sabato 16 aprile 2022

Gli anni '30: una chiacchieratina su Universal

11:34
 Avete mai notato che non ci sono molti amanti dell'orrore che siano davvero fan del Marvel Cinematic Universe?
Io, per esempio, li guardo quasi tutti (con Morbius proprio non ce l'ho fatta, ho i miei limiti), mi diverto pure un po', attendo il Doctor Strange di Raimi come una benedizione, cose del genere. Ma non mi definirei un'appassionata, ecco, e come me credo moltissimi.

Perché? Il motivo è presto detto.
Al di là delle ovvietà sul sinistro monopolio disneyano, il punto è che l'appassionante franchise, l'universo condiviso, il mondo di personaggi che ritornano e intorno ai quali sono costruite saghe intere, noi li stiamo vivendo da 90 anni. Non ci sorprende nulla. Suono snob? Forse un pochino, lasciatemi vantare dei geni del mondo dell'orrore, per favore.
Se per favore mi spostate i mantelli e le calzamaglie, è ora di parlare della vera mitologia moderna: quella di Universal, un fuoco che ha avuto i suoi alti e bassi in quasi un secolo di storia, ma che non si è mai spento.




La storia

La leggenda vuole che il sogno cominci quando Carl Laemmle, giovane immigrato tedesco che negli Stati Uniti iniziò la sua carriera facendo tutt'altro. Cammina per la strada e nota che davanti a questi tali nickelodeon, le prime sale cinematografiche, la coda era sempre lunga. Ora, Laemmle non era un uomo di cultura, ma di sicuro sapeva far di conto: molla la professione e ne apre uno suo. È successo immediato.

L'avventura "dall'altro lato dello schermo" comincia nel 1909, con una prima casa chiamata Independent Moving Picture Company of America, ma il passo da lì allo studio che conosciamo ancora oggi fu molto breve: ci si sposta dalla prima sede - New York - all'ormai irrinunciabile Los Angeles, e Universal apre i battenti il 15 marzo 1915. 
Per quanto tutti parlino solo di Laemmle e della sua famiglia, un po' per amore verso le storie di successo personale e un po' per le ragioni che vediamo dopo, è ingiusto dire che Universal sia solo opera sua. In realtà il progetto nasce insieme ad altri proprietari di nickeloden, stanchi di dover sottostare all'Edison Trust, una norma che voleva che ogni sala pagasse delle tasse sui film mostrati e prodotti da Edison. Per farla breve: se devo pagare per mostrare i tuoi, tanto vale che paghi per farmi i miei, arrivederci e grazie.

Il motivo per cui tutti ricordiamo principalmente Laemmle come Megadirettore Galattico è che dopo la sua nomina a Presidente Universal è diventata in poche parole una gigantesca impresa familiare. Tutti quelli che vi lavoravano erano in qualche modo imparentati con Uncle Carl. La famiglia Laemmle governava sovrana.
A questo impero c'è una gloriosa eccezione: Irving Thalberg, il ragazzo delle meraviglie di Hollywood.
Thalberg viene assunto ancora giovanissimo (in pratica manco maggiorenne) come segretario prima e assistente personale poi, di Laemmle in persona. Solo per un caso, peraltro: Thalberg era malato di cuore - infatti morirà giovanissimo, e l'oppressiva madre gli trovò un lavoro che gli permettesse di restare comunque vicino a casa dei familiari. Si dimostra da subito una buona scelta, Irving, così buona che Laemmle comincia a piantarlo da solo al lavoro e a riempirlo di responsabilità. 
Poco male: a 21 anni questo tizio era a capo delle produzioni e general manager. Una cosa oggi al limite della distopia. L'impatto di Thalberg sulle produzioni Universal fu immenso, nonostante di fatto si sia fermato con loro per soli 3 anni. Ancora oggi si dibatte sulla vera paternità di due delle produzioni più straordinarie dell'epoca, i due film di Lon Chaney di cui abbiamo già parlato nel post a lui dedicato. L'influenza di Thalberg, la fermezza con cui si imponeva sui registi, anche quelli giganti, sono state il segno del ruolo delle case cinematografiche rispetto a quello dei registi.
Nello specifico, sono proprio le opere che Universal ha fatto con Chaney e Thalberg a segnare un registro che incontreremo per tutta la gloriosa stagione dei mostri. Ma a questo ci arriviamo.

Thalberg passa a MGM, e Universal non se la passa benissimo. Forse in un tentativo di rinvigorire la situazione con un'altra mente giovane e forse altrettanto brillante, Laemmle fa un regalino al figlio per il compimento della maggiore età, Carl Jr: gli regala il ruolo di head of production.
Siccome far lavorare i giovani è sempre, sempre, una buona idea, Jr impone l'orrore al papà, e poche storie. Laemmle Sr, lo ammetteremo, è figlio dei suoi tempi, spaventato dalla novità e ancora più terrorizzato dalle norme benpensanti loro contemporanee. Lo abbiamo visto parlando di Dracula.
Jr., invece, ci ha visto lungo: dopo Chaney, e in piena crisi economica, sono i mostri che la gente vuole al cinema, e la letteratura e il teatro erano pieni di spunti da cui attingere.
Comincia così la gloriosa stagione dei mostri Universal, abitante eterna dell'immaginario del mondo intero, fondatrice ufficiale di un genere cinematografico che pur avendo radici ancora più profonde di così, trova in questa fase un suo linguaggio, un suo aspetto, un suo pubblico. 

Lo straordinario effetto dell'horror, però, non riesce a salvare Universal da una spaventosa crisi economica. La situazione è così tragica che un'analisi di Wall Street del '34 vede Universal come la sola casa cinematografica che non mostrerà segni di ripresa. Le colpe sono spesso attribuite a Laemmle e al suo nepotismo, ma oggi ormai queste cose hanno perso importanza. Anche perché questa è una rubrica sul cinema dell'orrore, e in questo senso Universal e il suo universo di mostri, l'importanza, non l'hanno mai persa.
L'impero Laemmle finisce due anni dopo, nel '36, con l'acquisto della società da parte della Standard Capital Corporation.


I film


La dolcissima coccola che il cinema Universal rappresenta per chi ai mostri classici sia affezionato è ancora oggi un fenomeno straordinario. Questa sede rende impossibile parlare di tutti i lavori che oggi inseriamo nel loro universo, che dal 31 al 56 circa sono una quarantina. 
Quello che è interessante è la grande quantità di elementi che li accomuna. Sono tutti film molto brevi, arrivare all'ora e mezza è già un'eccezione. Il che non solo si presta ad una maratona cinematografica degna di questo nome, per cui in una giornata vi vedete 10 film e risorgete più felici di prima dal divano, ma continua a confermare la mia tesi che il cinema minimalista sia meglio di tutto il resto, per lo meno quando parliamo di orrore. Poche situazioni, un alleggerimento di storie che nei libri sono più costruite ed impegnative, con il risultato di un coinvolgimento emotivo ed intellettuale totale. Nei libri la "pesantezza" mi piace, perché ho un approccio diverso ai due media, nei film amo quanto la sottrazione aggiunga. Avete visto la mia live su Open Water? Uno dei film più intensi che io abbia mai visto, e ci sono solo due persone in mezzo al mare.

Non vorrei essere fraintesa, però, l'alleggerimento è solo nella costruzione, nella quantità di storie che si decide di inserire in un film solo, nella quantità di ambienti, ma anche solo di parole pronunciate. Se parliamo di temi, invece, la leggerezza ce la possiamo pure scordare, perché stiamo pur sempre parlando di film sui mostri in epoca post-Chaney, e non c'è proprio un cazzo da ridere.
O meglio, mi correggo ancora: in realtà si ride spesso. I film di Whale sono un equilibrio impareggiabile di emotività distrutta e divertimento, per esempio. A Whale però dedichiamo un post a parte, qui facciamo un discorso generale. 
Il percorso di umanizzazione del mostruoso cominciato dall'Uomo dai mille volti qui prosegue, con la stessa intensità. Forse con la sola eccezione di Dracula, che porta il male assoluto anche in casa Universal, tutti gli altri ci toccano corde che ormai negli amanti dell'orrore sono note, ma che negli anni '30 profumano un po' di rivoluzionario. Anche Karloff avrà il suo post dedicato, ma in questa sede non possiamo non parlare di quanto sia ricorrente un ritratto desolante di una società che è sempre stata escludente verso il diverso, di quanto sia potente vedere oggi film di 90 anni che ritraggono la violenza praticata come conseguenza della violenza subita, di quanto commuovano ancora i volti mostruosi di chi condivide la nostra parte più intima: i sentimenti. Con il tempo, poi, sono arrivati i film in cui il soprannaturale era cattivo, disastroso, distruttore. In questa fase, però, in cui il mostro è una creazione scientifica o naturale, è solo l'umanità quella messa in discussione. Quell'umanità che, affamata di avanzamento scientifico, dimentica la morale, quell'umanità che, terrorizzata dal cambiamento che il diverso inevitabilmente porta con sé, si chiude nella consuetudine, che si fa forza della propria somiglianza ed esclude chi non riconosce. Elemento ricorrente e davvero terrorizzante è la massa: la massa arrabbiata, i forconi infuocati che accendono il cielo e il desiderio di difendersi da un attacco percepito ma non reale. La mancanza di comprensione, l'ignoranza, la totale sordità di fronte a chi cerca di comunicare e comunicarsi. 90 anni fa Universal sfornava alcune delle più raffinate rappresentazioni di quello che è l'uomo quando ha paura, e allo stesso tempo di quello che è quando non ne ha affatto. Quando è arrogante, immorale - ma per davvero - quando pensa di essere al di sopra delle leggi e dei suoi simili. 
E allo stesso tempo, in una spettacolare giostra di equilibri, diverte sempre. 

