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venerdì 23 luglio 2021

La trilogia di Fear Street

11:57

 Con il neonato progetto Twitch faccio un pochino di fatica a vedere quanti film vorrei, perché sono solo all'inizio, devo organizzarmi e imparare a gestire le cose nuove. Quindi quando è uscito il primo capitolo di Fear Street, su Netflix, me lo stavo per far scappare. Sia sempre lodato Erre, che invece ha voluto vederlo, perché, e lo dico subito così non siete costretti a leggere tutta la pappardella che temo finirà per essere questo post, quella di Fear Street è la saga migliore degli ultimi anni.


Adesso elaboro con calma.



La saga è composta di tre film, ambientati in tre anni differenti: 1994, 1978, 1666. Ripercorre, partendo dal più recente e andando indietro nel tempo, la storia di Sarah Fier, una donna accusata di stregoneria che dopo la sua morte è entrata nella leggenda, diventando parte del folklore della cittadina di Shadyside. A Shadyside le cose da allora non vanno molto bene: i cittadini hanno vite complesse e piene di problemi, e ogni tanto qualcuno impazzisce e commette delle stragi. Dare la colpa all'influenza di Sarah è fin troppo facile. Deena e i suoi amici sono solo gli ultimi ad essere toccati dalla maledizione della strega, e non hanno nessuna intenzione di lasciarla vincere.


Si parte in questo viaggio a Shadyside nel 1994. Laddove gli anni scorsi sono stati per il mondo dell'intrattenimento un viaggio nella malinconia degli anni '80, ultimamente abbiamo scelto di tornare al decennio successivo, e finalmente l'ondata nostalgica tocca anche me, che nel '90 ci sono nata. Il primo film non è solo una bella passeggiata nel viale dei ricordi, però. Il primo film prende Scream e fa, 30 anni dopo, la stessa cosa: riprende in mano le carte di un genere intero e le rimescola, dà loro nuova luce, partendo proprio dal film che queste stesse carte le aveva rivoluzionate nel '96. Non si tratta solo di un omaggio ad un film tanto amato, ma è anche questo. Di Scream c'è tutta la struttura - persino elementi come la telefonata all'attrice più famosa che muore subito dopo o il personaggio esperto che spiega agli altri come vanno le cose - ma soprattutto c'è la voglia di dare nuova sostanza, di rinvigorire qualcosa che nel mio cuore so non morirà mai, lo slasher. Il primo film attualizza, pur ambientando 30 anni fa, elementi che sono una costante e li approfondisce, li arricchisce di nuovi spunti e li rende fruibilissimi anche a chi di slasher non ne abbia mai visto uno prima. 

C'è sì l'assassino mascherato che uccide i giovani, ma viene arricchito dall'elemento della maledizione, la sua responsabilità viene "sollevata". Chi sta sotto la maschera perde completamente di importanza, il killer non è più al centro dell'attenzione. Allo stesso modo, la final girl è rivoluzionata: non c'è la candida ragazzina virginale che sopravvive tirando fuori doti che non sapeva di avere, ma c'è una giovane donna fortissima e determinata, che la vita ha preparato da sempre a questo momento. Ha genitori assenti e la responsabilità di un fratello minore, vive in grandi ristrettezze e ha il cuore spezzato. Soffre ma non si piange mai addosso, anzi: è incazzata nera. E il suo essere così indomabile la rende la sola persona in grado di esplorare per davvero la storia di Sarah Fier. L'ho già detto nella IgTv dedicata ai film ma lo ripeto qui: che gran nome questa strega.


Esplorare la storia significa dover andare indietro nel tempo, e infatti il secondo film ci accompagna nel '78, anno in cui si è tenuta un'altra delle tristemente note stragi di Shadyside. Questa volta siamo in Venerdì 13. Siamo nel campo estivo, con animatori adolescenti irresponsabili e un killer che li spaventa. Di nuovo, ci sono tutti gli elementi che conosciamo e amiamo, ma con un twist in più. Questa volta abbiamo un approfondimento dei personaggi notevole, che potevamo scordarci quando il centro della storia erano Jason e il suo fascino. Qui abbiamo relazioni che vengono raccontate, abbiamo personaggi che si prendono il tempo di parlare e confrontarsi, abbiamo il loro passato che incombe su di loro e li rende quello che sono, abbiamo la maledizione della cittadina che ha su ognuno di loro un'influenza diversa. Anche qui il killer è irrilevante, se non nella persona della strega. Chi compia effettivamente i delitti conta poco, se non nell'aspetto della relazione con gli altri personaggi. (Difficile dire qualcosa senza fare spoiler!) 

Anche questa volta vengono scardinati i pilastri della terra scrivendo una final girl tostissima, irrispettosa, dispettosa, vivace, ribelle. Vittima di bullismo furioso ma che non vi soccombe mai, realista, ben piazzata con i piedi al suolo e sempre attenta a quello che la circonda, la meravigliosa Ziggy è un personaggio indimenticabile. La vita l'ha messa alla prova continuamente, ma lei è sempre stata attenta al prossimo (Nurse Lane su tutti, per chi ha visto i film), di cuore genuino ma non ingenuo. Un personaggio che spezza i cuori. 

