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lunedì 8 marzo 2021

I classici del femminismo: Donne, razza e classe

16:05

Sorelle, compagne, amiche, buona Giornata Internazionale dei Diritti della Donna. 

La Redrumia è uno spazio femminista, ma non solo. Femminista, comunista e antirazzista, perché, checché se ne dica, le tre cose non possono essere separate. Sapete chi lo ha detto prima e molto, molto meglio di me?

Angela Davis.

Ѐ di lei e del suo testo più famoso che parliamo oggi, per fare una dovuta celebrazione della giornata. 




Come sempre, un disclaimer. Con questi post non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno, figuriamoci recensire. Quello del femminismo è un mondo ampio e che merita e necessita di uno studio approfondito.  (Andrebbe fatto nella scuola dell'obbligo, dite? Sono d'accordo.) Io sono solo all'inizio ma sto cercando di farlo, ma quello che faccio su questo blog è solo condividere il mio viaggio. Non sono nella posizione di insegnare nulla.


Dunque, femminismo, comunismo e antirazzismo. Perché non possono essere separati? Perché una persona di destra non può definirsi veramente femminista senza rischiare che a qualche compagna venga la voglia di portarla in un vicolo e dargli tutte quelle che non ha preso da piccola? 

Perché l'origine della diversità deriva dalla struttura stessa della società capitalistica. 


Ma facciamo un passo indietro. Il testo di Davis si apre con un saggio sul periodo della schiavitù. Le donne nere erano trattate esattamente come gli uomini: parità di ore di lavoro, stessa intensità delle mansioni. Ci sono vari problemi a riguardo: i corpi di donne e uomini sono per natura diversi, ma non solo. Le donne fanno figli. Aldilà dell'ovvio (nessuna maternità, nessun riposo, nessun alleggerimento del lavoro), le schiave erano forzate a fare più figli possibile. Più bambini più futura forza lavoro. 

Come si forza una donna a fare figli? Con la violenza, sessuale, sistemica. Lo stupro come strumento di esercitazione del potere dell'uomo sulla donna non è certo roba nuova. 

Da questo primo capitolo in poi Davis ripercorre la storia delle donne nere e della loro lotta, passando attraverso tutte le fasi principali e i nomi più rilevanti. Il movimento abolizionista, il suffragio femminile, i congressi, il razzismo, la nascita della società capitalista, per arrivare a stupro, sterilizzazione forzata e controllo delle nascite. Il testo è storico, e la lettura che si dà della storia è inequivocabilmente marxista.


Quello che fa Davis è mostrarci che nessuna separazione sarà mai di beneficio al movimento femminista. Ignorare che le donne bianche hanno sistematicamente evitato di considerare le nere all'interno del movimento, sotterrando così la prova di un loro grande privilegio, vuol dire ignorare che ancora oggi siamo così. Aprire gli occhi di fronte al fatto che ci sono molte più cose da considerare oltre al nostro piccolo giardinetto di fronte a casa è solo il primo passo di reale conoscenza di quello che ci circonda. Leggere un libro di 40 anni fa è solo un piccolo sguardo, ma è il primo, ed è necessario. 


L'approccio marxista al femminismo è quello che trovo più affine ai miei ideali. Nonostante sia costantemente abbattuta da politica, attualità e da quello che mi circonda, non posso smettere di credere in un sistema più giusto. In cui le persone siano tutte uguali, in cui si lotti insieme per i diritti di tutti, in cui non si possa avere una singola persona al mondo con un proprio personale programma spaziale mentre in giro mancano le basi per una vita civile. Davis, con un testo difficile da leggere per tematiche ma non certo per stile, che ha un enorme pregio nell'essere davvero alla portata di quasi tutti, mi motiva a continuare a crederci, a non smettere, nel mio piccolo e pigro mondo, di lottare perché si smetta di essere considerate macchine che producono denaro per qualcuno più grande di noi. Che esista, magari non ancora ora e non qui, una società in cui l'individualismo non sia più importante dell'uguaglianza, in cui l'esistenza delle persone sia votata al lavoro e non alla crescita personale e sociale. In cui non siamo più strumenti. 


Io faccio la cassiera, in un discount. Una larghissima fetta della clientela del mio punto vendita è straniera, assisto a piccoli episodi di razzismo su base quotidiana. Vedo centinaia di persone al giorno, vedo il modo in cui gli uomini trattano le compagne, vedo ragazze nere sole con bambini e le occhiate delle benpensanti elegantissime cremonesi dietro di loro in coda, vedo donne col velo parlare qualche volta poco bene in italiano ed essere accolte da occhi al cielo, vedo sguardi sorpresi quando invece l'italiano è parlato benissimo. Chissà se sarebbe così, se persone come Angela Davis fossero studiate a scuola, se il rispetto fosse dato per scontato, se le differenze fossero non nascoste ma valorizzate, se ci insegnassero fin da piccoli il valore dell'umanità in quanto tale e non per tali o presunti meriti (economici, s'intende).


