The Collingswood Story
Mari.
11:51
Come vi dicevo qualche post fa, la nuova stagione di Nuovi Incubi sarà tutta dedicata al found footage. Era partita con una programmazione ricchissima ma poco prima della partenza io e la mia cohost Lucia ci siamo chieste se fosse effettivamente il caso di accollarci così tanto, vista l'immensa quantità di film. Siamo già prolisse a sufficienza quando parliamo di un film per volta. Abbiamo quindi deciso di fare una stagione più snella - e quando vedrete quanto è lunga capirete quanto ironico sia che la definisca snella - ma io a tutto quel found footage non volevo rinunciare. È pur sempre il mio sottogenere preferito. Quindi l'idea è di affiancare a ogni episodio (o quasi) un post, ogni volta dedicato a film in qualche modo legati a quello protagonista dell'uscita del podcast.
L'episodio uscito oggi è su My Little Eye, piccolo ma eccellente found footage del 2002 che ha anticipato di diversi anni temi e modalità a noi oggi così familiari. Nello stesso anno, però, di film piccoli, incredibilmente in anticipo sui tempi e per questo dimenticati troppo presto ce n'è stato un altro: The Collingswood Story.
Rebecca e Johnny hanno una relazione ma vivono lontani da quando lei ha iniziato a frequentare il college. Per riuscire a mantenere vivo il rapporto lui le regala una webcam e la introduce all'uso di un software per le chiamate che si colleghi al pc e permetta ai chiamanti di vedersi. La piattaforma è utilizzata da ogni tipo di weirdos dell'internet - del 2002, poi, ve li potete tranquillamente immaginare - tra cui una medium, Vera, che durante una chiamata conoscitiva rivela a Rebecca delle verità che cambieranno il corso della sua vita.
My Little Eye è stato il primo a introdurre diversi elementi: l'ambientazione nel reality show e le camere fisse arrivano da qui, per esempio. The Collingswood Story allo stesso modo introduce qualcosa: è a tutti gli effetti il primo horror screenlife.
Uscito nel 2002 e poi scomparso immediatamente, ha ricominciato a girare per qualche festival nel 2005, per finire poi tra i titoli da cestone dell'unieuro molto velocemente. Nessuno sapeva cosa farsene di una cosa del genere. Imperdonabile, perché davvero ha creato l'impossibile, anticipando non solo un nuovo modo di fare cinema ma anche un intero nuovo modo di comunicare. Se oggi le chiamate su Zoom sono diventate parte del quotidiano sia nella sfera personale che in quella lavorativa, nel 2002 era un discorso ancora quasi inimmaginabile, il che contribuisce a spiegare come mai non sia stato un fenomeno globale come il suo ispiratore Blair Witch Project era stato qualche anno prima. Al regista Michael Costanza mancava quindi la dimestichezza col mezzo che ha avuto, per fare solo un esempio, Rob Savage quando ha realizzato il suo bellissimo Host, e ha dovuto creare questo mondo da zero. Come si rende accattivante una storia in cui per tutto il tempo vediamo solo i volti di quattro persone che parlano? Come fa a rimanere narrativamente interessante? Come si scrivono dialoghi che devono sostenere quasi da soli l'intera vicenda? Come si costruisce la tensione potendo solo riprendere i visi? Si può, con queste premesse, introdurre un intero mistero in modo convincente? Oltre a ciò, il film ha la grande limitazione del software: poiché vediamo lo schermo del pc per intero, la parte riservata alla webcam è molto piccola perché piccolo è lo spazio sullo schermo che occupa la finestra del programma che i due utilizzano, limitando ancora di più le possibilità del regista. Costanza aveva mille "problemi" a cui trovare soluzione e quasi nessun prodotto precedente a cui appellarsi per cercare risposte.