Ziggy sarà quella che aiuterà Deena a fare un passo in più verso Sarah, in questo percorso tutto al femminile in cui ognuna delle protagoniste è di grande potenza.


Sarah la conosciamo effettivamente solo nel terzo capitolo. Prima è una leggenda, l'uomo nero delle storie dei bambini di Shadyside. Il terzo film fa l'inevitabile: le rende giustizia. Ci allontaniamo dallo slasher per diventare un film storico, in cui i volti delle nostre protagoniste diventano quelli dei personaggi delle leggende che stanno ricostruendo (gran scelta). 

Non farò in alcun modo spoiler sul terzo film perché sarebbero spoiler sulla saga intera, ma la riabilitazione del personaggio di Sarah è non solo perfettamente coerente con tutto quello che è successo prima, ma in modo autonomo anche una grande storia, dolorosa, reale e molto forte.


La degna conclusione di una saga splendida, che chiude tutto quello che era stato aperto in modo esemplare. L'ultimo film è un tassello fondamentale, che mette tutto in una luce nuova. Le storie delle tre donne protagoniste sono forti e di grande impatto, ma non dimenticano mai di essere inserite in teen horror, che le rende quindi anche di grande intrattenimento. L'elemento gore c'è e fa sempre piacere, ci sono gli omicidi creativi, c'è la (presa in giro della) demonizzazione del sesso, c'è l'amicizia, l'amore, l'assenza degli adulti e ovviamente una fortissima componente queer, che non è un elemento narrativo (non ci sono coming out, non se ne dibatte mai se non con un personaggio marginale) se non nell'ultima parte della saga, che diventa un horror ma anche un dramma lesbico in costume. 


Non è facile salutare i personaggi di Fear Street, a cui si vuole così bene. Il teen horror, da qui, ha una faccia nuova e non vedo l'ora di vedere tutti i modi in cui la saga di Leigh Janiak influenzerà quello che deve ancora venire. Sarà un viaggio divertentissimo e sanguinolento.


venerdì 26 marzo 2021

Horrornomicon: The Shape Lives

12:43

 Parlando di Wandavision avevo raccontato di come le relazioni di lungo corso finiscono per far mescolare i gusti e le passioni. Ecco, se io mi sono guardata ore ed ore di onde energetiche lanciate dalle mani di persone con i mantelli, Erre ha dovuto tollerare un numero di film dell'orrore ben superiore a quello che avrebbe voluto. 

Sono serviti esperimenti, tentativi, errori, ma finalmente ho trovato qualcosa che gli piacesse davvero. 

La saga di Halloween lo ha conquistato. Sono una donna più felice per questo? Sì. La mia missione è solo all'inizio, ma presto sarà uno di noi, uno che smetterà di chiedermi che film ha fatto Brian De Palma oltre a Carrie. E pure per fargli ricordare quello ci ho messo un po'.




Questo post conterrà spoiler su tutti i film della saga. Tutti, anche La resurrezione. Anche quelli di Rob Zombie. 


Non scriverò la trama di nessuno dei film credo, ma soprattutto non scriverò quella del primo. Se siete su questo blog lo avete certamente già visto, ma se siete qua per caso e ancora non avete avuto l'immenso piacere, non rovinerò in nessun modo la vostra esperienza.

Perché guardare Halloween, quello del '78 diretto dal Sempre Sia Lodato John Carpenter, continua ad essere un'esperienza unica nel suo genere e dio non voglia che ve la rovini io solo perché voglio scriverci su un post. Se anche conoscete Michael Myers di fama e di aspetto, guardarlo tornare ad Haddonfield per la prima volta è proprio tutta un'altra cosa.


Lo dico prima ancora di cominciare a parlarne, per dimostrare subito la persona seria che sono: con l'ovvia eccezione di quelli girati da Rob Zombie, a me i film della saga dell'ombra della strega piacciono tutti. Ho detto tutti quanti. Mi piace quando a Michael tagliano la testa e poi non era lui, quando fanno diventare Laurie sua sorella, quando diventa un reality show, quando assoldano Ant-Man (smettila, internet, di idolatrare Keanu Reeves, il vero immortale è Paul Rudd), quando ci mettono di mezzo le sette e persino quando si dimenticano di metterci Michael e fanno un film diverso. Il mio è amore appassionato. La mia è devozione. Non posso resistere a quella maschera vuota e spenta, mi emoziona. E il motivo per cui non posso resistergli è che a me, signori, Michael Myers fa una paura maledetta. 

Mi piacciono gli slasher proprio perché genericamente hanno un fattore spavento relativamente basso e posso propinarli ad Erre ogni volta che voglio senza doverlo prima preparare a quello che lo aspetta. Michael no. Il Boogeyman per eccellenza mi ha regalato ancora adesso un paio di notti di tensione. Il suo incedere lento, la sua ineluttabilità, il suo silenzio, sono gli elementi che lo rendono il più affascinante di tutti, ma anche il più spaventoso. 


