lunedì 24 ottobre 2022

Gli anni 40: Il ritorno del vampiro

10:25
 Vediamo di togliere un po' di polvere da questa rubrica. Quando ho deciso di ripercorrere la storia del cinema dell'orrore mi ero preparata una scaletta, una serie di obiettivi soprattutto temporali e un planning ben preciso. Avevo solo dimenticato di renderlo compatibile con il resto della mia vita.
Quindi, ora la ricominciamo perché ne ho tanta voglia, però con modi e tempi diversi, altrimenti finisco in un burnout autocausato che non ha assolutamente alcuna ragion d'essere. La rubrica riprende quindi con tempi molto dilatati. Non sono in grado di fare un post a settimana sull'argomento e quindi preferisco farne di meno ma farli meglio senza rischiare di impazzire.

Come era prima, alterneremo singoli film a discorsi più ampi su qualche autore, qualche attore o qualche tema più nel dettaglio. Ho deciso di ricominciare con un film forse minore rispetto ai grandi suoi contemporanei, ma che secondo me valeva la pena di essere discusso.
Siamo nel 1943 e ad opera di Lew Landers esce Il ritorno del vampiro.




Il vampiro Armand Tesla si avvale dell'aiuto del suo assistente licantropo Andreas per procurarsi le sue vittime. La loro vita diventerà più difficile quando sceglieranno come vittima la futura nuora di Lady Jane, che non ha alcuna intenzione di farsela portare via.

Parlando degli horror anni '40 di Universal l'abbiamo già detto nei post precedenti: hanno la fama di essere solo uno strascico del glorioso anno precedente.
Il ritorno del vampiro fa tutto quello che può per subire lo stesso fraintendimento. Ha dei titoli inequivocabilmente familiari, sceglie Bela Lugosi per il ruolo del vampiro (ultima volta in cui lo fa in un contesto che non sia una commedia), è diretto dallo stesso regista che ha diretto - tra le altre cose - The Raven, il film del '35. Si chiama addirittura Il ritorno, facendo intuire il suo essere un ipotetico seguito.
Eppure non è un film Universal. È della Columbia. 
Gioca con un modo ben preciso e rodato di fare cinema, che prende tutti gli elementi di valore del decennio precedente e li riutilizza in un contesto nuovo, in cui un immenso cambiamento ha sconquassato il mondo: la guerra.
Nello specifico, a farci sognare de Il ritorno del vampiro è lei, Lady Jane Ainsley, forse la prima volta che vediamo al cinema qualcosa che sia assimilabile a una Rosie the Riveter. Lady Jane da sola prende in mano una situazione anomala e tragica, salvando, con i mezzi a sua disposizione, tutte le persone sottomesse e violate dall'uomo potente: Tesla (che buffa e trista coincidenza il suo nome). Lady Jane è una figura femminile che al cinema vedremo sempre più spesso: pur essendo scientifica nel suo raccontare l'evento soprannaturale, non viene creduta. Pur conoscendo il male del mondo sceglie di portare avanti i suoi ideali di fiducia nell'umanità, dando una seconda possibilità ad Andreas e aiutandolo a costruirsi una vita piena e soddisfacente ma soprattutto libera. È la donna che, lasciata sola dagli uomini che la circondano, prende in mano la situazione e la risolve, con nessun riconoscimento finale se non la consapevolezza che senza di lei la situazione sarebbe inesorabilmente degenerata. In una tradizione - quella dei vampiri - in cui le donne sono le prime vittime, lei è la salvezza. 
Non solo questo, però. A rendere speciale il film è anche Andreas, un'estremizzazione del ben più noto Renfield. Andreas non è solo una vittima del vampiro. Quella che lo colpisce è una maledizione in piena regola, perché è un licantropo: la più classica delle condizioni tormentate. A Tesla non è bastato prenderlo come schiavo, ma ha anche dovuto snaturarlo, privarlo della sua condizione umana e vincolarlo, in questo modo a sé. È infatti la prima - presunta - morte del vampiro a liberare Andreas. Muore il vampiro e rinasce il licantropo. E non è neppure un caso che il vampiro sia riportato in vita proprio dalla guerra (e poi ne riparliamo). Andreas è tanto vittima di Tesla quanto lo è della situazione storica in cui sta vivendo. È un soldato caduto, è un veterano. Se non l'avessi reso per bene, Andreas mi strazia il cuore. 
La guerra, dicevamo. Incontriamo in questo film entrambe le guerre mondiali, perché Tesla giustamente mica può saltarne una. O tutto o niente. È lei la causa della sua rinascita e del suo, invocato dal titolo, ritorno. Lady Jane, insieme al collega Saunders, lo aveva già fermato nel '18 Tesla, impalandolo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, però, un bombardamento riporta alla luce il suo cadavere, infilzato anche dai frammenti di una bomba che, per le persone che lo trovano, lo qualificano immediatamente come una vittima proprio di quel bombardamento. Liberato dalla bomba, lui torna, fresco come se non fosse successo nulla. La guerra ha influenzato le vite di tutti i coinvolti, ha facilitato il suo ritorno, è a tutti gli effetti un personaggio del film. Il vampiro è un invasore, nella vita dei suoi rivali, un mondo esterno che entra e si prende quello che vuole. È lo sconosciuto dell'est che arriva e frantuma la quotidianità, che allontana le famiglie, che distrugge esistenze. È uno tra i modi più efficaci che conosco per parlare di conflitti.

David J. Skal, forse lo storico di cinema dell'orrore più famoso del mondo, definisce Il ritorno del vampiro un "fascinating junk film". Lungi da me voler considerare la mia opinione al di sopra di quella di una persona con competenze come le sue, però lo trovo un giudizio un po' severo. Non siamo di fronte a un capolavoro senza tempo di quelli che ridefiniscono i contorni del genere, però ha delle cose da dire. Ha un modo emozionante di parlare delle conseguenze della guerra non solo sulla società ma sui singoli individui, e sulle donne soprattutto, lasciate sole a dover portare avanti il mondo. È nebbioso, cupo, triste. 
Quando penso a dei junk film, non è lui che mi viene in mente.

venerdì 21 ottobre 2022

Redrumia32 - parte 2

11:34
 Continua ottobre e con esso il mio regalo di compleanno: un horror al giorno. 
Tra parvenza di vita sociale e serate impegnate in live non sempre il progetto riesce nel suo intento ma io sono già molto felice così e anche i film non saranno proprio 31 mi riterrò ugualmente molto fortunata.