Certo, chiudendo con una nota amara, viene naturale chiedersi se il lavoro che Universal ha fatto con le sue creature e i suoi scienziati e le sue donne e le sue folle inferocite sia così amato perché ancora attualissimo. Perché il diverso ci spaventa ancora, perché ci sentiamo minacciati da un cambiamento che non riconosciamo come positivo, perché non abbiamo ancora capito che l'umanità è tanta ed è una.
La chiusura che negli anni '30 era già brutale ma forse comprensibile, oggi non ha più giustificazione alcuna. 
È per quello che dei mostri classici abbiamo ancora così tanto bisogno, e forse ce lo avremo per sempre. 



Le fonti di questo post:

(i link con asterisco sono, come ogni volta, affiliati Amazon. Grazie se vorrete sfruttarli!)


domenica 10 aprile 2022

Gli anni '30: la rivoluzione Dracula

19:45
Smetterò mai di sentirmi in soggezione nel parlare di cinema dell'orrore? Spero di no, perché è il mio modo di pensare al bene che gli voglio. 
Nel post precedente avevo preannunciato che avrei diviso i due mesi dedicati agli anni '30 per studios, e se così deve essere non posso che partire dalla scelta più ovvia: Universal. 
Tutto il mese di aprile, quindi, lo passeremo in compagnia dei primi veri franchise della storia, e di tutti quei personaggi che, ridendo clamorosamente in faccia al passare del tempo, non solo continuano a vivere indisturbati nell'immaginario di un mondo intero, ma che sono quelli che quello stesso immaginario lo hanno creato, ponendo le fondamenta per tutto quello che verrà costruito.
Sono la mitologia dell'orrore, un'Olimpo di nomi e volti che per fama e ruolo nella storia viene da mettere al pari solo di Babbo Natale, o Topolino. L'inizio di un nuovo modo di guardare, immaginare e soprattutto creare le storie dell'orrore.
Siamo nel 1931, e per la prima volta il mondo vedrà sullo schermo il Conte Dracula e la sua storia, quella che oggi sappiamo essere la più adattata di sempre.
Oggi parliamo di lui, il Dracula di Tod Browning. Mi piaceva l'idea di partire con chi ha cominciato tutto.





Come si arriva a Dracula

La scorsa settimana abbiamo visto la situazione generale degli anni '30, e la prossima nello specifico della storia di Universal e del suo Monster Universe. Come si arriva, però, nello specifico, a Dracula?
Dopo le insistenze di Carl Laemmle Jr., l'azienda ha ceduto, e si è aperta all'orrore. La storia del Conte era la scelta più naturale possibile: dopo i litigi di Florence Stoker - l'esigente vedova di Bram Stoker - con Nosferatu, in qualche modo si è riusciti, pagando il giusto, a portarlo a teatro in Gran Bretagna. Lo spettacolo, a cura di Hamilton Deane, fu un successo inarrestabile e fu l'iniziatore di una politica del mistero e dello sgomento che seguirà il modo di pubblicizzare la storia di Dracula per gli anni successivi: era stato reso noto, mooolto noto, che nel pubblico ogni sera si poteva trovare un'infermiera specializzata, pronta ad aiutare chi si sarebbe sentito male per la forza dello spettacolo in scena. Non giudico nessuno io, queste cose fanno presa tutt'ora sulla sinceramente vostra. 
Il successo straordinario dello spettacolo attirò (ovviamente) l'interesse degli avidi statunitensi, che già un centinaio di anni fa giravano per il mondo chiedendosi cosa c'era di bello da rubare. 
È Horace Liveright, un produttore di Broadway rimasto senza mezza lira, ad intuire che quella roba lì in patria sarebbe andata fortissima. Liveright compra i diritti, porta a Broadway uno spettacolo quasi completamente invariato, e sbanca. Questa non è la sola idea eccellente del nostro. Sceglie per il ruolo del protagonista uno sconosciuto attore ungherese, dall'accetto affascinante e dallo sguardo intenso, e il resto è storia.
Universal, quintessenza dello spirito statunitense, coglie la possibilità di fare soldi con il successo di qualcun'altro, e sotto le pressioni del suo giovanissimo presidente si compra i diritti e inizia a lavorarci. Aveva tutte le carte in regola per diventare un successo: in quel momento Universal, come abbiamo visto qualche post fa, aveva nella coppia Chaney - Browning una delle certezze più insindacabili del cinema del momento.  Una potente - e talentuosissima - gallina dalle uova d'oro: il film si era praticamente scritto da solo. Ma Chaney viene a mancare poco prima dell'inizio delle riprese, e Browning era, come dire, sottotono. La storia, il caso, il fato, o chi credete si occupi di queste faccende, ha fatto sì che l'attenzione tornasse su quello sconosciuto ungherese e su un certo direttore della fotografia: Karl Freund. Il film, come il mondo lo ricorda oggi, è tutto o quasi in mano loro.
Si inizia a lavorarci su, e il resto è storia.


Bela Lugosi


In tutte le fonti che troverete in fondo al post l'opinione è la stessa: il film, oggi, è considerato mediocre, e facilmente dimenticabile se non fosse per il suo immenso contributo storico. Un'altra opinione, però, è altrettanto diffusa: la sola cosa apprezzabile del film risponde al nome di Bela Lugosi. 
Nato in Ungheria nell'ottobre del 1882, proprio vicino al confine con la Transilvania, Bela deve lasciare la sua terra perché, ehm, comunista. Partecipa alla rivoluzione ungherese, lottando contro paghe ridicole e condizioni di lavoro dei giovani attori. Per il partito comunista ungherese non finisce benissimo, e Lugosi nel 1919 è costretto a lasciare il paese. Dopo qualche tappa europea finisce negli Stati Uniti dove si dà al teatro senza sapere una mezza parola, imparando le parti memorizzandole foneticamente, come facevamo noi alle medie con le canzoni dei Backstreet Boys. 
Lui è diventato leggenda e noi, va beh, stiam qua. 

Lugosi non doveva essere un collega semplice. Le voci sul suo conto lo vogliono freddo, distaccato al limite della maleducazione, eccentrico, vanitoso. Poco importa, oggi, perché forse, vedendo il suo Conte, sono proprio queste caratteristiche personali ad avergli consentito di dare proprio questo taglio così di impatto. E poco importa anche perché le persone sono tutte valide a prescindere dalle proprie skill di socialità, ma non è questo il punto. 
Non è solo il suo accento, o il suo aspetto esotico, ad averlo reso leggendario, anche se è innegabile che l'unione di queste cose con l'avvento del sonoro e l'entusiasmo della novità abbiano indubbiamente contribuito. Il suo Conte, però, è diverso da ogni rappresentazione precedente del vampiro: è lento, sensuale, seppur in un modo lontano da quello che intendiamo oggi, ipnotico, e ha posto le basi per tutte le rappresentazioni successive. Di conseguenza, ha posto le basi di un archetipo intero.

Le conseguenze del "grande ruolo", però, si sono ripercosse anche su Lugosi, nonostante il rapporto complesso che aveva con il suo Dracula. Laemmle Jr. era pronto a costruire con lui un nuovo Chaney, perché, sì, avevano anche già la fissa dell'erede. Dracula riscosse un successo tale da spingere la casa a investire su altre trasposizioni da romanzi dell'orrore e la scelta più naturale finì per essere Frankenstein, la rivoluzione del gotico creata da una poco più che ragazzina. Lugosi, però, non ne volle sapere: il suo volto non poteva non essere riconosciuto, e il ruolo della creatura non faceva per lui. Da quel momento in poi, la sua carriera fu un susseguirsi di scelte opinabili, di possibilità mancate. Tornò ad indossare i panni del suo vampiro per altre occasioni e finì vincolato nel ruolo del villain. In più, l'esperienza di lavorazione del film non fu per lui un'esperienza particolarmente appagante, e soprattutto non abbastanza pagante. In un film in cui - miracolosamente - l'attrice più pagata fu la donna (Helen Chandlers), Lugosi guadagnò meno del desiderato, e nessun centesimo in più della paga per la parte: il merchandise non gli fruttò nulla. Ok, non era il fenomeno che è oggi, però frullano le scatole lo stesso.