Mi perdonerete se questa non è una vera e propria recensione, e se del libro si parla poco, ma quello che l'autrice ha fatto a me è stato creare desiderio di ancora di più. C'è troppo che non so, troppo su cui ancora lavorare, troppo su cui mi sono a lungo distratta, troppo che ancora sbaglio, e di sicuro non basterà leggere un paio di libri a cancellare anni di crescita in una società che oggi trovo così marcia. Ma ci si lavora, ci si prova sempre a migliorarsi e a diventare un po' più umani di ieri. 

In giorni come oggi, che non sono solo date sul calendario per farci regalare dei fiori, ci si prova un pochino più forte. 







giovedì 19 marzo 2020

I classici del femminismo: Una donna

20:27
Nella mia bio di instagram sono elencate le cose a cui tengo di più: il cinema dell'orrore, i libri, lo yoga e il femminismo.
Non mi ci ero mai messa, qui sul blog, a parlare anche del resto, perché già sto dietro a fatica ai miei post soliti, figuriamoci aggiungerne altri. Di yoga continuo a non parlarne, promesso, perché sono una che lo ama tanto ma che sta ancora imparando tantissimo e non ho nessuna pretesa di avere nulla da insegnare a nessuno. Di femminismo invece bisogna parlare perché ce n'è un graaaan bisogno. E quindi eccoci qua.
Tra i buoni propositi di quest anno avevo messo quello di studiarlo anche un po', questo femminismo a cui tanto tengo, e per cominciare a farlo dovevo mettermi a leggere tutti quei classici che non avevo ancora toccato. La prima è stata Sibilla Aleramo.


Ammetterò di averlo scelto a caso. Ho molti libri sul kindle pronti per essere letti, lui era semplicemente il primo in home. Involontariamente ho fatto la scelta giusta, perché Una donna è un romanzo autobiografico, nel quale l'autrice racconta la sua vita dall'infanzia fino ad un particolare evento della vita adulta, che è anche stato quello che l'ha spinta a raccontarsi. Cominciare ad esplorare la scrittrice e attivista Sibilla Aleramo partendo dalla sua autobiografia è stato un bellissimo (e straziante) modo per conoscere prima Marta Felicina Faccio, la persona dietro il nome d'arte.

La conosciamo da bambina, innamorata pazza del papà, che la inizia ad una vita di laicità e curiosità. Siamo con lei da adolescente, assetata d'amore. Infine, vediamo la sua vita prendere la peggiore delle pieghe possibili: subisce uno stupro da parte di un dipendente del padre e finisce segregata in quell'orrore che è un matrimonio riparatore.

In tutto questo, la vediamo sgambettare inquieta cercando di accontentare tutti: cercare di essere la figlioletta prediletta prima, e la moglie devota poi. Una vita passata a cercare di rendere felici gli uomini della sua vita, per poi finire con la realtà sbattuta in faccia: gli uomini possono essere creature mostruose. Prima il padre, che abbandona lei e i fratelli per la propria libertà, riducendo la madre all'ombra di sé stessa, e poi il marito, e con questo già le premesse erano un po' quelle che erano.

La sua è una storia piena di dolore. Dopo l'infanzia felice, la realtà della vita adulta non le risparmia un colpo. Dalla violenza in poi Sibilla è una persona diversa: da bambina eccentrica e piena di vita diventa un'adolescente rassegnata, che lascia che gli eventi le accadono incapace di credere di poterli cambiare. E allora ecco il matrimonio con il mostro, che rende la violenza del loro incontro la sua quotidianità, non perché lo stupro si ripeta, anche se viene fatto intendere come lei gli si conceda sempre per dovere e mai per desiderio reale, ma perché il suo non amarla si rivela nel modo meschino degli uomini viscidi. Mancanze di rispetto, aggressività, indifferenza.
Nemmeno la nascita dell'adorato figlio Walter cambia la situazione. Se possibile, piuttosto, la peggiora. Adesso non solo Sibilla non è una donna libera, ma è anche vincolata dalla più tremenda delle catene: l'amore. Il figlio la rende vulnerabile, e quei pensieri negativi che hanno abitato la sua mente dalla violenza in poi si intensificano, fino a portarla al tentato suicidio.