Io ammetterò che questo non lo volevo vedere. Accetto che spesso il cinema mi faccia del male, ma ho dei limiti anche io e ci sono visioni che francamente mi mettono troppo alla prova. Era stato così per L'uomo invisibile del 2020 ma anche per il grande classico Gaslight. Quindi una storia di una donna convinta di essere in pericolo e che non viene creduta da nessuno si avvicinava troppo pericolosamente al territorio per cui sento di avere delle remore.
Parlando con le amiche ho cambiato idea, e ci ho provato. La storia è quella di Julia, che si trasferisce in Romania per il lavoro del marito e che dal primo istante sente che nel condominio di fronte qualcuno la osserva con insistenza. Poi forse la segue anche fuori casa. Poi forse le può fare del male. E, lo avrete indovinato facilmente, nessuno la prende sul serio. È solo stressata, è lontana da casa, si sente sola, il marito è lontano tutto il giorno...è tutto a posto.
Eccetto che forse di a posto non c'è proprio nulla.
È chiaro che Watcher è un ottimo film, le opinioni sono quasi tutte concordi e c'è una ragione: è teso, crudele, fa sincera paura ed è girato da brividi. Maika Monroe è una forza della natura, si tiene tutto il film sulle spalle da sola e lo fa con classe.
Però. E siccome il però riguarda il finale occhio agli spoiler.
A me sto finale non ha soddisfatto a sufficienza. Non l'ho trovato sufficientemente catartico, e dio sa se ne avevamo bisogno dopo una visione così sofferta. Julia è psicologicamente seviziata per tutta la durata del film, col cazzo che mi posso accontentare di qualche colpo di pistola. Avrei voluto qualche momento in più, in cui il marito, che è a tutti gli effetti un complice della violenza che la moglie ha subito, ne pagasse a sua volta le conseguenze. Avrei voluto vedere lui patire e lei partire. Avrei voluto vedergli addosso una scarica di colpi, ma mi sarei accontentata delle botte. Questo per tutto il film l'ha ridicolizzata, sminuita, annientata, abbandonata. E finisce con uno sguardo. Monroe in quello sguardo l' ha tutto l'odio del mondo, lo avrei voluto vedere sfogato, tutto qui. 




Ho riguardato lo splendido nuovo film di Jordan Peele per preparare l'episodio di Nuovi Incubi che gli abbiamo dedicato e che potete ascoltare qui e confermo che ha scalato la mia personale classifica dei film del suo regista. Ne approfitto per scusarmi per la prima parte del mio audio dell'episodio. Avevo sbagliato microfono con cui registrare. Da metà si riprende ma tutto sommato poco importa: le cose intelligenti di solito le dice Lucia.




Vi ho visto che lo avete odiato tutti. Vi ho letto sconsigliarne la visione.
Avete spezzato il cuore mio e quello di questo bel faccino qui sopra. Io ho adorato Halloween Ends. 
La trama per quei due che ancora non l'hanno visto. Sono passati 4 anni dalla fine degli eventi del secondo film della trilogia, e Laurie deve convivere con l'ennesima cosa che Michael le ha tolto: la figlia Karen. Ora vive con la nipote, Allison,  e sta scrivendo la sua autobiografia, per esorcizzare una volta per tutte la presenza che le ha rovinato la vita. Ma sappiamo bene che Michael non se ne va mai per davvero.

Questa di David Gordon Green, per me, è stata una trilogia piena di scelte molto intelligenti. Abbiamo visto prima una final girl tormentata dal trauma, e quindi abbiamo visto cosa accade dopo il The End, quando il film finisce e la sopravvissuta deve continuare a convivere con la tragedia che le è accaduta. Poi abbiamo visto gli effetti della tragedia sulla comunità intera, che dopo il dramma si deve ricostruire e deve imparare a convivere con il proprio passato, e ora vediamo le conseguenze dell'incubi sui fragili. Ora finalmente vediamo l'eredità del male. In un momento storico in cui l'orrore è spesso riportato su un piano razionale, realistico, Michael non può vivere per sempre. Come può proseguire la sua legacy? Con un incubo nuovo. E siccome stiamo mettendo il tutto su un piano di realtà, che cosa crea un Michael? Da dove nasce il male? Se in Corey - uno stupendo Rohan Campbell - non riconoscete qualcuno della vita vera è perché non conoscete la brutalità della vita nelle piccole comunità, in cui tutti credono di conoscerti e credono di poter usare questa supposta conoscenza per annientarti. Haddonfield qui ha un volto nuovo: se nel film precedente l'abbiamo vista unita per superare insieme un dramma, qui la vediamo per come è davvero. Costantemente alla ricerca di qualcuno da incolpare per la propria violenza. Qualcuno su cui sfogarla. Questa Haddonfield è fatta di persone che hanno bisogno del proprio Michael, e che quando non lo trovano se lo creano. Conoscono solo violenza e solo quella sanno perpetrare. La cosa che viene rimproverata con asprezza a Corey, infatti, è quella di essere sopravvissuto ad una cosa orrenda, di avere recuperato una parvenza di esistenza, di avere continuato a vivere. Lui, che non se lo merita. La vita nella piccola comunità è fatta prima di tutto di giudizio, di persone che credono di poterti dire come si fa a stare al mondo e soprattutto come dovresti starci tu, alla luce di quello che, mi ripeto, credono di sapere di te.
Ho parlato spesso di quanto amo l'orrore delle piccole comunità perché sono il mio mondo, quello in cui vivo e che conosco. Nessuno, però, a mio modestissimo parere, le aveva mai ritratte con questa sincerità. Haddonfield senza Michael non esiste, perché ne ha bisogno. Serve qualcuno su cui sfogare la propria brutalità sentendosi legittimati. Ricorda nulla? Avete mai letto i commenti su facebook sotto le notizie di cronaca? Le persone bramano qualcuno che sbaglia perché così possono farlo a loro volta, con la copertura morale del "ma l*i se lo merita". 
In questo senso, allora, Halloween Ends porta avanti benissimo la legacy della saga originale, perché è un film che parla del Male, quello che non ha scopo altro se non alimentarsi di se stesso, bearsi della propria esistenza. E, per me, è un film bellissimo.
E poi scusate ma se quella camminata lenta di Laurie, sul finale, in mezzo a quella stessa comunità che l'ha più volte tradita, non vi emoziona siete senza cuore e io non vi voglio bene.





