Gli anni '30: Tod Browning in MGM - Freaks e gli altri
MGM prima di Tod Browning
Tod Browning prima di MGM
Il trio infernale
MGM prima di Tod Browning
Tod Browning prima di MGM
Il trio infernale
![]() |
perché con una faccia così non si sia messo a recitare per sempre ma solo a dirigere è un mistero e un nostro grande privilegio La vita |
Deprive the average special effects film of its visual tricks and you rob it of its heart and soul. The Invisible Man, Universal’s superb 1933 filmization of one of H.G. Wells’ most enduring novels, is a firm exception to this rule. Its gripping narrative, masterful direction and believable performances elevate the film beyond mere novelty, and hold up alongside the unerring technical effects for the audience’s attention. One of the handful of fantastic films unblemished by the ravages of time, The Invisible Man is a monument to the genius of four remarkable artists: Director James Whale, screenwriter R.C. Sherriff, special effects ace John P. Fulton and star Claude Rains.
Il modo in cui mi sono lasciata per ultimo l'Espressionismo Tedesco dandomi così modo di fare un post di collegamento tra USA e Europa mi commuove quasi. E io il post lo avevo lasciato ultimo solo per farlo la stessa settimana della live su Nosferatu, quindi posso commuovermi per la coincidenza perché non ne ho alcun merito.
Questa settimana vediamo come il cinema dell'orrore (ma anche il cinema tutto) sarebbero stati radicalmente diversi se la Germania degli anni '20 non avesse fatto schifo e non avesse costretto tanti dei suoi talenti ad andarsene dall'altra parte dell'oceano.
Come al solito, c'è una playlist sul mio canale youtube, che trovate a questo link.
* Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014
Out of Many, One: European film-makers construct the United States
* Tortolani, E., Norden, M., Refocus, The Films of Paul Leni, Edinburgh University Pr, 2021
Lo sapevo che questo momento non poteva ritardare troppo. Ho cercato di procrastinare e rimandarlo il più possibile, ma non potevo iniziare il secondo mese dedicato al cinema muto con qualcosa che non fosse l'Espressionismo Tedesco, la prima e forse l'ultima volta fino ai tempi recenti in cui il cinema dell'orrore è stato considerato come una cosa seria da persone intellettuali. Lungo il post capirete perché ho aspettato proprio questa settimana.
Poiché questo è forse il movimento più chiacchierato e studiato di sempre, metto le fonti ad inizio post. Internet è ricolmo di informazioni sui tedeschi più famosi di sempre, io mi limito a farne un post giusto per dovere di completezza e che butto in caciara giusto per non soccombere all'ansia. Vi lascio però una serie di testi (seri, giuro) che possono interessarvi se volete approfondire quello che l'Espressionismo è stato per il cinema tutto.
Come sempre, i link con l'asterisco sono affiliati Amazon. Se acquistate da questo link io prendo una piccola percentuale che mi può aiutare a proseguire in questa missione nella storia. Grazie se lo farete!
* Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014
* Kracauer, Siegfried, Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, Lindau, 2007
Questa intervista di Friedkin a Fritz Lang
Perché proprio in Germania?
Prima della Prima Guerra Mondiale non interessava troppo agli amici tedeschi il cinema. Erano un po' in ritardo rispetto al resto d'Europa, c'avevano le Cose Serie da fare. Tra le Cose Serie, una guerra da scatenare (scherzo, lo so che le cose sono più complesse di così, ma possiamo ammettere in tutta serenità che i tedeschi rompevano i coglioni a tutti), che poi hanno finito per perdere in maniera proprio bruttarella e lasciando la popolazione inguaiata e con anche una stima ai minimi storici per l'autorità. Ci stupisce? No, noi stiamo ancora a quel punto qua, figuriamoci.
Come sopravvive il popolo a tanto dolore? Con gli strumenti che ha: magia, misticismo, credenze popolari, fantasia, irrazionalità. Sorprende quindi che sia proprio un movimento come l'Espressionismo a nascere in questa fase?