Professionalmente nel corso del racconto Sibilla riesce a crearsi una vita fuori dal matrimonio, con la sua professione e la sua penna, ma il vincolo è lì, e ci resta fino a che trova il coraggio di prendere una decisione straziante: rinunciare anche al figlio, pur di avere una parvenza di libertà.
Così, per spiegare a Walter perché da un giorno all'altro si sia ritrovato senza la mamma da piccino, arriva il romanzo, che giunge a noi come la più dolorosa delle lettere d'amore.

Leggerlo oggi, che siamo così lontane ma così vicine, è un'esperienza che per una donna (in divenire, che qua nella testa siamo ancora intorno ai 15/16 anni) è importantissima. A Sibilla, per avere quello che la maggior parte di noi oggi ha, e dà per scontato, è stato richiesto il sacrificio estremo. Lasciare la sola cosa che abbia mai amato davvero, per cercare di amare un po' anche se stessa.
Le Sibille sono tra di noi, nascoste tra le mamme che recuperano i bambini all'asilo, o in fila davanti a noi al supermercato.
Tendiamo una mano, se possiamo.
Quella stessa libertà che in tante viviamo senza nemmeno rendercene conto, la meritano anche loro.

mercoledì 28 febbraio 2018

#leimeritaspazio: un'introduzione

15:44
All'inizio dell'anno Bossy, il sito sulla parità di cui vi parlo molto spesso, ha lanciato l'hashtag #leimeritaspazio.
A questo link l'articolo nel quale spiegano l'iniziativa.
Non potevo tirarmi indietro.

L'immagine, ovviamente, è di Bossy
La prossima settimana, quindi, qui nella Repubblica di Redrumia parliamo di donne.
A modo mio, ovviamente, quindi ci saranno donne del cinema e della letteratura, mentre su facebook, nella rubrica #unacanzonealgiorno ci mettiamo anche le cantanti, per non fare torto a nessuno.
Il mondo è pieno di storie di donne straordinarie, che magari hanno anche fatto cose di ben altra rilevanza rispetto magari ad un film o ad un libro.
Ma questo è quello di cui ci occupiamo qui, quindi nella settimana della Giornata Internazionale della Donna parliamo di donne dell'arte, in una specie di Storie della buonanotte per bambine ribelli in pieno stile Redrumiano.
Sangue, maciullamenti e orrore sono in arrivo.
Prendete i popcorn.

venerdì 22 maggio 2015

Del perché le femministe dovrebbero amare Game of Thrones

13:51
SE NON AVETE VISTO LA PUNTATA 5X06 FUORI DAI PIEDINI, DANKE.

Ero lì felice e beata che seguivo la mia solita programmazione, quando salgo su twitter a perdere tempo e vedo un trend BELLISSIMO: #BoycottGameOfThrones.

Come mai? mi sono chiesta. Di nuovo? Chi si è sconvolto stavolta per un paio di tette? Il Moige? L'ACR?
Peggio.
LE FEMMINISTE.

Andiamo con calma.
Io non sono femminista. Perché non sono -ISTA di niente. Non credo che le donne siano superiori, credo che le donne siano pari pari gli uomini. Alcune grandiose, alcune mediocri e alcune proprio di merda. Però ho una naturale e banalotta ostilità verso tutto ciò che è pregiudizio, clichè, rappresentazione delle femminucce mongoline.
E fin qui ci siamo.

Cosa è successo in Game of Thrones?
Hanno violentato Sansa Stark.
Cioè, hanno, è stato quel cane maledetto di un Roose Bolton. La loro prima notte di nozze. Come se le quattro stagioni precedenti ancora non ci avessero insegnato a NON sposarci. E come se la povera creatura non fosse già stata schiaffeggiata su e giù per le disgrazie come Loki sbatacchiato da Hulk.

E tutti incazzati, shockati, occesssù l'han violentata, orrore e sgomento. E io, che non sono certo una cima, mi chiedo dove stia il problema. Chiariamo, io sono una che può vedere anche persone scuoiate (oh, ciao Laugier, ti ricordo sempre con affetto) e non fa una piega ma mostratemi uno stupro e sto male per giorni. Sempre se riesco a vederlo (e di solito non riesco).
Eppure, il vedere una scena (peraltro, in modo assai inusuale per la serie di cui parliamo, non è mai mostrato platealmente, ma solo lasciato intuire) di stupro non mi colpisce come donna. Mi colpisce come persona, ma non nel mio essere femmina.
Mi colpirebbe molto di più se non se ne vedessero MAI.
Esistono, ci sono donne che se ne sono vittime, è giusto parlarne. Nasconderli sarebbe controproducente. E' un gesto terribile, impossibile da narrare. Il solo pensiero mi impedisce di trascorrere una notte serena. Ma gli stupri avvengono, e la realtà va affrontata in ogni suo aspetto.
Certo, non sto nemmeno a parlare della concezione di violenza sulle donne nel Medioevo, le scuole dell'obbligo le avrete fatte anche voi.