Continuiamo a parlare di cattiveria.
Cecilia è una lifestyle influencer. Lancia messaggi di speranza e il suo tema principale è la salute mentale. Non è un medico e lo riconosce, ma cerca di aiutare e far sentire i suoi follower amati ed ascoltati. Un giorno, mentre fa la spesa, incontra la sua migliore amica d'infanzia, Emma, che si sta per sposare. Proprio quel weekend, infatti, c'è il suo addio al nubilato, e quale occasione migliore per le due per ritrovarsi e festeggiare insieme? Cecilia accetta l'invito senza sapere che alla stessa festa è invitata anche Alex, la ragazzina che ai tempi della scuola la bullizzava. Non sarà un weekend piacevole.
Appena conclusa la visione mi ritenevo insoddisfatta. Prima di tutto le scene di bullismo sono per me un disagio esattamente come dicevo parlando di Watcher. Ho la fortuna di non averlo mai subito nei modi raccontati nei film, ma provate a immaginare di crescere poveri in canna in una piccola comunità (vedi quanto detto su Haddonfield) e capirete perché non amo vederle. In questo film ce ne sono parecchie, anche di bullismo tra adulti, quindi mi sento di segnalarlo come una sorta di content warning. 
Nei giorni successivi, però, mi sono ritrovata a pensarci molto spesso. Sissy è un cazzo di film crudele. 
Non dura molto ma porca miseria non concede un solo istante di tregua. Arrivati alla villa in cui si tiene la festa comincia un susseguirsi di crudeltà che partono ai danni di Cecilia e che finiscono in una tragedia folle e insensata, senza un attimo di pace, senza un attimo di respiro. L'ho visto definito in giro come un film che vuole discutere della falsità dei media, dell'ipocrisia dei social network, ma non sono completamente d'accordo. È ovviamente uno dei temi che fa parte del tutto, ma è prima di tutto un'analisi sulla violenza. Sui danni a lungo termine, sul solito discorso che è uno dei miei preferiti: la violenza genera violenza. La cattiveria distrugge, cancella, rovina. Rovina menti perfettamente sane, distrugge persone che avrebbero potuto essere altro e invece si rivelano gusci fragilissimi in attesa di esplodere, di nuovo. Non cambia, però, chi la mette in atto. Il confine tra vittima e carnefice è qui completamente annullato, perché nessuno è nessuno dei due. Sono tutti incastrati in meccanismi così radicati nella mente di chi li mette in atto che il mondo non è più bianco o nero. È un film che decide di non fare la morale. Ad un certo punto il film ci racconta cosa sia successo tra Cecilia e Alex e dal quel momento in poi scardina ogni nostra certezza, senza mai parteggiare per nessuno e senza mai fare delle semplificazioni. Non è giudicante, racconta solo cosa succede a fare gli stronzi con la persona sbagliata. E lo fa utilizzando in parte i social media, perché siamo nel 2022 e sono parte della quotidianità delle persone, ma non l'ho mai interpretato come una critica agli stessi.




Io questo l'ho scelto perché dopo 20 giorni di solo horror iniziavo a sentirmi in colpa per il povero moderatore. Questo è descritto ovunque come un ultra violenti epic fantasy, che coinvolge magia nera e animazione dallo squisito gusto retrò.
Parla di fiori magici che hanno un potere immenso e di tutte le persone che hanno cercato di utilizzarli per scopi personali.
Non voglio dilungarmi perché ho la sensazione di avere un po' mancato il punto io, con questo, ma non è, come direbbero gli anglofoni, la mia tazza di tè. Forse non ho capito nulla io? Conoscendomi, è molto probabile. Oggi, però, rimpiango solo di non aver scelto altro, ieri sera.  




Ho riguardato questo cosino adorabile per dedicargli una live, quindi ho proceduto a discuterne per un'ora. Qui quello che ho detto:




martedì 18 ottobre 2022

Nuovi Incubi: Nope

12:00

 



Per la prima volta in questo primo anno di podcast abbiamo ricevuto una richiesta, e proprio a questa richiesta non avremmo mai potuto dire Nope.
Chiedo scusa a tutti per questa.
Ricominciamo.
Il nuovo film di Peele meritava un episodio non solo per la richiesta (a proposito, grazie!) ma anche perché è uno dei film dell'anno. La azzardo: del decennio? 
È potente e spaventoso e bellissimo, proprio come una creatura che ancora non conosci ma che dal primo incontro ti fa capire ti averti in pugno. 
Allo stesso tempo è importante, perché dice cose giuste nel modo giusto, perché ci mette di fronte a quello che siamo e a quello a cui, volenti o nolenti, contribuiamo. 
Però è pur sempre un film di Jordan Peele e quindi in mezzo a tutto questo fa pure ridere.
Ne parliamo qui.

Se quello che facciamo vi piace potete aiutarci ed essere parte della piccola famiglia felice di Nuovi Incubi, condividendoci, dandoci il vostro parere su Apple Podcast o qualche stellina su Spotify, oppure mandando i nostri episodi alle vostre amiche che non amano ancora il cinema dell'orrore ma solo perché nessuno aveva mai detto loro che era roba da ragazze. 

martedì 11 ottobre 2022

Redrumia32: parte 1

19:15
 Se siete da queste parti da un po' conoscete la tradizione del mese di ottobre, che non è solo la spooky season ma anche il compleanno della Vostra. Se non lo siete ve la racconto: condivido casa e vita con una persona a cui piace guardare i film ma che degli horror ha spesso paura quindi guardarli insieme significa spesso scendere a compromessi. Non mi dispiace, mi fa uscire dalla mia comfort zone e mi fa conoscere cose nuove, ma ad ottobre non transigo, e questo è l'unico regalo di compleanno che chiedo: un horror al giorno. 
Lui generosamente me lo concede e io ogni settimana - circa - faccio qui sul blog un riassunto delle cose a cui l'ho sottoposto. Ammetterò che questa settimana non abbiamo proprio azzeccato dei gran titoli, ma ve li racconto comunque. Giuro che di solito non sono cattiva così.







Siamo partiti con Umma, la storia di una donna che vive semi isolata con la figlia adolescente, con la quale gestisce un'azienda che produce miele. Lo zio la trova per portarle la notizia della morte della madre, e da quel momento la vita delle due smette di essere tranquilla.

