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lunedì 9 ottobre 2023

Redrumia33 - settimana 1

11:53

 Tradizione di casa Redrumia vuole che ad ottobre si guardi un horror al giorno. Per me questa sarebbe la norma, da tenersi tutto l'anno, ma non posso rischiare il matrimonio, quindi mi limito a chiederlo come regalo di compleanno al mio povero marito che non è esattamente un grande appassionato.

Questi sono quelli che abbiamo visto in questa prima settimana.


Abbiamo naturalmente cominciato con l'horror più chiacchierato dell'anno, che mi sono persa al cinema con grande dolore. Alla fine forse per Riccardo è stato meglio così: è davvero spaventoso come il trailer ci aveva fatto intuire. Ho visto che sui social è un film piuttosto controverso quindi ci tengo a chiarire la mia posizione: sono tra quelli che l'hanno amato. 
Come ormai saprete, è una storia di possessione che vede un gruppo di ragazzi giocare con una mano che permette loro di farsi brevemente possedere. Quando permettono al fratellino di una ragazza della compagnia di partecipare, le cose si fanno ben più intense di una semplice goliardata.
Ne ho amato molti aspetti: quanto è spaventosa la prima parte, il modo in cui affronta il lutto in modo semplice ma non superficiale, il modo in cui racconta gli adolescenti, che non sono creature mostruose e senza cuore ma che a volte fanno degli errori gravissimi convinti di stare facendo la cosa giusta. È un film in cui i protagonisti sono costretti ad assumersi le responsabilità delle proprie scelte, e soprattutto vi è costretta Mia, che è in una fase delicatissima della propria vita: la mamma è morta, la sua vita sociale va malissimo, ed è la principale responsabile del disastro combinato col fratellino della sua migliore amica. Nel corso del film Mia deve imparare che spesso per mettere una pezza ai propri errori bisogna sacrificare qualcosa di proprio, e questa esplorazione conduce il film ad un finale che secondo me è magnifico e commovente. 
Un coming of age che si muove attraverso sbagli e sofferenze, in cui diventare migliori è possibile solo se prima si scivola sul terreno accidentato dell'esistenza. L'ho molto apprezzato anche se penso si perda un pochino nella seconda parte, con quel finale si è assolutamente fatto perdonare.




Questo l'ho riguardato per un progetto a cui sto lavorando e ogni volta lo apprezzo di più. Chi non lo ama non capisce il cinema degli anni duemila ed è un vero peccato, perché si perde un cinema scatenato e violentissimo, che riaccende spesso la mia fiammella di passione ogni volta che avverto un po' di calo. 
Non è stupido come ve lo ricordate, è perfettamente rappresentativo della sua epoca e al tempo stesso un'anomalia: costo ridicolmente superiore ai suoi contemporanei non ripagato dal successo che ci si aspettava, ma brutale e macellaio esattamente come tutti quelli dello stesso decennio. Non si riesce a distogliere lo sguardo, gli sono sinceramente affezionata.




Per poter recuperare il suo seguito uscito di recente e di cui in tanti mi hanno parlato bene, abbiamo recuperato il primo The Nun, che avevo ignorato alla sua uscita. Sbagliavo, ovviamente, perché per me è stata una visione simpatica. Per chi non lo conoscesse, è uno spin off del Warrenverse, in cui si esplora il passato del mio adorato Marchese dei Serpenti. Ha per me dei momenti molto buoni, di grande suggestione, ed essendo un horror religioso sapete bene che ha il mio cuore. Purtroppo avrei voluto osasse un po' di più, ma ho trovato belli affascinanti i momenti con la madre superiora e carino il modo in cui si riaggancia al suo universo narrativo. Raga io son contenta con poco.




Esattamente come col film sopra, anche Insidious 4 l'ho recuperato per poter vedere il 5, uscito quest'anno. La saga di Insidious per me è molto equilibrata, e i film sono tutti buoni. Questo, nello specifico, esplora il passato di Elise, costringendola a tornare nella casa d'infanzia, in cui il suo dono non era visto di buon grado. Oltre ad aver apprezzato la scelta di dedicare a lei e al suo percorso un capitolo intero, ho trovato questo il sequel più simpatico della saga, che dedicando un po' di spazio ai colleghi della medium dona un po' di leggerezza in una storia in cui invece di leggero non c'è nulla.
Parla bene di violenza domestica, della condanna del diverso, di come a volte l'unico modo per superare il passato è riportarlo nel presente. 
Molto carino, io faccio spesso l'errore di mettere questa saga in secondo piano e sbaglio, è tra le migliori degli anni recenti.



 
L'ultimo capitolo, infatti, lo conferma. L'esordio alla regia di Patrick Wilson è un film che riprende la storia da dove l'avevamo lasciata col secondo capitolo. Josh e la moglie hanno divorziato e lui e il figlio Dalton si sono sottoposti ad un'intervento di rimozione della memoria di quanto accaduto loro. Se Dalton ha vissuto 9 anni senza che questo avesse su di lui alcuna conseguenza, Josh è ben più provato: è un uomo smarrito, allontanato dalla famiglia, incapace di adattarsi ad una vita nuova e a recuperare una relazione sana col primogenito. Quando qualcosa nella memoria di Dalton comincia a muoversi c'è bisogno che il padre ritorni in sé, per salvare il figlio, se stesso, e quello che resta del loro rapporto.
Il modo in cui la relazione tra il padre e il figlio adolescente è messa in discussione è molto buono, anche se a tutti gli effetti la saga salva sempre i padri dando la responsabilità delle loro colpe a fattori esterni. Se si accetta questo, ne esce un film commovente, che vede un uomo doversi ricostruire dopo il momento più basso della sua vita, e che, come la medium nel film precedente, per poterlo fare deve lasciar spazio al passato nel suo presente. Bisogna sempre ripercorrere i propri passi per chiudere tutto quello che è stato lasciato aperto e poter proseguire facendo della propria storia un mattone su cui costruire un presente, e Josh ha bisogno di rimettere in discussione il proprio ruolo come genitore per poter davvero diventare una persona diversa nella vita del figlio.
Una bella conclusione, molto coerente con i messaggi dati nei film precedenti e con il percorso dei suoi protagonisti, sono rimasta molto soddisfatta.