La bio sul suo sito è scritta con immenso amore dal figlio, Bela Jr., e ritrae naturalmente anche i suoi aspetti più umani e candidi, come l'amore per i suoi cani, per il sigaro che la povera moglie doveva tenergli acceso mentre lui era in scena e per i vini californiani. 
Leggere di lui in giro, però, non fa altro che contribuire a questa immagine che ormai di lui mi sono costruita in testa, di uomo distante, scostante, un po' altezzoso, che non fa altro che contribuire a sua volta alla tridimensionalità del suo Conte, che con la sua pulita cortesia fa ancora la stessa paura che immagino abbia fatto a chi ha avuto il privilegio di vederlo sullo schermo per la prima volta.

Gli articoli che ne annunciarono la morte lo chiamavano, semplicemente, Dracula. Non lo so se la cosa lo avrebbe davvero reso felice, ma lo spazio che si è preso nella mente di chi è appassionato è rimasto immutato. Felice o no, ha cambiato il modo in cui sono andate le cose, ed è diventato immortale. 
Il suo vero nome, del resto, non lo ha usato mai. Tanto vale ricordarlo come leggenda.
 

Il film


Due info tecniche di numero ma proprio due per fingere una serietà che non mi appartiene: costato qualcosa intorno ai 350.000 dollari, girato in poco più di un mese. Fu una sfida non indifferente per la casa, un rischio importante. A spianargli la strada era stato The Cat and the Canary, qualche anno prima, ma anche l'importante riscontro che il pubblico aveva dato alla versione parlata di The Unholy Three. 
C'è una differenza saliente, però, tra questi film precedenti e quello nuovo, una differenza che rende davvero la sua uscita rivoluzionaria: Dracula, soprannaturale, lo era davvero. In una nazione in cui era stato fondamentale sfruttare la passione per lo spiritismo ma pur sempre riportandola sul ben più rassicurante piano della realtà, il Conte Dracula era un vampiro davvero. Per la prima volta il cinema statunitense si lanciava nel mondo del misterioso, e non gli dava risoluzione.
Il risultato fu il più grande successo commerciale Universal del suo anno. 

Certo, c'è anche stato l'immenso contributo che la parte pubblicitaria gli ha dato. Il claim lo chiamava "The strangest passion the world has ever known!", che non è una bugia ma una descrizione quantomeno creativa, ecco. Dracula poteva essere ogni cosa: una storia romantica, un mystery, un horror: ognuno poteva vederci quello che desiderava, e tutti sarebbero entrati al cinema. Ha funzionato.





C'è un grande elemento, poi, da tenere in considerazione quando si giudica Dracula con gli occhi di oggi: il Codice Hays. È cosa nota che il codice, seppur in vigore dal '30, sia stato preso sul serio solo dal '34 in poi, ma le sue impronte erano già state fissate su carta, e da quel concetto di buon gusto non c'era scampo. Dracula, con le infinite implicazioni sessuali che da allora continuiamo a riconoscergli, era terreno ustionante su cui camminare. Bisognava stare molto attenti che mordesse le donne e solo le donne, per esempio, e da questo vincolo ci siamo liberati solo di recente. Gli uomini, se proprio proprio proprio devono essere morsi, è per nutrizione, e fine della faccenda. Se poi non lo mostriamo, meglio ancora. E allora ecco che l'equipaggio della nave muore per una tempeeeeestaaa, daaaaai, ma cosa pensavate? 
Sono solo le donne (e solo quelle bianche e preferibilmente benestanti), ad avere il privilegio della trasformazione in vampire, tutti gli altri lanciati verso la morte certa con tanti saluti a casa. Tutta la parte "succosa" (passatemelo, dai), avviene fuori dallo schermo, perché avvenga, sì, ma che non ci sia dato vederlo. È figlio del suo tempo ed è ingiusto fargliene una colpa.

All'epoca fu anche grande successo di critica, è stato il passare del tempo a renderlo meno amato. In mezzo alle infinite critiche che oggi critici e accademici gli riservano, come dicevo su, c'è il suo essere troppo simile per impronta, stile, caratteristiche, alla produzione teatrale da cui è tratto. Gli viene criticata una narrazione che si srotola troppo lentamente, con una prima parte tutto sommato apprezzata anche oggi ma una seconda sempre fortemente criticata perché povera, piatta, inconsistente. Non si apprezza l'adattamento, colpevole di avere lasciato fuori parti ritenute fondamentali del romanzo, o quantomeno arricchenti, la recitazione di praticamente tutti i coinvolti ad eccezione di Lugosi viene distrutta. Queste sono a grandi linee le critiche che gli rivolgono tutte e quattro le fonti che trovate in fondo al post.

Neppure a Browning viene riservato un trattamento di favore. Chi ha collaborato sul set con lui in questa occasione lo ricorda come costantemente assente, chi è del settore dice che il film è molto più di Freund di quanto non sia di Browning. Oggi, forse, importa davvero poco. Del resto, ce lo siamo detti la settimana scorsa: questo è il periodo delle case cinematografiche, non dei registi. Sono certa che B. abbia dormito serenissimo la notte, dopo questa lavorazione. Un po' meno l'anno dopo, immagino, ma avremo modo di parlarne. 
 
Io, che accademica non sono, gli voglio molto bene. Ho una mai passata cotta per il Conte di Christopher Lee, ma il giorno in cui dirò che trovo questo film mediocre sarà il giorno in cui vi sto comunicando in codice che sono stata rapita e ho bisogno di soccorso. Guardo a lui con l'affetto che si rivolge alle cose fondanti, anche se mentirei se dicessi che per me lo è stato. L'ho scoperto da adulta, non ho verso di lui l'affetto della nostalgia, ma quando Lugosi sale le scale, guarda Renfield e gli dice "Listen to them. Children of the night." io sarò pure banalona ma mi ritrovo a sorridere allo schermo più che di fronte a qualsiasi scena romantica. 
Sono certa che le critiche siano basate fu fondamenti ben più solidi del mio sorridere davanti allo schermo, però a me è quella sensazione lì che tiene ancorata al cinema, e per me il Dracula di Browning, sottotono, spento, teatrale, come vogliano descriverlo, è magnifico. Fine della recensione.








Le fonti di questo post:
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venerdì 1 aprile 2022

Gli anni '30: Come sta il cinema?

11:34

 Ci siamo, il cinema delle origini ha avuto i suoi due mesi di approfondimento ed è giunto il tempo di passare al decennio che ha formato il linguaggio del cinema di genere come lo conosciamo oggi. 

Ho pensato di introdurre ogni decennio con un primo post introduttivo, per capire come se la passa il mezzo cinema a prescindere dal nostro genere di riferimento, per dare un'occhiata generale su cosa succedeva in tutto il mondo che ruota intorno a quello dell'orrore. Saranno proprio post di passaggio tra un decennio e l'altro, come al solito per approfondimenti e completezza rimando alle fonti che sono sempre in fondo ad ogni post.

Innanzitutto, cara Redrumia, grazie della domanda: il cinema sta un fiore. Mai stato meglio, stiamo per entrare in un decennio dorato. Vediamo perché.




Un micro contesto storico


Il decennio precedente si è chiuso con la famigerata crisi del '29. I primi segnali di una caduta sono arrivati l'anno prima, ma è nel '29 che hanno dovuto scavare per capire dove fosse finita la Borsa di New York. Il sito tuttoamerica.it attribuisce le responsabilità del disastro a speculazione esagerata, inflazione del credito, speculazioni in Borsa e distribuzione ineguale della ricchezza.

Il caos generato dalla crisi si è trascinato per almeno una decina d'anni, nonostante con l'elezione di Roosevelt nel '32 e con il suo New Deal si sia cercato di mettere una pezza. Se il caos è americano, però, diventa caos per tutto il mondo occidentale: prestiti internazionali, importazione ed esportazione, il recente trattato di Versailles...nessuno ne è uscito senza ammaccature.