Questo ha un intento semi buono, ma è pur vero che sappiamo bene di cosa sono lastricate le strade per l'inferno. Mi sta bene che si scelga di parlare di - resto volutamente vaga per evitare il rischio spoiler - di problemi delle donne di cui per ora ancora si parla poco, ma l'avrei tanto voluta vedere gestita meglio. Umma, la nonna, è una donna vittima di una circostanza che non ha cercato, che le ha lasciato traumi così grandi da renderla una persona diversa. Siamo sicuri, però, che la scelta di renderla la cattiva sia il modo giusto di farlo? Perché è passata a me come una faciloneria, un modo superficiale di gestire situazioni che superficiali non lo sono e non lo saranno mai.
Per dare un giudizio nel complesso, però, l'ho trovato tutto sommato dimenticabile.


si trova su Prime Video


Abby e Gretchen sono migliori amiche, con quella relazione da anime gemelle. Durante un weekend tra amiche, in una casa nei boschi, però, a Gretchen succede qualcosa di orrendo e da quel momento non sarà mai più la stessa. Possessione demoniaca o tremendo trauma? Abby farà di tutto per aiutare la sua amica.

All'inizio dell'anno avevo letto il romanzo da cui il film è tratto. Era una storia che prima di tutto parlava di differenza di classe (un lato di me però ricorda che Abby fosse anche nera, il che porta anche tutta una serie di altre implicazioni, ma se ricordo male correggetemi!). Gretchen era la bionda bambolina milionaria, figlia di una famiglia per bene con un nome e un'immagine da mantenere, Abby arrivava da una famiglia ben più umile. Frequentavano la stessa scuola, un prestigioso istituto privato, che Abby poteva permettersi solo grazie a borse di studio, che metteva a rischio cercando di aiutare la sua amica.
Questo elemento c'è anche nel film, che è tutto sommato piuttosto fedele per quanto riguarda il semplice svolgimento dei fatti, ma che pecca parecchio nel focus. Le differenze tra Gretchen e Abby, il privilegio di una e le difficoltà dell'altra, sono il cuore del libro. Qui sono solo accennate. Ci sono la perfetta bambolina che si libera dalle aspettative della famiglia da un lato e la disgraziata che non ha (quasi) niente da perdere ed è pronta a tutto per liberare la sua amica dalla nuova cosa che la infligge dall'altro, ma mi sembra si sfiori il punto senza mai toccarlo veramente.
Poi per carità, è una visione graziosa. Io però cercavo qualcosa d'altro.


lui invece è su Disney+


Norman e Claire hanno il matrimonio perfetto: sono bellissimi e ricchi, hanno una figlia modello che parte per il college e hanno superato con successo le difficoltà del loro passato. Dalle finestre della logo incantevole magione, però, Claire assiste alla vita dei vicini, ben lontani dalla loro perfezione, e se ne appassiona, al punto che quello che vede finisce per avere ripercussioni anche per la sua, di vita.

Lungi da me dire qualcosa di negativo su Zemeckis. Non sono ancora impazzita, e nel complesso mica si può dire che questo sia un brutto film, anzi. Fa quella cosa sempre attuale di mostrare come il marcio stia spesso nascosto alla luce del sole con delle sembianze luccicanti. Però diciamo che si nel periodo di Halloween andasse di vedere qualcosa di suo c'è sempre La morte ti fa bella. 
Con quello non si sbaglia mai.




La famiglia di Rini è colta da una serie di spiacevoli sventure: la madre si ammala e la famiglia si blocca per prendersi cura di lei, i proventi della sua precedente carriera da cantante sono ormai un ricordo del passato, e in casa ci sono anche i bambini più piccoli a cui badare. 
La morte della madre non migliora per nulla la situazione.

Io lo so che la devo chiudere qui con il cinema asiatico. Non ne ho nessuna cultura, avrò visto meno di venti film a voler restare abbondante, e tutte le circa venti volte me la sono fatta sotto senza pietà. Lo so che Indonesia e Cina e Giappone e Thailandia sono nazioni ben diverse ed è come mettere insieme il cinema francese con quello dell'Estonia, lo so. Ma la mia esperienza è stata questa, e temo abbia molto a che fare con la totale mancanza di familiarità. È tutto distante da me e da quello che conosco, non ho una competenza che mi renda qualcosa più accessibile e finisce puntualmente che sono annientata sul divano senza essere più capace di muovermi. 
Che cazzo di paura.
Fine della recensione.




Father Max è un prete farlocco che fa delle live in cui pratica esorcismi. Naturalmente è tutto uno show, tenuto in piedi dai due amici Max e Drew, ma fa un successo insperato. Le donne di tutto il mondo si strappano i capelli alla vista del prete belloccio, perché siamo pur sempre tutte le sorelle di Fleabag, e i due si godono il momento di gloria. 
Fino a che non va tutto malissimo, e lo show diventa più reale del previsto.

Allora, questo è buono. Rientra in quel filone che a me piace sempre tanto dell'horror social, in cui la nuova comunicazione diventa protagonista. Mi piace che metta tutto in discussione - anche se il discorso sull'autenticità è vecchio come il mondo stesso dell'intrattenimento - e che lo faccia questa volta con il sottogenere con cui più di tutti ho un rapporto di amore-odio: quello demoniaco. Naturalmente quando a dover recitare è la fidanzata di Drew la possessione diventa reale e tutti cominciano a farsela sotto, noi spettatori compresi.
Il posseduto seduto sulla sedia sotto lo sguardo di tutti non è una novità, lo avevamo già visto (visto si fa per dire, con le mani davanti agli occhi) in quel piccolo gioiello terrificante che è The Atticus Institute, un film da cui buon dio mi sono ripresa dopo settimane. Questo non fa altrettanta paura, ma ha una piacevole discesa verso gli inferi, un graduale ma efficace peggioramento della situazione che è stato molto piacevole da vedere. 
Sono solo rimasta leggermente delusa dal finale, è come se avesse costruito una strada molto carina da percorrere per arrivare ad un punto in cui la vista non è granchè.