Ma dicevamo, Halloween del 1978. Un film girato da un uomo giovanissimo, in manco un mese, con 5 euro nel portafoglio e una sceneggiatura buttata giù di corsa in poche settimane. Risultato? 40 anni dopo ancora fa scuola, e soprattutto fa soldi.

Se si riconoscono tutti i meriti di chi è venuto prima di lui e gli ha spianato la strada, è anche giusto dire che Carpenter, col suo film, ha creato un genere. Ha scritto le regole che vent'anni dopo Craven avrebbe selvaggiamente preso per i fondelli con quello Scream che giustamente tutti amiamo di un amore romantico, ha aperto la strada ad un'epoca del cinema dell'orrore che ancora oggi diverte come se non fosse passato un giorno. E lo fa con un film che è la dimostrazione di come anche l'orrore a basso costo possa essere allo stesso livello del cinema d'autore. Perché quello che rende il primo film così straordinariamente superiore a tutti quelli arrivati dopo, che vi ricordo io adoro lo stesso, è il suo autore. Che Carpenter sia la storia di un genere non lo devo certo spiegare io a nessuno, è uno di quei nomi a fronte dei quali ci si leva il cappello.

Mi piace pensare che sia questo il film che più di tutti lo eleva al rango di Maestro, perché forse con Il seme della follia sarebbe troppo facile. Quella è roba complessa, lovecraftiana, di quelle che alla fine ti fanno cercare su google la spiegazione del finale. Halloween aveva tutte le carte in regola per essere un film semplice: ha una trama che più minimal di così non si può. Un uomo scappa da un manicomio e uccide delle adolescenti. E invece lui ne tira fuori un opera immensa.

Quello che fa il film è rendere questa cosa così apparentemente lineare molto più interessante di così, e lo fa regalandoci il villain più iconico di tutti, con buona pace di Jason e gli altri. Scusatemi, sono sempre di parte. Michael ha sembianze umane, e pare che il suo DNA lo renda proprio uno di noi. Eppure, quella dell'uomo è solo una forma, la Shape, appunto, perché quello che c'è dentro non ha nulla di umano. Come il povero dottor Loomis cerca di spiegare in ogni benedetto film per tutta la durata della saga, Michael Myers è il Male. Non ha scopi, non ha motivazioni, non ha emozioni (poi magari ne riparliamo), non ha nulla. Dietro la maschera c'è solo il vuoto, e un vuoto che uccide. Così d'impatto è la sua presenza che non serve altro. Non pronuncia mai un solo verso, non ha un volto, non ha nemmeno un solo attore che lo interpreti per tutto il tempo, tanto questo è insignificante: Micheal Myers è il Male, e tanto ci basti sapere. Non hanno alcun interesse Carpenter e Debra Hill, a spiegarci cosa e perché, perché non ne esistono. L'anti spiegone per eccellenza, paradossalmente in un film in cui si parla molto. Loomis è molto, molto verbale su quello che Michael rappresenta e su come sia il peggior pericolo che la cittadina di Haddonfield abbia mai incontrato. Loomis spiega, parla, agita, ma è tutto quello che può fare. Oltre ad un ormai iconico monologo che rappresenta l'essenza vera del film. Accanto a lui, la final girl per eccellenza, una Jaime Lee Curtis così appassionata del ruolo che ancora oggi ne parla piena di orgoglio. La sua Laurie è, insieme alla Sidney del sopracitato Scream, la mia preferita.

Halloween è un film pacato ed elegante, che non mostra più sangue di quanto sia necessario e che non sbrodola mai in nulla che non contribuisca a renderlo uno dei più grandi di sempre. 


Potrei parlare solo di lui, del suo sconvolgente inizio e del suo bellissimo finale e di tutto quello che ci sta in mezzo, ma poiché i film sono tanti, meglio passare al suo primo sequel, Halloween II - Il signore della morte. 

Rientra tra quei sequel che a me piacciono molto, ovvero quelli che riprendono le file della storia esattamente da dove le avevamo lasciate, ed è infatti ambientato la stessa notte. Laurie è in ospedale, e ha da qui inizio la faccenda che la vede sorella di Michael. Ne avremmo fatto a meno? Possibile. Eppure alla fine io a questa storia mi ci sono affezionata e mi diverte sempre sentire che lo chiama "mio fratello". Faccio così anche io quando il mio, di fratello, mi fa incavolare, lo privo del nome proprio e lo chiamo "mio fratello", esattamente con il tono sprezzante che Laurie riserva a Michael in 20 anni dopo. 

Il due è una bella e concitata caccia alla Laurie, per quanto ci tenga a ricordare che concitata si intende per gli standard Myersiani. Michael è una personcina composta, non corre, non salta se può evitarlo, al massimo si prende delle gran mazzate. 

Ultima volta che vediamo il duo Carpenter - Hill all'opera, il secondo capitolo della saga è per me godibilissimo, che soffre del confronto impietoso col suo predecessore ma che tutto sommato si difende dignitosamente. Non fa niente se non piace manco a Carpenter stesso, gli voglio bene io per entrambi.