Parliamo allora del motivo per cui ogni femminista che si rispetti dovrebbe eleggere Game Of Thrones sua personale serie del cuore:

Arya Stark. 
La mia piccolina. Ne vado pazza. Quanto di più opposto alla damina convenzionale di corte, ha amato combattere da sempre. Determinata, testarda, con una volontà di ferro, impavida. Uno sguardo fiero sul mondo. Legata alla famiglia ma indipendente. Potente, guidata solo dall'odio. Spero che abbia trovato la sua strada.

Brienne of Tarth.
Praticamente Arya da grande. Talmente convinta dei propri desideri da convincere l'ostile padre a educarla come un guerriero e non come la lady che lui avrebbe voluto. La cosa che apprezzo di più di lei è il suo non essere omosessuale. Non fraintendetemi, chiaramente non sono omofobica. Però sarebbe stato molto, molto facile creare un personaggio femminile di questo tipo e farla lesbica. O peggio, asessuata. Invece no. Lei maneggia con le spade, ha dimestichezza con la morte, è un cavaliere, ma ama un uomo. Di un sentimento così puro, intoccabile, che vederla parlare di Renly dopo puntate dalla dipartita di lui è ancora di una tristezza incredibile.

Cercei Lannister
Na zoccola infame senza ritegno priva di ogni pudore, alcolizzata, fetente, ma con due palle sotto così.
Alla regina madre il carattere non manca, e nonostante il suo essere un personaggio così negativo, è una madre come tante: disposta a tutto per i figli.

Lady Olenna
UNA BOMBA.
Divertente, intelligente, sarcastica.
La nonna che vorrei.

Catelyn Stark
Il personaggio più umano. Forse non la personalità più prorompente, ma uno dei character più umani. Costretta a sposare un uomo che non conosceva ma che ha imparato ad amare, madre devota. Ma anche consigliere in tempo di guerra e figlia presente. L'ho amata nel momento in cui è riuscita ad ammettere la sua colpa dei confronti del giovane Snow, figlio bastardo del marito che non è mai riuscita ad amare davvero. Comprensibile e onesta.

Sansa Stark
Inizialmente la debolina. Poca personalità, poca rilevanza. Un personaggio così ci stava anche. Alla fine della quarta stagione sembra avere iniziato ad assumere un po' di Sviluppina, e adesso I am Sansa Stark from Winterfell. This is my home. And you can't frighten me.

Margaery Tyrell
Tutta la nonna. Scaltra, molto.
Sa che il suo corpo ha un gran potere, soprattutto nei confronti di un giovincello con gli ormoni che gli sudano fuori dai pori. Adoro i suoi dialoghi con Cercei, il perculo.

Danaerys
Ecco no, lei mi sta sulle balle.
Pardon.

Non c'è un personaggio, UNO, che sia una debolina senza personalità. Sono tutte a modo loro donne intense e potenti.

E, evidentemente voi femministe estreme non l'avete notato, Martin gli stupratori li odia. Ogni suo personaggio maschile è perfettamente studiato in modo che il suo essere 'positivo' o 'negativo' sia determinato anche dal suo modo di trattare le donne.
Guardate Jeoffrey, che messo per la prima volta a contatto con delle prostitute le costringe a farsi del male. O Roose Bolton, appunto, che alla prima notte di nozze violenta la moglie.
E ammirate come Tyrion, il Mastino, a modo suo anche Jaime, o ancora Drogo non abbiamo MAI sfiorato una donna con scopi violenti. (Certo, Drogo porello era maleducato dai quegli zotici dei suoi compagni, poi col tempo si è fatto placare dalla biondina). Tyrion si è tenuto ben alla larga dal toccare la moglie quando si è trovato maritato ad una ragazzina. Il Mastino non solo ha difeso la stessa mogliettina di Tyrion da un tentativo di violenza, ma ha protetto fino alla morte (NE PARLEREMO, DELLA MORTE DEL MASTINO) la piccola Arya. Jaime ha dimostrato affetto e mentalità aperta nei confronti di Brienne, nonostante il rapporto sia nato con dei gran perculi. L'ha trattata da compagna, da complice, all'altezza della situazione, non come un personaggio inferiore. Come fa il tenero Podrick. I personaggi intelligenti non maltrattano le donne, in Got, è talmente ovvio che Martin non ha mai avuto bisogno di sottolinearlo.

Mica è colpa sua se voi non capite niente.

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