lunedì 16 ottobre 2023
sabato 6 novembre 2021
Ultima notte a Soho
I post su un film singolo sono sempre più rari da queste parti. Capita più spesso che io vomiti le mie opinioni in qualche video su instagram, ultimamente.
Eppure questo è l'ultimo Edgar Wright, e chiunque abbia mai letto anche solo un paio delle baggianate che scrivo qua su sa che la mia ossessione per lui è senza fine. In mezzo agli altri registi del mio cuore, che sono poetici e drammatici e dolorosi e mi spaccano il cuore ogni volta, Wright è la mia nota felice, il mio tocco di colore, la mia vivacità.
E poi ha fatto Ultima notte a Soho e io ho capito che allora devo proprio avere un debole per quelli che prima o poi finiscono per farmi un po' del male, anche quando sono i più frizzanti, creativi e colorati registi della loro generazione.
Ellie è una giovanissima aspirante stilista che viene accettata in un prestigioso istituto di moda a Londra. Parte dal suo piccolo villaggio in Cornovaglia, in cui viveva sola con la nonna a seguito del suicidio della madre, per iniziare a vivere il suo sogno. Ellie, però, ha anche il dono di vedere chi non c'è più e questo preoccupa la nonna, che teme che l'esperienza della grande città possa essere un po' troppo per la nipote, e che la conduca alle estreme conseguenze che l'hanno resa orfana. Dopo un inizio burrascoso, però, Ellie inizia una vita felice a Londra, fatta di nuove conoscenze, un monolocale come lo aveva sempre sognato e soprattutto le visite notturne di Sandy. Ellie inizia a vederla in sogno e a ripercorrere la sua vita nella Swinging London degli anni '60: locali, danze, uomini avvenenti, musica da sogno e soprattutto tanti sogni da realizzare. Peccato che per una donna, negli anni '60, in un mondo complesso come quello dell'intrattenimento, esaudire i propri sogni sia rischioso, e sia Ellie che Sandy lo impareranno a proprie spese.
Ellie ci viene presentata come una sorta di Pollyanna, troppo ingenua e "all'antica" per potersi davvero sentire a proprio agio in mezzo allo spumeggiante mondo di un istituto di moda. Le ragazze la snobbano, la città è tanta, troppa, e la nonna lo sente che la sua nipotina non se la passa proprio benissimo. E qui Wright mi poteva cadere nel primo tranello che invece schiva con la maestria di cui è capace. Ellie è una diversa, ha vestiti che le compagne 2 cool 4 school trovano imbarazzanti, ama cose che i suoi coetanei attribuiscono alle nonne, non conosce competizione, sembra una sprovveduta. E per qualcosa come 25 secondi cadono quasi le braccia, per questi ritratti così stereotipici della gioventù (disse lei, vestita da signor Burns che fa quello young con la maglietta col teschio). E invece Ellie non solo non è una sprovveduta, ma è anche una persona che dalla sua diversità è stata in grado di trarre enorme forza. Non appena esce dallo studentato così lontano da lei ed entra nel monolocale così affine alla vita che aveva sempre sognato, ricomincia a sorridere. Non appena la Londra degli anni '60, che lei ha sempre guardato con la nostalgia dolcissima che si ha verso qualcosa che non si è mai sperimentato, entra nella sua vita attraverso i suoi sogni, lei diventa più ispirata negli studi e nelle sue creazioni, si cerca un lavoro e pertanto si ritaglia il suo posto nella società. La piccola Pollyanna della Cornovaglia cambia colore di capelli e si sente un'altra, finisce a lavorare in un pub in mezzo a ubriaconi e uomini dalle mani lunghe, crea abiti magnifici e si addormenta la sera sorridendo. Diventa se stessa abbracciando quello che solo pochi giorni prima la faceva sentire inferiore, la metteva a disagio. Accogliendo se stessa, diventa più consapevole, più forte, più adulta. Fino al finale, di cui parleremo in zona spoiler, che è il perfetto coronamento di un percorso magnifico, in cui una ragazza diventa donna prima di tutto permettendosi di essere quello che desidera essere. Una storia che già così sarebbe eccezionale.