Poi succede una cosa strana. Esce un film che si chiama Halloween III - Il signore della notte. Si chiama così, ha il numero 3, tutto farebbe pensare che sia un sequel comune. E invece no.

Un Halloween senza Michael, un ritorno alla saga senza Laurie, senza Loomis, senza proprio lo slasher. Un caso di scambio in culla? Un errore di battitura? No, lo volevano proprio chiamare così. Ci offendiamo per ben altro, da queste parti, quindi prendiamo questo buffo episodio per quello che è, un film che col tempo è stato molto rivalutato e che rappresenta una di quelle belle critiche al sistema capitalistico che lo stesso Carpenter a sua volta sa fare bene come pochi altri. Il signore della notte non raggiunge certo i picchi di grandi film sociali e politici che il cinema dell'orrore ci ha spesso regalato, ma è piacevole e ha una di quelle canzoncine che alla fine del film ti fanno venir voglia di sbattere la testa contro il muro, sintomo che evidentemente sono efficaci.


Si ritorna alla nostra cittadina preferita con Halloween 4, per il quale ho proprio un debole. 

Dopo la parentesi del terzo film, bisognava inserire un elemento di novità alla saga originaria, per non continuare a riproporre sempre la solita faccenda, e si sceglie di inserire una bambina. Una dolcissima Danielle Harris interpreta la piccola Jaime, figlia della defunta Laurie, e quindi nipote di Michael. 

Io questo film l'ho proprio adorato, ben consapevole dei suoi vari limiti. Il mio cuore, però, si scioglie sempre davanti ai bambini dei film dell'orrore, piccoli nanini inconsapevolini e fragilini. Jaime è proprio da canone di cuore sciolto: orfana, ma di nuovo amata dalla famiglia che l'ha adottata, tenerina e ben interpretata. Il film poi è proprio innamorato di quello del '78. Non c'è solo un uso sempre bello della colonna sonora mitologica (ma quella ci accompagnerà fino alla fine), ma c'è anche il costumino da pagliaccio, e soprattutto c'è il finale. Ah, mi dispiace, detrattori di questo film. 

Quel finale lì è proprio un gran bello. Michael vive, anche nelle bambine di manco dieci anni.




Vive anche letteralmente, perché come abbiamo ormai capito nessun tentativo di farlo fuori, nemmeno quelli più coreografici, funziona mai. Micheal torna di nuovo, e questa volta lo scopriamo perché è Jaime stessa, la nipotina, lo sente e lo vede. Ne percepisce la presenza e ha vere e proprie visioni. Come la madre biologica prima di lei nel suo secondo capitolo, è rinchiusa in un ospedale. Non che Myers si sia mai fermato di fronte ai nosocomi, e infatti quello che abbiamo è l'ennesimo film in cui i giovani vengono selvaggiamente ammazzati dal Nostro. Diverte che il film diventi una sorta di meta-Halloween, in cui il nostro killer diventa per la prima volta anche un effettivo travestimento da halloween, e diverte l'infelice sorte che tocca a questi adolescenti, che sono francamente i peggiori dall'inizio della saga. Si sposta un po' in là l'asticella, perché questa volta quelli che Michael cerca di uccidere non sono più solo adolescenti ma anche una coppia di bambini. In più, è in questo film che viene introdotta la questione della famigerata setta, che incontreremo ufficialmente nel film successivo. Forse è la sola volta in cui un film della saga sembra venir scritto dando per scontato che un sequel ci sarà, perché la questione della setta viene introdotta solo come la schiena di un personaggio ignoto che compare ogni tanto e libera Michael alla fine, dopo che Loomis era riuscito a farlo arrestare.

Non sono così pazza da considerare questo film uno di quelli da storia del genere, ma è riuscito comunque a divertirmi tantissimo, e da una saga slasher non chiedo altro.


Certo, poi arriva Halloween 6, e ammetterò che anche il mio amore folle qui ha vacillato. Arrivare al nipote di Laurie comincia a sembrare un pochino azzardato anche a me. Del resto Michael a questo punto non è più di primissimo pelo, e il film è proprio stanco. Vuole aggiungere nuovi elementi, che però iniziano l'opera di distruzione della base della mitologia della saga (la posso chiamare così?). Insinuare di culti e maledizioni e druidi e tribù priva di senso tutta la narrazione che ci viene fatta di Michael dal primo film. Che è poi l'imperdonabile errore che fa Zombie nei suoi film. Non mi interessava dare un approfondimento psicologico al passato di Michael, non le volevamo delle motivazioni soprannaturali. Potete lasciarci un killer cattivo e basta senza metterci ste sbrodolate? Che noia.