Era qualche mese che mi volevo rivedere Shutter, uno dei film che mi fa più paura di sempre, quindi una sera in cui Riccardo era al lavoro me lo sono concessa. Lo ricordavo bene: fa parecchia paura. 
Non ho molto da dire di nuovo, perché ne ho parlato spessissimo su ogni piattaforma, ma per me è un ottimo rappresentante del cinema orientale, con la caratteristica fantasma vendicativa; un racconto importante su cosa sia la colpa e su cosa ci rende complici della sofferenza altrui. Per me ha uno dei finali più spaventosi e significativi di sempre. 
Per rivederlo aspetterò altri 4 o 5 anni, però, che vorrei evitare la prematura dipartita.




Altra uscita piuttosto chiacchierata del periodo è Nessuno vi salverà, variazione dell'home invasion che vede gli alieni al posto dei noiosi invasori umani. È un film senza dialoghi, che gestisce a mio parere molto bene questa sua caratteristica che risulta sempre molto naturale e mai forzata, coerente con la situazione iniziale che il film ci racconta: la sua protagonista è una giovane donna rimasta sola, in cattivi rapporti col vicinato per via di qualcosa accaduto nel suo passato e che una notte riceve una visita indesiderata. Anche in questo caso per me il punto di forza è il finale: una riflessione su solitudine, colpa e disperazione, in cui il diverso può essere l'unica soluzione per sopravvivere. Non ho amato il creature design degli alieni che un po' troppo spesso mi ha fatto sorridere e il mistero su cosa la nostra protagonista abbia combinato non ha nulla di misterioso. Non che per me la prevedibilità sia necessariamente un difetto, ma lo segnalo per chi in effetti la consideri tale.
Una visione comunque interessante che, se vi va, trovate su Disney+.


venerdì 11 marzo 2022

Il cinema muto: dalla Germania agli USA - Paul Leni e gli altri

10:02

 Il modo in cui mi sono lasciata per ultimo l'Espressionismo Tedesco dandomi così modo di fare un post di collegamento tra USA e Europa mi commuove quasi. E io il post lo avevo lasciato ultimo solo per farlo la stessa settimana della live su Nosferatu, quindi posso commuovermi per la coincidenza perché non ne ho alcun merito.

Questa settimana vediamo come il cinema dell'orrore (ma anche il cinema tutto) sarebbero stati radicalmente diversi se la Germania degli anni '20 non avesse fatto schifo e non avesse costretto tanti dei suoi talenti ad andarsene dall'altra parte dell'oceano.


Come al solito, c'è una playlist sul mio canale youtube, che trovate a questo link.





Un minimo di contesto


L'abbiamo detto nello scorso post ma è bene ricordarlo: la Germania è uscita dalla Prima Guerra Mondiale più distrutta dei piedi di chi deve mettere per la prima volta i Dr Martens nuovi. Come se la sua cittadinanza non ne avesse avuto abbastanza delle menate dei potenti, nel 1920 il DAP, il Partito Tedesco dei Lavoratori, fa una piccola aggiunta al proprio nome, e diventa il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, e il resto è triste storia. 
Non siamo ancora al periodo in cui migliaia di persone devono lasciare il Paese per scappare da leggi razziali, quelle arrivano solo negli anni '30, ma è pur vero che gli Stati Uniti hanno da subito offerto un'alternativa molto accattivante a chi, nel proprio Paese, non poteva ottenere a sufficienza. 
In questo post per ovvie ragioni parleremo di chi ha portato gli Stati Uniti ad avere il cinema dell'orrore, ma i nomi di emigrati europei che hanno cercato possibilità altrove e sono diventati stelle del cinema sono numerosi e riguardano ogni genere possibile: Micheal Curtiz, Ernst Lubitsch, Marlene Dietrich...


I nomi che ci interessano più di tutti, però, sono due: Carl Laemmle e Marcus Loew, i co-fondatori rispettivamente di Universal e Metro-Goldwyn-Mayer. Loew è nato negli Stati Uniti da una famiglia emigrata nella generazione precedente, Laemmle è nato in Germania. Possiamo dire in tutta serenità che la loro influenza sull'industria è una di quelle cose che hanno cambiato il corso del mondo. Senza Laemmle, oggi, il cinema dell'orrore sarebbe radicalmente diverso e non ho alcun interesse a scoprire come sarebbe, dato che così è bellissimo.


Il signor Paul Leni



Il contributo di Laemmle, però, non comincia con il Dracula di cui avremo modo di parlare ampiamente. 
Anni prima, nel suo paese natale, ha avuto modo di vedere uno di quei film dell'Espressionismo di cui non abbiamo avuto tempo di chiacchierare la scorsa settimana ma che trovate nella playlist, a questo link. Si chiama Waxworks, a dirigerlo un tale Paul Leni. Tra gli addetti ai lavori Waxworks è uno dei titoli più significativi del movimento, e siccome tra gli addetti ai lavori Laemmle ci rientra alla perfezione, ne nota le potenzialità. Offre a Leni un lavoro non di grande prestigio ma ben pagato: negli USA può girare le intro ai film Universal, piccole produzioni che chiamavano Prologues. 
I prologues di Leni, però, sono tanto belli che non passerà molto prima che arrivi la proposta per un primo film "intero". È il 1927, e a Leni viene proposto di dirigere The Cat and the Canary, titolo italiano Il castello degli orrori. Ispirato ad una produzione teatrale, è la conferma di quanto dicevo ieri in live: il muto chiede tantissimo allo spettatore, ma in mezzo alla fatica ogni tanto spuntano dei film che sono una gratificazione estrema, e questo è uno di quelli. Il castello degli orrori fa così incredibilmente ridere che sono quasi pentita di tutte le volte in cui ho detto che ridere al cinema non mi interessa più di tanto. Iniziatore di uno dei miei sottogeneri preferiti, quello della casa infestata, parla di una ricca ereditiera che deve passare la notte in un castello che si dice essere infestato per dimostrare di non essere pazza e avere così accesso all'eredità che le è stata promessa, come da testamento del parente defunto. Ovviamente il resto dei parenti ruota intorno all'eredità proprio come vuole il titolo: come farebbe un gatto intorno ad un canarino. È sguaiatamente simpatico, e ogni tanto caccia certi momenti di tensione completamente inaspettati che tu, spettatore, che fino a due minuti prima te la ridevi di gusto, sei quasi risentito. C'è un momento in cui un signore sta nascosto sotto il letto di due povere signore ignare, e il momento della tensione comica in cui spera di non essere scoperto è buffissimo, fino a che una delle due si china per controllare sotto il letto, e il volto divertente del tizio è trasfigurato, con le sole luci, in una delle visioni più inquietanti che ho fatto dall'inizio dell'anno.
Non c'era davvero bisogno, Paul Leni, mi è preso un colpo.