La storia, però, ovviamente, non si ferma qui, e Sandy entra in scena. Il contrasto tra le due è potente tanto quanto quello tra Mila Kunis e Natalie Portman ne Il cigno nero. Una dimessa, quieta, con un grande sogno ma ancora senza la grinta di realizzarlo e l'altra invece sicura di sé, del proprio carisma, della propria personalità, sicura che i sogni per lei siano ad un passo dall'essere realizzati. Thomasin McKenzie ha il faccino piccolo e pulito di chi viene troppo facilmente preso di mira dai bulli, Anya Taylor-Joy la più peculiare e affascinante faccia della Hollywood di oggi. Nello specifico, e so che è un'ovvietà ma voglio essere anche io a sottolinearla, in questo film Taylor-Joy è di una bravura fuori dalla norma. I suoi occhi, solo i suoi occhi, nelle due ore di film attraversano un gigantesco range di emozioni: determinazione, passione, sicurezza, innamoramento, frustrazione, dolore, rassegnazione, disperazione. Ha il viso irrigidito da quello che le accade ma con gli occhi spazia in modo infinito, e lo sguardo della scena finale è così forte da valere la visione intera.
Insomma, fino a ieri Wright ha parlato solo di uomini: cazzoni, brillanti, scemoni, teneri, falliti, maschi inglesi. Le donne dei suoi film sono sempre state marginali, spesso sono state o le compagne scassacazzi o la grande passione di un uomo disposto a tutto per la sua donna. Individui irrilevanti.
Questa volta ha deciso che voleva parlare di noi e quanto vorrei che lo avesse fatto prima. I ritratti di tutte le donne coinvolte sono profondi, intelligenti, mai banali. Parlano di una e di tutte, universalizzando l'esperienza femminile in un mondo che ancora non è pronto a darci lo spazio che invece noi siamo da sempre pronte a prenderci. La storia di Sandy è la storia di una donna che ha tutte le carte in regola per farcela: è bellissima, ha carisma, ha tanto talento. Quello che le manca è lo spazio, e per quello deve affidarsi ad un maschio, Jack (persino il nome è banale, perché è uno, ed è tutti loro. Un Jack qualsiasi). E quando di un maschio hai bisogno, non finisce mai bene. Ne diventi la bambola, la marionetta, la pedina. Non è certo un caso che nel suo primo spettacolo Sandy sia proprio questo: una di quelle bambole con il grosso ingranaggio sulla schiena. È già nelle sue mani.
(Dettaglio assolutamente superficiale, ma che devo dire: io Matt Smith lo amo da quando gridava "Geronimo!" con un fez sulla testa, ma bello quanto in questo film credo di non averlo visto mai. Ha il viso particolarissimo ed ambiguo che lo rende la sola scelta possibile credo per questo personaggio. Così come perfetto il suo Charles in The Crown. Questi ruoli controversi gli riescono che è una meraviglia e i suoi lineamenti anomali giocano sempre a suo favore.)
Prima di inoltrarmi in zona spoiler, una breve conclusione per chi non può ancora proseguire nella lettura: Ultima notte a Soho non è solo la conferma che Edgar Wright sia una delle voci più brillanti della sua generazione. È un film potentissimo, in cui la sua cifra stilistica è ovviamente ben evidenziata (e d'altronde oggi quell'estetica qui ce l'ha solo lui) ma che stavolta è applicata in un film che pur avendo i suoi momenti si allontana dal grassissimo divertimento che da lui ci aspettiamo. Questo è un film doloroso, in cui le parole delle donne sono messe in discussione, le loro esperienze zittite, ma che in qualche modo traggono dalla loro esperienza tutto quello che serve loro per diventare più potenti, più sicure. Una storia che parla di come si fa a diventare quello che vogliamo essere, di come spesso non sia possibile, con una messa in scena che ci fa solo sognare tutto quello che Wright ci potrà dare in futuro. È un film dalla bellezza sfolgorante, che rappresenta l'ennesimo passo in avanti di un tizio che francamente le cose splendide le fa da sempre. I film di Edgar Wright sono le opere di un genio. Un genio che gioca con le immagini, che le sfrutta come pedine per rendere non solo i suoi lavori esteticamente superiori a quasi tutto il resto, ma anche per rendere la visione un'esperienza unica.