Bisognava solo portare pazienza, però, perché era questione di pochi anni e Laurie sarebbe tornata a renderci felici. Siamo nel 1998 ed esce Halloween - 20 anni dopo. Il film ignora tutto quello che è successo prima e si colloca dopo il secondo. Laurie ha finto la sua morte per andarsene da Haddonfield e vive ben lontano da lì, con il suo unico figlio ormai adolescente e una bella dose di ansia che le è rimasta da quello che le è accaduto. Sì, si può dire che a grandi linee il film somigli a quello del 2018. L'ultimo, però, è molto più riuscito, decisamente la cosa migliore mai successa al franchise dopo la sua nascita. Quello di metà anni '90 è un film figlio della sua epoca, di grande intrattenimento ma con ben poca profondità. Jaime Lee Curtis ogni volta che riveste i panni di Laurie è brava e si vede quanto se la gode. Il film regala momenti di sincera ilarità (a me, che faccio una gran fatica a ridere), come l'indimenticabile estintore in testa. Non che a Michael un estintore in testa possa causare alcun danno, ma mi ha comunque spaccato dalle risate. 

Ha un grande difetto, però, H20. Ha portato ad Halloween: Resurrection. 

Siamo in un'era del cinema dell'orrore che definirei complessa, i primi anni Duemila. Bisognava portare di nuovo a casa la pagnotta con un franchise che ormai stava in piedi da più di vent'anni. Cosa fare? Inserirci il reality show. Se si ama il trash, questa è poesia. Un gruppo di adolescenti partecipa ad un reality show prodotto da Busta Rhymes e Tyra Banks (in caso aveste qualche dubbio sull'anno di realizzazione del film, ve l'hanno chiarito così, sono proprio i primi Duemila). E non sono manco ironica, son proprio loro. Devono entrare, armati di telecamere e microfoni, all'interno di casa Myers, quella in cui si è verificato l'omicidio originale, quello in cui Michael ha ucciso la sorella. La prima, di sorella, perché Laurie muore all'inizio di questo capitolo. Lo fanno e ovviamente lui non è contento manco per niente, anche perché sembra che in quella casa lui di fatto ci abiti, quindi è pure una discreta violazione di domicilio. I giovani finiscono mediamente male, ci mettono dentro una morte che è ormai tradizionale del Nostro (la persona pugnalata e appesa a muri o porte con i coltelli), il reality show diventa la chiave per salvare la vita, mediante un sistema di messaggistica alquanto originale, ai suoi partecipanti. 

Questo è un brutto film, dai, lo possiamo dire. Se prendessi la faccenda sul serio potrei pure essere indignata che si chiami proprio Halloween. Però siccome sul serio non la prendo, mi godo questa robaccia come il film trash che è, e mi ci diverto come una matta.  


Sono molto più severa, invece, con i due film di Rob Zombie che hanno avuto la sventurata idea di chiamare proprio Halloween. Se con i film precedenti sono sempre disposta a perdonare tutto, con questi proprio non ci siamo. Partivo già maldisposta, perché a me lui non piace. Se trovo molto carino La casa dei 1000 corpi, ho quasi odiato tutto il resto che ho avuto la pazienza di guardare, e di conseguenza ho pure smesso di provarci. Io e Rob non ci capiamo, e va bene così, lo accettiamo entrambi serenamente. Quello che fa con il film è completamente snaturare il concetto che della saga sta alla base: Michael non ha un passato traumatico. Anzi, da quel poco che ci è mostrato nel film di Carpenter, arriva da una famiglia per bene, che vive in una bella casa in un bel quartiere, sembrano persone normali. La famiglia disfunzionale e malsana che ritrae Zombie è un'altra cosa. È cercare un'origine a qualcosa che per definizione un'origine non ha. È volergli dare una ragione. E a me non sta bene, mi fa proprio sedere in un angolo imbronciata con le braccia incrociate sul petto. Potrei pure accettarlo e passare sopra a quella che proprio prendo come un'offesa personale, ma è il prendersi così sul serio che non perdono. Anche il sesto film snatura un po' il concetto stesso di Michael Myers, ma è un film cazzone, sotto sotto si fa voler bene. Brutto è e brutto resta, ma lo prendiamo per quello che è, come quell'amico che al bar ti mette sempre in imbarazzo perché fa troppa cagnara ma poi all'aperitivo lo chiami lo stesso. Zombie invece col suo crederci così tanto, col suo sentirsela quasi autoriale, mi fa ancora più rabbia. Oltretutto, il film alla fine è debolissimo, manca di tutta l'atmosfera che si vede ha cercato di metterci. È riuscito ad ammazzare una scena che avrebbe potuto essere piena di pathos, ovvero il ritrovamento della maschera con la colonna sonora originale. Mi ha comunicato il nulla, e soprattutto non fa mai mai mai mai un briciolo di spavento. E questo, a un film in cui c'è l'ombra della strega, non lo posso perdonare. Il suo sequel manco l'ho riguardato, la vita è troppo breve. 