Il cinema, però, trova sempre il modo di godere di queste circostanze complesse, e ne esce sempre vincitore. Offre da sempre una forma di evasione tutto sommato accessibile ai più, sfrutta le storie come breve momento per dimenticare o come metafore per analizzare e comprendere meglio quello che succede fuori dalla sala.

Prima di questo decennio, però, tutta una fetta di pubblico rischiava di essere tagliata fuori da questo momento di svago: chi non poteva leggere le didascalie. E quindi ecco la prima, immensa rivoluzione, che ha reso il cinema la più democratica delle arti: il sonoro.


L'avvento del sonoro


Se il cinema doveva offrire una scappatoia dalla realtà doveva però anche assomigliarle, rappresentarla al meglio, in modo che chi ne fruisse potesse riconoscere il mondo che vedeva rappresentato. Il silenzio imposto dai mezzi del cinema muto bloccava questa possibilità. 

In realtà le prime produzioni sonore risalgono alla metà degli anni Venti, con quel Don Juan del '26 che tutti conosciamo ma che avranno visto in 6 compreso chi lo ha fatto, che però di sonoro aveva solo una componente musicale. La parola arriva con il successivo film dello stesso regista, Alan Crosland, Il cantante di Jazz. 


Ovviamente questa ventata di novità portò con sé inevitabili problemi tecnici, che come tutte le cose nuove costavano una badilata di soldi ed erano un casino da gestire. C'era il modo di registrare i suoni, sì, ma si registravano tutti. Se qualcuno in lontananza parlava male del regista era un bordello, tutto registrato. Le macchine da presa facevano un casino infernale, e allora via a rinchiuderle in cabine insonorizzate. C'era ancora da imparare a gestire cose che oggi sono assolutamente scontate, come la sincronia labiale. L'abbiamo superata brillantemente sta fase, ma immagino i poveretti al lavoro per risolvere problemi mai visti prima. A loro, tutta la mia solidarietà: lo so raga, la tecnologia è molto bella finché ci lavorano gli altri.

Il sonoro segna la fine di un'epoca: quella in cui ogni proiezione era diversa dalla precedente. Il cinema muto portava con sé presentazioni e accompagnamenti musicali sempre nuovi e diversi, e questo lo rendeva ogni volta un'esperienza unica. Il sonoro universalizza l'esperienza, e segna una nuova epoca.

È pur vero che parlare in inglese porta con sé un'ulteriore limitazione: come lo esporti un film in cui nessuno capisce una fava? Per lo spagnolo era semplice: finito di girare una scena arrivavano attori nuovi madrelingua e rigiravano la stessa cosa nella loro lingua, sugli stessi set. A volte capitava che gli stessi attori girassero la scena più volte in lingue diverse (e questo spiega perché Stanlio e Ollio parlano in italiano ma con accento inglese, per esempio), ma per il doppiaggio vero e proprio dobbiamo aspettare la fine del decennio.

Con l'arrivo degli anni '30, ormai in America il muto è del tutto abbandonato: tutte le case cinematografiche di Hollywood si sono adattate alla novità, e nonostante diversi nomi popolari avessero manifestato un parere contrario all'innovazione, non ci fu modo di fermare l'ondata. Il cinema muto era destinato all'estinzione.


Lo studio system e il divismo

(ovvero il motivo per cui i post dei prossimi due mesi saranno divisi per case cinematografiche)


Ora, il problema del sonoro, oltre a quelli elencati su, era uno su tutti: costava un sacco di soldi. E quando ci sono i soldi in ballo cambiano tutte le dinamiche. Avere bisogno di più soldi vuol dire avere bisogno di qualcuno che te li dia, e se qualcuno ti dà soldi si prende potere. Signori, nascono i produttori.

Ora, è pur vero che ci sono sempre state figure come quella del produttore, ma fino a questo momento il loro potere era tutto sommato limitato. Con l'arrivo del sonoro il loro ruolo superava tutti gli altri. È lui che nomina il regista, che sceglie il cast, che sceglie quali film fare e quali scartare. 

La componente artistica passa in secondo piano rispetto a quella industriale: se una cosa funzionava si riproduceva a catena, per trarne tutto il traibile. Nascono i generi: horror, commedia, musical, western, animazione e gangster. Venivano realizzati film sulla base di caratteristiche precise, che rientrassero in canoni facilmente identificabili ed etichettabili, con produzioni in serie e confezionamenti quasi meccanici.

Non fraintendetemi, nei prossimi due mesi avremo modo di vedere che le personalità di spicco del periodo sono state in grado di girare intorno al sistema e risplendere in mezzo alla produzione di massa, ma è pur vero che restare entro certi canoni di riconoscibilità era la strada del successo sicuro. E l'industria, in un periodo di crisi nera come quello che la nazione stava vivendo, non poteva permettersi di sbagliare.


È così l'avvento del sonoro a far sì che si ridisegni il sistema generale delle case cinematografiche di Hollywood. Se ne distinguono tre categorie. Ci sono le cinque major (Paramount, MGM, 20th Century Fox, Warner Bros. e RKO), le tre minor (Universal, Columbia e United Artists) e un sottobosco di produzioni indipendenti, quelle destinate a creare i film della seconda serata nelle double feature, le serate di doppia proiezione. 

Lo studio system, che vede tutta l'industria basata sulla potenza delle case in questione, fa sì che a delineare lo stile del cinema non sia il singolo artista ma la casa per cui lavorava. Erano loro a dare il tono, a creare un paradigma collettivo che accomunasse i loro lavori. Di nuovo, occhio a quanto detto su, però, che chi voleva farsi riconoscere aveva modi e capacità per farlo.


Elemento di successo delle case era dato sì dalla propria impronta personale, ma anche da certi volti noti. Il fenomeno del divismo, che già negli anni '20 aveva posto le sue radici, è qui una delle armi più forti. Il divo o la diva erano la caratteristica più forte del cinema anni '30, la chiave di riconoscibilità immediata. È importante sottolineare che non è l'attore il punto, ma il personaggio-divo. Un mito che si ripeteva film  dopo film, che nulla aveva a che vedere con la persona dietro il ruolo, ma solo con la riconoscibilità del personaggio portato in scena. Gli uomini imponevano lo standard della mascolinità, le donne erano la blueprint della femminilità, che a volte era imposta fin da bambine, con casi eclatanti come quello di Shirley Temple. Sarà interessante vedere, mano a mano che ci addentreremo nel nostro genere preferito, come ci siamo creati un Olimpo tutto nostro, fatto di persone e mostri che da allora non ci hanno lasciato più.


Il Codice Hays


Lo abbiamo già visto parlando della situazione italiana qualche settimana fa, ma è fenomeno mondiale: il cinema intimorisce i benpensanti. E siccome, lo ribadisco, è pur sempre di un'industria che si parla, era importante tenerseli buonini. Nel 1922 era nata la MPPDA (Motion Picture Productors and Distributors Association), un modo sicuro per, credo che possiamo dircelo serenamente, pararsi il culo, garantendo una sorta di legittimità morale delle cose portate in scena. A dirigerlo era Will Hays, presidente del, ehm, partito repubblicano. 

Per garantire che tutti stesso tranquilli e dormissero sonni sereni ha creato un Codice che portava il suo stesso nome, che elencava una serie di norme da rispettare affinché il film fosse considerato accettabile. Vi riporto da Wikipedia i principi fondamentali:

  1. Non sarà prodotto nessun film che abbassi gli standard morali degli spettatori. Per questo motivo la simpatia del pubblico non dovrà mai essere indirizzata verso il crimine, i comportamenti devianti, il male o il peccato.
  2. Saranno presentati solo standard di vita corretti, con le sole limitazioni necessarie al dramma e all'intrattenimento.
  3. La Legge, naturale, divina o umana, non sarà mai messa in ridicolo, né sarà mai sollecitata la simpatia dello spettatore per la sua violazione.


Ovviamente la lista è ben più lunga di così: niente nudo, niente droghe, niente omosessualità, adulterio, niente sexo tra persone di RaZzE DiVeRsE, e così via. Insomma, il tono vi è chiaro. 

Questo elenco di squisitezze esce nel '30 ma viene bellamente ignorato fino al '34, anno di vera e propria entrata in vigore, e anno in cui veniva richiesta una preapprovazione prima che il film approdasse in sala.

Come detto in precedenza, quando le cose vengono vietate agli artisti non resta che trovare modi creativi ed artigianali per girarci intorno, ma è impossibile negare che questo sia stato l'ennesima cancellazione del ruolo del regista, che ormai era quasi bassa manovalanza messa a creare film cercando in ogni modo di restare nei paletti imposti da studio e produzione.



