venerdì 11 marzo 2022

Il cinema muto: dalla Germania agli USA - Paul Leni e gli altri

 Il modo in cui mi sono lasciata per ultimo l'Espressionismo Tedesco dandomi così modo di fare un post di collegamento tra USA e Europa mi commuove quasi. E io il post lo avevo lasciato ultimo solo per farlo la stessa settimana della live su Nosferatu, quindi posso commuovermi per la coincidenza perché non ne ho alcun merito.

Questa settimana vediamo come il cinema dell'orrore (ma anche il cinema tutto) sarebbero stati radicalmente diversi se la Germania degli anni '20 non avesse fatto schifo e non avesse costretto tanti dei suoi talenti ad andarsene dall'altra parte dell'oceano.


Come al solito, c'è una playlist sul mio canale youtube, che trovate a questo link.





Un minimo di contesto


L'abbiamo detto nello scorso post ma è bene ricordarlo: la Germania è uscita dalla Prima Guerra Mondiale più distrutta dei piedi di chi deve mettere per la prima volta i Dr Martens nuovi. Come se la sua cittadinanza non ne avesse avuto abbastanza delle menate dei potenti, nel 1920 il DAP, il Partito Tedesco dei Lavoratori, fa una piccola aggiunta al proprio nome, e diventa il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, e il resto è triste storia. 
Non siamo ancora al periodo in cui migliaia di persone devono lasciare il Paese per scappare da leggi razziali, quelle arrivano solo negli anni '30, ma è pur vero che gli Stati Uniti hanno da subito offerto un'alternativa molto accattivante a chi, nel proprio Paese, non poteva ottenere a sufficienza. 
In questo post per ovvie ragioni parleremo di chi ha portato gli Stati Uniti ad avere il cinema dell'orrore, ma i nomi di emigrati europei che hanno cercato possibilità altrove e sono diventati stelle del cinema sono numerosi e riguardano ogni genere possibile: Micheal Curtiz, Ernst Lubitsch, Marlene Dietrich...


I nomi che ci interessano più di tutti, però, sono due: Carl Laemmle e Marcus Loew, i co-fondatori rispettivamente di Universal e Metro-Goldwyn-Mayer. Loew è nato negli Stati Uniti da una famiglia emigrata nella generazione precedente, Laemmle è nato in Germania. Possiamo dire in tutta serenità che la loro influenza sull'industria è una di quelle cose che hanno cambiato il corso del mondo. Senza Laemmle, oggi, il cinema dell'orrore sarebbe radicalmente diverso e non ho alcun interesse a scoprire come sarebbe, dato che così è bellissimo.


Il signor Paul Leni



Il contributo di Laemmle, però, non comincia con il Dracula di cui avremo modo di parlare ampiamente. 
Anni prima, nel suo paese natale, ha avuto modo di vedere uno di quei film dell'Espressionismo di cui non abbiamo avuto tempo di chiacchierare la scorsa settimana ma che trovate nella playlist, a questo link. Si chiama Waxworks, a dirigerlo un tale Paul Leni. Tra gli addetti ai lavori Waxworks è uno dei titoli più significativi del movimento, e siccome tra gli addetti ai lavori Laemmle ci rientra alla perfezione, ne nota le potenzialità. Offre a Leni un lavoro non di grande prestigio ma ben pagato: negli USA può girare le intro ai film Universal, piccole produzioni che chiamavano Prologues. 
I prologues di Leni, però, sono tanto belli che non passerà molto prima che arrivi la proposta per un primo film "intero". È il 1927, e a Leni viene proposto di dirigere The Cat and the Canary, titolo italiano Il castello degli orrori. Ispirato ad una produzione teatrale, è la conferma di quanto dicevo ieri in live: il muto chiede tantissimo allo spettatore, ma in mezzo alla fatica ogni tanto spuntano dei film che sono una gratificazione estrema, e questo è uno di quelli. Il castello degli orrori fa così incredibilmente ridere che sono quasi pentita di tutte le volte in cui ho detto che ridere al cinema non mi interessa più di tanto. Iniziatore di uno dei miei sottogeneri preferiti, quello della casa infestata, parla di una ricca ereditiera che deve passare la notte in un castello che si dice essere infestato per dimostrare di non essere pazza e avere così accesso all'eredità che le è stata promessa, come da testamento del parente defunto. Ovviamente il resto dei parenti ruota intorno all'eredità proprio come vuole il titolo: come farebbe un gatto intorno ad un canarino. È sguaiatamente simpatico, e ogni tanto caccia certi momenti di tensione completamente inaspettati che tu, spettatore, che fino a due minuti prima te la ridevi di gusto, sei quasi risentito. C'è un momento in cui un signore sta nascosto sotto il letto di due povere signore ignare, e il momento della tensione comica in cui spera di non essere scoperto è buffissimo, fino a che una delle due si china per controllare sotto il letto, e il volto divertente del tizio è trasfigurato, con le sole luci, in una delle visioni più inquietanti che ho fatto dall'inizio dell'anno.
Non c'era davvero bisogno, Paul Leni, mi è preso un colpo.

