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mercoledì 4 ottobre 2017

Madre!

14:36
Ho pensato per giorni se fosse il caso o meno di parlare di Madre!.
Poiché, però, dalla sera della visione non riesco a pensare ad altro, mi ritrovo a dover almeno provare a buttare giù qualche riga, nella vaga speranza mi esca qualcosa di sensato.


Per quanto mi riguarda un film di Aronofsky al giorno potrebbe essere la ricetta della felicità. Mi piace tanto, tantissimo, rappresenta in pieno quello che cerco quando inizio un film. Alle prime notizie dei fischi a Venezia mi sono tappata le orecchie e ho indossato il velo del negazionismo.
Ebbene, entro in sala.
A metà film voglio uscire.

La coppia composta da Jennifer Lawrence e Javier Bardem (caposquadra dei Brutti Che Piacciono Alla Mari®) vive in una casa in mezzo al nulla. Sembrano felici anche se l'ispirazione di lui, poeta, sembra tardare ad arrivare. La loro solitudine viene interrotta dall'arrivo di un ospite, convinto che la loro casa fosse un b&b, che viene invitato a restare da Bardem.
Per me, da questo momento, ha inizio un incubo.
Mano a mano che l'ospite diventava invadente, io diventavo nervosa. Se ognuno di noi è più o meno sensibile a cose diverse, io impazzisco quando mi sento invasa. La mia casa è la mia casa e tu ti prendi la confidenza che io ti dò, punto. Ho persone a me vicine che invece sono meno inflessibili di me e che toccano la casa altrui come se fosse propria e le condannerei a morte con tortura. Nel senso che mi dà fastidio anche se lo fanno a casa d'altri, mi sembra proprio di impazzire.
Tutta la prima metà del film è un home invasion di portata psicologica terrificante. Con l'arrivo della moglie la visione è diventata per me faticosa come un allenamento di Kayla Itsines e per la prima volta nella mia vita, sono disposta a giurarlo, mi è balenata in testa l'ipotesi di lasciare la sala.
Sono abituata al cinema che lascia sensazioni negative. Spesso mi piace. Mi piace l'arte che scombussola, che rimette in discussione, che frantuma e ricostruisce. La fruizione, però, deve essere gradevole. Mi piace guardare i peggio film horror anche quando sono beceri oppure spaventosissimi perché per qualche motivo mi divertono, quindi anche qualora la sensazione non sia quella di cavalcare un unicorno io ne traggo comunque qualcosa di positivo. Quando ho visto Martyrs ho faticato come un anziano che salta i fossi per il lungo, ma alla fine per tutta la durata ho avuto la netta sensazione di stare guardando qualcosa di Grande. L'esperienza finisce sempre e comunque per essere gratificante.
In Mother! mi sono spesso ritrovata a pensare che non ne valesse la pena. Ogni sgarbo, ogni imposizione, ogni intrusione mi sono pesati come macigni e non voglio sentirmi così quando guardo un film. Ero arrabbiata furiosamente con Darren Aronofsky che non mi stava dando quello che volevo e che mi disturbava così (avanti, anticinefili dell'internet, perculatemi pure, ho intenzione di usare tantissimo la parola disturbante in questo post).
Ma soprattutto, levatemi di torno la faccia della Pfeiffer perché com'è vero Iddio io la detesto.
Mi passerà, quando mi dimenticherò il film, ma è stata talmente brava che io adesso vorrei procurarle dolore fisico con le mie stesse mani.