è un originale Netflix


Il giovane Craig viene assunto dal vecchio miliardario Mr Harrigan perché gli legga delle storie. La relazione tra i due dura anni, ed è Craig ad iniziare l'anziano alle meraviglie degli smartphone. Il vecchio ne godrà per poco, perché morirà di lì a breve, e durante il funerale il suo giovane amico lo farà seppellire con il suo telefono in tasca. Tutto molto tenero, almeno fino a che il telefono di Craig inizia a ricevere dei messaggi che arrivano proprio dal telefono del signor Harrigan.

Questo è insipido. Come mangiare dell'insalata scondita: saziare ti sazia, ma che noia. Avrei voluto più tenerezza nella relazione tra i due - che pur c'è ma solo accennata - nella prima parte e ben più angoscia nella seconda. L'ho trovato ammosciato, insignificante. Poteva essere un coming of age interessante, un racconto di crescita e di distaccamento dal passato. Invece sono usciti i titoli di coda e io e il Moderatore siamo rimasti davvero sconcertati che potesse davvero finire così. Sembra nemmeno concluso. 
Quando King scrive qualcosa di poco adattabile lo sapete già che c'è Flanagan da chiamare, perché perdere tempo così?


si trova al canale di Midnight Factory


Ecco questo invece mi ha un po' fatta arrabbiare. 
Taylor e le sue amiche decidono, contro il volere della cugina Emma, di andare a fare uno scherzo alla nuova vicina che nemmeno conoscono, Julie, e la faccenda finisce molto male.

Lo so che la trama è scritta male, ma la colpa è del film. 
A me piacciono i film in cui capisci che tutto sta andando in merda, è pericolosissimo e fa tutto paura ma ancora non si capisce perché. Mi diverte, crea un'ottima atmosfera, gioca con l'immaginazione dello spettatore. Però ad un certo punto bisogna tirare le fila di quello che sta effettivamente succedendo in scena, perché va bene l'immaginazione dello spettatore, ma il film mica te lo devo scrivere io. 
Mi starebbe pure bene l'eccesso opposto: non dire nulla di nulla, lascia che tutto sia terrificante e spaventoso e finisca male senza che noi si sappia nulla del perché.
È questa ridicola via di mezzo che non ho tollerato. C'è una bambolina che compare e scompare in giro per casa. C'è un papà che ha commesso una cosa tremenda. C'è una signora indisposta per via della suddetta cosa tremenda. C'è Julie. C'è il gruppo di amiche. Tutto ammassato, tenuto insieme con lo sputo e la speranza e coperto di urla isteriche che ci ricordano che le cose stanno andando male.
Sono io che l'ho frainteso, sto film?
O è lui che è scemo?




QUESTO È BELLO!
Shawn è un influencer caduto in rovina: ha fatto una cappellata e il suo video di scuse non è servito a recuperare l'affetto dei suoi follower. Il suo successo era nato con una rubrica in cui affrontava le sue paure facendo cose matte tipo lanciare i sassi alle guardie (cosa che comunque non disapproviamo) e quindi ha deciso di tornare a far parlare di sè affrontando la sua paura più grande: i fantasmi. 
Armato di attrezzatura che costerà come la mia casa ma che comunque i grandi nomi dei social statunitensi si possono permettere, parte per passare da solo una notte in una casa infestata. Il tutto, ovviamente, in live streaming.

Lo ammetto, dopo una settimana come quella che avete letto fin qui, sono partita prevenuta. Ero pronta alla stronzata. E forse lo è. Ma è la stronzata più bella e divertente che ho visto nell'ultimo periodo. Il protagonista è un povero imbecille e il film non fa nulla per mascherarlo, si lancia in questa cosa da solo prendendo nessuna precauzione per la propria sicurezza e lanciandosi nel vuoto (una volta anche letteralmente e ho quasi rischiato di soffocare dalle risate). La prima metà del film è un insieme disordinato e caotico delle sue urla isteriche, perché non ha mentito e se la fa davvero sotto dalla paura.
È però anche vero che la paura è contagiosa, e mentre Shawn scappa a chiudersi negli armadi intanto cominciamo a farcela sotto un po' anche noi. Quando poi le presenze appaiono, perché appaiono eccome, il film diventa un omaggio ai grandi, quelli che il cinema lo facevano proprio sporchissimo e disgustoso. La casa è ripugnante perché abbandonata da decenni e quindi lurida, elemento che in pochi prima di lui hanno sfruttato, e le presenze disgustose. Ci sono dita nel naso, acque torbide, pipì in bocca. E non si smette mai, mai di ridere, anche quando è inquietante. Fa un uso molto intelligente del mezzo social, perché essendo un live stream abbiamo modo di assistere anche alla chat degli utenti connessi - che il film sfrutta benissimo - e questo contribuisce a dare al film e allo spettatore un elemento in più con cui giocare. 
Si prende gioco bonariamente ma in modo affilato del fenomeno degli influencer, della visibilità online, del rischio che si corre quando si è disposti a tutto. Ha un ritmo che non molla mai, è frizzante, spiritoso, ripugnante. Ne ho adorato ogni istante, mi sono spanciata dalle risate. 
So già che lo riguarderò spesso.


lunedì 10 ottobre 2022

The Midnight Club

16:51
 Qualche giorno fa ho chiesto su Instagram se fosse meglio parlare della nuova serie di Mike Flanagan, arrivata il 7 ottobre su Netflix, per iscritto, qui sul blog, oppure in live il prossimo mercoledì, il 12 ottobre. Ha vinto la terza opzione, quella di discuterne in entrambe le sedi, quindi eccoci qui. Se vi interessasse partecipare anche alla live il link è qui di fianco, nel banner. 
Ho deciso che qui faremo una chiacchierata più emotiva, sulle sensazioni a caldo che la serie mi ha lasciato, mentre in live cercherò di arrivare più preparata per una chiacchierata più strutturata. Un altra differenza sarà nella presenza di spoiler: questo post non ne avrà, la live sì.

Questa distinzione fa sì che io in questa sede mi permetta di iniziare la chiacchierata con una piccola parte di fatti miei, che per forza di cose influenzano quelle sensazioni a caldo di cui sopra. 
Il cancro fa parte della mia vita da quasi due anni. È entrato nella mia famiglia con calma, quasi come se lo stessimo aspettando. È uno di quei tumori causati dalla vita, dagli errori di chi oggi se lo porta appresso, ed è quasi come se l'avessimo visto arrivare. Adesso è qua e pare non abbia intenzione di terminare il suo soggiorno a breve, il che per forza mi ha reso una spettatrice di The Midnight Club particolarmente provata. 
È stata una visione impegnativa, ma del resto Flanagan semplice non lo è mai.