Nonostante tutto, quella degli anni '30 è un'epoca tra quelle ricordate con più amore tra gli appassionati. Sono state poste le basi per tutto quello che vediamo in sala ancora oggi, e forse proprio a causa di tutte le limitazioni ricordiamo gli artisti dell'epoca con un po' di affetto in più.

Nei prossimi due mesi elogiamo chi, nonostante tutti i bastoni tra le ruote, ha portato il mondo dell'orrore al cinema, e ha cambiato la storia.

martedì 29 marzo 2022

Preferiti di marzo

10:20

 Non me la sento un po' beauty blogger del 2012? Con il post sui preferiti del mese?

Ho pensato che potesse comunque avere senso riproporlo anche qui, adesso, perché ho mille cose belle di cui parlare e mi piaceva l'idea di riassumerle tutte in un unico post.


foto coi fiorellini che fa subito primavera



Podcast

Continuo ad ascoltare i miei soliti, che sono tutti raggruppati su instagram nelle storie in evidenza, ma questo mese ho fatto alcune scoperte nuove, tutte in italiano, che vale la pena di condividere.
  • Silenzio, scritto e narrato da Elena Accorsi Buttini, ricostruisce i fatti legati al disastro di Seveso, avvenuto nel luglio del 1976, e al contributo che questo evento ha avuto nella nascita della legge 194 del 1978, la legge sull'aborto. Interessantissimo, anche se non amo il modo di raccontare dell'autrice, e ripercorre una storia che non conoscevo.
  • Le radici dell'orgoglio, nato da un crowdfunding, racconta i primi 50 anni della storia del movimento e della comunità LGBTQ+ in Italia. È bellissimo, pieno di testimonianze dirette e con la presenza di grandi nomi della storia italiana, ma soprattutto insieme alla storia del movimento ricostruisce la storia intera di un Paese, dei suoi costumi, della società e del modo in cui negli ultimi decenni si è comportata con chi fosse diverso da una norma preimpostata. È importante anche per conoscere nomi e situazioni della storia del movimento femminista italiano.
  • Mariuoli, un podcast su Tangentopoli. Io ci sono sottissimo, ma esce un episodio ogni tre settimane che francamente a me pare un po' una violenza. Al momento ci sono i primi due, ed è un viaggio, come dire, interessante.

Libri

Il progetto sulla storia del cinema dell'orrore fa sì che la cosa che leggo di più al momento siano saggi sul tema, ma sono comunque riuscita a ritagliarmi lo spazio per tre romanzi.

  • L'abbazia di Northanger, uno dei lavori pubblicati postumi della mia adorata Jane Austen, che ho riletto per partecipare ad un episodio di Bookanieri, il podcast con il nome più bello d'Italia. L'episodio lo trovate a questo link, per sentirmene parlare insieme a Mirko e Luca per un bel po', ma se dovessi riassumere qualcosa qui: Austen ha preso selvaggiamente per i fondelli il gotico, e lo ha fatto con un romanzo che fa sinceramente spaccare dalle risate, ma che come di consueto è una sopraffina ricostruzione della vita delle donne in una società che le vuole composte, per bene, e con la sorte segnata. È troppo spesso dimenticato, Northanger, ma non è affatto inferiore agli altri, ma anzi trovo che la sua penna qui sia ancora più affilata del consueto. Ti amerò per sempre, Jane Austen, eri la più brillante di tutte.
  • Rabbia proteggimi, il primo libro di Eddi Marcucci. Il caso di Marcucci lo conosciamo tutti: condannata ad un inspiegabile (ma forse invece spiegabilissima) provvedimento sorveglianza speciale dopo un periodo passato in Kurdistan a combattere a fianco delle Ypj, l'unità di protezione delle donne. È incazzata, Marcucci, come dovremmo esserlo tutte, perché davvero la rabbia ci protegge da un mondo che ci vuole mansuete. Lei, con la sua, ha preso tante volte i bagagli ed è partita per dare una mano concreta. L'Italia l'ha punita, perché quelle come lei fanno paura, e lo stato deve usare questi mezzucci per "far vedere chi comanda", attraverso i suoi rappresentanti che spesso sono incompetenti in modo imbarazzante. Leggere per credere. Il libro, che è furioso e sincero e doloroso ma potentissimo, racconta di tutte le volte in cui Marcucci ha combattuto per i suoi ideali, è scesa in strada, ci ha messo la faccia. Mi sono sentita piccola piccola, quando l'ho finito, ma anche al sicuro: c'è tanta gente che combatte per noi, per le donne, gli ultimi, i diritti di tutti, e mi fa sempre sperare che tutte quelle battaglie qua le vinceremo noi. 
  • My best friend's exorcism, di Grady Hendrix. Una deliziosa storia dell'amore unico che lega due migliori amiche che crescono insieme, ma anche una storia di una società ingiusta e di potere. Abby e Gretchen sono cresciute insieme, ma se la prima arriva da una famiglia che arriva a malapena a fine mese e deve fare i conti con i sussidi e le borse di studio, la seconda è molto ricca. Quando Gretchen inizia a stare molto male e presenta i segni di quello che potrebbe essere un enorme trauma oppure una possessione demoniaca, è solo Abby ad accorgersene, perché i genitori ricchissimi sono troppo impegnati a tutelare la propria immagine pubblica, e la scuola ancora di più. Abby è disposta a tutto pur di aiutare l'amica, ma come sempre avviene a pagarne le conseguenze peggiori è lei stessa. È un libro tenerissimo, che parla di quanto è difficile crescere, ma soprattutto di quanto è difficile farlo in un mondo che non ti assomiglia e che tollera a malapena la tua presenza, pronto a farti fuori appena provi a rimescolare le carte in tavola e a rimetterlo in discussione. Il film è in lavorazione, sembra lo vedremo entro l'anno.


Videogiochi

Adesso che ho iniziato a giocare ai videogiochi dell'orrore live su Twitch come faccio a non includere la categoria? Questo mese abbiamo (plurale perché alle live di gaming partecipa anche Erre, il mio compagno) giocato a Little Nightmares, che mi era stato consigliato da un paio di amici. 
Ora, lo abbiamo giocato con la tastiera e non con il joypad il che a quanto pare è la scelta più complessa. Questo mi rende almeno un po' orgogliosa perché sono riuscita a finirlo comunque e non lo credevo possibile: per le mie capacità è davvero un po' complesso, la combinazione dei tasti convive poco serenamente con il fatto che sono molto scoordinata, però ne è valsa davvero la pena. La grafica è sensazionale, i disegni, i colori e le ambientazioni sono favolosi, è stato come girare per un film d'animazione di ottima qualità. Protagonista è Six, per noi Georgie, una bimbetta con l'impermeabile giallo (da cui l'originale scelta del nomignolo) che deve scappare da un'inquietante nave che si chiama Le Fauci. Le creature che vivono su Le Fauci sarebbero le degne protagoniste di un film a loro volta, il loro aspetto è inquietante ma splendido e me ne sono innamorata. Così come del finale, che nei commenti su steam ho visto tanto criticato e che invece secondo me è non solo ben costruito durante la parte precedente del gioco ma che è anche molto più interessante di quanto mi aspettassi. Tutte le altre considerazioni le trovate nell'ultima live, ma tenete sempre conto che è un mondo in cui sono nuova e che le mie sono le opinioni di una che davvero ha appena iniziato.


Serie

Queste mese abbiamo solo iniziato a vedere X-Files, ma siccome la maratona sta andando molto più a rilento del previsto ancora non mi sento di esprimermi troppo. Dirò solo che l'episodio ispirato a La Cosa forse per ora è il mio preferito e chiedo anche se qualcuno sa cosa assume Gillian Anderson per essere invecchiata come ha fatto perché se possibile assumerei. Grazie.


Film

Ogni mese su Instagram faccio un riassunto delle visioni del mese, ma in questa sede voglio almeno citare il preferito horror e quello di altri generi.
  • The Seed è una cosa così brutalmente fuori di testa che non poteva che stare sul podio. Tre amiche assolutamente bruciate partono per un weekend nella lussuosa villa del padre di una di loro per assistere ad una pioggia di meteoriti. In realtà non fanno altro che bere e farsi le canne e quando qualcosa cade nella piscina lo scambiano per un armadillo morto e limonano il giardiniere perché se lo porti via. Ora, poiché gli armadilli morti non cadono dal cielo nelle notti di pioggia di meteoriti, vi lascio immaginare che si tratti di qualcos'altro, ma le nostre sono talmente partite che ci mettono un'eternità a rendersi conto della gravità della situazione. The Seed era esattamente il film di cui avevo bisogno, fa ridere tantissimo, ha tre protagoniste matte in culo che si amano dal primo istante e una seconda parte shockante. Imperdibile.
  • West Side Story, visto ieri sera e ancora mi asciugo la faccia, stupidi musical, stupidi innamorati, stupido Spielberg, stupido Ansel Elgort, stupide canzoni, stupide danze, stupida New York. Vi odio tutti e mi dovete pagare la terapia. È bellissimo, quindi la stupida sono solo io che non l'ho visto al cinema. In una prossima vita, quando non avrò sacrificato la mia anima al mondo dell'orrore, la donerò al musical, che non ho mai approfondito ma per quel poco che so mi piace così tanto. 