Poi, però, succede qualcosa.
Il film entra in una seconda fase in cui, sia lodato Djesoocreesto, la Pfeiffer scompare dalla scena per lasciare spazio ad un'infinità di cose in più. Tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento prende un aspetto nuovo, interessante. Una nuova lettura ci viene sottoposta e noi finiremo per rileggere tutto il film in luuunghe sedute di discussione con chi abbia avuto la sfortuna di finire in sala con noi.
Bisogna riconoscere che DA sembra credere molto in se stesso, ho avuto la sensazione che in ogni fotogramma gridasse allo spettatore 'Mi vedi quanto sono controverso? Guarda fin dove oso!'. Si sarà fatto le carezzine sulla testa di fronte al grande coraggio di portare un'allegoria della bibbia in un film così tanto particolare, fuori dal convenzionale. Ci crede un sacco, è bravo e lo sa e non vede l'ora che tutti glielo ricordino.
Avrei potuto facilmente detestarlo, per una cosa del genere.
Invece mi è piaciuto tanto. Non l'ho capito subito, che mi era piaciuto, però. Sono uscita dalla sala confusa e disturbata, quasi quanto l'imbecille seduta davanti a me che una volta in bagno si è lamentata con la sua amica di non avere capito il film. Fosse stata su Instagram almeno 5 minuti in meno magari le sarebbe rimasto qualcosa in più che non la sola domanda 'Ma perché adoravano un poeta?'.
Ne ho parlato a lungo con R, ho parlato con persone che ne sanno di religione ben più di me, ci pensato un sacco, per giungere alla conclusione che con me anche questa volta Darren aveva fatto centro. La mia testa è sempre lì, dopo giorni, e questo, nonostante l'indubbia fatica e il disturbo quasi mortale che mi ha causato, è il motivo per cui guardo i film.
Per accenderlo, il cervello, non per spegnerlo.

sabato 28 febbraio 2015

And the Oscar goes to...Biutiful!

18:08
[COMUNICAZIONE DI SERVIZIO PER I GENTILI UTENTI. Ubuntu ha fatto qualcosa di strano alla mia fidata tastiera, per cui se vedete caratteri apparentemente grammaticalmente sbagliati e' solo perche' non ho ancora trovato quelli giusti. Problema che peraltro ho solo con Blogger e non con il programma di scrittura, per cui se avete consigli e barra o soluzioni, please HELP.]


Mai filati io, gli Oscar.
Tranne quest'anno, che quando ho sentito 'Redmayne!' volevo piangere, ma poi ho sentito 'Birdman' e il mio cuore ha ballato Conga.
Prima di qualche giorno fa, però, non mi sono mai interessati granché.

Quando però Alessandra di Director's Cult (trovate il link sotto) ha proposto di parlare dei perdenti delle scorse edizioni ho accettato di corsa perché i loser li amo. Tipo che guardo anche Glee.
E poi me la prendo sempre molto quando non vengono riconosciuti i meriti di qualcuno (sì, per questo ho pianto guardando The Imitation Game) e quindi questa iniziativa mi calzava giusta giusta.

Eccoci allora a rimembrare l'anno Domini 2011, quando Inarritu, a differenza di quest'anno [Conga n. 2], aveva si due candidature (miglior film in lingua straniera e miglior attore protagonista per Javie Bardem) ma se ne e' tornato a casa a naso asciutto.


MALE.
MOLTO MALE.

Perche' in Biutiful Bardem e' un uomo, un padre, con il cancro, e due mesi di vita di fronte. Contemporaneamente, lavora nel mercato nero, vede i morti e li aiuta ad 'andare verso la luce' (cit. Melinda Gordon).

E lo fa in un modo cosi' raffinato, garbato, ESEMPLARE, che l'Oscar non sarebbe dovuto andare altrove.
Perche' il cancro e' una brutta bestia.
E no, non parlo della malattia. Non la conosco e non voglio parlarne per non mancare di rispetto a chi invece l'ha incontrata sulla propria strada.
Parlo di cinema.
Il cancro al cinema e' difficile, e' indigesto, e in fondo non piace a nessuno.
Quei film cosi volutamente strappalacrime li guardiamo tutti ma non piacciono a nessuno.