Il film piace a tutti, e la cosa non stupisce affatto. È un successo quasi unanime, e Laemmle chiede immediatamente altri 3 film: The Chinese Parrot è oggi perduto, ma subito dopo arriva quello che forse è il contributo più iconico di Leni per Universal: L'uomo che ride, che essendo tratto da un romanzo di Victor Hugo vi lascia intuire che a ridere è solo il protagonista. Protagonista interpretato da un grande, amatissimo, ritorno nella rubrica: Conrad Veidt, volto dell'Espressionismo Tedesco che è arrivato Oltreoceano a far fare notti insonni pure agli spettatori statunitensi. Il suo volto deturpato e costretto in un sorriso eterno non ha solo ispirato certi autori di certi fumetti, ma è anche diventato in qualche modo una delle immagini simbolo del cinema muto americano, ed è francamente spaventoso. Il film a me, in tutta sincerità, piace meno, lo trovo più impegnativo e meno digeribile del precedente, ma l'influenza è indubbia. Certo, finali tragici come quelli di Hugo negli Stati Uniti mica si potevano fare, quindi qui la faccenda si conclude su note positive, facendo strada ad un trend che gli americani ancora faticano ad abbandonare: se prendono un film e lo rifanno (cosa che comunque accade di rado, proprio non hanno questo vizio) spesso rendono il finale più family freindly, anche quando parliamo di cinema dell'orrore. Ecco, è cominciato tutto qui. 

Il contributo di Leni al cinema statunitense si conclude con L'ultimo avviso, The Last Warning, che con le classificazioni che diamo oggi al cinema sarebbe più un thriller che un horror duro e puro. Ambientato nel mondo degli spettacoli teatrali, in cui si deve risolvere un vecchio caso di morte sospetta, è l'ultimo lavoro di Leni prima della sua morte, nel 1929.
Per lui c'erano grandi progetti, anche se i lavori successivi al Castello sono stati meno amati. Tra gli altri, un certo adattamento di un certo romanzo sui vampiri, il cui ruolo principale doveva andare al suo prediletto, Veidt. Non ha fatto in tempo, e la storia ha voluto che quel ruolo e quel film lo prendessero altre persone. 

L'Universal di Laemmle, però, non stava lavorando solo con Leni, e nei post delle prossime settimane avremo modo di vedere con quali altre piccole personalità ha avuto modo di formare la scena dell'orrore degli anni '20. 
Tutto grazie all'emigrazione di un tedesco.


Non solo Leni


Ve lo ricordate Paul Wegener, l'attore e regista appassionato del Golem? È volato in America anche lui. Pur avendo avuto una carriera più breve rispetto a Leni, almeno negli USA, è comparso in alcuni dei film più famosi del periodo: The Magician, film tratto dall'omonimo romanzo di Somerset Maugham e ispirato alla vita di Aleister Crowley. Il film è passato alla storia e molto amato, ma Wegener non impressiona particolarmente e torna con la coda tra le gambe nella sua Germania, dove continua a lavorare fino alla morte, negli anni '50. 

Anche Christensen, lo scandinavo regista de La stregoneria attraverso i secoli, tenta il periodo americano, ma per lui va decisamente meglio: tra il '26 e il '29 fa una trilogia di quelle che possono essere considerato commedie del mistero, The Devil's Circus, The Haunted House e House of Horror, quest'ultimo perduto. Il suo contributo più famoso, però, è forse Sette passi verso Satana. Anche lui come Leni, però, conclusa questa esperienza torna in Danimarca. Forse perché alla proiezione di quest'ultimo film si dice che l'autore del libro da cui è tratto abbia pianto tutte le sue lacrime, e non per la gioia? 


In generale, le esperienze di questi registi europei negli USA sono oggi ricordate positivamente, anche perché con la distanza che ci ha offerto il tempo siamo in grado di individuare il ruolo fondamentale che hanno avuto nel corso della storia. All'epoca, però, non hanno goduto dei favori di pubblico e critica. Intendo con questo che gli Stati Uniti non hanno alcun gusto per il bello?
Assolutamente sì, e infatti tutto il bello che hanno è europeo, o deriva dall'europeo, o è stato influenzato dall'europeo. Mi piace vincere facile, le sole cose davvero americane le avevano distrutte da tempo. 
Facilonerie stupidotte a parte, è indubbio che il cinema sia stato una felice unione di culture ed influenze, e sono contenta di averle ricordate in questa fase, perché dal mese prossimo temo che questa rubrica finirà per essere americacentrica almeno al 70%.

Stima assolutamente casuale.



Le fonti di questo post:
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venerdì 4 marzo 2022

Il cinema muto: info veloci per fare bella figura con quell* tip* del Dams con cui ci vuoi provare parlando dell'Espressionismo Tedesco

11:59

 Lo sapevo che questo momento non poteva ritardare troppo. Ho cercato di procrastinare e rimandarlo il più possibile, ma non potevo iniziare il secondo mese dedicato al cinema muto con qualcosa che non fosse l'Espressionismo Tedesco, la prima e forse l'ultima volta fino ai tempi recenti in cui il cinema dell'orrore è stato considerato come una cosa seria da persone intellettuali. Lungo il post capirete perché ho aspettato proprio questa settimana.

Poiché questo è forse il movimento più chiacchierato e studiato di sempre, metto le fonti ad inizio post. Internet è ricolmo di informazioni sui tedeschi più famosi di sempre, io mi limito a farne un post giusto per dovere di completezza e che butto in caciara giusto per non soccombere all'ansia. Vi lascio però una serie di testi (seri, giuro) che possono interessarvi se volete approfondire quello che l'Espressionismo è stato per il cinema tutto.

Come sempre, i link con l'asterisco sono affiliati Amazon. Se acquistate da questo link io prendo una piccola percentuale che mi può aiutare a proseguire in questa missione nella storia. Grazie se lo farete!


Questo post di Film Inquiry

Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014

Tetro M., Azzara S., Chiavini R., Di Marino S., Guida al cinema horror. Dalle origini del genere agli anni Settanta, Odoya, 2021

Kracauer, Siegfried, Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, Lindau, 2007

Eisner, Lotte, The Haunted Screen. Expressionism in the German cinema and the influence of Max Reinhardt, Univ. of California Pr, 2008.

Questa intervista di Friedkin a Fritz Lang




Perché proprio in Germania?