IRL

Sto lavorando molte più ore di quanto vorrei, ma a marzo Erre ha compiuto trent'anni e ne abbiamo approfittato per un weekend fuori porta, perché solo dio sa quanto ne avevamo bisogno. Abbiamo visitato Lecco e Como, che ci sono vicine a casa ma che ancora non conoscevamo. Sono entrambe molto carine, ma soprattutto siamo stati all'Orrido di Bellano, a cui facevamo la corte dall'estate scorsa. Molto più piccolo del previsto ma davvero un gioiellino, una passeggiata in mezzo ad una gola che è davvero adorabile, ma che consiglio con cautela a chi, come la sottoscritta e il suo cane, ha paura di scale e passeggiate in metallo in cui si vede lo spazio sotto. Bellissimo ma un po' inquietante se si ha paura dell altezze.



Riuscirò ad essere costante con questa rubrica? La storia del blog ci dice di no, perché sono incostante per natura, ma siccome la rubrica della storia mi porta via tanto tempo vorrei riuscire a fare una cosina del genere ogni mese per parlare di tutto quello a cui non ho dedicato post interi? Può avere senso?
Nel dubbio, per un po' proseguiamo. 

venerdì 25 marzo 2022

Il cinema muto: Don't step on it - it may be Lon Chaney!

08:42

 Chiudere i due mesi dedicati al cinema muto è un po' strano e un po' un sollievo. Dalla prossima settimana tutto cambia, e il cinema torna ad essere un linguaggio più familiare.

Per chiudere questa prima carrellata nel nostro progetto sulla storia del genere che tanto amiamo, non poteva mancare un omaggio all'uomo che ha preso residenza nell'immaginario collettivo dal primo momento in cui ha messo piede su un set cinematografico e che non ha alcuna intenzione di lasciarlo a breve.

Come dice David J Skal nel suo The monster book, "The idea of Lon Chaney was everywhere", e forse è ancora così, a giudicare dal modo in cui parlano di lui le persone che lo amano.

Sarà impossibile nel 2022 scrivere un post innovativo sul signor Chaney e le sue mille facce, perché di lui si è detto e si continua a dire di tutto, ma in una rassegna che vuole ripercorrere la storia del genere più bello di tutti, non si poteva prescindere dalla sua fondamentale influenza.




La vita


La carriera di Leonidas Frank Chaney era segnata nel destino, se a questo genere di cose si crede, fin dalla sua nascita, nell'aprile del 1883, da genitori sordomuti. Usare il corpo per comunicare per lui non era un'arte, ma il modo più naturale di esprimersi. 

E sì, se ve lo steste chiedendo: ovviamente era uno di quei bambini che mettono su spettacoli in casa coinvolgendo fratelli e familiari.

Non sorprende quindi che, alla prima occasione possibile, diventato grande a sufficienza, abbia accettato un lavoro da prop boy a teatro, grazie al fratello John. Il passaggio da ruolo dietro le quinte a stella dello show è piuttosto rapido, ed è in tour che conosce Cleva, la prima moglie.

Non sono solita discutere della vita privata dei personaggi di cui chiacchieriamo in questa sede, ma il matrimonio con Cleva è significativo non solo perché porterà alla nascita dell'unico figlio Creighton, in futuro noto come Lon Chaney, Jr., ma anche perché finirà in mezzo a scandali e rotocalchi, e questo metterà in serio pericolo la carriera del Nostro. Cleva, aka Francis Cleveland Creighton, era una cantante altrettanto famosa del tempo, che aveva problemi di dipendenza e diversi tentativi di suicidio alle spalle, e gli scandali legati a questa relazione hanno rischiato di insabbiare il successo teatrale di Chaney che, senza più una lira in tasca e con un bimbo piccolo in sua custodia da tirar su, va a bussare alle porte di casa Universal.

Da quel momento è leggenda. Più di 150 film girati in poco più di quindici anni, con una varietà di generi, vicende, situazioni narrate forse ancora oggi unica. 

Eppure, della persona dietro al personaggio si sa e si è sempre saputo molto poco. Chaney ha sempre tenuto molto alla sua riservatezza. Di rado si è presentato alle prime dei suoi film, anche di quelli che ha combattuto in prima persona per realizzare, ancora più di rado ha lasciato interviste. Eppure il mondo era affamato di lui, dei suoi volti: era sulle copertine dei giornali, soprattutto di quelli dedicati agli esordi del cinema di genere, era nel linguaggio popolare, era ovunque e nessuno lo sapeva. Davvero, l'idea di Lon Chaney era ovunque. Ha messo per tutta la carriera i suoi personaggi davanti a se stesso, lasciando che fossero loro a parlare per lui. 

Capita spesso, leggendo di lui in giro, che le persone che hanno avuto la fortuna di averci a che fare parlino di lui come di un regular fellow, un tizio qualunque. Altrove si fanno supposizioni su un possibile brutto carattere, su un'eccessiva severità con il figlio, su una personalità troppo dura, sull'invidia che suscitava quotidianamente in Carl Laemmle. 

Sappiamo solo che, da brava persona di origini umili, ha sempre saputo che il suo tempo valeva caro, e in carriera ha fatto scelte uniche per l'epoca e molto coraggiose, lasciando la sicurezza di una grossa casa come Universal per darsi al lavoro da freelance, e arrivando a guadagnare cifre da capogiro. Non che abbia mai avuto un grande desiderio di ostentazione, però. Ha mantenuto uno stile di vita modesto, ma ai grandi capi di Hollywood ha portato via tutto quello che ha potuto.

Poco importa quello che si sa o meno, in realtà, e sicuramente poco importava a lui: con 150 film all'attivo, c'è ben poco altro da aggiungere.










Chaney muore nel 1930, solo due mesi dopo l'uscita del suo unico film sonoro, una riproposta del suo celeberrimo The Unholy Three con l'aggiunta di dialoghi. Ci ha detto tantissimo, non dicendoci nulla, e sebbene sarebbe stato interessante vederlo lanciarsi nella sfida del cinema sonoro, ci ha fatto alzare da tavola sazi: non gli serviva altro, per essere la leggenda che era.




I film

In questa playlist sul muto americano potete trovare alcuni dei film più famosi.


Se avete visto le storie di instagram di qualche giorno fa, saprete che sto per lanciarmi nell'ennesima polemica. Ho letto un testo, che riporterò nelle fonti. Lo scrive Michael F. Blake, il biografo ufficiale di Chaney, che oltre ad un testo strettamente biografico ha scritto anche questo che ho letto io, che si occupa più nello specifico della produzione cinematografica. Sia chiaro, da quel punto di vista è un testo ottimo perché riporta parte della corrispondenza dell'attore con il proprio agente, espone nel dettaglio problematiche e vicende che hanno portato alla nascita di alcuni dei lavori più famosi e da un punto di vista strettamente "tecnico" è molto interessante, e offre interessanti dietro le quinte del mondo del cinema degli anni '20. Però si apre con questa frase: "Lon Chaney was not an horror actor." 

Non solo, il signor Blake cita questa questione ogni volta che viene interrogato sul suo prediletto, e nel corso del testo in questione ci tiene a sottolineare diverse volte quanto sia degradante per la carriera di Chaney dargli una definizione così limitante. Poi applica la stessa problematica a Boris Karloff e su quello non mi esprimo nemmeno perché si fa giudicare da sé.

Ora, se è pur vero che Chaney non si è mai limitato ad un genere soltanto, che per tutta la vita ha spaziato ed esplorato le mille possibilità che il suo corpo gli poteva offrire, io me lo rivendico come attore dell'orrore. E non lo faccio solo io, che nel 2022 ho modo di vedere le immense influenze del suo operato in tutti quelli che sono venuti dopo, o di sentire direttamente make up artist e trasformisti ispirarsi tutt'ora a lui, ma la comunità del cinema di genere, che era acerba e si stava appena formando, se lo è adottato da subito. Ogni "rivista di mostri" aveva Lon Chaney in copertina, parlava di Lon Chaney, bramava Lon Chaney. 

Il cinema di mostri era già nato. C'erano già i vampiri, i Jekyll e Hyde, le creature infernali. Qualche folle aveva anche cercato di portare al cinema L'isola del dr Moreau. Il mostro, però, era cattivo, estraneo, foriero di cattive nuove. 