E infine, il film del 2018, che è bellissimo e a differenza di quello qua sopra fa bene a crederci. Perfettamente inquadrato nel suo momento storico si apre con due podcaster true crime che vogliono intervistare Michael (che anime candide). Gli fanno girare la uallera, però, perché hanno la pensata di tirar fuori la sua maschera. Questo viene trasferito, scappa di nuovo, cerca Laurie. Perché sì, torna spettacolare come sempre la nostra preferita, una Jaime Lee Curtis invecchiata con una grazia che può avere solo lei. Ed è come sempre il suo personaggio il cuore della saga. Si vede cosa succede alla final girl dopo che il film è finito, e quello che succede non è bello. Come una reduce dal Vietnam, Laurie ha uno stress post traumatico che l'ha resa una madre ansiosa e complicata. Beve, si trascura, e soprattutto vive nell'attesa che Michael torni. E lui, chiaramente, torna. Lei, però, non ha passato questi anni senza prepararsi. Nonostante la figlia non la prenda sul serio, Laurie si è attrezzata, ed è pronta a fare a fettine sottili il culo del fratello. 

Questo primo film della nuova trilogia è davvero bello. Arriva dove tutti gli altri non sono riusciti a fare, è intenso, appassionato, scritto in maniera intelligente e girato bene. Non è chiaramente un film fatto cavalcando l'onda del momento, ma fa parte di un'operazione ben pensata e ben sviluppata. Parla di traumi, di paure, di rapporti familiari complessi, di adolescenti, e lo fa benissimo. 


Ed è, per me, la prova che quando lo si mette in mano ad addetti ai lavori sapienti e capaci, nessun franchise è morto. Ci saranno sempre nuove cose da dire, nuovi aspetti da esplorare, nuovi personaggi da approfondire, nuovi momenti storici da sfruttare. 

E io sono pronta a vederli arrivare tutti.

lunedì 29 gennaio 2018

So cosa hai fatto

12:53
Quando l'atmosfera dentro la mia testa è pesante cerco consolazione negli horror scemi, se sono con gli adolescenti più scemi ancora meglio. Sono facili da guardare, sollevano il morale, soddisfano la ricerca di un po' di gore che è sempre un buono sfogo, funzionano, anche quando sono brutti.
Netflix lo sa, e come quell'amica alla quale non hai bisogno di dire cosa ti serve, mi ha proposto So cosa hai fatto.
Sorpresa, è più bello del previsto.




Gli adolescenti scemi questa volta sono due coppiette innamorate. Di ritorno da una festa investono un uomo e lo uccidono. Preoccupati per i loro radiosi e ormai segnati futuri decidono di liberarsi del corpo e fingere che non sia mai successo niente.
Spoiler: le cose non vanno mai come vorremmo.
In particolare se ammazziamo una persona.

Io questo l'ho adorato, un nuovo mio piccolo cult personale.
Sarebbe bello dire che riserva magnifiche sorprese e sputa in faccia a tutti i suoi simili, che a fine anni '90, dopo Scream, saranno spuntati nel prato come tante felici margheritine. Invece è solo uno slasher onestissimo, con il suo villain mascherato (che tanto dimenticherete dopo dieci minuti), le sue scelte sbagliate e il suo finale da spaventello inaspettato. Ha tutte le carte in regola per essere detestabile, io invece dopo cinque minuti innamorata di questi quattro che dio solo sa come siano amici perché davvero una fauna più diversa di così l'ho vista poche volte.

La cosa che più mi ha convinto, però, è il tanto famigerato futuro dei nostri giovini sognatori.
Il povero defunto è stato trattato con una freddezza quasi bestiale, da qualcuno più che da altri, perchè l'incidente avrebbe rovinato il loro futuro. Sport, moda, scienza...percorsi tutti in discesa a quanto pare.
Peccato che invece no.
Ognuno di loro, in un modo o nell'altro, ha visto le proprie illusioni svanire in una nuvola di cenere, nessuno è arrivato nemmeno vicino ai propri desideri e chi c'è arrivato li sta mandando in niente. Tutti bloccati in quel paesino da cui tanto sognavano di scappare, tutti disincantati, svegliati dalla delusione, accomodati nella classica vita borghesotta paesana dalla quale tanto sembravano voler fuggire. La netta sensazione è che sarebbe finita così a prescindere dall'incidente.
Non sono una cinica, non più, ma quel piccolo tocco amarissimo mi ha colpita molto e mi ha fatto pensare che sì, stavo guardando un filmettino dai meriti forse non eccezionali, ma che con me aveva fatto centro.

Mi affeziono con poco, pare.
Datemi un assassino di adolescenti e quattro cretini e io niente, parto per la tangenziale dell'amore.

lunedì 12 giugno 2017

The town that dreaded sundown

11:17
Ogni volta che negli ultimi mesi ho aperto un sito di streaming, per scegliere il film da vedere, sono incappata in questo. Mi dicevo che il titolo era un gran bello ma poi lo lasciavo lì, e mi lasciavo prendere da altro.
Oggi mi sono decisa.



Texarkana è una città che si trova sul confine tra Texas e Arkansas. Negli anni 40 era stata vittima di una serie di brutali omicidi, per mano di un serial killer chiamato Il Fantasma. 60 anni dopo Il Fantasma è tornato.