Prima della Prima Guerra Mondiale non interessava troppo agli amici tedeschi il cinema. Erano un po' in ritardo rispetto al resto d'Europa, c'avevano le Cose Serie da fare. Tra le Cose Serie, una guerra da scatenare (scherzo, lo so che le cose sono più complesse di così, ma possiamo ammettere in tutta serenità che i tedeschi rompevano i coglioni a tutti), che poi hanno finito per perdere in maniera proprio bruttarella e lasciando la popolazione inguaiata e con anche una stima ai minimi storici per l'autorità. Ci stupisce? No, noi stiamo ancora a quel punto qua, figuriamoci. 

Come sopravvive il popolo a tanto dolore? Con gli strumenti che ha: magia, misticismo, credenze popolari, fantasia, irrazionalità. Sorprende quindi che sia proprio un movimento come l'Espressionismo a nascere in questa fase? 

I tedeschi non avevano più una lira, ma la cosa al cinema andava benissimo così, e il motivo è semplice: per prima cosa si esportavano i film a prezzi concorrenziali (e la storia ci insegna quanti film abbiamo salvato solo grazie all'esportazione), e soprattutto la gente aveva già capito che l'evasione a poco prezzo che il cinema poteva offrire è salvifica quando tutto il resto della vita è da prendere e buttare nell'umido. Del resto la storia delle storie è la più vecchia del mondo: ne abbiamo bisogno da sempre. 

In Germania quindi succedono due cose: il governo blocca l'importazione durante degli guerra (e quindi se vogliamo i film ci tocca farceli) e nasce una casa che ci regalerà la gran parte delle cose di cui parleremo in questo post, la UFA, il cui nome completo non scriverò perché il tedesco non è una lingua, è una condanna a morte. 

Insomma, se qualche silver lining in quella montagna di merda che è stata la prima guerra mondiale vogliamo trovarlo, questo è il cinema tedesco.


Sì ma l'Espressionismo cos'è?


Lo sapete cosa so io di storia dell'arte? 

Nulla, manco studiata al liceo perché io ho fatto un liceo della mutua. Quindi vi riporto una definizione bella a modino di Film Inquiry:

German expressionism was an art movement that began life around 1910 emerging in architecture, theatre and art. Expressionism art typically presented the world from a subjected view and thus attempted to show a distorted view of this world to evoke a mood or idea. The emotional meaning of the object is what mattered to the artist and not the physical reality. While already making waves in the art world, expressionism would really come into its own when expressed in cinema.


Per metterla giù un po' più concreta: si usano, nell'arte come nel cinema, segni distorti, che esasperano i sentimenti, ignorando in maniera spudorata il buonsenso e la logica. A noi quella roba non piace, lasciate il realismo ai noiosissimi italiani. Per fare degli esempi di cosa si intende quando si dice così, se li volete riportare alla vostra crush del Dams, la soluzione è guardare Caligari, che sarà pure scontato ma è quello che fa sempre fare bella figura. 

Il dr. Caligari e il suo gabinetto sono un'esperienza cinematografica unica nella sua specie, come La passione di Giovanna d'Arco era stata la scorsa settimana. Io ho avuto la fortuna sfacciata di poterlo vedere in un cinemino con gli studenti di Musicologia che suonavano dal vivo, e non assomiglia a nient'altro. Ne Il gabinetto del dottor Caligari il ritratto fedele del mondo viene volentieri sacrificato in favore di scenografie che contribuiscano a costruire anche in noi poveri spettatori ignari la totale alterazione della realtà. E del resto parla di ospedali psichiatrici e di persone instabili, non poteva che renderci il più possibile simili a loro. È tutto storto, allungato, dalle mie parti si dice che è tutto di bighega. Se avete poco tempo per prepararvi all'appuntamento, vedete lui e basta, che tanto è di quello che si finisce sempre a parlare. Poi dipende tutto dalla persona che avete davanti, ma se volete fare i goliardici e suscitare forti reazioni, buttate lì che solo Shutter Island ha reso giustizia al film di Wiene, e guardate la rivolta dell'intellettuale medio iniziare. 

Per Roger Ebert è lui, Caligari, il primo vero film dell'orrore. Ormai abbiamo visto che la storia è ben più complessa di così, ma è indiscutibile che abbia segnato un punto di svolta senza precedenti.


Certo è che Caligari è un film parecchio pessimista, cinico, infelice. E il fatto che sia anche questo lo rende un ottimo portavoce di tutto il movimento, che di sicuro non è caratterizzato dalla profonda fiducia in un futuro migliore. Lo sconforto regna sovrano. Prima della triste storia di Cesare e Franz, c'era stata quella di Balduin, e già se parlate di lui che è meno noto al grandissimo pubblico un paio di stelline con la crush me le guadagnate. Balduin è Lo studente di Praga, un infelice poveraccio che si innamora di una donna che non si può permettere di desiderare. Balduin e la sua storia ci permettono di aprire un milione di temi, ma ne vediamo solo due. Il primo è Paul Wegener, ma su di lui torniamo dopo. Il secondo è uno dei temi ricorrenti dell'Espressionismo: il doppio. Balduin per avere soldi facilmente cede ad un misterioso individuo il suo riflesso allo specchio, e non esiste al mondo un solo caso in cui la faccenda si possa risolvere felicemente. La storia di un amore triste, di un'ambizione punita, di un futuro bruciato, che Stellan Rye racconta è un esempio molto classico del movimento tedesco, perché pur non arrivando mai agli estremi estetici dei suoi film più celebri è un ottimo riassunto di tutti i suoi temi principali: il patto con il diavolo (o con chi per esso), la perdita dell'identità, l'ineluttabilità del proprio destino. Non ci sono quasi mai creature soprannaturali, in questo cinema, il terrore deriva dal perdersi, dal vendersi, dal non sapere più chi si è, e davvero non stupisce che sia così, in un momento di identità nazionale così compromessa come può esserlo solo dopo una guerra da cui si è usciti distrutti. 

Sono le persone smarrite ad essere le protagoniste, le persone che non riconoscono più se stesse, come il protagonista de Le mani dell'altro, un pianista che perdendo le proprie mani perde anche la propria identità. Gli vengono donate le mani di un assassino condannato a morte poco prima, e la faccenda giocherà brutti scherzi alla sua psiche compromessa. Ora, ci siamo detti che in questo periodo serviva evasione, serviva allontanarsi dal reale per respirare un po'. Questo è vero, ma solo per un po': non si poteva lasciare la sala credendo che avere delle nuove mani installate al posto delle proprie rendesse un mostro, così come non si poteva lasciar credere che esistessero medici pronti a far uccidere le persone ai loro pazienti sotto ipnosi. Nascono così alcuni dei finali più sconvolgenti e oggi noti del cinema, in cui con un twist si riporta tutto al piano della realtà: ti sei divertito con la storia di Cesare? Perfetto, però ricordati che è il frutto della mente di un folle. E le mani del povero Orlac? Solo un piano diabolico congegnato per estorcergli denaro. Perché va bene divertirsi ma sempre entro un certo limite.


