Eccomi qua, dopo la bellezza di nove mesi – più o meno. A quanto
pare, la costanza non è il mio forte, ma nel mezzo sono successe innumerevoli
cose. Si è aperto e chiuso un altro lockdown, ho compiuto gli anni –
rigorosamente chiusa in casa per il secondo anno di fila, alla riapertura ho
fatto tante camminate faticosissime in montagna, ho scritto una tesi sulla mia
dolce Natalia e sono riuscita anche a laurearmi in presenza, con emozioni e
angosce connesse. Ho passato le mie ferie estive in un posto meraviglioso, una piacevole sorpresa e ho conosciuto persone che rimarranno nel mio
cuore.
Ho fatto corsi di editoria, uno tutt’ora in corso, ho
guardato tanti film – la maggior parte distrattamente – e tante serie tv. Ho vissuto
il mio primo Salone Internazionale del libro e sono diventata una bambina che
va per la prima volta a Disneyland. Ho letto tanti libri, gran parte dei quali
collegati alla mia tesi. Di tutti gli altri, una piccola parte rimarrà ancorata
e incollata nei miei pensieri. Alcuni sono stati troppo intimi per condividerli
con qualcuno, e quindi li ho tenuti per me.
Erano mesi che preparavo qualcosa di scritto e, invece, ieri
pomeriggio ho finito questa dolcezza, in un viaggio uggioso di ritorno da
Pavia. Mi sono resa conto che ai libri ci si affeziona senza un vero e proprio
motivo; a volte, ci sono delle virgole nascoste che rimangono latenti e che,
quando chiudi un libro, alla fine, ti viaggiano per il cervello, ti scavano.
«A cosa stai pensando?», mi aveva chiesto, proprio quando il
mio pensiero stava per essere archiviato nel cassetto della registrazione.
«Al fatto che mi piacerebbe abbracciarti». Ero stato sorpreso dalla mia sincerità. «Non lo faccio solo per non darti noia», avevo aggiunto cercando di ostentare indifferenza.
Lui non aveva risposto, rimanendo con le labbra serrate per un po’. Poi mi si
era premuto contro, puntando la testa sotto la mia ascella e cominciando a dare
piccoli colpi. Un pulcino che vuole uscire dall’uovo, vedere finalmente al di
là delle membrane lattiginose che avvolgono l’interno del guscio. Finché era sbucato
dall’altra parte, appoggiando la guancia contro il mio petto.
Lo avevo fissato.
«Mi sono abbracciato da solo», aveva detto con l’espressione buffa delle
occasioni insolite.
Estrapolata dal contesto di queste 250 pagine, sembra uno scambio
di battute da niente, quasi melenso, dolciastro, un po’ appiccicoso. Un’effusione
un po’ fastidiosa. E invece no, perché questo abbraccio Leonardo lo aspetta da
tanti anni, aspetta che venga spontaneo da un piccolo – ma ormai un po’ cresciuto
– Martino, mio dolce omonimo, che non ama gli abbracci. Non ama il contatto fisico,
le cose fuori posto, i rumori molto forti. Martino ha la sindrome di Asperger e
Leonardo lo scopre solo dopo qualche tempo che Martino fa parte della sua
famiglia. Un’appartenenza, in realtà, provvisoria perché è in affido temporaneo,
intanto che i servizi sociali cercano una famiglia tutta per lui.
Correrò il rischio di sembrare estremamente ripetitiva, ma la
dolcezza di questo romanzo è infinita. È in ogni personaggio, in ogni pendio
delle montagne tra cui Martino diventa un uomo, in ogni descrizione e in ogni
pensiero di un papà che diventa genitore per una seconda volta: per caso, distaccato
per non rischiare di affezionarsi ma, infine, incredibilmente papà. È la dolcezza
di un bambino che cresce con la consapevolezza di essere diverso dagli altri sulla carta e lo accetta, sentendosi comunque accomunato a ogni
persona che lui e Leo ospitano nella loro appartata casa di montagna. È la dolcezza di un
uomo di cinquant’anni che durante una notte insonne, in un letto diviso con il
vuoto, decide di lasciare Milano per trasferirsi nella casa dei sogni della sua
Chiara. È la dolcezza di Augusto, un padre, un montanaro, un nonno acquisito,
un uomo dalle poche parole, con le mani rovinate dal lavoro, ma un’anima aperta
a questo bambino, di cui non conosce niente, ma lo sente un po’ come lui. È la
dolcezza di Leonardo, che spera che i servizi sociali abbiano dimenticato i
documenti dell’affido temporaneo e che il tempo si sia dimenticato di
scorrere e di far scoccare la lancetta nel diciottesimo compleanno
di Martino. È la dolcezza di papà Leonardo, che si sente così lontano dalla
comprensione di questo figlio non suo, che Augusto capisce così bene.
Io non lo so se ho le parole giuste per trasmettere la dolcezza, l’inadeguatezza, la sincerità e l’affetto che ho riversato e ritrovato in questo libro. Faggiani sì, e le ho lette tanto bene.
Franco Faggiani, La manutenzione di sensi, Fazi, 2018 |
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