lunedì 20 giugno 2022

Gli anni 40: The Wolf Man

 Sono in ritardo sulla tabella di marcia della rubrica sulla storia, questa settimana (che doveva essere la scorsa) ci prendiamo un attimino per parlare di un film a cui voglio del bene grande.

Post con spoiler





Siamo in un momento particolare per Universal che, e perdonatemi se dico ovvietà, dopo la Sposa non ha più raggiunto i livelli di eccezionalità a cui aveva abituato il suo pubblico. La fama che arriva ad oggi la vuole come una casa in caduta libera dopo gli sfolgoranti anni '30, perché per il decennio successivo è campata sui suoi precedenti: sequel, reboot, incastri tra personaggi...

È in questo panorama desolato che si colloca il film di oggi. Dopo anni ad introdurre creature non umane ma piene di umanità, era ora di ribaltare il concetto: finalmente Universal parla di un uomo che diventa un mostro. E non un mostro nel senso etico, ma in quello letterale.
Siamo nel 1941 ed esce, diretto da George Waggner, L'uomo lupo. 
Il protagonista è Larry Talbot, un imponente nobiluomo inglese, che torna a casa dopo un periodo di lontananza. Qui fa la conoscenza della bella Gwen, e portandola fuori una sera per farsi leggere il futuro da un gruppo di indovini, viene morso da quello che crede essere un lupo. Da quel momento inizia una serie di omicidi violenti, e tutti sembrano convinti della responsabilità proprio di Larry.

È difficile collocare questo film in mezzo ai giganti che lo hanno preceduto, e sarebbe anche sbagliato: The Wolf Man è meno sofisticato, meno arguto se vogliamo. Tocca temi di straordinaria profondità ma non sempre riesce a farlo con la complessità che sappiamo Universal con i suoi nomi migliori era in grado di fare. Eppure già così com'è è in grado di fare la sola cosa che chiedo al cinema: spezzarmi il cuore.

Parlare di licantropi significa spesso parlare di persone tormentate dalla propria condizione. Se i vampiri spesso (non sempre, ok, ma spesso) se la tirano tantissimo per quanto belli sono e i creaturi di Frankenstein stanno ancora imparando ad avere coscienza della propria condizione, i licantropi sono l'essenza stessa dell'odio per se stessi. Il corpo del licantropo smette di essere al servizio del proprio proprietario, e smette di rispondere. Si diventa vittime di se stessi e del proprio aspetto, la propria condizione diventa un problema totalizzante. L'identità stessa di chi è colpito dalla maledizione è da ricostruirsi interamente.
Come se questa non fosse una tortura sufficiente, quello che succede al povero Larry è pure peggio: la gente intorno a lui inizia a morire, e tutto indica che sia lui il colpevole. Proprio lui, che ad inizio film si sedeva così goffo e impacciato sulla sedia, col suo corpone gigante a seguirlo. Proprio lui, che torna a casa e deve ricominciare a costruirsi un'esistenza in luoghi che non gli sono più familiari, in volti che gli sono cari ma che deve conoscere di nuovo, come non li avesse conosciuti mai. Proprio lui, che stava recuperando col padre la relazione perduta.
Intorno a lui, quella comunità che lo conosceva e ora non lo conosce più, lo guarda con sospetto, e ha paura. E lui è così certo di quello che dice, che vederlo non creduto è straziante. In questo, il vero merito del film è avere scelto Lon Chaney Jr, che ci regala un Larry così bello che entra nel cuore e non ne esce più. Per il modo in cui parla alle persone che ha intorno, per come si muove, con le mani sempre vicine al corpo come a volersi rimpicciolire, per gli occhi pieni di dolore sincero che ha a partire dai primi minuti del film.
Il breve minutaggio in questo lo aiuta perché rende ancora più evidente il modo perfetto in cui la sua persona sembra appassire: l'uomo pronto a ricominciare ha già smesso di provare. 
Non solo ha perso le speranze di una nuova vita serena, ma è attanagliato da un bruciante senso di colpa e se un pochino avete imparato a conoscermi sapete che questo è il genere di storie che mi annienta. È successo qualcosa di brutale, è colpa tua seppur involontariamente, e tu adesso ci devi convivere, buona fortuna. Lo sguardo di Talbot, su cui spesso la macchina da presa si ferma insistentemente, perché proprio mi vuole ammazzare, è spento. Tutta l'umanità gli è stata tolta, ma non per colpa della licantropia. Lo hanno ucciso i sospetti prima, gli sguardi di chi non gli ha creduto e quelli di chi invece sapeva. L'ha ucciso la possibilità svanita dell'amore con Gwen.

Infine, però, Larry muore davvero, infliggendo al film l'ennesima batosta emotiva: muore per mano di chi lo amava, suo padre. Suo padre che aveva appena perso un altro figlio e che con questo stava cercando di ricostruire una relazione, e che per tutto il film ha cercato di aiutarlo e difenderlo.
E allora se volete che ci ammazziamo, amici in Universal basta dirlo!

L'uomo lupo funziona perché condensa in poco più di un'ora un range immenso di emozioni, non solo grazie a Chaney ma anche alla Gwen di Evelyn Ankers, un personaggio pieno di cuore e fiducia verso il prossimo, che in un panorama così desolato come quello di questo film è rinfrancante vedere. 
E perché ha reso i lupi mannari quello che sono oggi, da lui fino a Remus Lupin: persone tormentate, tragiche, arrese ad un'esistenza di sofferenza. 

A meno che non siano adolescenti con i capelli rossi, in quel caso se la godono finché possono.

2 commenti:

  1. E poi è arrivato Twilight a rendere fighi anche i lupi mannari....

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    Risposte
    1. Però se non altro non ha portato ad un filone intero su di loro come era stato con i vampiri!

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