I personaggi chiave, un mini elenco per distinguerli

che faccio in elenco puntato perché davvero, per parlare di tutti in modo approfondito avrei dovuto mettermi in malattia al lavoro


  • Robert Wiene. L'abbiamo già citato più volte e sarò breve: è il regista di Caligari e di quello sulle mani del pianista, Le mani dell'altro. In realtà ha una bella lista di produzioni, ma per far bella figura sono sufficienti il suo capolavoro e, se proprio volete esagerare e unirci il bonus letteratura russa, che fa subito anima impegnata, ha fatto un adattamento da Delitto e castigo nel '23, che si chiama Raskolnikow.
  • Fritz Lang. Nel post non abbiamo ancora citato lui e i suoi lavori, ma è bene che prima dell'appuntamento almeno vi leggiate la sua wiki perché lui funziona molto, fa subito presa. Lang lo distinguete dagli altri perché è quello della fantascienza, del thriller. Quando si dice che il noir deve molto all'espressionismo, è a Lang e al suo cinema che ci si riferisce, di solito. Anche perché è vissuto talmente tanto che è finito anche temporalmente a farli davvero, i noir, non solo a ispirarli. Di lui sicuramente parleremo più volte nel corso della rubrica, fatevi un post it che ci torniamo, cos' avete di che parlare anche al secondo appuntamento.
  • Conrad Veidt. Questa volta un attore e non un regista, Veidt è il volto di Cesare, quello della foto su in cui evidentemente sta un fiore, ma in realtà sta ovunque. È il pianista già più volte citato, è il Balduin innamorato nel primo remake dell'originale, ma sta anche in Il gabinetto delle figure di cera, La testa di Giano, nel Satana di Murnau, ne L'uomo che ride. Più di tutti, forse, rappresenta l'Espressionismo perché, semplicemente, gli ha dato un volto. Il Christopher Lee dell'Espressionismo Tedesco, che sta ovunque e sta sempre, sempre bene.
  • Paul Wegener. Con lui andate sul sicuro, non potete confonderlo: è quello ossessionato col Golem. Ma quanto gli piaceva, a Paul, il Golem, una roba proprio incredibile. Wegener era il Balduin originale, e dopo questo successo produce e interpreta (ma anche co-produce e co-dirige, perché era proprio la sua storia prefe) un primo film sul famigerato mostro d'argilla della tradizione ebraica. Si chiama Der Golem, e siamo nel '15. Lui fa proprio la creatura. Si diverte così tanto che tempo due anni ne fa una parodia, ma li abbiamo persi entrambi perché la vita fa schifo. Ritorna sul suo personaggio nel '20, con l'unico film della trilogia che è arrivato a noi, un prequel: Il Golem - Come è venuto al mondo, noto al pubblico italiano anche con il pregevolissimo titolo di Bug - L'uomo d'argilla. È un film magnifico che parla sì di leggende e folklore ma anche e soprattutto di soprusi, antisemitismo e segregazione. 



Il grande assente


È sotto gli occhi di tutti che in questo post manchi uno dei più grandi esponenti dell'Espressionismo, Murnau. Non è un caso, ovviamente. Oggi, però, il 4 marzo 2022, il suo film più famoso, Nosferatu, compie cento (CENTO) anni, e ieri sera per celebrare questa occasione che ci è parsa un pochino dimenticata, io e il mio amico Sauro, che potete leggere a questo link, abbiamo deciso di farci su una bella chiacchierata su Twitch, che se vi fa piacere vi lascio qui sotto. 





Io naturalmente in questo post sono stata sintetica e stupidella, perché l'Espressionismo è un fenomeno a cui la gente dedica anni interi di studio che in nessun modo potevano essere riassunti in un post solo. Però non mi sarei mai sentita a posto con la coscienza se non avessi almeno detto due parole in croce sul tema, e soprattutto se non avessi reso giustizia a Bug, l'uomo d'argilla. 


venerdì 11 febbraio 2022

Il cinema muto: George Méliés

12:56

 Come arriviamo a Méliés, ma in breve


L'umanità ama e sfrutta la paura da quando esiste, è ora che i benpensanti se ne facciano una ragione. Vi dice niente Medusa, con i serpenti al posto dei capelli? Il benedetto Minotauro? Donne che trasformavano uomini in porci? Non fatemi nemmeno iniziare sul contributo assolutamente fondamentale che paradossalmente ci arriva dal peggiore degli incubi della vita reale: la religione cattolica. La Bibbia è un contenitore storico e impagabile di ispirazioni costanti. Per arrivare poi allo sconvolgente folklore medievale o alla letteratura gotica e romantica. E poi lo citiamo? Citiamolo dai, il Grand Guignol parigino che serve anche a ricordarci che la New Extremity non poteva essere altro che French. Ad un certo punto ci siamo persino messi a fotografare i morti, che oggi non mi pare una cosa proprio lucidissima, ma insomma. Ah, e poi sì, quella notte a Ginevra che ha cambiato l'immaginario del mondo.

Avere paura ci piace da sempre, e vi prometto che questa serie di post non sarà mai un'analisi psicanalitica del perché amiamo così tanto cose che ci suscitino questo tipo di reazioni. Al momento mi basta sapere che è così, e godere di questa storicità ogni giorno. 

Non è neppure un caso che il cinema sia nato in un'epoca che nel mondo occidentale coincide proprio con un interesse sempre maggiore per lo spiritismo, per l'assottigliarsi del confine tra il mondo dei vivi e quello dei defunti. Insomma, se tutto quel glorioso avanzamento tecnologico lo dovevamo sfruttare per qualcosa, almeno che fosse qualcosa di soprannaturale. 

La nascita del cinema, quindi, ci arriva come una combo magica: strumenti meccanici e tecnologici sempre più raffinati in mano ad una fetta della popolazione che giocava già abitualmente con il movimento e la superstizione popolare.


Tale reverendo Thomas Mitchell, incalzato sull'incedere di questo nuovo sguardo aperto e curioso sul meraviglioso, pare avere detto: "There is no other human sentiment so prolific of evil consequences to mankind as the love of the marvelous." Se il povero Thomas avesse saputo cosa avrebbe avuto la storia del meraviglioso in serbo per noi, non credo si sarebbe limitato a parlare di evil consequences. Noi, però, queste benedette brutte conseguenze ce le stiamo godendo tutte, ed è meraviglioso per davvero.