Il suo film risponde al desiderio voyeuristico a cui si appellano tutti gli screenlife: l'accesso alla parte più riservata di una persona, che oggi si trova nel suo telefono o nel suo computer. Nel 2024 questo ha ovviamente più mezzi per esprimersi: accesso alle mail, ai social, alle chat, alle veloci chiamate su FaceTime o addirittura alla cronologia del browser, il che rende gli screenlife più ricchi e gli spettatori più attivi nel cercare indizi e informazioni in varie parti dello schermo. Nel 2002 era più semplice, e il film sceglie solo di farci entrare nella conversazione privata tra due fidanzati.
Il fidanzato Johnny è un primo elemento di interesse. Se chiacchierando con Rebecca lo troviamo affabile e premuroso, c'è sempre qualcosa in lui che ci fa storcere leggermente il naso: non riattacca immediatamente appena conclusa la conversazione con la ragazza ma rimane in ascolto, rimanendo spettatore passivo della sua vita quasi a volerla monitorare. Questo ci viene confermato dal suo migliore amico, che lo accusa, seppur scherzosamente, di aver regalato la webcam alla fidanzata proprio per avere ancora più controllo sulla sua vita. L'amico parla proprio di stalking. In più, per regalare una serata indimenticabile a Rebecca dà il suo numero ad alcuni dei weirdo dell'internet di cui sopra, sperando che le loro buffe telefonate l'avrebbero distratta dalla prevista serata dedicata allo studio. Una cosa oltraggiosa e pericolosa.
Parlando con la madre, Rebecca dice di essersi allontanata non solo per l'università, ma anche per avere uno spazio suo, un po' lontano da Johnny stesso. In questo il film gioca abbastanza bene, mantenendo fino all'ultimo secondo possibile l'ambiguità necessaria per farci sospettare che possa essere Johnny a mettere in pericolo Rebecca e non la medium Vera con le sue rivelazioni.
Non che Vera sia esente da ambiguità: ogni volta che compare sullo schermo pare diversa dalla precedente: a volte immersa fino al collo nel suo personaggio oscuro e minaccioso, altre ridicolizzando il soprannaturale e tutti i creduloni che abboccano alle sciocchezze. In questo il film è chiaro: non bisogna fidarsi delle persone del web. A essere messo in discussione non è mai il mezzo ma sempre coloro che ne fanno uso, che non sono mai autentici e meritevoli di fiducia. Anche questo è un interessante cambiamento che resterà poco sviluppato nel corso del tempo. Internet - e oggi anche il mondo delle intelligenze artificiali - è da sempre ritratto come il demonio del nuovo millennio. Il focus è sempre stato sul mezzo, pur con le dovute eccezioni, mentre Costanza qui sceglie di lasciare la responsabilità del male tutta nelle mani degli uomini, che con le loro sette e i loro culti portano violenza e morte.
L'elemento legato al culto e alla risoluzione della storia di Collingswood che dà il titolo alla pellicola è in effetti proprio la sua parte più debole. È poco intrigante e un po' superficiale ma sono certa di vederla così proprio per le difficoltà legate alla scelta della videochiamata. Essere troppo in anticipo sui tempi ha significato non avere familiarità col mezzo perché, banalmente, non lo si usava. Non se ne conoscevano tempi e soprattutto potenzialità spaventose. Sebbene, soprattutto nella prima parte, ci siano momenti in cui genuinamente si teme per la sorte dell'ignara Rebecca, questo si perde molto nella seconda, quando si dedica tempo alla ricerca di informazioni sul culto che aveva sede nella città senza che si riesca davvero a legare questa storia alla protagonista. Il film ci dà le informazioni corrette per mettere insieme persone e circostanze, ma il senso di pericolo imminente, così chiave nel found footage, qui manca, e si arriva al finale poco intrigati e un po' delusi soprattutto dalla conclusione stessa.
Oggi un regista che si approccia allo screenlife sa come posizionare la webcam per massimizzare la tensione, quali dialoghi tenere e quali scartare per tenere il ritmo fluido e realistico. Conosciamo internet così bene da sapere come sfruttarlo per trarne il massimo possibile in termini di funzionalità ed efficacia.
Se lo sappiamo così bene, però, è perché sono arrivati pionieri come The Collingswood Story a mettere le basi, e dimenticarceli come abbiamo fatto con lui è ingiusto e anche un po' triste.