venerdì 30 dicembre 2022

Carla, una ragazza del novecento: il podcast

 



In tanti anni di blog non credo mi fosse mai capitato di dedicare un post intero ad un podcast, ma sono reduce dall'ascolto dell'ultimo episodio di Carla, una ragazza del '900, il prodotto di Sara Poma, e ho tanta voglia di parlarne. 
Che questo mi sia di lezione, tra l'altro, perché ho giusto appena pubblicato il post sui preferiti dell'anno e subito dopo scoperto il miglior prodotto audio del periodo.

Carla, composto da - soli, sigh, 8 episodi, è il racconto di una vita. Carla è la nonna materna di Sara, la creatrice del podcast. Nel 1992 ha deciso di raccontare la sua vita in un testo, scritto a mano e corredato di fotografie. Anni dopo la nipote ha deciso di raccontare la storia che ha trovato nel quaderno, che è una storia ordinaria e, proprio per questo, straordinaria.
Viene da riflettere, ascoltando questo lavoro magnifico, che ruolo abbiamo nel mondo. In un pianeta abitato da miliardi di persone, in cui io spesso mi sento il carico dell'enormità dell'umanità, di fronte al quale mi sento piccola e invisibile, viene da riflettere sulla nostra presenza, sul nostro - eventuale - impatto, su cosa conta essere così piccoli in un mondo così grande. La storia di Carla è la storia di una donna qualunque, ammesso che tale concetto esista davvero, che esistano persone qualunque. 
Eppure ci arriva da qualcuno che Carla l'ha molto amata e di conseguenza la rende la sola storia degna di essere raccontata. Allora, forse, tenendo presente tutto questo amore, tutto assume un significato differente. I piccoli membri delle storie ordinarie diventano una rete intera, composta di esistenze congiunte che, insieme, formano l'umanità intera. E quindi, di qualunque, non c'è proprio nessuno.

Nel racconto di Carla incontriamo anche altre vite: quella del marito Felice e del fidanzato Beppe, della figlia Marisa, del genero, del padre, delle nipoti. Insieme, una piccola società, di quelle che, messe tutte insieme, sorreggono sulle spalle il peso del mondo. I due racconti, il manoscritto e il podcast, sono tutti basati sull'immenso amore che ha legato le persone coinvolte. Anzi, non sull'amore, sul bene. Carla, parlando degli uomini che hanno segnato la sua vita, non parla mai di innamoramento, se non in un breve passaggio sul marito che l'ha lasciata vedova troppo presto. Usa spessissimo l'espressione voler bene. Forse è una scelta dettata da differenze di espressione, ma in un momento storico (il mio da ascoltatrice) in cui siamo soliti gridare all'amore furioso, sguaiato, folle, questo modo più umile se vogliamo di riferirsi al sentimento che sorregge le sorti del mondo mi ha scaldato il cuore. In un momento in cui l'amore era un privilegio (per capire cosa intendo, Jennifer Guerra nel suo Il capitale amoroso ne parla approfonditamente), sapersi voler bene era un grande dono. E Carla, di bene, ne ha voluto tanto. Nel suo manoscritto non parla di vicende romanzesche, di amori selvaggi e tormentati, ma racconta la magnificenza dell'ordinarietà. Racconta di relazioni iniziate al bar di paese, di un marito conosciuto tramite amici comuni, di incontri casuali. Parla di relazioni in cui non ci si gridava parole di passione, ma in cui si vivevano situazioni comuni, quotidiane, spesso tribolate. 
Anche nel parlare della figlia, quello che emerge non è una narrazione moderna della maternità, ma piuttosto una definizione concreta e dolorosa di cosa significhi volere il bene dell'altro. La sua Marisa è cresciuta con i nonni, perché il lavoro la teneva lontana da casa. Si sono tanto amate (volute bene) ma si sono vissute poco. E persino riferendosi ai suoi genitori, quello che emerge è senso di colpa, eterna riconoscenza, bene. 

Questo perché Carla ha vissuto in un momento in cui quelle come lei, cresciute e vissute senza una lira, non avevano il privilegio della scelta. Ha preso il primo lavoro disponibile, che nonostante condizioni che oggi riconosciamo essere di grave sfruttamento le piaceva molto, ma ha vissuto lontana dalla sua famiglia tutta la vita. È stata sottoposta a umiliazioni, orari indecenti, richieste scandalose da vicini di casa molesti. È stata una donna in un momento in cui esserlo era ancora di più difficile di quanto non lo sia oggi. Mai una volta, però, nel suo racconto, si respira un momento in cui si concede di lamentarsi. Riconosce grandi momenti di sconforto, racconta la difficoltà e i momenti complessi, con lo stesso tono molto consapevole di quando racconta che col coltello tra i denti li ha superati tutti quanti.
Nelle ultime righe, quando il suo racconto volge alla conclusione, Carla si fa quasi un plauso. È stato difficile, ma ha vinto tutto. È riuscita a condurre una vita dignitosa, ad essere persino, in qualche momento, felice. Ma soprattutto è fiera di sé, di essere, prima di tutto, una persona buona, capace di farsi rispettare quando necessario ma col cuore sempre aperto per gli altri, per la sua grande capacità di volere bene. 

Gli ultimi momenti dell'ultimo episodio sono condotti solo dalle parole di Sara, che ricorda cosa ne è stato di Carla dopo la stesura del diario, e come sono passati i suoi ultimi anni. Infine, ci lascia con quelli che sono stati gli ultimi momenti con questa nonna bella e buona e il dolcissimo amore con cui la ricorda mi hanno, insindacabilmente, convinta che in quel tipo di bene lì stia tutto il senso della nostra permanenza qui. 

2 commenti:

  1. Arrivo a commentare dopo un mese, ma il motivo è che volevo prima ascoltarmelo il podcast di cui hai parlato con così tanto entusiasmo. Ho finito oggi l'ultimo episodio, rientrando in auto dall'ufficio, e non nego, nella solitudine della mia scatola di latta, di essermi lasciato sfuggire una lacrimuccia. Una vicenda pazzesca presentata in una maniera incredibile (la voce dell'attrice che ha impersonato Carla era davvero azzeccata, quasi come se fosse davvero la protagonista a parlare in prima persona). Non c'è molto che io possa aggiungere a quello che hai già detto tu. Dispiace solo che di storie del genere se ne sarebbero potute raccontare migliaia (i nostri nonni e i nostri genitori non hanno vissuto vite troppo diverse) ma, evidentemente solo pochi hanno trovato il coraggio, decenni più tardi, di riaffrontare anche solo con il ricordo, periodo così bui.

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    1. Chissà quante Carle avremmo potuto conoscere, se tutte quante avessero sentito il bisogno di raccontarsi quanto lo ha avuto la Carla originaria. Però come hai detto tu, riaffrontare e ricordare sono azioni complicate, e il fatto che lei si sia sentita di farlo ci ha concesso l'enorme privilegio di conoscere una vita intera.

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