Ho questa impressione, che potrà essere confermata o smentita dagli amanti del cinema in senso più 'tecnico' di me: negli ultimi anni sono spuntate pellicole che hanno una grossa caratteristica comune e che alla fine della fiera si sono rivelati alcuni tra gli horror migliori del periodo. Prendono gli elementi 'canonici' di un particolare sottogenere (lo slasher regna incontrastato), li mettono tutti bene in fila su un tavolo, poi si lanciano sul tavolo e fanno l'angelo con le braccia e le gambe per spostare tutti questi elementi e rimescolarli, dando loro nuova luce, nuovi significati, pur rimanendo fedeli alla loro natura.
Il primo film che ho notato (nella mia ignoranza) fare questo giochino è stato Quella casa nel bosco, osannato come l'horror dell'anno del 2012 (che aveva comunque altre uscite interessanti). Ci sono stati poi It follows, The final girl, e, oggi, The town that dreaded sundown. Dove con oggi intendo tre anni fa, ma ci siamo capiti. Quest ultimo, in particolare, non è solo una rivisitazione di un genere che sembra essere il più diffuso anche tra chi gli horror non li guarda, ma è anche un monumento al film di cui è remake e che io, colpevole, non ho visto. Il film del 1976 è in tutto e per tutto un personaggio fondamentale del suo remake, rendendo quello del 2014 un film intrigantissimo. È metacinema felicissimo di esserlo. 
Oltre a ciò, è anche uno slasher con tutti i crismi, con il villain con la maschera, le morti violente e tutto il resto, sempre per quel discorso che gli elementi classici non vengono toccati ma solo riadattati. 
Ma la cosa più importante, che se vogliamo essere onesti nel mio cuore batte tutto il discorso sopra, è che The town that dreaded sundown è un film bellissimo, pieno di colori e movimento, 
E tanto mi basterebbe. Se poi c'è anche il resto, beh, io non mi lamento.

lunedì 19 dicembre 2016

Cold Prey

14:53
IO HO FREDDO.
L'inverno mi fa schifo, soffro le temperature in un modo esagerato che mi causa dolore fisico e umore di merda da qui a maggio inoltrato, e per di più vivo in Pianura Padana, sia essa eternamente maledetta. Voglio 40 gradi all'ombra sempre.
Non sono disposta a vivere in questa pestilenza da sola.
Voglio vedere qualcuno che stia peggio di me, e che abbia più freddo.
Quindi, Cold Prey.


Siamo in Norvegia, fa un freddo porco, e un gruppo di giovani irresponsabili vuole andare a fare snowboard come fanno tutte le persone coooool. Uno, in un momento di celodurismo sullo snow cade e si rompe una gamba. Gli amici lo portano in un hotel lì vicino, che sembra abbandonato e quindi SENZA RISCALDAMENTO, sperando di chiamare i soccorsi.
Non è abbandonato come sembra, ma almeno si sono accesi il fuoco.

Inizio a prendere il film poco sul serio a nemmeno venti minuti dall'inizio. Amico si rompe una gamba. Ci sono due coppie e uno single, quale sarà il ferito? Non ve lo dico nemmeno. Cade, urla, viene raggiunto dagli amici, e con grandissima fortuna di tutti una di loro ha interessanti skills mediche. Pensa un po' che culo. La frattura è, insospettabilmente, scomposta, quindi va rimessa a posto prima che si faccia ancora più brutta. E qui, con un fremito dato dalla tensione, attendevo con ansia che LA frase venisse pronunciata.
'Questo ti farà male.'
Non sono stata delusa.
In virtù di ciò, ho iniziato a trattare il film con la leggerezza che chiaramente meritava, fino al momento in cui ho assistito ad ossa tenute insieme con l'attack, e allora sono state risate per tutti. O meglio, io skills mediche non ne ho alcuna, sia chiaro, quindi potrei benissimo sbagliarmi. Le ossa tenute insieme con la supercolla però mi hanno quantomeno...intrigata.

Parliamo ovviamente di cose alle quali si potrebbe anche passare sopra, se il resto fosse un film eccezionale. Ma, come prevedibile, non lo è. Non è uno di quei famigerati FDC che lasciano solo dolore al loro passaggio, è peggio, È uno di quegli slasher molto molto convenzionali, con la sola caratteristica di essere europeo e non americano. Essere simile a mille altri può non essere un problema, se ci fosse altro da offrire: un guizzo di genialità, prove attoriali incredibili o scrittura da Oscar. Qua non ci sono, ci si limita a riportare su pellicola la solita brodaglia: gruppo di amici in vacanza, casa/hotel abbandonato, telefoni che non prendono e gente che cerca di farli fuori. Poi si arriva alla final girl e allo scontro.
I ruoli dei ragazzi sono ben noti (la bella, la sveglia, il simpaticone...) e quasi caricaturali (il limone durissimo e selvaggio, queste bizzarre strategie mediche, sono un po' troppo dai), la situazione di isolamento e paura purtroppo mi è arrivata poco e niente, nemmeno il solito bel sangue-su-neve c'è stato. Confidavo allora nel villain: non sono tutti Wolf creek, ma insomma si poteva fare meglio. Questo sembra uno scimmiottamento del mio intoccabile Myers: omone gigante che non spiccica parola manco per piacere, di cui non si comprendono le motivazioni (ci hanno provato sul finale ma se non ci avessero provato sarebbe stato meglio per tutti), ma che di sicuro vuole solo far fuori la gente.
Io di Michael Myers però avevo un paurone, questo qua mi ha lasciato calma da morire.
E per lasciare calma me...

