiuderla qua, perché sebbene tutti sappiamo che il valore vero di un film non lo fanno i suoi premi e tutto quanto, gli Oscar sono e restano comunque per il grande pubblico il punto più alto della carriera di chi lavora in questo ambito, e che La Favorita sia andato a casa quasi a mani vuote per favorire i buoni messaggi e la meraviglia della vita mi fa incazzare. 
Ma mai quanto i costumi e la scenografia a Black Panther. 
Quello proprio è un abominio.

Io quest anno ero partita ben poco preparata, dirò la verità, ma voi avete dato così tanto spazio a Bohemian Rhapsody che avevo ragione io a essere poco preparata, perché è un film osceno, beati voi che vi divertite così poco. E se a farvi uscire esaltati dalla sala è la scena del Live Aid dell'85, cosa che potrei anche capire, basta aprire Youtube. Quello originale sta lì, gratis, ogni volta che volete. Ma sottoporsi alla visione di quella roba lì solo per essere contenta per una scena una è una tortura che nessuno di noi merita. E una canzone dei Queen io ce l'ho tatuata addosso, non è che non mi piacciano loro, è proprio il film che non va bene.

In compenso questo mese ho visto per la prima volta Ritorno al Futuro.
Basterà per compensare?
Ah, sì, e anche Marvelous Mrs Maisel.
Ma di lei parliamo a parte, che è una meraviglia e si merita un post tutto suo.


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