Poi arriva Bardem, ovviamente guidato da un ottimo pilota, che ci porta un uomo comune. Perche' non c'e' niente di piu' democratico della malattia.
E allora ecco Uxbal, il personaggio intorno a cui questo film ruota. Uxbal, come noi, ha mille cazzi per la testa.
Vive un po' alla giornata, cerca il modo di essere un bravo genitore, fa qualche cazzata. Perche' il manuale della buona vita non ce l'ha nessuno, ce lo costruiamo strada facendo.
Ma quando di strada non ne hai piu' che fai?







E come ce lo porta bene, questo uomo comune. Ce lo ritrae, con tutta l'intensita' che metterebbe un artista nel suo quadro. E ci ferisce. Non nel modo semplice e superficiale del 'Oh poverino, muore, mi dispiace, poveri bambini!'.
No, Bardem ti spacca il cuore.
Dico 'spacca', non spezza. Non te lo apre in due, ti lascia un taglio profondo, di quelli che sanguinano copiosamente. Poi col tempo si ricuciono, ma lasciano i segni.
Regala dei sassi ai suoi bambini e pare una stupidata, ma tu lo guardi e senti il dolore assurdo che sente lui mentre abbraccia la sua bambina, e la implora di non dimenticarlo, e la stringe, e la stringe tanto che sembra che un abbraccio non basterebbe mai a dire quanto amore c'e'.

Ha un viso particolarissimo, il nostro vincitore di Oscar fittizio. A mio parere splendido, ma e' cosa nota che prediligo i fascini prepotenti alle bellezze convenzionali. Quanto ci gioca, con quello sguardo, che a vederlo superficialmente pare sempre uguale, invece no. Invece con gli occhi ci parla. Vorrei avere parole abbastanza profonde da rendere giustizia alla poesia che Javier Bardem scrive recitando. Ma non ce le ho, vi basti sapere che e' una performance che spacca i culi. E che l"Oscar se lo doveva portare a casa.



Per altri loser-omaggi, i link degli altri carissimi bloggerz:
Scrivenny
Cinquecento film insieme
Solaris
Director's cult
In Central Perk
Pensieri cannibali
Non c'è paragone
Bollalmanacco



giovedì 6 dicembre 2012

Non solo horror: Non è un paese per vecchi

12:05

Titolo originale: No country for old men.

Anno: 2007

Durata: 117 min.

Trailer:
 
 

Tratto dall'omonimo romanzo di Corman McCarthy.

Oggi entro in biblioteca intenzionata a fare scorta di libri, ma uscendo mi fermo nella sezione DVD. Speravo di trovare Memento, per riguardarmelo per l'ennesima volta. Non c'è, quindi faccio passare gli altri titoli, e mi ritrovo in mano 'Non è un paese per vecchi'. Di fama lo conosco, ma non ne so molto. Scopro solo leggendo la custodia che l'Academy l'ha premiato con 4 Oscar. Uuuh, vediamo che cosa li ha conquistati. Di solito non è che io sia d'accordo con loro, ma diamogli una sciàns.

Ecco la vicenda: siamo in Texas, nel 1980. Llewelyn Moss è un uomo comune, a parte il nome chiaramente, non troppo benestante, che un giorno è a caccia. Da lontano scorge qualcosa di strano, si avvicina (giustamente, chi non lo farebbe?) e trova vari pick-up parcheggiati in mezzo al deserto e un numero non indifferente di cadaveri. Sbircia in giro come chiunque al suo posto avrebbe fatto e trova su uno dei furgoni un carico di droga, segno che evidentemente quel ritrovo non era una gita degli alpini. Decide quindi di continuare a curiosare, e si ritrova tra le mani una valigetta con due milioni di dollari. Apriti o cielo. Llewelyn viene rintracciato e inseguito dal 'legale' proprietario del denaro, tale Anton Chigurh, che a sua volta, siccome semina in giro giusto un paio di morti, viene ricercato dalla polizia, nelle vesti dello sceriffo Bell.

La trama è tutta qui, semplicissima. Tizio insegue Caio che insegue Sempronio. A fronte di una storia così lineare, il film va arricchito con altro.