Il mostro di Chaney è il primo ad essere portatore di sentimenti umani. Quando sfocia nella "mostruosità" effettiva, e non si limita per esempio al trasformismo come per esempio nel sopracitato The Unholy Three, attribuisce alle sue creazioni una componente umana così potente che è diventata rivoluzionaria. 

Parlare di ognuno dei lavori di Chaney è impensabile in un solo post, ma a proposito di questo dobbiamo per forza parlare del mio preferito, che non poteva che essere altri che Il gobbo di Notre Dame. Dico "per forza" perché quella di Quasimodo ed Esmeralda è una storia che amo moltissimo in ogni sua versione, è proprio una parte del mio cuore. Il film lo ha voluto così tanto da spedire il suo povero agente in giro per mezza Hollywood per trovare qualcuno che lo girasse alle sue condizioni, francamente ridicole. Ma lui aveva una visione ben chiara in mente, serviva solo qualcuno che gliela finanziasse. 

La genesi del film sul Gobbo è combattuta; gli storici ne danno tutta la responsabilità a Irving Thalberg, personalità di spicco di Universal di cui a partire dal mese prossimo parleremo più approfonditamente, Blake ne dà ogni merito a Chaney. Nel testo citato su troverete i dettagli sull'argomento, ma quello che mi interessa qui è quello che è successo quando il film, alla fine, si è riusciti a farlo. Una produzione esorbitante, costosissima e logorante, così notevole che tra gli addetti ai lavori cominciò a girare un giornaletto pieno di aggiornamenti sulla lavorazione e inside jokes che si chiamava The Hunchback Illuminated, tanto per consolarli dalle tremende nottate al lavoro che si stavano facendo.

Il risultato oggi non è così amato come si potrebbe pensare data la fama che lo precede. Sono diversi gli articoli che lo vedono come un buon prodotto solo grazie alla performance di Chaney. Il mio giudizio è di parte, trovo che questa storia sia sempre straordinaria, appassionata, dolorosissima e la amo anche in questa versione, ma è indubbio che questo Quasimodo, costruito su misura dal suo interprete basandosi su illustrazioni originali di Hugo e sulle descrizioni del romanzo, sia la cosa più potente. Quasimodo è mostruoso, ripugnante, ma non c'è un solo momento in cui il pubblico non soffra per lui, in cui le sue movenze storte e la sua lingua sempre fuori a inumidire le labbra suscitino sentimenti diversi dall'umana compassione. Quasimodo, nella sua rappresentazione estrema, è la base del diverso, il mostro che prima di tutti ci insegnato che la mostruosità è componente fondamentale dell'esperienza umana, e pone le basi per uno degli elementi più ricorrenti di Chaney: l'amore non ricambiato. I suoi mostri hanno cuore caldo, sono appassionati, guardano alle donne con bramosia e puntualmente sono rigettati. Anche quando per le donne arrivano a sottoporsi alle peggiori mutilazioni (come ne Lo sconosciuto). Il suo Erik, per fare un altro esempio, tanto celebre quanto ancora non citato in questo post, è un uomo rovinato prima di tutto dalla società, e infine dall'amore. Ed è anche il solo Fantasma dell'Opera che non ha sentito il bisogno di dover giustificare il suo aspetto: è così e basta.


È con il suo Quasimodo che nasce anche la leggenda delle torture che Chaney infliggeva al suo corpo per entrare nei panni dei suoi personaggi. Occhi tenuti spalancati, braccia tenute legate al corpo, pesi sulle spalle che impedivano la postura eretta, denti dolorosi. In un mondo in cui la cgi non era contemplata, c'erano solo due modi per avere aspetti mostruosi: il make up e gli artigianali attrezzi del demonio che non solo non intimorivano il nostro ma che anzi si creava da sé, con sorprendente iniziativa e artigianalità. Leggenda narra che non fu solo la sua bravura a trascinare la gente a vederlo al cinema, ma anche la genuina curiosità di scoprire a cosa si sarebbe spinto. Un pochino intrigati dal dolore lo siamo sempre stati.

Questo, signori miei, lo fa un attore dell'orrore. 

Certo, lo fa anche un attore americano degli anni '20, costretto ad assistere ai suoi coetanei di ritorno da una guerra che quelle stesse mutilazioni che lui ricreava le avevano davvero. E allora, forse, ad attirare al cinema era anche la voglia di ritrovare qualcosa di simile a sé, qualcosa di familiare, per cui poter tornare a casa e forse un po' accettarsi in un corpo nuovo e provato. Il suo essere mutilato lo rendeva l'uomo qualunque, distrutto dalle circostanze, dalla società, dalle persone che lo circondano. Ah, l'importanza della rappresentazione...


Parlando di lui, il sopracitato Thalberg dice:

He was great, not only because of his God-given talent, but because he used that talent to illuminate certain dark corners of the human spirit. He showed the world the souls of people born different from the rest, because he himself was bornof parents who were different.


Oggi lo sappiamo, che la diversità è parte naturale dell'umano, e stiamo lavorando affinché diventi un concetto scontato, ma Lon Chaney aveva iniziato a mostrarcelo un secolo fa, zoppicando sotto gobbe, ghignando dietro sorrisi dolorosi, levandosi maschere spaventose.

Avesse avuto più tempo, chissà di quanti altri mostri ci avrebbe mostrato l'anima, di quanti umani avrebbe evidenziato i lati oscuri, e di quanti amori avrebbe mostrato la triste sorte. E io me la sarò pure legata al dito, ma queste cose le fa proprio un attore dell'orrore. 



Le fonti di questo post:

(I link segnalati con un * sono link affiliati Amazon. Se i testi vi ispirano e li acquistate tramite questi link prendo una piccola percentuale, ma all'acquirente non costa nulla! Grazie se lo farete. Fine spazio pubblicitario.)

Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014

Tetro M., Azzara S., Chiavini R., Di Marino S., Guida al cinema horror. Dalle origini del genere agli anni Settanta, Odoya, 2021

Blake, M. F., A thousand faces: Lon Chaney's unique artistry in motion pictures, Vesteal Press, 1997

Skal, D.J., The monster book. Storia e cultura dell'horror, Cue Press, 2020

Gifford, Denis, A pictorial history of horror, Book sales, 1973

Una rara intervista a Chaney su un numero di Movie Weekly

Il sito ufficiale

Feast Your Eyes! The terrifying genius of Lon Chaney - documentario su Youtube (in questo doc si può ammirare lo splendido modo in cui si esprime Doug Jones e l'eleganza con cui gesticola. Se non lo si poteva amare più di quanto già lo amavo prima...)


martedì 22 marzo 2022

Nuovi Incubi: Scream 2022

10:01


 


Noi lo avevamo detto che chiudere questa stagione era difficile, e infatti abbiamo aggiunto un episodio ancora. È l'ultimo, davvero.

Ma adesso che Scream 2022 è arrivato in video on demand cosa fai, non glielo dedichi un episodio? Lo avete sentito cosa proviamo per la saga, se avete ascoltato l'episodio che le abbiamo dedicato, non potevamo trattenerci.


Se in quell'episodio avete pensato che fossimo due fangirl inferocite, preparatevi: qui siamo pure peggio.

Ma la colpa non è nostra, è che i Radio Silence hanno fatto un film meraviglioso, un omaggio al contempo commovente ed esilarante alla saga che ha rivoluzionato il genere a cui abbiamo dedicato le nostre vite intere. Era un compito difficilissimo, e invece questi ragazzi ci hanno confermato che abbiamo il privilegio di vivere in un'epoca gloriosa, in cui non solo stiamo assistendo a nuovi nomi che faranno a lungo parlare di sé, ma anche in cui le vecchie glorie vengono rispolverate con (pre)potenza e tanto amore.


Ci aggiorniamo per Scream 6, il primo vero capitolo che si allontanerà definitivamente da quelli vecchi. Ho enorme fiducia.


Dopo questo episodio speciale, Nuovi Incubi va in pausa per qualche settimana. 

Abbiamo bisogno di ricaricare le batterie per arrivare cariche a pallettoni per la seconda stagione, che sarà sul teen girl horror e si presenta spaziale. 


Nell'attesa, potete ascoltare l'episodio nuovo e tutti quelli precedenti qui.


Grazie di averci fatto compagnia in questi mesi francesi, è stata una gioia!

martedì 15 marzo 2022

The Marvelous Mrs Maisel - stagione 4

14:54

 Questa settimana avrei avuto mille cose da fare, lavatrici da stendere e lenzuola da sistemare, ma soprattutto live da preparare e podcast per cui studiare, ma venerdì scorso sono uscite le due puntate finali di una delle migliori serie degli ultimi anni e non avrei potuto rimandare oltre.