La serie, tratta da un romanzo omonimo di Christopher Pike, racconta di un gruppo di ragazzi colpiti da diverse malattie, tutte allo stadio terminale. Per avere un fine vita il più confortevole possibile vivono in un hospice, dedicato agli adolescenti e gestito dalla dottoressa Stanton. Ogni notte, a mezzanotte, si svegliano e si radunano in una sala, con il vino - o la camomilla - e un camino acceso a scaldarli, per raccontarsi delle storie. Lo chiamano il Midnight Club.

Everybody likes a great story.


Già da quel poco scritto su, avrete riconosciuto il primo grande tema del Nostro: la morte. È dai tempi di Absentia che vediamo Flanagan parlare in modi diversi dell'assenza di chi amiamo. La morte è stata un elemento fondamentale di quello che ha fatto finora, ma in questo caso fa un cambiamento radicale: sposta il focus. Se finora abbiamo l'abbiamo visto parlare del fine vita dal punto di vista di chi sopravvive, adesso rivolta completamente la faccenda, per dare tutta l'attenzione a chi sta morendo. 
È molto più facile - da spettatori - confrontarsi con questa visione della morte, perché è quella che conosciamo. In un modo o nell'altro abbiamo incontrato questo aspetto dell'esistenza. Molti meno di noi, invece, sono stati messi di fronte al fatto che la propria vita stesse finendo. Se finora il suo parlare di morte ci ha aiutato a convivere con i nostri lutti, quelli della vita reale, questa volta ci ha messo di fronte a qualcosa che la maggior parte di noi, quella fortunata, non conosce se non per vie traverse.
Lo ha fatto spostando la morte un po' più in là, ma dichiarandola subito. Apre la serie dicendoci nei primi minuti che la protagonista non sopravviverà, e come lei nessuna delle persone che la circonderanno nel corso degli episodi. 
Sebbene la morte sia l'unico elemento comune di tutte le esistenze, tendiamo a mettere da parte il pensiero che ci sia perché possiamo permettercelo. È costante, ma distante. Ai protagonisti di Midnight Club questa distanza non è concessa, e immediatamente il pensiero che potrebbe avvenire da un momento all'altro cambia l'aria che si respira nella serie. L'atmosfera è cupa e pesante perché si respira la morte. È una cappa che sta sospesa sulle loro vite. È per via della morte che stanno tutti lì, è per via della morte che questa famiglia stupenda e scassata e affettuosa è nata. 
Quando la morte è un po' più vicina il pensiero non si cancella mai. Sta lì, come un avvoltoio che ti osserva da lontano mentre prosegui nella tua quotidianità. E loro, dell'avvoltoio che li guarda, non ne parlano quasi mai.
I ragazzi stanno insieme tutto il tempo che hanno a disposizione, perché ne hanno poco e se lo divorano tutto. Si presentano con i nomi delle loro malattie "Ciao, cancro alla tiroide.", "Ciao, leucemia." ma poi riprendono a parlare delle cose degli adolescenti normali: le ragazze, le relazioni, la playstation. Ma un momento di tregua, Flanagan, di reale alleggerimento, questa volta non ce lo concede mai. Se abbiamo avuto momenti, nelle serie precedenti, di distaccamento dal dolore, in questo caso non c'è pietà.
Nell'hospice ci sono tutto il giorno. Se escono per fare esperienze da giovani sani, queste saranno sporcate dal rapporto della società con la malattia. Se cercano relazioni, saranno influenzate dalla malattia. Se trovano una comunità che somiglia loro, non se la potranno godere, per via della malattia. Ci sono momenti di sollievo, di sorrisi (risate mai), di miglioramento, ma tutti sono insozzati dalle diagnosi. 
Nella mia esperienza, è davvero così. Stai bene, pensi ad altro, crei buoni ricordi. Alla sera, però, quando fai un bilancio di come sta andando, niente va mai bene davvero.
Non che io possa davvero identificarmi, perché qui Flanagan fa qualcosa di fondamentale: non solo sposta il focus ma elimina del tutto chi circonda i malati. Non è di loro che gli importa parlare. Questi giovani hanno delle famiglie, alcune molto belle e altre molto problematiche, ma non si parla quasi mai di loro in relazione alla malattia, o al fatto che i propri ragazzi stanno morendo. C'è una scena molto significativa in questo senso, quella della famiglia di Kevin per intederci con chi abbia visto la serie, che resta su questo tema, ma è quasi l'unica. Anche in quella, però, non è di Kevin come individuo che si parla, ma solo della sua eredità sul fratellino minore (perché sapete che MF ha pure una fissa per i fratelli). Lui non conta. Il padre affidatario di Ilonka non vuole affrontare il tema, per lui è troppo. I genitori di Cheri non si ricordano manco di avere una figlia. La madre di Spencer ha un problema con l'omosessualità del figlio, ma del fatto che lui stia morendo non ne parla. Anya è sola. 

I ragazzi, quindi, sono mollati a se stessi. Il supporto della dottoressa Stanton non è quello di cui hanno bisogno. Poiché stanno per mancare, è di raccontarsi che hanno bisogno, e lo fanno con le loro storie. Chiusi in una stanza, lontano dalla Vita Vera, quella che scorre di giorno senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, hanno bisogno di esplorarsi, perché sono proprio in quell'età in cui stanno diventando persone complete e indipendenti, e poiché non è previsto per loro un futuro pieno di tempo in cui conoscersi, lo fanno di notte. Danno nomi inventati a personaggi di cui hanno bisogno per darsi un volto e guardarsi da fuori, per descriversi agli altri cercando di mantenere la giusta distanza per "vedersi" meglio. In un momento in cui il loro corpo li sta tradendo, la loro mente ha ancora bisogno di costruire, elaborare. Alcuni di loro hanno un passato difficile con cui devono fare i conti, e lo lasciano sulle spalle dei loro personaggi, perché il loro carico sia meno pesante. Altri hanno bisogno di perdonarsi. Altri ancora non sono in grado di guardarsi con lucidità, e sono attanagliati dai sensi di colpa. 
Sono ragazzini pieni di vita interiore, pieni di cose da dirsi, con le gole riempiti delle parole che non avranno tempo di dire. E quindi giocano, esplorano, si spaventano e si consolano. Usano le storie come la più suprema delle cure palliative, anche se finisce sempre che piangono tutti quanti. Ogni tanto si fischiano se la storia non funziona.
Quello che sta accadendo loro è troppo, e quindi lo si affida a qualcun altro, ad un alter ego di finzione, che il cancro non ce l'ha per davvero. Aprono se stessi ai loro amici come spesso gli adulti non sono in grado di fare, concedono al piccolo pubblico i propri pensieri più intimi, mascherati da favola della buonanotte. Si fanno paura, si coccolano, si intrattengono.
Sperano.