I tedeschi non avevano più una lira, ma la cosa al cinema andava benissimo così, e il motivo è semplice: per prima cosa si esportavano i film a prezzi concorrenziali (e la storia ci insegna quanti film abbiamo salvato solo grazie all'esportazione), e soprattutto la gente aveva già capito che l'evasione a poco prezzo che il cinema poteva offrire è salvifica quando tutto il resto della vita è da prendere e buttare nell'umido. Del resto la storia delle storie è la più vecchia del mondo: ne abbiamo bisogno da sempre.
In Germania quindi succedono due cose: il governo blocca l'importazione durante degli guerra (e quindi se vogliamo i film ci tocca farceli) e nasce una casa che ci regalerà la gran parte delle cose di cui parleremo in questo post, la UFA, il cui nome completo non scriverò perché il tedesco non è una lingua, è una condanna a morte.
Insomma, se qualche silver lining in quella montagna di merda che è stata la prima guerra mondiale vogliamo trovarlo, questo è il cinema tedesco.
Sì ma l'Espressionismo cos'è?
Lo sapete cosa so io di storia dell'arte?
Nulla, manco studiata al liceo perché io ho fatto un liceo della mutua. Quindi vi riporto una definizione bella a modino di Film Inquiry:
German expressionism was an art movement that began life around 1910 emerging in architecture, theatre and art. Expressionism art typically presented the world from a subjected view and thus attempted to show a distorted view of this world to evoke a mood or idea. The emotional meaning of the object is what mattered to the artist and not the physical reality. While already making waves in the art world, expressionism would really come into its own when expressed in cinema.
Per metterla giù un po' più concreta: si usano, nell'arte come nel cinema, segni distorti, che esasperano i sentimenti, ignorando in maniera spudorata il buonsenso e la logica. A noi quella roba non piace, lasciate il realismo ai noiosissimi italiani. Per fare degli esempi di cosa si intende quando si dice così, se li volete riportare alla vostra crush del Dams, la soluzione è guardare Caligari, che sarà pure scontato ma è quello che fa sempre fare bella figura.
Il dr. Caligari e il suo gabinetto sono un'esperienza cinematografica unica nella sua specie, come La passione di Giovanna d'Arco era stata la scorsa settimana. Io ho avuto la fortuna sfacciata di poterlo vedere in un cinemino con gli studenti di Musicologia che suonavano dal vivo, e non assomiglia a nient'altro. Ne Il gabinetto del dottor Caligari il ritratto fedele del mondo viene volentieri sacrificato in favore di scenografie che contribuiscano a costruire anche in noi poveri spettatori ignari la totale alterazione della realtà. E del resto parla di ospedali psichiatrici e di persone instabili, non poteva che renderci il più possibile simili a loro. È tutto storto, allungato, dalle mie parti si dice che è tutto di bighega. Se avete poco tempo per prepararvi all'appuntamento, vedete lui e basta, che tanto è di quello che si finisce sempre a parlare. Poi dipende tutto dalla persona che avete davanti, ma se volete fare i goliardici e suscitare forti reazioni, buttate lì che solo Shutter Island ha reso giustizia al film di Wiene, e guardate la rivolta dell'intellettuale medio iniziare.
Per Roger Ebert è lui, Caligari, il primo vero film dell'orrore. Ormai abbiamo visto che la storia è ben più complessa di così, ma è indiscutibile che abbia segnato un punto di svolta senza precedenti.
Certo è che Caligari è un film parecchio pessimista, cinico, infelice. E il fatto che sia anche questo lo rende un ottimo portavoce di tutto il movimento, che di sicuro non è caratterizzato dalla profonda fiducia in un futuro migliore. Lo sconforto regna sovrano. Prima della triste storia di Cesare e Franz, c'era stata quella di Balduin, e già se parlate di lui che è meno noto al grandissimo pubblico un paio di stelline con la crush me le guadagnate. Balduin è Lo studente di Praga, un infelice poveraccio che si innamora di una donna che non si può permettere di desiderare. Balduin e la sua storia ci permettono di aprire un milione di temi, ma ne vediamo solo due. Il primo è Paul Wegener, ma su di lui torniamo dopo. Il secondo è uno dei temi ricorrenti dell'Espressionismo: il doppio. Balduin per avere soldi facilmente cede ad un misterioso individuo il suo riflesso allo specchio, e non esiste al mondo un solo caso in cui la faccenda si possa risolvere felicemente. La storia di un amore triste, di un'ambizione punita, di un futuro bruciato, che Stellan Rye racconta è un esempio molto classico del movimento tedesco, perché pur non arrivando mai agli estremi estetici dei suoi film più celebri è un ottimo riassunto di tutti i suoi temi principali: il patto con il diavolo (o con chi per esso), la perdita dell'identità, l'ineluttabilità del proprio destino. Non ci sono quasi mai creature soprannaturali, in questo cinema, il terrore deriva dal perdersi, dal vendersi, dal non sapere più chi si è, e davvero non stupisce che sia così, in un momento di identità nazionale così compromessa come può esserlo solo dopo una guerra da cui si è usciti distrutti.