Il film piace a tutti, e la cosa non stupisce affatto. È un successo quasi unanime, e Laemmle chiede immediatamente altri 3 film: The Chinese Parrot è oggi perduto, ma subito dopo arriva quello che forse è il contributo più iconico di Leni per Universal: L'uomo che ride, che essendo tratto da un romanzo di Victor Hugo vi lascia intuire che a ridere è solo il protagonista. Protagonista interpretato da un grande, amatissimo, ritorno nella rubrica: Conrad Veidt, volto dell'Espressionismo Tedesco che è arrivato Oltreoceano a far fare notti insonni pure agli spettatori statunitensi. Il suo volto deturpato e costretto in un sorriso eterno non ha solo ispirato certi autori di certi fumetti, ma è anche diventato in qualche modo una delle immagini simbolo del cinema muto americano, ed è francamente spaventoso. Il film a me, in tutta sincerità, piace meno, lo trovo più impegnativo e meno digeribile del precedente, ma l'influenza è indubbia. Certo, finali tragici come quelli di Hugo negli Stati Uniti mica si potevano fare, quindi qui la faccenda si conclude su note positive, facendo strada ad un trend che gli americani ancora faticano ad abbandonare: se prendono un film e lo rifanno (cosa che comunque accade di rado, proprio non hanno questo vizio) spesso rendono il finale più family freindly, anche quando parliamo di cinema dell'orrore. Ecco, è cominciato tutto qui. 

Il contributo di Leni al cinema statunitense si conclude con L'ultimo avviso, The Last Warning, che con le classificazioni che diamo oggi al cinema sarebbe più un thriller che un horror duro e puro. Ambientato nel mondo degli spettacoli teatrali, in cui si deve risolvere un vecchio caso di morte sospetta, è l'ultimo lavoro di Leni prima della sua morte, nel 1929.
Per lui c'erano grandi progetti, anche se i lavori successivi al Castello sono stati meno amati. Tra gli altri, un certo adattamento di un certo romanzo sui vampiri, il cui ruolo principale doveva andare al suo prediletto, Veidt. Non ha fatto in tempo, e la storia ha voluto che quel ruolo e quel film lo prendessero altre persone. 

L'Universal di Laemmle, però, non stava lavorando solo con Leni, e nei post delle prossime settimane avremo modo di vedere con quali altre piccole personalità ha avuto modo di formare la scena dell'orrore degli anni '20. 
Tutto grazie all'emigrazione di un tedesco.


Non solo Leni


Ve lo ricordate Paul Wegener, l'attore e regista appassionato del Golem? È volato in America anche lui. Pur avendo avuto una carriera più breve rispetto a Leni, almeno negli USA, è comparso in alcuni dei film più famosi del periodo: The Magician, film tratto dall'omonimo romanzo di Somerset Maugham e ispirato alla vita di Aleister Crowley. Il film è passato alla storia e molto amato, ma Wegener non impressiona particolarmente e torna con la coda tra le gambe nella sua Germania, dove continua a lavorare fino alla morte, negli anni '50. 

Anche Christensen, lo scandinavo regista de La stregoneria attraverso i secoli, tenta il periodo americano, ma per lui va decisamente meglio: tra il '26 e il '29 fa una trilogia di quelle che possono essere considerato commedie del mistero, The Devil's Circus, The Haunted House e House of Horror, quest'ultimo perduto. Il suo contributo più famoso, però, è forse Sette passi verso Satana. Anche lui come Leni, però, conclusa questa esperienza torna in Danimarca. Forse perché alla proiezione di quest'ultimo film si dice che l'autore del libro da cui è tratto abbia pianto tutte le sue lacrime, e non per la gioia? 


In generale, le esperienze di questi registi europei negli USA sono oggi ricordate positivamente, anche perché con la distanza che ci ha offerto il tempo siamo in grado di individuare il ruolo fondamentale che hanno avuto nel corso della storia. All'epoca, però, non hanno goduto dei favori di pubblico e critica. Intendo con questo che gli Stati Uniti non hanno alcun gusto per il bello?
Assolutamente sì, e infatti tutto il bello che hanno è europeo, o deriva dall'europeo, o è stato influenzato dall'europeo. Mi piace vincere facile, le sole cose davvero americane le avevano distrutte da tempo. 
Facilonerie stupidotte a parte, è indubbio che il cinema sia stato una felice unione di culture ed influenze, e sono contenta di averle ricordate in questa fase, perché dal mese prossimo temo che questa rubrica finirà per essere americacentrica almeno al 70%.

Stima assolutamente casuale.



Le fonti di questo post:
(I link segnalati con un * sono link affiliati Amazon. Se i testi vi ispirano e li acquistate tramite questi link prendo una piccola percentuale, ma all'acquirente non costa nulla! Grazie se lo farete. Fine spazio pubblicitario.)


Nessun commento:

Posta un commento

Disclaimer

La cameretta non rappresenta testata giornalistica in quanto viene aggiornata senza nessuna periodicità. La padrona di casa non è responsabile di quanto pubblicato dai lettori nei commenti ma si impegna a cancellare tutti i commenti che verranno ritenuti offensivi o lesivi dell'immagine di terzi. (spam e commenti di natura razzista o omofoba) Tutte le immagini presenti nel blog provengono dal Web, sono quindi considerate pubblico dominio, ma se una o più delle immagini fossero legate a diritti d'autore, contattatemi e provvederò a rimuoverle, anche se sono molto carine.

Twitter

Facebook