Per amore del cielo, e per amore del cinema, Edgar Wright andatelo a vedere in sala. Se ne esce ubriachi, dell'ubriacatura più bella possibile.
Ma adesso parliamo anche della fine del film, che è stata così criticata a Venezia e che è invece così importante. Da questo momento, naturalmente, l'allerta spoiler è massima.
In una scena tra le più potenti che ho visto al cinema di recente Ellie assiste all'omicidio di Sandy, ormai costretta da Jack a prostituirsi, proprio per mano del suo sfruttatore. Sul finale, però, in un cambio di rotta straordinariamente ben giostrato, scopriamo che Ellie non ha visto quello che è realmente accaduto, ma che anzi è stata Sandy ad uccidere Jack. Non solo, però: Sandy col tempo è diventata una serial killer, che ha ucciso tutti i ripugnanti uomini che le usavano violenza.
Sì, perché il sex work è lavoro e da queste parti rispettiamo le sex worker. Quelle volontarie, però. Quelle costrette, per abusi di potere, bisogni economici, vigliaccheria, soprusi, relazioni violente, sono vittime. E Sandy, per un po', vittima lo è stata. Seduta sul divanetto del locale a fingere di dover conquistare uomini che già ben sapevano di poter disporre di lei come credevano, che inscenavano una farsa di flirt per sentirsi meno viscidi, per convincersi che lei, in fondo, lo voleva. Fino a che ha deciso che era il momento di smetterla, e tutti quegli uomini che avevano abusato di lei sono diventati i fantasmi senza volto che abitavano gli incubi e le giornate di Ellie. La scelta di privare questi uomini della propria identità è perfetta. Sandy è stata privata della propria molto tempo prima. Non solo non era più la persona piena di vita e ambizione che era sempre stata, ma era diventata la marionetta nelle mani di qualcun altro. Poteva presentarsi con ogni nome, perché la sua identità era irrilevante. Poteva essere Alex, Alexia, Lexi. Non sarebbe mai stata lei. E per loro, per gli uomini sul divanetto intenti ad offrirle un drink, non aveva nessuna importanza. E lei li ha ripagati con la stessa moneta, annullandoli. Perché quegli uomini lì, quelli bianchi, pieni di soldi, sicurezza e potere, sono tutti la stessa cosa, ed Edgar Wright ha dimostrato di saperlo molto bene. Sono tanti, ma sono sempre lo stesso. E Sandy li ha uccisi tutti. Riprendendosi il suo nome, la sua autonomia, la sua vita. I suoi sogni non si sono realizzati, no, ma con ogni probabilità non si sarebbero realizzati mai, non senza un atroce prezzo da pagare. Sandy, Alexandra, è tornata libera, e chissà quante altre come lei sono state liberate dai suoi omicidi. Almeno nei suoi locali, tra le sue colleghe, nella Londra degli anni '60. Le altre, di Sandy, ci stanno ancora combattendo, contro i loro Jack, ma lei, almeno sullo schermo li ha ammazzati tutti, in un tripudio di sangue, rivendicazione, liberazione, catarsi. E quando, nell'ultimissima scena, Ellie e Sandy si guardano di nuovo, lo sguardo non è più disperato, non è rassegnato: è potente.
È potente Sandy, che è morta libera, ed è potente Ellie che libera ci vive. Libera da chi la vorrebbe diversa, libera dal sospetto di essere matta, libera dalla paura.
Ultima notte a Soho è magnifico, ma in fondo che ve lo dico a fare.
Lo sapevamo già.