Sono le persone smarrite ad essere le protagoniste, le persone che non riconoscono più se stesse, come il protagonista de Le mani dell'altro, un pianista che perdendo le proprie mani perde anche la propria identità. Gli vengono donate le mani di un assassino condannato a morte poco prima, e la faccenda giocherà brutti scherzi alla sua psiche compromessa. Ora, ci siamo detti che in questo periodo serviva evasione, serviva allontanarsi dal reale per respirare un po'. Questo è vero, ma solo per un po': non si poteva lasciare la sala credendo che avere delle nuove mani installate al posto delle proprie rendesse un mostro, così come non si poteva lasciar credere che esistessero medici pronti a far uccidere le persone ai loro pazienti sotto ipnosi. Nascono così alcuni dei finali più sconvolgenti e oggi noti del cinema, in cui con un twist si riporta tutto al piano della realtà: ti sei divertito con la storia di Cesare? Perfetto, però ricordati che è il frutto della mente di un folle. E le mani del povero Orlac? Solo un piano diabolico congegnato per estorcergli denaro. Perché va bene divertirsi ma sempre entro un certo limite.
I personaggi chiave, un mini elenco per distinguerli
che faccio in elenco puntato perché davvero, per parlare di tutti in modo approfondito avrei dovuto mettermi in malattia al lavoro
Il grande assente
È sotto gli occhi di tutti che in questo post manchi uno dei più grandi esponenti dell'Espressionismo, Murnau. Non è un caso, ovviamente. Oggi, però, il 4 marzo 2022, il suo film più famoso, Nosferatu, compie cento (CENTO) anni, e ieri sera per celebrare questa occasione che ci è parsa un pochino dimenticata, io e il mio amico Sauro, che potete leggere a questo link, abbiamo deciso di farci su una bella chiacchierata su Twitch, che se vi fa piacere vi lascio qui sotto.
Io naturalmente in questo post sono stata sintetica e stupidella, perché l'Espressionismo è un fenomeno a cui la gente dedica anni interi di studio che in nessun modo potevano essere riassunti in un post solo. Però non mi sarei mai sentita a posto con la coscienza se non avessi almeno detto due parole in croce sul tema, e soprattutto se non avessi reso giustizia a Bug, l'uomo d'argilla.
Ogni volta che il cinema scandinavo ha 5 minuti da riempire, brucia una strega.
Così sembra avere detto Elizabeth Dylis Powell, storica critica cinematografica del Sunday Times, parlando de Il settimo sigillo.
Dylis Powell non aveva torto. Di streghe temo che ne abbia bruciate un bel po' tutta l'Europa, ma l'entusiasmo con cui la cosa è stata messa in scena nelle fredde terre del nord è insuperato.
Certo non è un caso. Lo è mai? La Scandinavia è stata una delle ultime regioni a convertirsi al cristianesimo, e aveva una cultura pagana potentissima. Uno dei principi fondanti della SaNtIsSiMa religione cristiana è il perdono, concetto interessante da cercare di inculcare in una cultura, quella pagana del nord, in cui il valore principale era la sana vendetta. Non stupisce quindi che, una volta inculcati i valori della nuova religione, esistesse un grande timore che rispuntassero quelli appena abbandonati.
E come li rappresentiamo, questi vecchi e crudeli valori, se non con le donne?
