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mercoledì 14 settembre 2016

Non solo horror: I Tenenbaum

16:58
Una gentile signorina mi informa su Snapchat dell'esistenza di questo angolo virtuale di paradiso: un Wes Anderson shop.
Ora, io di Wes da queste parti ho sempre parlato poco, vi basti sapere che guardo a lui con lo stesso sguardo sognante che riservo alle persone a cui vorrei rubare il cervello. Sì, vorrei il cervello di Wes Anderson.

I Tenenbaum è il suo terzo film. Parla di una famiglia, il cui nome è facilmente intuibile, perfettamente nella norma. Segreti, cose non dette, problemi, comunicazione assente, rifiuto, distanza. E poi parla di droga, di lutti, di talenti sprecati, di rimpianti. Ed è bellissimo.
Eppure non lo guarderò mai più.


Si avvisa la gentile utenza che siamo di nuovo a rischio post super personale e lagnoso e forse prolisso.

I Tenenbaum ha preso certe corte, toccato certi punti estremamente sensibili della mia vita, di quelli che non faccio toccare mai a nessuno e quelle poche volte che ne parlo rimango scossa per giorni. Parla di quando non si parla, di quando si danno per scontate le cose, di quando il passato è un'ingombrante presenza che macchia il presente con un alone indelebile. Parla di quando si rinuncia alla presenza di qualcuno e si va avanti come se questo qualcuno non fosse mai esistito.
Parla di quando ci si prova, a cambiare, a farsi perdonare, a lasciarsi alle spalle il passato per crearsi nuovi momenti, nuovi ricordi, nuovi abbracci. Perché secondo Wes, a quanto pare, non è mai tardi. Non lo so se sono tanto d'accordo con lui, perchè la famiglia è un universo vigliacco, di quelli che quando fanno male (e lo fanno spesso, e tanto) lo fanno per sempre, di quelli i cui traumi restano lì, in un angolino della mente, a torturare per tutta la vita. Ma quanto è difficile iniziare a parlare quando non lo si è mai fatto? Come si comincia dopo 30 anni ad avere un rapporto vero, di quelli in cui si dà all'altro accesso totale alla propria vita e non solo al 'Com'è andata oggi?' 'Tutto bene grazie'? 


Royal Tenenbaum mi ha spezzato il cuore. Il modo pacato in cui si è alzato da letto per preparare i bagagli dopo essere stato invitato ad andarsene da suo figlio mi ha preso l'anima e me l'ha accartocciata, perché guardo i figli Tenenbaum e dico a me stessa che vorrei essere come Richie, così ingenuamente buono e capace di perdono genuino, e invece sono una banalissima Chas, rancorosa e arrabbiata, piena di cicatrici, con nessuna capacità di farle guarire e pronta ad esplodere. 
Almeno fossi affascinante come Margot, invece niente.
L'ho guardato, Royal, e ho pensato che se la sua famiglia lo ha trattato in un certo modo un motivo ci deve per forza essere, chissà cosa ha fatto lui. L'ho visto sottolineare ogni volta come Margot non fosse effettivamente figlia sua, e l'ho visto distruggere i suoi sogni, dare loro poca importanza. E che abbraccio avrei dato alla piccola, quanto avrei voluto dirle che sarebbe stata bravissima e che doveva continuare a scrivere, perché scrivere è bello e dà gioia. E se anche fosse diventata una drammaturga mediocre chissenefrega. 
Poi però ho rivisto lui, rimasto fuori dall'ospedale, a cui è stata negata una visita al figlio in ospedale, l'ho visto solo al cimitero, l'ho visto finito. E ho pensato che l'amore non può essere questo, non può essere un uomo rimasto solo al mondo. 
Perché senza di me sei solo tu, ma senza di te sono sola anche io.
E questo mi ha fatto pensare ad una canzone di Ed Sheeran, si chiama Runaway e dice grossomodo così: I love him from my skin to my bones, but I don't wanna live in this home, there's nothing to say cause he knows, I'll just run away and be on my own.
Anche quella la ascolto poco.
Non credo che questo film mi trasformerà improvvisamente in quel bell'uomo di Luke Evans e nel suo Richie Tenenbaum. È più facile indossare ancora per un po' i panni di Chas, e sentirmi dire che tanto sono sempre arrabbiata. 


Non fatevi ingannare dalle mie parole, però: I Tenenbaum è bellissimo e delicato, ed è un film di Anderson, per cui è pacato e lento nelle immagini, con i colori famigliari e la carta da parati con le zebre. 
Solo che quando è così, quando tutto è così tranquillo e preciso e meticoloso, l'arrivo delle emozioni colpisce un po' più forte, e finisce per fare un male cane.
Ti voglio bene anche per questo Wes.

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