I classici del femminismo: Una donna
Mari.
20:27
Nella mia bio di instagram sono elencate le cose a cui tengo di più: il cinema dell'orrore, i libri, lo yoga e il femminismo.
Non mi ci ero mai messa, qui sul blog, a parlare anche del resto, perché già sto dietro a fatica ai miei post soliti, figuriamoci aggiungerne altri. Di yoga continuo a non parlarne, promesso, perché sono una che lo ama tanto ma che sta ancora imparando tantissimo e non ho nessuna pretesa di avere nulla da insegnare a nessuno. Di femminismo invece bisogna parlare perché ce n'è un graaaan bisogno. E quindi eccoci qua.
Tra i buoni propositi di quest anno avevo messo quello di studiarlo anche un po', questo femminismo a cui tanto tengo, e per cominciare a farlo dovevo mettermi a leggere tutti quei classici che non avevo ancora toccato. La prima è stata Sibilla Aleramo.
Ammetterò di averlo scelto a caso. Ho molti libri sul kindle pronti per essere letti, lui era semplicemente il primo in home. Involontariamente ho fatto la scelta giusta, perché Una donna è un romanzo autobiografico, nel quale l'autrice racconta la sua vita dall'infanzia fino ad un particolare evento della vita adulta, che è anche stato quello che l'ha spinta a raccontarsi. Cominciare ad esplorare la scrittrice e attivista Sibilla Aleramo partendo dalla sua autobiografia è stato un bellissimo (e straziante) modo per conoscere prima Marta Felicina Faccio, la persona dietro il nome d'arte.
La conosciamo da bambina, innamorata pazza del papà, che la inizia ad una vita di laicità e curiosità. Siamo con lei da adolescente, assetata d'amore. Infine, vediamo la sua vita prendere la peggiore delle pieghe possibili: subisce uno stupro da parte di un dipendente del padre e finisce segregata in quell'orrore che è un matrimonio riparatore.
In tutto questo, la vediamo sgambettare inquieta cercando di accontentare tutti: cercare di essere la figlioletta prediletta prima, e la moglie devota poi. Una vita passata a cercare di rendere felici gli uomini della sua vita, per poi finire con la realtà sbattuta in faccia: gli uomini possono essere creature mostruose. Prima il padre, che abbandona lei e i fratelli per la propria libertà, riducendo la madre all'ombra di sé stessa, e poi il marito, e con questo già le premesse erano un po' quelle che erano.
La sua è una storia piena di dolore. Dopo l'infanzia felice, la realtà della vita adulta non le risparmia un colpo. Dalla violenza in poi Sibilla è una persona diversa: da bambina eccentrica e piena di vita diventa un'adolescente rassegnata, che lascia che gli eventi le accadono incapace di credere di poterli cambiare. E allora ecco il matrimonio con il mostro, che rende la violenza del loro incontro la sua quotidianità, non perché lo stupro si ripeta, anche se viene fatto intendere come lei gli si conceda sempre per dovere e mai per desiderio reale, ma perché il suo non amarla si rivela nel modo meschino degli uomini viscidi. Mancanze di rispetto, aggressività, indifferenza.
Nemmeno la nascita dell'adorato figlio Walter cambia la situazione. Se possibile, piuttosto, la peggiora. Adesso non solo Sibilla non è una donna libera, ma è anche vincolata dalla più tremenda delle catene: l'amore. Il figlio la rende vulnerabile, e quei pensieri negativi che hanno abitato la sua mente dalla violenza in poi si intensificano, fino a portarla al tentato suicidio.
Professionalmente nel corso del racconto Sibilla riesce a crearsi una vita fuori dal matrimonio, con la sua professione e la sua penna, ma il vincolo è lì, e ci resta fino a che trova il coraggio di prendere una decisione straziante: rinunciare anche al figlio, pur di avere una parvenza di libertà.
Così, per spiegare a Walter perché da un giorno all'altro si sia ritrovato senza la mamma da piccino, arriva il romanzo, che giunge a noi come la più dolorosa delle lettere d'amore.
Leggerlo oggi, che siamo così lontane ma così vicine, è un'esperienza che per una donna (in divenire, che qua nella testa siamo ancora intorno ai 15/16 anni) è importantissima. A Sibilla, per avere quello che la maggior parte di noi oggi ha, e dà per scontato, è stato richiesto il sacrificio estremo. Lasciare la sola cosa che abbia mai amato davvero, per cercare di amare un po' anche se stessa.
Le Sibille sono tra di noi, nascoste tra le mamme che recuperano i bambini all'asilo, o in fila davanti a noi al supermercato.
Tendiamo una mano, se possiamo.