È pur vero, però, che la definizione proprio da vocabolario di film dell'orrore non la incontriamo fino alla comparsa sulla Terra di quel piccolo miracolo che risponde al nome di Dracula, ma a quel punto siamo già negli anni '30. Dal 1895 al 1931 non sono solo successe una marea di cose al cinema in generale, ma ci sono stati diversi fattori che, messi insieme a tanti piccoli elementi che di volta in volta vedremo, hanno portato alla creazione di un linguaggio intero che oggi chiamiamo cinema dell'orrore. 

Certo, uno scheletrino molto tenero in un microfilm lo avevano già messo i Lumière, talmente carino che è gioioso già dal titolo, e che fa dei ballettini perdendo pezzi. È questo cosino qui, un amore:




Senza voler togliere nulla ai due ragazzi francesi, è un altro il nome che dobbiamo invocare ogni giorno nelle nostre preghiere: quello di George Méliès.

Perché iniziare da lui e non, che so, dagli spudorati americani, dai ben più simpatici ma altrettanto poco umili inglesi, dagli epici italiani? Cronologicamente siamo lì. È solo perché sono una sempliciotta, e mi dovete credere: Méliès mi sta simpatico da morire.


Una umile biografia






George nasce con il grano. La sua famiglia era proprietaria di una fabbrica di scarpe, si sarebbe potuto fare la sua vita serena da giovane ereditiero francese e anche se con ogni probabilità oggi nessuno si sarebbe ricordato di lui, magari non sarebbe morto quasi in miseria. 

Nel 1884 la famiglia lo spedisce a Londra per tenerlo lontano da una storia d'amore indesiderata (ma anche per imparare la liiiingua, dai, basta pensar male di questa povera famiglia) e figuriamoci se si aspettavano che questo gli tornasse mago. A Londra ha conosciuto Maskelyne, famoso mago dell'epoca discendente da una famiglia intera di illusionisti, e da lui ha imparato i primi trucchi. Non solo gli è tornato mago, ma pure sposato, perché non è che se mi allontani da una mi allontani da tutte, porta pazienza. Il padre, di conseguenza, non gli dà una lira e lui torna a lavorare in fabbrica.


Certo, questo gli fa comodo, gli ha regalato una grande manualità, e la combo con i trucchi di magia imparati è presto fatta: si compra il teatro Robert-Houdini e se lo gestisce per anni, affinando le sue tecniche e le mille possibilità del mondo dell'illusione. George, però, non è solo un simpatizzante di tecniche innovative, è anche nato per raccontare storie, e già con il suo teatro lo dimostra: non si limita a creare numeri di illusionismo che già da soli gli avrebbero dato giusta gloria. Mette in piedi vere e propri sketch di magia, scenette intere con anche una decina di persone per volta sul palco. Lo so che il suo immenso contributo è anche dovuto alle straordinarie innovazioni che creava con le mani, alle illusioni e ai primi rudimentali tecnicismi, ma è al suo immaginario che sono più affezionata.


Nella notte fatata a cui i romantici attribuiscono la nascita del cinema, il 28 dicembre del 1895, George c'era. Assiste allo spettacolo che i Lumière hanno messo in piedi per il pubblico e, finita la presentazione, ha fatto la cosa che qualsiasi persona piena di soldi avrebbe fatto al posto suo. Si avvicina alla famiglia Lumière e vuole comprarsi tutto. E sì, me lo immagino come un bauscia con il libretto degli assegni in mano che vuole comprare tutta la baracca. 

Loro dicono di no perché il loro strumento doveva servire al mondo della medicina e non a rappresentazioni pubbliche (dissero, durante una rappresentazione pubblica) e allora lui, che non l'ha presa bene, torna in Inghilterra e si fa fare il suo, tiè.


Da allora Méliés impazzisce, gli prende qualcosa nella testa e comincia a fare le cose mattissime che me lo rendono così simpatico. Lo so che parliamo di straordinarie scoperte tecniche che hanno reso il cinema quella cosa che conosciamo oggi ma amo pensarle come le mattate di un folle genio. Si fa uno studio per i fatti suoi, lo riempie di botole, aggeggi, buchi, trappole, inganni. Lo fa tutto per benino con le vetrate così sfrutta la luce come gli pare a lui. Ci si chiude dentro con una preistorica macchina da presa che, anche quella, si è costruito da solo, pesante come il piombo, che chiamava macinacaffè perché faceva un casino infernale, e ha fatto qualcosa come 500 (cinquecento) (cinquecento) film. Gira con sta macchina per la città e immagino che o la portasse con un transpallet o avesse due braccia molto potenti, la macchina gli si inceppa e lui invece di bestemmiare come avremmo fatto noi comuni mortali ci trova una figata dentro e in poche parole con uno sbaglio crea un inizio di montaggio.

Per non dilungarmi all'infinito: prima un successo fuori dal buonsenso, con tanto di ammeregani che si piratavano le sue cose (questa cosa di fare loro cose straniere evidentemente ha una lunga tradizione), una casa di cinematografica fondata - la Star-Film - in declino che lo ha fatto arrabbiare proprio un casino e gli ha fatto bruciare quasi tutto (quasi, per fortuna nostra e dei posteri), un negozio di dolci o giocattoli con la moglie per mantenersi e una riscoperta tardiva, che ha fatto sì che anche oggi, nel 2022, un microblog di cinema del web italiano abbia deciso di partire nella propria scoperta del cinema proprio da lui. 

Una vita che è valsa come mille.


Il suo cinema

questo link trovate una trentina dei film più famosi




Ci sono giganti probabilità che io mi sbagli, ma ho la sensazione che oggi il grande pubblico associ il nostro ormai amico George principalmente al cinema di fantascienza. Lungi da me voler andare contro una verità così universalmente riconosciuta, perché il suo contributo è assolutamente fuori discussione. Lo potete vedere da voi, nella playlist ci sono anche alcune delle sue cose fantascientifiche.

Però io devo portare acqua al mio mulino infestato, e mi dispiace amici del sci-fi, ma George è roba nostra.

Una delle sue prime cose è un corticino che dura poco più di tre minuti, e lo so che lo conoscono anche i sassi ma non possiamo non citarlo. Siamo nel 1896, un anno dopo quella serata in cui quegli sbruffoni dei Lumière hanno indignato fratm, e lui fa una cosa che si chiama Le manoir du diable. Ci torniamo, sulla sua piccola ossessione per il demonio. In questo momento George ha ancora a disposizione tempi limitati, si potevano fare cose molto brevi, e lui decide di metterci tutto: c'è il diavolo, i pipistrelli, i fantasmi, le streghe...è una goduria.