Ecco allora che ci cacciano dueoredue di documentario muto sulla stregoneria, che mescola finzione e intenti documentaristici, e diventa una delle più famose produzioni dell'epoca: La stregoneria attraverso i secoli è un lavoro gigantesco del 1922, che trovate nella playlist linkata su, di Benjamin Christensen (Lucia, se mi leggi: prometti che non faremo mai una stagione di Nuovi Incubi su svedesi e vicini di casa perché mi rifiuto di dire i loro nomi. Christensen ancora ancora, il resto è un incubo).
Chi l'avrebbe mai detto che in un film del genere avrei ritrovato il nostro amico di vecchia data, Pazuzu. Si ripercorrono, in quattro segmenti separati, momenti diversi della storia della stregoneria: dall'antica Mesopotamia, al Medioevo. Le streghe che racconta Christensen sono donne deviate dal diavolo in persona (in anima? in spirito? come si dice?), tradite da chi le accusa, forzate a confessioni estorte con la violenza. Sono già vittime.
Specifico già perché l'ultimo processo per stregoneria in Occidente sembra essere quello di Helen Duncan, ventidue anni dopo l'uscita del film.
Lo stesso Dreyer che sta nel titolo del post, un signore di cui potreste avere già sentito parlare, ha lavorato parecchio sulle streghe.
Qualche anno prima della sua ben più nota Giovanna d'Arco, Carl Theodor Dreyer, danese, classe 1889, si fa notare con un film che si chiama Pagine dal libro di Satana. Sta sempre nella playlist e lo ammetto, questo è pesante come il piombo, una visione che, come dirlo dolcemente? richiede molto allo spettatore, ecco. Anche questo è a episodi, anche lui ripercorre epoche e momenti storici diversi, dei quali il secondo è proprio il periodo dell'Inquisizione. Tornerà anche negli anni '40 a parlare di donne bruciate sul rogo dalla fragilità maschile, ma è ovviamente della sua pulzella d'Orléans che dobbiamo parlare.
Mi rendo conto che parlare di film dal tale livello di fama è quasi ridicolo, soprattutto perché è dalla sua uscita (94 anni fa) che si parla dell'incanto di questo film, ma io voglio fermarmici lo stesso perché lo amo e penso ne valga sempre la pena. Per lo spettatore medio di oggi, categoria nella quale rientro con tutte le scarpe, questo è un film con tutte le carte in regola per essere definito respingente. È muto, ovviamente, e in alcune versioni che si trovano in giro lasciato anche senza accompagnamento musicale. È ridotto all'osso, non ci sono scenografie, spesso ci sono lunghissimi momenti di una lunghezza quasi esasperante in cui primissimi piani su sfondo bianco si alternano alle didascalie. Parla di temi religiosi che per qualcuno, di nuovo, me compresa, rientrano nell'ambito della fantascienza.
Eppure c'è un momento in cui il film riesce a scavalcare le difficoltà, ad entrare sotto la pelle, e da quel momento è disperazione cieca: Giovanna è prigioniera di miserabili pronti a tutto pur di estorcerle realtà che esistono solo nella loro testa. È una contadina, non ha nulla, non sa nulla, ma soprattutto non sa leggere. Il momento in cui è costretta ad ammetterlo è devastante, è il momento della vittoria dell'oppressore, è il momento in cui capiamo che la tortura che lei subirà più avanti è gratuita. La sua posizione di netta inferiorità è la sua rovina fin dal primo istante, non c'è un solo secondo in cui si possa sperare che per lei la triste faccenda finisca bene, a prescindere dalla fama che la precede tra gli spettatori. Il film è interamente nelle mani della prova recitativa di una donna che ha fatto davvero qualcosa che ha del miracoloso. Come sempre, in me non troverete mai tecnicismi che non mi appartengono, è solo di emozione che mi piace parlare, e se la visione di questo film non vi lascia dilaniati, siete senza anima ed è il momento di vedere qualcuno che vi aiuti. Il Dio cattolico è stato per milioni di persone come Giovanna il faro, la guida, il lato buono del mondo, e che qualcuno abbia per decenni interi deciso di strapparlo ai più fragili mi angoscia. Prima si nutrono le anime con qualcosa di creato ad hoc per funzionare e poi li si minaccia di portarlo loro via, nella più classica delle dinamiche di sopraffazione che la chiesa indossa così bene da quando esiste.