Gli otto protagonisti sono in stadi differenti dell'accettazione della malattia. Sono persone diverse che, in quanto tali, affrontano quello che gli sta accadendo in modo diverso, eppure non si giudicano mai. Ilonka non ci può convivere, con questo pensiero, Anya nasconde un dolore grande quanto il mondo intero dietro ad un muro di ostilità e diti medi. Spencer ha un carico così impegnativo sulle spalle, che non deriva solo dalla malattia ma da tutta la sua storia, che il fatto di essere malato è quasi secondario. Cheri è sola, sola, sola. Circondata di oggetti, ma con così tanto gelo intorno da doversi costruire delle storie anche di giorno, per sopravvivere alla straziante solitudine di una ragazzina che sta male e non ha nessuno con cui piangere per la propria condizione. Kevin è l'adulto del gruppo: è sereno, convive pacificamente con quello che gli succede, sorride a tutti con un candore commovente e tutta la sua tranquillità cerca di donarla a chi lo circonda, perché è uno splendore di essere umano. Natsuki, invece, è clinicamente depressa, eppure è quella che parla dall'interfono alle amiche in isolamento, per non farle sentire sole. Sandra ha il suo Dio, la sua fede, ad aiutarla a gestire questo cammino.
Sono diversi, sono capitati insieme per caso o per destino se ci credete, eppure nessuno guarda agli altri con sdegno, invidia, giudizio, malizia. Sono così aperti a comprendersi, ad abbracciare l'uno il modo dell'altro di sopravvivere, giorno per giorno, all'esatto opposto di sopravvivenza. Quando ci sono screzi, perché sono pur sempre 8 adolescenti chiusi a vivere insieme nella stessa casa, sono presto risolti. Si vogliono troppo bene perché qualcosa li allontani davvero.
Quando qualcuno inizia a mancare, e non è spoiler perché è pur sempre un hospice, non si lasciano andare a gesti estremi nel manifestare il proprio dolore - cosa che comunque non avrebbero giudicato - ma cercano l'uno nell'altro il supporto necessario per continuare a vivere, un altro po'.

Flanagan ha così a cuore questi ragazzi e le loro tristi storie, che ce le racconta con la stessa cura che hanno loro nel raccontare se stessi. Non c'è niente di sorprendente, in questo: che fosse un narratore di sorprendente eleganza lo sapevamo già. Che fosse in grado di toccare l'anima di chi assiste alle sue opere lo avevamo già sperimentato. In questo caso abbatte ogni muro. Non solo non c'è niente di male a piangere, ma bisogna farlo. Bisogna soffrire e buttarle fuori, quelle cose brutte che abitano nella mente e nel cuore quando stiamo male, perché non c'è niente di valoroso nel soffrire in silenzio. Chi ha il cancro (come anche tutte le altre malattie di cui la serie parla) non è un guerriero. Non serve, come lo fa chiamare dalla Stanton, il linguaggio da guerra. Non c'è valore nel tenersi dentro la sofferenza, non c'è debolezza nel dire, a chi lo si desidera, che si sta male. 
La vita non può e non deve essere una battaglia, e non deve esserlo nemmeno la morte.

Ogni volta di più Flanagan mi insegna come devo fare, per deporre le armi. Ho parlato a lungo della malattia di mio papà con una persona della mia vita che a sua volta l'ha conosciuta da vicino, e che si è sempre spesa in parole splendide nei miei confronti, complimentandosi per la mia forza. 
Mike, però, lo sa bene che non sono forte per niente. Che Anya è più forte quando si lascia andare, Ilonka quando accetta, Kevin quando lascia andare il senso di colpa, Cherie quando esce dalla stanza.
Io, che da tanti anni tengo il fucile sempre sottobraccio, ci devo lavorare ancora un po'.

martedì 4 ottobre 2022

Nuovi Incubi: Twilight + Warm Bodies

11:20

 



Ormai l'ho detto in tutte le salse ma lo ribadisco anche quest'anno: Halloween è la sola festa che conta. Quella in cui tutto il resto del mondo, per una volta, è accogliente verso la community dell'horror, in cui per una volta tutto è dedicato a noi. Le piattaforme ci regalano le sezioni e gli speciali, ci sono i teschietti dappertutto e finalmente non dobbiamo vagare nei meandri dell'internet per trovare una maglietta che ci piaccia. Halloween è il nostro Natale.

Oggi, però, Halloween è il nostro San Valentino. 
Io e Lucia abbiamo in mente un mese di ottobre pieno di episodi speciali, e dovevamo aprirlo con un episodio che parla sì di teen girl, che è pur sempre il tema della stagione in corso di Nuovi Incubi, ma con un pizzico di romanticismo. 

E poi sì, l'episodio su Twilight ce lo meritavamo tutti quant3. 

Lo potete ascoltare qui.

giovedì 29 settembre 2022

Le (poche) cose preferite di settembre

12:40
A me questa cosa che l'estate è finita non piace manco per niente, io stavo bene con i miei 40 gradi da bravo rettile quale sono e adesso già mi sento mancare dal freddo.
Mi consolerò con immagini romantiche sull'autunno che non corrispondono alla realtà dell'autunno padano e nel frattempo tengo impegnati anche voi con il consueto post sulle cose viste e successe nel mese di settembre.



PODCAST

Anche questo mese la situazione podcast è stata magra. Ho cambiato luogo di lavoro, ed essendomi avvicinata a casa ho meno tempo alla guida da dedicare alla scoperta di cose nuove. Unica novità del mese, suggeritami da amici, è stata Black Minds, un podcast sui più famosi autori di gialli e noir del panorama internazionale, che ho iniziato ad ascoltare perché ha un episodio dedicato a Fred Vargas, la mia giallista del cuore.
Se poi Fred quando vuoi hai una storia nuova raccontarci fai pure, noi stiamo qua in grazia ad aspettarti. 