Nel corso delle sue infinite creazioni, tutti gli elementi che aveva già messo in questo film tornano, ma non sono i soli. Con la scusa di sfruttare tutte le sue tecniche da illusionista e di poterle finalmente mischiare con una tecnologia finalmente all'altezza dei suoi pensieri, Méliès gioca spessissimo con il corpo umano, che spesso è il suo: gonfia e sgonfia teste, le fa esplodere, se le stacca e riattacca. Butta i corpi nei calderoni mefistofelici e brucia vive le persone, prende le eleganti signorine e le trasforma in scheletri. Questo, amici miei, è proprio un regista dell'orrore. 


Su questa cosa ci torneremo anche negli altri post, ma è importante ricordare che parliamo di cinema muto, che non potendo approfondire quello che mostra con il dialogo ha bisogno di contare sulle conoscenze pregresse di chi si approccia. Qui non parliamo dei soliti due fratelli che mostravano la quotidianità e le scene di vita reale: qui siamo dalle parti del fantastico e, se si hanno pochi minuti a disposizione, serve che la gente già sappia, per esempio, chi era Faust. Eppure, guardare oggi un film come il suo Faust aux enfers è forse un'esperienza ancora più ricca di quanto non fosse allora, perché oggi, per fare solo un esempio, lo sappiamo quanto lavoro deve essergli costato creare scenografie così pompose. Ogni momento di questo breve racconto è pieno di cose, dettagli, il suo inferno è barocco, suggestivo, affascinante. Così distante da quello a cui siamo abituati eppure così pieno di quello che è ancora oggi il nostro immaginario. L'abbiamo solo migliorato graficamente, ampliato forse, ma con la testa siamo ancora lì, ai calderoni, alle fiamme, ai dannati. 




Satana, Mefistofele, il signor demonio, sono una presenza preponderante. Con le sue corna molli, la sua calzamaglia, il suo mantello, il diavolo di Méliès, sinceramente, è indimenticabile. È folle, presuntuoso, si prende costantemente gioco delle sue vittime, balla loro intorno, le sfinisce. E per quanto, come nel Faust di cui sopra, spesso il vero momento di tensione sia legato all'apparizione di un mostro, è sempre quel diavolo a rubare la scena. Lo vediamo danzare, buttare giovani donzelle indifese nel fuoco, spaventare povera gente che voleva solo andare a letto, ingigantirsi fino a diventare enorme, disturbare i preti. È spesso comico, questo cornuto infestatore, con le sue gambette che sballonzolano qua e là e le sue faccette provocatorie. È francamente adorabile.

Lo vediamo spesso vincitore ma altrettanto spesso incrociamo una figura salvifica che libera i nostri poveri umani torturati: c'è una statua che prende vita e lo ridimensiona, c'è il prete che si fa coraggio e lo scaccia, non prima di avergli anche dato un po' di botte, ci sono apparizioni benevole che aiutano. Il diavolo esiste ma non è invincibile, e sembra voglia ricordarcelo spesso. 


Quindi sento di poter dire nel modo iperbolico che contraddistingue questo blog che GM ha anticipato: la fantascienza, i film di esorcismo, il body horror, tutto quello splendido filone di film sulle streghe, i monster movie e pure le horror comedy.

Con il tempo e le sempre maggiori possibilità che gli si andavano offrendo, il suo cinema diventa sempre più lungo (ma parliamo sempre di cose che non superano i trenta minuti), e se prima ci si concentrava su impatto emotivo e sorpresa, con il tempo inizia a costruire narrazioni sempre più complesse, piene di personaggi e situazioni avventurose, qualche volta anche uscendo dal suo studio e spostandosi all'aperto. I suoi lavori più famosi, quelli fantascientifici, sono lavori ben più complessi dei brevi corti che vi sto citando qui.


Il mio preferito, però, quello che del Nostro mi ha fatto innamorare, è Barbe Bleu. È anche nella playlist che vi ho linkato su, ma è così bello che voglio metterlo anche qua: 




La storia è ovviamente quella della fiaba di Perrault, e la vediamo qui adattata in un film di dieci minuti. Mi piace tutto, di questi dieci minuti, ma c'è un momento in particolare che mi ha rapita, ed è naturalmente il momento in cui la Sposa entra nella stanza proibita, con un diavolo tentatore che le gattona alle spalle, incitandola ad entrare e festeggiando il suo successo con delle capriole. La Sposa entra, e la stanza è buia. Nella penombra si vedono i magnifici abiti delle vecchie spose, inquietanti come veli di spettri. Ancora non l'abbiamo visto, che dentro agli abiti ci stanno le donne appese. Le stanno dietro, mentre lei si muove per un po' alla cieca, e sono sinistre, spaventosissime. L'immagine è di un bello che si fa fatica a credere. La Sposa apre le tende e i vestiti si rivelano essere donne impiccate, ed è un'immagine fortissima. Ed è del 1901. Dopo poco, le stesse spose, questa volta davvero in forma di spettri, infesteranno la stanza da letto della Sposa, in un'altra scena che seppur non potente come la prima, è per me magnifica.


È impossibile cercare di riassumere in un post la vita e il lavoro di qualcuno che ha preso una forma d'arte nuova e ha iniziato a giocarci come gli pareva, senza paura del nuovo, ma anzi con il deliberato intento di continuare a sorprendere. Mi piacciono le storie delle menti brillanti, e mi piace troppo l'immagine che mi sono creata nella mia testa di George Méliès, quella di un folle tutto impolverato e pieno di schegge nelle dita, chiuso in uno studio in campagna magari pure a farsi un male cane, a giocare con luci, tende, botole, giganteschi pezzi di cartone che prendono vita e diventano le rocce dell'Inferno. 


Sono una sognatrice, ma non troppo sprovveduta. Il cinema è fin dalle sue origini un'industria, una potente macchina di soldi che non è nata da un giorno con l'altro ma con il lento crescere di nuove possibilità tecniche, ma lasciatemi divertire così, immaginandolo con le mani sporche di pittura e una carriola con dentro una macchina da presa tenuta insieme con la passione. 

Mi piace anche pensare che sia la stessa mia, la vostra, la nostra. 




Le fonti di questo post:


(I link segnalati con un * sono link affiliati Amazon. Se i testi vi ispirano e li acquistate tramite questi link prendo una piccola percentuale, ma all'acquirente non costa nulla! Grazie se lo farete. Fine spazio pubblicitario.)