La smetto, eh, è solo che La passione di Giovanna d'Arco è un film che fa così male che per liberarmene dovevo parlarne un po'.
Non solo streghe ma comunque restiamo nella religiosità
Come abbiamo visto parlando dei film citati su, anche gli scandinavi hanno avuto la loro bella passione per il nostro ormai compare Satana. Possiamo dircelo: Satana piaceva più di Dio. Ce lo sentiamo vicino perché abbiamo bisogno di attribuire a qualcuno di esterno la nostra voglia di evadere, di sbagliare. Dobbiamo sentirci dire che non è colpa nostra, che siamo stati tentati, nella trovata più paracula della chiesa di cui sopra.
Satana lo vediamo percorrere la terra mietendo vittime, bussare alle finestre delle donne per allontanarle dai mariti, calpestare le terre calpestate dal figlio di dio spargendo falsità. Insomma, la Scandinavia si allinea al resto d'Europa, mettendo il principe dei demoni spesso protagonista.
In uno dei film più famosi, però, è un altro il tema spirituale che affrontiamo. Parlo de Il carretto fantasma e della vita dopo la morte, ovviamente. Se non ci fosse stata Giovanna, questo sarebbe stato il mio preferito. È del 1921, di un regista di cui non so nemmeno come scrivere il cognome sulla tastiera e quindi per correttezza lo copincollo: Victor Sjöström.
Una leggenda vuole che l'ultima persona a morire allo scoccare della mezzanotte di Capodanno debba acquisire un compito: guidare per un anno il carretto della morte, e girare per il mondo raccogliendo le anime dei defunti. David è il defunto dell'anno in corso, e la persone che lo ha preceduto nel ruolo gli spiega che cosa, nella sua vita, lo abbia condotto a fare quella fine miserabile. Sì, è un Canto di Natale ancora più crudele, infarcito del moralismo che solo una storia del genere può portare con sé, ma che lo è perlomeno con scopi nobili. È tratto da un romanzo omonimo, scritto da Selma Lagerlof (che scopro essere la prima donna ad avere vinto il Nobel per la letteratura) su commissione: visto il preoccupante dilagare della tubercolosi, all'autrice venne chiesto di scrivere un testo che aiutasse a prevenirne la diffusione. A lei però di scrivere un saggio non andava, e quindi via di romanzone in cui il protagonista vive un'esistenza piena di errori e scelte sconsiderate, che lo portano non solo ad ammalarsi ma anche a rovinare le vite di tutti quelli che lo circondano. Più morale di così si muore, e David, infatti, muore.
Solo dopo avere preso a picconate la porta del bagno, però, che Kubrick quell'ispirazione lì doveva pur prenderla da qualcuno.
Nella playlist di questa settimana trovate anche un film successivo dello stesso regista, La prova del fuoco, che però la Vostra non ha avuto tempo di vedere. Mi sono sopravvalutata per questa missione della storia del cinema? Questo è proprio fuori da ogni dubbio.
Quel film lì famoso di Dreyer che ancora non abbiamo nominato
Questa è la prima volta che in questa rubrica bariamo, ma se di Dreyer parliamo temo che noi non si possa saltare quel film del '31 che tecnicamente spetterebbe al decennio successivo. Bariamo due volte, perché non solo è del decennio dopo ma è pure una produzione mezza francese che non dovrebbe stare in un post sulla Scandinavia. Anzi, bariamo tre: non è nemmeno muto. Ma tant'è, a noi cippiace l'anarchia.
Vampyr è recentemente tornato in sala, e indovinate chi se lo è perso? Proprio io. Proprio io. Per nostra fortuna sta nella solita playlist.