Quella stessa libertà che in tante viviamo senza nemmeno rendercene conto, la meritano anche loro.
Non mi ci ero mai messa, qui sul blog, a parlare anche del resto, perché già sto dietro a fatica ai miei post soliti, figuriamoci aggiungerne altri. Di yoga continuo a non parlarne, promesso, perché sono una che lo ama tanto ma che sta ancora imparando tantissimo e non ho nessuna pretesa di avere nulla da insegnare a nessuno. Di femminismo invece bisogna parlare perché ce n'è un graaaan bisogno. E quindi eccoci qua.
Tra i buoni propositi di quest anno avevo messo quello di studiarlo anche un po', questo femminismo a cui tanto tengo, e per cominciare a farlo dovevo mettermi a leggere tutti quei classici che non avevo ancora toccato. La prima è stata Sibilla Aleramo.
Ammetterò di averlo scelto a caso. Ho molti libri sul kindle pronti per essere letti, lui era semplicemente il primo in home. Involontariamente ho fatto la scelta giusta, perché Una donna è un romanzo autobiografico, nel quale l'autrice racconta la sua vita dall'infanzia fino ad un particolare evento della vita adulta, che è anche stato quello che l'ha spinta a raccontarsi. Cominciare ad esplorare la scrittrice e attivista Sibilla Aleramo partendo dalla sua autobiografia è stato un bellissimo (e straziante) modo per conoscere prima Marta Felicina Faccio, la persona dietro il nome d'arte.
La conosciamo da bambina, innamorata pazza del papà, che la inizia ad una vita di laicità e curiosità. Siamo con lei da adolescente, assetata d'amore. Infine, vediamo la sua vita prendere la peggiore delle pieghe possibili: subisce uno stupro da parte di un dipendente del padre e finisce segregata in quell'orrore che è un matrimonio riparatore.
In tutto questo, la vediamo sgambettare inquieta cercando di accontentare tutti: cercare di essere la figlioletta prediletta prima, e la moglie devota poi. Una vita passata a cercare di rendere felici gli uomini della sua vita, per poi finire con la realtà sbattuta in faccia: gli uomini possono essere creature mostruose. Prima il padre, che abbandona lei e i fratelli per la propria libertà, riducendo la madre all'ombra di sé stessa, e poi il marito, e con questo già le premesse erano un po' quelle che erano.
La sua è una storia piena di dolore. Dopo l'infanzia felice, la realtà della vita adulta non le risparmia un colpo. Dalla violenza in poi Sibilla è una persona diversa: da bambina eccentrica e piena di vita diventa un'adolescente rassegnata, che lascia che gli eventi le accadono incapace di credere di poterli cambiare. E allora ecco il matrimonio con il mostro, che rende la violenza del loro incontro la sua quotidianità, non perché lo stupro si ripeta, anche se viene fatto intendere come lei gli si conceda sempre per dovere e mai per desiderio reale, ma perché il suo non amarla si rivela nel modo meschino degli uomini viscidi. Mancanze di rispetto, aggressività, indifferenza.
Nemmeno la nascita dell'adorato figlio Walter cambia la situazione. Se possibile, piuttosto, la peggiora. Adesso non solo Sibilla non è una donna libera, ma è anche vincolata dalla più tremenda delle catene: l'amore. Il figlio la rende vulnerabile, e quei pensieri negativi che hanno abitato la sua mente dalla violenza in poi si intensificano, fino a portarla al tentato suicidio.
Professionalmente nel corso del racconto Sibilla riesce a crearsi una vita fuori dal matrimonio, con la sua professione e la sua penna, ma il vincolo è lì, e ci resta fino a che trova il coraggio di prendere una decisione straziante: rinunciare anche al figlio, pur di avere una parvenza di libertà.
Così, per spiegare a Walter perché da un giorno all'altro si sia ritrovato senza la mamma da piccino, arriva il romanzo, che giunge a noi come la più dolorosa delle lettere d'amore.
Leggerlo oggi, che siamo così lontane ma così vicine, è un'esperienza che per una donna (in divenire, che qua nella testa siamo ancora intorno ai 15/16 anni) è importantissima. A Sibilla, per avere quello che la maggior parte di noi oggi ha, e dà per scontato, è stato richiesto il sacrificio estremo. Lasciare la sola cosa che abbia mai amato davvero, per cercare di amare un po' anche se stessa.
Le Sibille sono tra di noi, nascoste tra le mamme che recuperano i bambini all'asilo, o in fila davanti a noi al supermercato.
Tendiamo una mano, se possiamo.
Quella stessa libertà che in tante viviamo senza nemmeno rendercene conto, la meritano anche loro.