LIBRI

Settembre è stato un buon mese almeno da questo punto di vista: ho letto Lizzie, di Shirley Jackson, l'allontanamento dal gotico dell'autrice che ha deciso che era giusto invece parlare di una donna spezzata e così spezzare anche noi che tanto siamo tutte col cuore di pietra; poi mi sono inflitta la sofferenza di Midnight Club per prepararmi a Flanagan e infine ho letto L'enigma della camera 622 di Joel Dicker. 
Quest'ultimo è stato forse quello meno appassionante dei 3, ma avevo bisogno di un giallo senza pretese che mi portasse via un pochino la mente dalle giornate. Ambientato negli ambienti del lusso e delle banche, un pochino prolisso nella parte centrale se vogliamo e con una conclusione che richiede un notevole sforzo di immaginazione, il romanzo di Dicker alla fine mi è piaciuto nonostante questi difetti, perché la sua è la classica scrittura senza troppi fronzoli che porta a casa la faccenda e in breve tempo mi ha portata alla fine della sua mole importante.
Naturalmente la cosa migliore che ho letto è stata Jackson ma perché purtroppo quando c'è lei la gara con gli altri è impari, e Lizzie è una storia così commovente e frustrante, che la gara in pratica nemmeno esiste. Io non lo so se Jackson con questa storia ci volesse più tristi o più incazzate, nel dubbio con me hanno fatto presa entrambi i sentimenti. È una storia di frustrazione, di appassimento, di annichilimento dell'anima, e delle inevitabili conseguenze disastrose. Elisabeth crede di stare bene nella vita comoda che si è scelta, fino a che una parte di lei decide di liberarla, dimenticandosi che spesso la libertà arriva con un costo. È anche la storia della vita delle donne, costrette a sedare sentimenti e a placare animi impetuosi per rispetto di una società che ci vuole mansuete. E quindi io, alla fine, ero triste e anche arrabbiata. Non con il romanzo e nemmeno con le sue protagoniste. Ero arrabbiata e triste per loro.
Al momento, poi, sto concludendo Problemi, il libro di Jonathan Zenti ispirato al suo omonimo podcast. È esattamente come me lo aspettavo: bellissimo, brillante, approfondito, pungente ma senza mai crogiolarsi nel gusto per la provocazione fine a se stante. Zenti è un ottimo autore, ma questo lo sapevamo già dal suo lavoro nel mondo dell'audio, ed è la persona che vorrei mi insegnasse a stare al mondo.

FILM

A breve arriverà (se non è già arrivato mentre leggete) un reel su instagram che riassume le visioni del mese, in questa sede mi sento di lamentarmi perché ho visto molte meno cose di quelle che avrei voluto. A mia discolpa in casa Redrumia si è appena ricominciato un rewatch del Signore degli Anelli, come al solito in versione estesa, e abitualmente in quel tempo di film normali ce ne vedo 7. 
Però ho comprato casa con una persona che circa una volta l'anno mi fa tornare nella Terra di Mezzo, e capirete bene che per uscirne poi è lunga. Molto lunga. Lunghissima.

SERIE TV

Continua in casa Redrumia il rewatch di Modern Family, siamo alla sesta stagione, li amo tutti quanti come se fossero la famiglia mia e quando lo finiremo mi mancheranno molto. Il senso di gigantesca e profonda appartenenza che ci regalano serie come questa non finirà mai di stupirmi. Qualcuno l'ha studiato, questo fenomeno? Perché io ogni tanto mi chiedo come sta Jake Peralta, mi chiedo se Angela ha nuovi gatti, se Chandler ha rinnovato l'abbonamento alla sua rivista. E torno a trovarli spesso, riguardando mille volte le stesse serie togliendo tempo a quelle nuove, perché finiscono per creare questa forma di attaccamento che a me per esempio impedisce di giudicare la serie come un prodotto di finzione. L'ultima di The Office non è piaciuta? Ah, non a me. Io l'ho amata, perché sono tornata a trovare i miei amici. Parlando di dinamiche relazionali così intime finisce per vincolarmi con quel senso di familiarità che a me colpisce in un modo fatale. Amici sul lavoro? Famiglia per scelta? La mia emotività ci fa a nozze, con cose così.
Sapete con cos'altro sta da dio la mia emotività? L'amarcord dell'adolescenza. Come tutti, immagino. Io sono stata adolescente nei primi anni 2000, quindi adesso che è arrivato One Tree Hill su Prime, io sto inchiodata sul divano ad ogni pasto che faccio da sola. Sarà nei post dei preferiti dei prossimi mesi.

IRL

Perché così poche cose, Mari, in questo post dei preferiti? A settembre ho avuto un po' la testa impegnata, c'è stata una cosina che mi ha preso un po' di tempo, testa e cuore.

io e il mio vestito da fantasmina vittoriana


Dopo undici anni passati insieme, io e Erre abbiamo deciso di fare le cose ufficiali e diventare marito e moglie. Ed è stata una giornata bellissima, con i nostri amici tutti vestiti a modino, la musica dal vivo, i parenti che per un giorno non sono le persone che conosci ma la loro versione più piacevole, Augustone con il papillon di velluto e tanta voglia di festeggiare questa cosa qua che ogni giorno costruiamo insieme e che profuma di futuro. E delle lasagne gigantesche.
Abbiamo posticipato all'anno prossimo il viaggio di nozze, per quest'anno, però, ci siamo concessi qualche giorno in montagna per staccare un po' dalla frenesia pre matrimoniale. Siamo stati in Valsesia, in Piemonte, dove per la prima volta ho visto il Monte Rosa. Per vederlo più da vicino possibile in poco tempo (Augusto ha un'età ormai, e dovevamo tornare presto in hotel da lui) ho dovuto affrontare la mia acrofobia e prendere la cabinovia, mezzo di trasporto ideato da Satana in persona e tanta e tale è la mia paura di questo strumento infernale che ho pensato di metterlo tra le cose importanti del mese, perché se solo ci ripenso sento il cuore calarmi nello stomaco.
Però è anche la prova che quelle nozze qua s'erano proprio da fare, perché in mille modi diversi il Moderatore mi spinge sempre fuori dalla mia comfort zone. 
A volte la prendo male, come quando insisteva perché io mangiassi il pesce, a volte sono stata più fortunata, come quando mi ha spinto ad aprire un blog di cinema.

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