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mercoledì 17 gennaio 2018

Everyman, Philip Roth

17:41
Ho concluso la lettura da un po', eppure non mi decidevo a parlare di Everyman.
Philip Roth è stato insignito del prestigioso premio Scrittore Dell'Anno della Repubblica di Redrumia Edizione 2017, però, quindi mi faceva piacere riallacciarmi all'anno scorso con un un suo romanzo.
Poi dalla settimana prossima ripartiamo con scelte letterarie dettate solo ed esclusivamente dal caso.


L'uomo del titolo è un uomo qualsiasi, che noi conosciamo nel giorno del suo funerale.
Dall'ultimo saluto il viaggio è all'indietro, nell'esplorazione onestissima e profonda di una vita come tutte le altre.

Non è facile raccontare vite mediocri.
Ci piace buttarci in avventure eccezionali e in persone straordinarie, così mentre le leggiamo immaginiamo di essere un po' speciali a nostra volta.
A Philip Roth, invece, non gliene frega proprio niente.
Non gli servono viaggi interdimensionali, scienziati illuminati, mostri orrendi o fatine magiche. Gli escono dalle mani parole in apparenza comuni per parlare di persone in apparenza comuni. Everyman è l'apoteosi di questo. Mi ha quasi ricordato Stoner, senza però, devo ammettere, toccarmi nel cuore tanto quanto il racconto di Williams.
L'uomo la cui vita viene ricostruita non ha nome. Ha un lavoro, ha una famiglia, ha un background di vita sentimentale turbolento, ma sembra non esserci altro.
Quello che c'è, invece, è un'onestà quasi tremenda sulla vita dell'uomo.
Si parte con un racconto affezionato di un'infanzia comune, di un bambino che segue le orme del padre e di un fratello con il quale i rapporti sono sempre stati ottimi. Da lì la crescita del nostro uomo comune è segnata dal suo corpo più che da quello che ci sta dentro. Il primo intervento chirurgico, la prima moglie, una vita sportiva e sana, fino all'inevitabile deperimento del corpo. È questo, più di tutto, che ci viene raccontato. Il corpo è il protagonista del romanzo, il corpo che torna in vita attraverso il racconto.
La velocità e la freschezza del corpo bambino, quasi sconvolto dall'essersi malato, il primo contatto con la morte, grande protagonista invisibile del romanzo; il sesso, come sempre amicone di Roth, ma proprio amiconi che escono ogni tanto per una birra; la malattia.
Senza alcun pudore e senza timore di essere giudicato, ché tanto è morto, il protagonista si racconta in un susseguirsi di aneddoti e storie di vita comuni, infilando in mezzo tra un infarto e un rimprovero dal capo che ti scopre farti la segretaria in ufficio, piccoli momenti in cui a parlare non è più il corpo ma il cuore, lasciandoci come sempre senza fiato.
Rapporti sbagliati con i figli, tradimenti, relazioni prive di significato, diventano tutti tasselli di un'esistenza intera, parti di quella persona che durante il commiato viene celebrata e ricordata con affetto, come sempre ricordando le cose migliori.

Everyman ci ricorda che siamo piccini piccini e che non contiamo niente, e allo stesso tempo che nel nostro essere piccini così abbiamo un valore grande e persone intorno a noi con cui condividerlo.
Solo Philip Roth poteva dirlo così.

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