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giovedì 10 ottobre 2019

Signore e signori, Alan Bennett

11:10
Che Alan Bennett fosse il genere di scrittore che piace a me lo avevo capito subito, quando ho letto La sovrana lettrice. 
Ora, con Signore e signori, è diventato uno dei miei preferiti.


Trattasi di una raccolta di sei monologhi per la tv scritti dal Nostro.
Quello uscito con Adelphi è un volumetto piccino, che si legge in un paio d'ore, ma che mi ha lasciato tante cose su cui pensare e quindi tanto di cui parlare.

Prima breve considerazione: io in digitale leggo spesso in inglese, in copia fisica in italiano, semplicemente perché i libri li compro usati e trovo più cose in italiano. Da quando leggo in inglese, però, noto il lavoro del traduttore più di quanto non facessi prima, ovviamente, e in questo caso io la traduzione, a opera di Davide Tortorella, l'ho adorata.
Per farvi un breve esempio: il primo monologo è quello di Peggy, una donna come tante (che è anche il titolo del monologo). Peggy parla mettendo gli articoli davanti ai nomi propri femminili, usa parole come moroso e riporta i dialoghi letteralmente. Io sono cremonese, e questa donna ha il mio linguaggio, e se da un lato capisco che ad un pugliese o ad un sardo possa fare meno effetto, per me è stato come leggere la storia di una delle "mie" signore. Finito il monologo ero commossa fino alle lacrime per Peggy, e la conoscevo solo da qualche pagina.

Non pensiate che la commozione sia dovuta solo alla familiarità linguistica. Ogni monologo ha una svolta inaspettata e amara, che ne cambia completamente il tono e lo rende così umano che è impossibile non amarli tutti quanti. I personaggi ritratti sono una variegata rappresentazione di quello che siamo, sono di età, generi e provenienza differenti, sono buffi, dolci, ingenui. A volte è sgradevole leggerli ma si finisce sempre, anche con quelli che ci possono apparire meno piacevoli, per provare una grande compassione per loro e le loro sofferenze.
C'è la signora che si crede fondamentale, quella che non crede lo siano gli altri, quella che si sopravvaluta, il giovane ignaro della gravità della sua situazione, l'alcolizzata inconsapevole. In ogni, breve, racconto incontriamo non solo la persona che parla ma spesso la sua comunità: vicini di casa, parrocchiani, compagni di stanza d'ospedale, crew. Non siamo mai soli, eppure in qualche modo lo siamo sempre, e i nostri personaggi, raccontandosi, ci mostrano come dentro ai nostri pensieri non ci siamo che noi, e che quello che ci succede intorno spesso non lo sappiamo leggere.

Quello che è ancora più interessante, oltre ai monologhi, sono le introduzioni.
Sono due, e Bennett le sfrutta in modo straordinario. Ci parla di come il monologo sia una diversa forma di narrazione, che non può prevedere narratori affidabili nè il linguaggio completo della prosa, che richiede al lettore uno sforzo di immaginazione e di comprensione in più. La storia ci è raccontata da un punto di vista parziale e spesso inconsapevole, sta a noi completarla, e questo per me è stato interessantissimo. Il solo monologo che avevo mai letto è Dolores Claiborne, e le cose sono troppo diverse per paragonarle. In questi brani l'immedesimazione nella persona che parla è totale, l'empatia stuzzicata a livelli inimmaginabili, e la breve esperienza di lettura è una delle più commoventi che ho fatto durante l'anno. Il tono colloquiale, le storie quotidiane, l'inconsapevolezza di cui sono composti rende questi monologhi speciali, e non fa che confermare che quella di Bennett deve essere un'anima candida. Ne abbiamo un piccolo assaggio, durante le introduzioni, che non solo parlano di cosa rappresentano questi racconti ma regalano anche piccoli accenni alla vita dell'autore.
Che piccolo tesoro sto volumetto.



(Scopro dopo avere pubblicato il post che ci sono su Youtube i monologhi letti da volti noti della tv inglese: mi do al binge watching e lo lascio anche a voi: li trovate qua)

mercoledì 31 gennaio 2018

La sovrana lettrice, Alan Bennett

13:30
Su Twitter impazza l'hashtag #LettureBrevi.
Ecco il mio richiestissimo consiglio.

Come al solito con i libri, partiamo da una situazione tipo.
Domenica mattina. State facendo una colazione placidissima, con la vestaglia di pile, il tè fumante e il gatto appollaiato sui piedi. Ve la sentite super regale.
Tiè, libriccino sulla monarchia.

Elisabetta II nel sorriso rassicurante con cui la conosciamo
La regina Elisabetta scopre, casualmente, che per Buckingham Palace gira un furgoncino - biblioteca. Ne fruiscono spesso i suoi dipendenti, e decide di prendere un libro a sua volta.
Così, per provare.
Nasce in lei una passione bruciante e quasi invalidante, che la rende inadatta al suo ruolo e assolutamente priva della voglia di fare qualsiasi cosa non includa la presenza di un libro.
Quando sei la Regina di una delle nazioni più importanti d'Europa, però, non è così facile sottrarti ai tuoi doveri.

In una cinquantina di pagine Alan Bennett tira fuori il meglio di sè.
La storia della passione di Elisabetta per i libri è spassosissima, con scene iconiche che vi torneranno in mente ogni volta che vedrete il suo volto, con una cura per i dettagli della vita di corte importantissima ma che passa in secondo piano rispetto all'assurdità, verosimilissima, della vicenda.
Ci sono impegni pubblici, navi da varare, personalità internazionali da incontrare, politici da ascoltare e una famiglia di sfondo di cui occuparsi.
Ma niente, niente, ormai conta più per Elisabetta.
Il sacro fuoco della lettura si è acceso, e ci sono anni, decenni, di lacune da colmare.
In breve tempo chiunque inizia a detestare la Regina, che non solo non fa altro tutto il santo giorno, ma che inizia a mettere a disagio chi questi libri non li conosce proprio. Domande inquisitorie, interrogatori, giudizi. Chiunque entri a contatto con la principale degli Uncommons (uno dei motivi per cui il libro si chiama così) è posto sotto il suo insindacabile giudizio. Se non leggi o non conosci uno degli autori preferiti della Regina, considerati fuori.
Se le rompi le scatole, considerati fuori.
Che vita meravigliosa, Lilibeth.

Oltre alle buffissime situazioni in cui Bennett pone la Regina, il libriccino è una lettera d'amore per la letteratura di una bellezza delicatissima.
Senza lo snobismo tipico di chi legge e se ne vanta, Bennett parla con grande amore dei grandi del passato (Eliot, Proust, Shakespeare...) ma strizza l'occhio ai nostri contemporanei, come Alice Munro, Kazuo Ishiguro e, figuriamoci se poteva mancare, Philip Roth, con un particolare accenno al fatto che forse Il lamento di Portnoy non è una lettura adatta alla Regina in persona.
Con una sola frase celebra i benefici della lettura, e la fa dire proprio ad Elisabetta, che riflette sulle conseguenze della sua nuova passione, e con le sue parole vi saluto, che tanto tutto quello che conta sta scritto qui:
È possibile che io mi stia trasformando in un essere umano. Non sono convinta che si tratti di un cambiamento auspicabile.

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