Il principale arricchimento è dato da tre interpreti a mio parere fantastici. Llewelyn è Josh Brolin, talmente cowboy che in ogni scena in cui compariva mi veniva da fischiettare la colonna sonora di 'Lo chiamavano trinità'. Non è stato il mio preferito, ma è davvero bravo.

La veste dello sceriffo Bell è indossata da un meraviglioso Tommy Lee Jones. Potrei fermarmi qui. Ma sento il bisogno fisiologico di mettere per iscritto che ogni lineamento del suo viso, comprese le rughe (SOPRATTUTTO le rughe!) era assolutamente perfetto per questa parte. Ha proprio scritto in faccia: io sono l'uomo onesto, il buono, quello di cui per tutto il film ti puoi fidare. E il modo in cui continua a togliersi e rimettersi il cappello è texanissimo.

Infine, padrone assoluto di tutto il film, è Javier Bardem, aka Anton Chigurh. (No, non voglio parlare del fatto che a prescindere da tutto sia un gran figo.) Già esteticamente è uno dei personaggi più riusciti di sempre. Un taglio di capelli che nemmeno il Ringo Starr dei tempi d'oro, una giacchetta di jeans imbarazzante, degli stivali a cui mancavano solo gli speroni. Il tutto unito al suo viso particolarissimo, è stato un mix geniale. In più, ha dato prova di un'espressività che manco il Johnny Depp dei tempi d'oro. Sembra sempre stralunato, quasi alienato dal mondo con lo sguardo sempre fisso e calmissimo, i movimenti talmente lenti da essere esasperanti. Poi ripete sempre le frasi almeno due volte, si opera da solo, controlla minuziosamente i dettagli..e alla fine, di lui non si sa nulla. Il suo nome è citato una sola volta nel film, non si parla del suo passato, né del perchè voglia i soldi, né del perchè sia così spietato. Ma va bene così, perchè è il suo punto di forza. Enigmaticissimo.
 




L'inizio del film è uno dei miei preferiti: c'è un lungo (ma non troppo) monologo dello sceriffo, di cui si sente solo la voce fuoricampo che parla della criminalità, mentre passano delle immagini meravigliose del deserto americano al tramonto, o inquadrature ancora più suggestive di quelle fantastiche autostrade americane che passano in mezzo al nulla e che io amo da quando le ho viste per la prima volta in 'Casper'. Tempo 5 minuti e sei già nel vivo della faccenda: inizia il film e c'è già il primo omicidio. E una Mari soddisfatta.

La soddisfazione rimane per tutta la durata del film, perchè c'è della bella azione, che però non dimentica dialoghi intelligenti e divertentissimi, scene che ti lasciano un po' senza parole e altre che ti fanno un sacco ridere. Per dire: a me ha divertito tantissimo l'espressione ebetissima di Bardem, soprattutto dopo i primi due omicidi di notte nel deserto. E mi ha fatto altrettanto ridere la boltgun, ovvero quell'arma ad aria compressa che di solito è usata per macellare gli animali e con la quale Anton apre le serrature. Sia messo agli atti che ne voglio una.

Questo film poi mi ha fatto rivalutare un pochetto (e solo in parte) il doppiaggio italiano. La voce di Bardem era davvero ben resa e anche simile alla sua vociona da omone di Neanderthal. Escludo senza ripensamenti da questa frase la doppiatrice che ha dato la voce italiana a Kelly MacDonald, che nel film interpreta Carla Jean, la moglie di Moss, perchè ha la voce più antipatica del sistema solare.
 
 

Parliamo del finale? No, non ne parliamo. Mi ha lasciata senza parole.
Parliamo solo del fatto che questo è uno di quei film che guardi e pensi 'Sì, questo è proprio un Film. Un signorfilmconlaeffemaiuscola.'
La sola cosa che un po' mi lascia sbigottita è che gli animalisti riuniti di tutto il mondo non l'abbiano bruciato nella pubblica piazza. Ma è stato meglio così.

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