domenica 12 giugno 2016

Venerdì 13 (1980)

17:00
L'altro giorno il direttore della mia banca mi ha detto che scambierebbe volentieri la sua polizza assicurativa vantaggiosa con la mia giovane età.
La sfiga di avere pochi anni comporta, oltre al pagare millemila milioni per assicurare un'auto, il ritrovarsi tra i piedi certi personaggi, senza avere la più pallida idea di come ci siano finiti.
Quando sono nata Jason già era morto un bel po' di volte. Eppure era sempre lì, nella mente e nell'immaginario di tutti, saltellano sulle colline a braccetto con l'altro losco individuo, quel Freddy Krueger che secondo me avrà film dedicati fino alla fine del mondo come lo conosciamo.
Per qualche motivo, che qualcuno più esperto di me vi saprà senza dubbio spiegare meglio, questi signori hanno smesso di essere solo personaggi fittizi, sono diventati parte della cultura popolare al punto da essere incredibilmente noti anche a chi per l'horror non bazzichi per niente, anche a chi i film originali non li ha mai visti.
E io, Venerdì 13, non l'avevo mai visto.
Ricordo spezzoni di sequel visti negli anni, ma Lui, quello capostipite, mi mancava.


Visto con gli occhi di chi è cresciuto con le sue conseguenze, Venerdì 13 è solo una delle tante storie horror piene di quei perculatissimi luoghi comuni che tanto ci piacciono: gruppo di ragazzi di cui non sappiamo niente, assassino che li decima, luogo di vacanza sperduto nei boschi, la final girl che è l'unica in tutto il film che non è riuscita a farsi il moroso. . .
Stavolta siamo a Camp Crystal Lake, l'assassino è il celeberrimo Jason con la maschera da hockey (se non altro, crediamo sia lui per la sua notorietà, la prima sorpresa di questa visione è che lui manca completamente dal primo capitolo). la final girl è Alice. Poco altro vi importa sapere, se fate parte di quella schiera di giovanissimi che hanno questa lacuna. Unitevi a me, giovani spavaldi, che parliamo di roba seria.
Quello che vi succederà ad un certo punto durante la visione è una gloriosa epifania, un sonoro 'AAAAAAAAAAHHHHHHH!' che rimbomba in quel contenitore vuoto che ci piace chiamare cervello. È il momento in cui capiamo insieme che tutto è iniziato qui.
Che prima di questo filmettino (che se proprio dobbiamo riassumerne un'opinione non è che mi abbia proprio fatto impazzire) la gente non guardava a questi elementi comuni del cinema come li guardiamo noi oggi.  Per noi sono quasi superati. Li conosciamo bene, li prendiamo in giro anche se di cinema ne sappiamo poco, ma ogni tanto ci dimentichiamo che la storia non è iniziata con noi. E che se noi, oggi, facciamo a gara al cinema per vedere chi resiste di più in un torture porn qualsiasi è perché qualcuno, 30 anni fa, prendeva a mazzettate negli occhi gli adolescenti sporcaccioni e faceva inorridire i benpensanti. È bello vedere la nascita, la storia, anche quando è un film abbastanza noioso, ve lo garantisco. Anche se Jason non è simpatico quanto Freddy, o inquietante quanto Michael.

È un po' come andare al museo egizio: andare a quello archeologico richiede più passione e più conoscenza per far sì che apprezziamo la gita, esattamente come vedere i film vecchiiiiiissimi richiede uno sforzo in più. Col tempo poi si va che è un piacere, ma ci vuole pazienza. Quello egizio, invece, è una figata: è colorato, chiassoso, esoso con tutte le statuone imponenti e le maledizioni dei faraoni, però ti insegna la storia comunque. È più vicino a noi in modo che possiamo sentirlo in modo più empatico, ma abbastanza lontano da farci trattenere il fiato quando vediamo che gli egizi già avevano le infradito.
Non so se mi sono ingarbugliata o se questo paragone abbia senso, nella mia testa giuro che ce l'ha.


Come al solito, parlare di qualcosa di così storicamente importante diventa complicato in un blog come il mio dove non si vuole parlare di tecnica e storia e influenze (per quello è sufficiente Google, o magari qualche sito migliore), soprattutto quando queste si rivelano più interessanti del film stesso.
Mettiamola così: Jason fa ancora parte, 30 anni abbondanti dopo, di quel giardino di personaggi che stanno nel cuore di tanti, quella maschera lì è ancora troppo presente perché possiamo passargli oltre e ignorarla.
Onorare i genitori del cinema che oggi andiamo a vedere in sala, quarto comandamento.

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