Sapete cosa fanno le persone serie? Guardano un prodotto, ne leggono in giro, studiano, si informano, si prendono il tempo di prepararsi per bene per giungere al momento di parlarne preparati e con le opinioni ben formate. E poi ci sono io, che ho chiuso Prime da 5 minuti e sono già qua con Blogger aperto per salutare Midge, per la penultima volta.

La serie avrà ancora una stagione, e poi ci toccherà salutarla per sempre.




In questa quarta volta in cui ci incontriamo, Midge e Susy devono convivere con il fatto che Shy Baldwin le ha piantate in aeroporto, e che il tour europeo in cui le aveva coinvolte è saltato. Convivono con l'evento come possono, leccandosi le ferite e ripartendo da quello che possono. Midge diventa comica fissa in uno strip club e Susy cerca di far crescere il proprio lavoro come manager cercando nuovi talenti.


Questa stagione, quindi, trae le sue fondamenta da un elemento che nella serie non è mai mancato ma che qui la fa da padrone: il fallimento. Midge ha sbagliato, ha rischiato di fare outing ad una persona omosessuale che non aveva alcuna intenzione di rivelare i fatti propri al mondo, ha tradito un amico, ha fatto un errore che le sta facendo perdere tutto. 

Con la coda tra le gambe, ferita ed umiliata, torna al suo quartiere. Deve affrontare il momento in cui dovrà confrontarsi con la sua famiglia, che non avendo mai creduto nelle sue reali possibilità di carriera rischia di trovare in questo episodio una conferma dei propri timori, deve leggere articoli che la ridicolizzano, che speculano su quanto accaduto, e finisce per conservarli, come a ricordo perpetuo, deve adeguarsi ad un lavoro che potenzialmente rovinerebbe la sua immagine. 

Non solo: sbaglia a continuare ad esporre la sua famiglia, sbaglia a dare a Lenny Bruce quello che lui non vuole, sbaglia a fidarsi di Sophie Lennon. È una donna di straordinario talento, ma non ne azzecca una, ed è un ritratto che desideravo vedere da tempo. Stimola la creatività come per me nessun altra serie ha fatto prima, ma non lesina mai nel mostrare cosa succede quando si investe in un lavoro del genere: si sbaglia, e ogni sbaglio è pagato caramente.


Susy, dal canto suo, in queste circostanze eccelle. Non si concede mai un momento di sconforto perché così chiaro è il suo obiettivo che nulla è un vero fallimento, solo un intoppo lungo la strada da sistemare. Susy è magnetica, non solo perché il suo carattere totalmente incurante delle opinioni del prossimo la rende una manager francamente perfetta, ma anche e soprattutto perché non si smarrisce mai. Non perde di vista il suo obiettivo, perché sa quello che le serve, e quello che le serve è tenere la calma, anche nella frenesia che la circonda costantemente. Forse fa errori di valutazione, forse deve correre alla ricerca di modi per tirare se stessa e i suoi clienti dai casini, ma vederla crescere così radicalmente in questa stagione è così rinfrescante che la mette davvero al centro della scena. Sempre da sola, senza chiedere nulla a nessuno. Quando si appoggia ad altri è solo per terzi o per circostanze che riguardano più persone, mai per se stessa o per la sua carriera. A quello ci pensa da sola.

Midge è il fascino, è la donna che spesso se la cava perché il suo essere bellissima (pretty privilege?) le concede tempo e spazio, ma è solo lavorando con Susy che ottiene i risultati. Quello che rende Midge il personaggio irresistibile che è, però, naturalmente non è il bel faccino: è il suo costante rivendicarsi. Vuole esibirsi in uno strip club, perché in quel momento, dopo la batosta che ha preso, ha bisogno di uno spazio di libertà assoluta, in cui non sentirsi giudicata, in cui esprimersi come la persona sboccata che è, e fa quello che le riesce meglio: lo trasforma in un regno femminile. Non accetta più che la sua voce venga zittita, non vuole scendere a compromessi, non accetta che a lei non vengano concesse cose che agli uomini vengono concesse continuamente.

Midge però non è esente da giudizi: aveva sbagliato con Shy, sbaglia in questa stagione con Susy dando per scontata una sessualità che non la riguarda, sbaglia quando è incredula perché la figlia di un senatore lavora allo strip club. Puntualmente, però, incontra persone che la rimettono al proprio posto, che se ne fregano delle sue buone intenzioni e la riprendono quando si comporta male. E lei a questo punto si scusa, si rimette in discussione, si prende in giro. Si intrufola in un matrimonio a cui è stata invitata con scopi poco puliti solo per scusarsi, e sfrutta l'occasione per fare il minimo che può per rimediare. 


L'errore che ha commesso con Shy ha dato un nuovo corso alla sua vita e alla sua carriera, e la sola cosa che Midge aveva da portare con sé in questo nuovo percorso era la sua personalità: l'ha usata per rendere il club un luogo accessibile per le signore, l'ha usata per aiutare Joel quando ne ha avuto bisogno, per supportare la sua famiglia in difficoltà, per continuare a costruirsi la strada che è certa la stia aspettando.

E vedere una donna così, che si muove per i corridoi degli edifici con le sue scarpe scomode e la voce troppo alta, che impartisce ordini senza aver paura che le venga risposto di no, che qualcuno la sostituisca, che qualcuno si prenda gioco di lei: Miriam Maisel crede in se stessa sempre di più, è consapevole del proprio talento sfacciato, del proprio potere, della propria influenza. Sono felice di vederla sullo schermo, perché mi insegna quello che dovrei essere. 

Proprio io, che non credo in me stessa nemmeno quando faccio la lavatrice perché metti caso che ho sbagliato il lavaggio e ho fatto un bordello, che mi lancio in mille progetti aspettandomi sempre che sfracellino al suolo in un paio di mesi, guardo lei e imparo, e osservo ammirata cosa si ottiene quando la determinazione è la sola cosa che si ha. Ma soprattutto, la vedo sfruttare le sue fragilità e renderle arte. Midge usa la sua complicata e caotica vita per trarne i suoi spettacoli migliori. E lo so che è il più banale dei concetti relativi all'arte e alla sua composizione, usare i dolori e le tragedie per farne qualcosa di buono, ma è vederlo applicato alla commedia che mi fa così sognare. I suoi spettacoli in questa stagione sono più amari, più cinici, e per questo, forse per la prima volta nella serie, il suo pubblico è sempre femminile, anche fuori dallo strip club. Si esibisce per le donne, e nel farlo sa che non possiamo ridere e basta, perché ci sono troppe cose che non vanno. E allora ridiamone pure, intanto che ci asciughiamo quel paio di lacrime che ci ha fatto versare. 

Non può che essere così, perché per quanto sia detestabile rimarcarlo, Midge non è solo una comica, è una comica donna, negli anni '60, in cui ci si aspettava che mollasse il lavoro per correre al capezzale dell'ex suocero, in cui avere dei bambini era una limitazione, in cui andare a letto con un uomo sposato rendeva te la cattiva, in cui puoi pure fare i tuoi spettacolini sul palco, ma se per favore non dici fuck è meglio. Non si può concepire che facesse solo ironia, doveva essere dolceamara e funziona sempre in maniera strepitosa. 


Ognuna delle donne di questa stagione è forzata ad affrontare elementi di difficoltà dovuti al proprio genere: Susy deve chiedere alla sorella di prostituirsi, Mei deve capire come gestire una gravidanza e gli studi di medicina, Rose e Imogene devono vivere in un mondo in cui la solidarietà femminile non è contemplata e devono combattere con la loro concorrenza, la giornalista che parla male di Midge è costretta a cavalcare il successo dato dal distruggere un'altra donna, perché era così che si campava in un mondo di maschi. 


In questo periodo in cui la mia emotività è traballante, Mrs Maisel è stata la consueta boccata d'aria fresca, che mostra in un modo brillante e genuinamente divertente che se sei una donna non avrai mai niente di semplice. Che avrai bisogno di lavorare il doppio, che alcune circostanze ti richiederanno di avere bisogno di un supporto maschile, che ci viene richiesto un equilibrio che agli uomini non è necessario, nonostante quello che le dice Lenny Bruce sul finale. 

Però mostra anche che quella determinazione lì ti salva la vita, che avere il coraggio di essere sempre indiscriminatamente se stesse, senza paura di essere troppo, di prendersi troppo spazio, di dare fastidio, è il solo modo di sopravvivere, di essere corrette verso noi stesse, di diventare quello che si desidera. 

Ed è esattamente il messaggio di cui avevo un gran bisogno. 

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