Il sito del George Méliès Project

Questo documentario su Youtube

AA.VV., Il libro dei film, Gribaudo, 2020 

Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014

Tetro M., Azzara S., Chiavini R., Di Marino S., Guida al cinema horror. Dalle origini del genere agli anni Settanta, Odoya, 2021

Phillips, Kendall R., A place of darkness. The rhetoric of horror in early american cinema, University of Texas Press, 2018

Benshoff, Harry M., A companion to the horror film, Wiley-Blackwell, 2014

Gifford, Denis, A pictorial history of horror, Book sales, 1973

mercoledì 9 febbraio 2022

La storia del cinema dell'orrore, un'introduzione

12:43

 Penso che anche i sassi abbiano vagamente intuito che io di questa cosa che mi piace il cinema dell'orrore vorrei farne una specie di lavoro. Un secondo lavoro, un lavoretto, una minuscola occupazione. 

Le novità dell'ultimo anno, twitch e il podcast (che però, lo ricordo sempre, non è stata un'idea mia ma di Lucia, ed è giusto che i meriti vadano a chi di dovere), ne sono la prova più concreta. 


mi dispiace temo userò foto di Parigi per sempre


Quello di cui non avete prova concreta e che quindi vado a raccontarvi è questo: soffro di una spietata e autolesionista forma di sindrome dell'impostore, che ammetto di combattere discretamente perché alle fine le cose le faccio lo stesso, ma che me le fa fare con una vocina costante nella testa che mi fa dire che tanto non so un cazzo e sono una clamorosa frode. 

Il modo che conosco fin da quando sono piccina per convivere con questa cosa è uno solo: leggere, studiare, informarmi più che posso. Allo stesso tempo però sono una vergognosa procrastinatrice, e il blog è proprio nato tanti anni fa per aiutarmi a fare le cose al meglio che posso. Non c'è sempre riuscito, ma io e il mio bloggettino del resto stiamo crescendo insieme, e anche lui ha fatto quello che ha potuto.

È anche vero che l'accesso che ho oggi a saggi, testi, connessione internet e film non ce l'avevo fino a qualche tempo fa, e oggi voglio essere riconoscente per questo privilegio e sfruttarlo per migliorarmi come posso. 


Insomma, questa intro per presentare anche qua in modo ufficiale il progetto di quest'anno: studiare la storia del cinema dell'orrore in modo serio ed ordinato, non nel caos che ho orgogliosamente portato avanti finora. Partiamo dall'inizio e procediamo per decenni, due mesi per decennio. Se riesco a tenere il ritmo che mi sono imposta arriviamo a circa metà dell'anno prossimo. Il piano è che dopo questa prima carrellata ne facciamo anche una seconda, però per aree geografiche, con lo scopo di uscire dalla mia occidentalissima comfort zone. Oppure un mega focus tutto sull'Italia? Non lo so, ho sempre più idee che tempo per realizzarle, ci penseremo a tempo debito.

Questo programma si tradurrà in post tematici qui sul blog, che saranno sia generici che focus più specifici sulle personalità più rilevanti, e tutti i post finiranno archiviati in una pagina dedicata solo a loro che troverete nell'header. Non determinerò in anticipo né quanti post dedicare ad ogni decennio - troppe variabili - né la frequenza con cui usciranno, perché faccio un lavoro infelice che non mi permette di fare piani a lungo termine (capito perché me ne voglio creare un altro?), ma come sempre sarà tutto opportunamente condiviso su ogni spazio del web.

L'ho specificato un milione di volte su ogni social possibile ma ci tengo a farlo anche qua: lo scopo non è nella maniera più assoluta quello di insegnare qualcosa, figuriamoci, ma solo ed esclusivamente di condividere il mio percorso di "studio", dargli un senso e un ordine, e soprattutto parlare insieme di quanto cavolo sono sempre stati belli i cinemelli dell'orrore.


Eviterò il post "accademico" sulla nascita del cinema, i Lumière e compagnia danzante, perché ok che voglio studiare per bene però vi risparmierò il supplizio di vedere me che vi racconto di treni che escono dalla stazione e di Thomas Edison, e in più di gente come Griffith su questo blog non parliamo. Partiamo venerdì (o sabato? dipende dal lavoro) con Méliès e poi fino a fine marzo ci dedichiamo al cinema muto. Alla fine di ogni mese facciamo una live su twitch per parlare insieme di come sta andando. Sarà divertente, spero. 

Parlare di questo periodo ha anche un grande lusso: è tutto di pubblico dominio e quindi è tutto sul tubo rosso. Per ogni post cercherò di fare una playlist con i film di cui chiacchieriamo, così sono belli ordinati anche loro, almeno fino a quando sarà possibile.


Ci sono tanti modi, se vorrete, di supportare questo progetto ma anche tutti gli altri, presenti e futuri, e si riassumono più o meno in tutti i disegnetti colorati che avete alla vostra destra se state leggendo questo post: iscriversi al canale twitch, ascoltare il podcast, seguire le live in differita su youtube, condividere se qualcosa vi piace, votare, spammare. Vi ringrazierò sempre e metterò una buona parola per voi con il nostro signore Cthulhu.


Grazie se vorrete fare questo viaggetto con me!

martedì 11 gennaio 2022

Nuovi Incubi: Scream

11:08

 Benvenuti alla Scream Week! 





Ovvero la settimana in cui tutta la community dell'orrore online è in visibilio per l'uscita del film evento dell'anno, il quinto capitolo della saga che ci ha cresciuti tutti.

Noi di Nuovi Incubi non potevamo tirarci indietro, perché quella nei confronti di Scream non è passione, è fede religiosa. Come ogni fede religiosa che si rispetti, quindi, abbiamo fatto una sorta di celebrazione eucaristica, un episodio speciale in cui vomitiamo nell'internet tutto l'amore possibile verso l'ultimo, immenso regalo che Wes Craven ci ha fatto prima di salutarci.


Più di ogni altro, questo ascoltatelo, che ci teniamo tanto, che Wes se lo merita, che vi motiviamo, qualora ne aveste le possibilità, ad andare al cinema, a supportare l'uscita di Scream, a festeggiare insieme quanto è bello il cinema dell'orrore e quanto era bellissimo quello di Wes Craven.

Poi c'è anche un'idea di marketing interessante, nell'episodio, supportateci che vi facciamo le magliette bellissime che coglieranno solo gli appassionati e vi faranno fare bella figura nei circoletti cinefili del vostro centro sociale di fiducia.


Ci potete ascoltare qui.

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