Redrumia33: settimana 3
Mari.
18:15
Il fatto che sia già finita la terza settimana di ottobre è una cosa che non ho preso benissimo, prima di tutto perché vorrei fosse ottobre tutto l'anno e poi perché l'idea di arrivare alle temperature invernali davvero non mi riempie di entusiasmo. Se non altro mi sono goduta un'altra settimana piena di orrori cinematografici e mi sono divertita come una bambina sulle giostre.
Avevamo recuperato il controverso primo capitolo della saga con Taissa Farmiga per guardare il secondo, accolto ben più calorosamente. Sebbene a me fosse piaciuto anche il suo predecessore, è pur vero che il capitolo due è diverso, più intenso e più concentrato sulla storia da raccontare che sul desiderio di farlo spaventando. Il discorso sulla fede che spesso caratterizza il cinema demoniaco viene qui riproposto, ma al femminile. Non sono sacerdoti, quindi, ad avere dubbi sulla propria veste, ma suore, che devono affrontare il male per poter accogliere dentro di sé quello che considerano essere il bene. Invertire la consuetudine di genere rende il film, ai miei occhi, ancora più interessante, perché cambia il tono della riflessione e le riflessioni che se ne traggono.
Questo non è piaciuto a nessuno e ammetterò che io non ho grandi capacità di giudizio verso i film per famiglie però mi sono divertita. È una commedia molto classica di infestazione, con medium, scettici e vittime, quasi grottesca nei suoi eccessi ma con buone intenzioni. Alcuni momenti mi hanno fatto molto ridere perché ho l'umorismo di una di cinque anni, quindi alla medium che viene cacciata dalle scale con ancora la sedia sotto il sedere ho riso moltissimo, ma in generale l'ho trovato candido e sincero.
Cominciamo.
L'ho trovato più appassionato e intenso, con una Farmiga sempre al meglio delle sue capacità e una bella storia da raccontare.
A questo film ho dedicato una live che vi condivido, per non dilungarmi ancora su un film di cui ho parlato a sufficienza.
La mia ormai nota antipatia per Nicolas Cage aveva fatto sì che io rimandassi questa visione e questo è ingiusto nei confronti di un Nicholas che invece amo di amore appassionato: lo stupendo Hoult. Devo anche riconoscere che spesso i miei pregiudizi mi fanno prendere delle cantonate, ed è questo il caso: mi sono divertita come una pazza. Coreografato in modo delizioso, simpatico e con momenti interessanti quando decide di parlare di relazioni e autocoscienza, pur continuando a farlo in modo scanzonato e senza mai prendersi sul serio. Che questo non faccia pensar male: non si prende mai gioco di tematiche serie e importantissime, come la tossicità di alcune relazioni, sceglie solo un registro più leggero per affrontarle e secondo me lo fa in modo molto rispettoso.
Se Cage qui si lascia andare a fare il meme consapevole, è Hoult che si conferma adeguatissimo in questi ruoli scanzonati ma intriganti. Carinissimo.
Io e questo film non ci siamo capiti. Parla di una bambina, Mia, che dopo il suo settimo compleanno chiede alla madre di essere chiamata Alice, e sostiene di non essere più se stessa. Il nome non è nuovo a sua madre, e le richiede di scavare nel suo passato per restituire alla figlia la propria identità.
Apre due temi molto canonici dell'horror, la maternità e il senso di colpa, solo che ho avuto la sensazione fosse un po' sfuggente e non centratissimo su nessuno dei due. Cerco di spiegarmi meglio senza fare spoiler: la prima parte vede una madre dover risolvere un problema della figlia, la seconda è quella che rivela che il problema, in realtà, è suo. La mia perplessità sta nella risoluzione. La madre ha fatto un errore, e deve pagarne le conseguenze, però non mi è chiaro perché debba essere punita nella sua maternità, completamente scollegata dall'errore che ha commesso. Non è la sua identità quella rimessa in discussione, viene punita non in quanto colpevole ma in quanto madre, e non sono sicura di essere uscita da questa visione soddisfatta. Alla fine non fa una vera riflessione sulla maternità, sul ruolo genitoriale, ma neppure una profondissima sulla colpa e l'elaborazione della stessa. Ha però alcuni momenti molto riusciti e due interpreti sopraffine. Non so, forse non ci siamo incastrati nel momento giusto.
Ho una sola perplessità che credo sia legata al momento che sto vivendo. Molto spesso nel cinema che parla di lutto viene chiesto a chi resta di lasciar andare, e qui avviene lo stesso. Le persone sofferenti sono invitate ad andare avanti, ad abbracciare la nuova vita piena di possibilità. È un gesto che mi viene da considerare violento e non mi piace vederlo. Voglio tenermi stretto il mio passato e fare sì che mi aiuti a vivere un presente migliore e a costruire un futuro di cui essere fiera, non voglio "lasciar andare". È un concetto che non mi piace soprattutto quando viene suggerito ai bambini. Per il resto, c'è Danny De Vito, non penso serva altro.
Storico cult di fine anni '80 che a me ancora mancava e che ho recuperato perché l'ho trovato su Shudder. Queste squisitezze qui sono le cose che metto su quando mi serve del cinema confortevole: demoni, final girls, omicidi originali - molto apprezzato il braccio tranciato con una bara - adolescenti sciocchi e case abbandonate in cui fare sinistri festeggiamenti di Halloween. Qui c'è poco da spiegare, ognuno si rilassa a modo suo e niente come una roba del genere mi rimette in pace col mondo. Questo, poi, ha alcuni momenti iconici - la rapina al supermercato, un momento di rivendicazione del proprio corpo mica male, il rossetto nella tetta, potrei continuare all'infinito - e tanta, tanta voglia di fare quel cinema nato per intrattenere, senza secondi scopi, senza pedagogia, solo con la voglia di demoni e tanto sangue. Mi sono già affezionata.