Qui mi permetto di fare la cinefila dell'internet che ripensa con nostalgia ai bei tempi andati e dice che l'horror è morto, ma non posso che chiedermi: oggi, con il modo che abbiamo di disporre della luce e dei suoni, è ancora possibile fare un film sinistro come questo? Non è muto, ma è indubbiamente molto più silenzioso di tutto quello a cui siamo abituati. Il modo in cui le cose che succedono in questa storia entrano nella schiena dello spettatore e fanno accapponare i peletti della nuca è quasi inedito, a chi come me sia ancora lontano dal conoscere bene questo periodo del cinema. Ci si avvicina convinti che l'avanzamento tecnologico ci abbia abituato a tutto, e invece è proprio quello a cui non siamo più abituati a lasciarci atterriti sul divano.
La storia è goticheggiante e il film sovverte quelli che oggi consideriamo cliché del genere prima ancora che questi fossero del tutto formati: è ambientato quasi tutto alla luce del sole, gli attacchi del vampiro sono appena intravisti...e poi c'è la vampira donna, che solo più avanti impareremo a riconoscere come elemento ricorrente, nonostante la Carmilla.
La Scandinavia delle origini non aveva nulla da invidiare al resto del mondo. Il suo cinema era angosciante, pieno di sorprese, critico verso la storia, la religione e la società, ma anche molto emozionante, e io di questo non finisco mai di sorprendermi.
Le fonti di questo post:
(I link segnalati con un * sono link affiliati Amazon. Se i testi vi ispirano e li acquistate tramite questi link prendo una piccola percentuale, ma all'acquirente non costa nulla! Grazie se lo farete. Fine spazio pubblicitario.)
* Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014
Questo articolo su multiglom.com
Questo articolo di cinemascandinavia.com
The story of film, documentario disponibile su Raiplay
Se siete su questo blog è molto probabile che prima o poi nel corso della vostra vita vi siate ritrovati a googlare qualcosa del tipo: horror italiano, cinema italiano dell'orrore, italian horror.
E Google, convinto di stare facendo per bene il suo lavoro, vi ricondurrà ad articoli, saggi, post, che parlano di due cose: il giallo all'italiana e Dario Argento. È altrettanto possibile che vi si dica che il primo film horror italiano è I vampiri, di Riccardo Freda.
Questo, di post, esiste perché non sono più disposta ad accettare una così spudorata mancanza di rispetto verso il mio uomo Dante, autore della più sconvolgente opera dell'orrore del suo tempo, e di tanti tempi dopo il suo. E pure verso tutte le altre truculente opere classiche che abbiamo adattato per il cinema.
Andiamo con ordine e vediamo insieme come nasce il cinema dell'orrore italiano.
Costume&Società
Siamo tutti sul pezzo su quello che è successo in Francia quando il cinema è nato. In Italia ci siamo mossi subito per adeguarci ai tempi. Con cosa cominciamo? Qualche documentario, perché non sia mai che passiamo per i fratelli scemi dei mangiabaguette. Qua abbiamo la cultura da diffondere.
Quello che però è davvero stato interessante per me è stato scoprire che il cinema in Italia è nato come fenomeno itinerante, al pari di fiere e spettacoli circensi. Oggi passiamo da un estremo all'altro, basta guardare cosa c'è in sala questa settimana: o i Me contro Te (contro i quali non ho assolutamente nulla anzi sono felice che portino i bimbi in sala) o uno smaronamento (sarà anche bellissimo, ma concedetemi la perdita di pazienza) che parla di? Mafia, esatto.
Una volta, invece, all'inizio di questo viaggio lunghissimo, il cinema era la più popolare delle attrazioni, e con popolare non intendo famosa ma proprio del popolo. Amatissimo nelle zone rurali, dove concedeva svago alla faticosa vita di lavoro, diventa di tale successo da portare anche qui da noi alla nascita di sale di proiezione fisse. E ok, ne siamo tutti felici, ma pur sempre italiani, e da una cosa bella ne abbiamo fatto un po' di casini, che vado ora ad elencarvi in ordine rigorosamente casuale:
Le fonti di questo post:
(I link segnalati con un * sono link affiliati Amazon. Se i testi vi ispirano e li acquistate tramite questi link prendo una piccola percentuale, ma all'acquirente non costa nulla! Grazie se lo farete. Fine spazio pubblicitario.)
* Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014
* Venturini, Simone, Horror Italiano, Donzelli Editore, 2014