Visualizzazione post con etichetta nonsolohorror. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta nonsolohorror. Mostra tutti i post

giovedì 1 febbraio 2024

Povere creature!

14:48

 



Dopo una più o meno volontaria assenza dalle sale, ho rimesso piede nel mio cinema di fiducia per il nuovo film di Lanthimos, Povere creature!. È stato un ritorno glorioso.
La storia, che sicuramente già conoscete ma che segno per i posteri, è quella di una giovane donna a cui è stato trapiantato il cervello del neonato che portava in grembo per poterla salvare dalla morte. God, il medico folle e ambizioso tanto quanto il suo nome che l'ha riportata in vita con questo straordinario intervento, la cresce come una figlia per studiarla, almeno fino al momento in cui Bella si sentirà pronta ad affrontare il mondo da sola.

Il film altro non è che la gloriosa crescita della sua protagonista, che da neonata - almeno cerebralmente - cresce e diventa ragazza e poi donna, in uno splendido ritratto della vita femminile che forse non era ancora stata ritratta con questa meravigliosa sincerità.
Non è difficile iniziare il film con il naso storto dall'indignazione: God ha fatto un gesto violento, senza consenso, nato solo per soddisfare il suo ego. Ha disposto a suo piacimento del corpo di una donna che invece aveva preso per il proprio corpo una decisione per chiara: si era tolta la vita. Allo stesso modo potrebbe indignarci Max, lo studente di God promosso ad assistente, che ammette candidamente di essersi innamorato di Bella proprio nel momento in cui lei non può essere una compagna consapevole, perché nel suo percorsi di crescita la sua mente è ancora alla fase dell'infanzia. Ci sembra un amore sporco, quello di Max, perché non può portare ad una relazione paritaria e autentica. Così come sporco è il ricatto a cui lo sottopone God, imponendo alla futura coppia una convivenza forzata. Sempre senza conoscere l'opinione di Bella, s'intende.
Lei, però, non ci sta, perché giorno dopo giorno l'infanzia lascia lo spazio alla maturità, e con essa al desiderio di evasione. Il mondo è immenso e Bella vuole abbracciarlo tutto. Da questo momento il film prende una piega completamente diversa, ma lo fa attraverso un momento molto significativo dell'esplorazione della sua protagonista: la voglia di mondo arriva dopo la scoperta del desiderio sessuale. Masturbandosi prima e conoscendo il tocco umano poi, Bella comprende che la sua vita non si può privare del piacere, sensuale ma non solo. 
E quindi parte, alla ricerca della conoscenza. Bella conquista le spettatrici perché non ha paura di prendere quello che desidera, perché espone senza paura il desiderio sessuale e la possibilità di una felice promiscuità priva di giudizio e di limitazioni. Bella giace con uomini e donne, sfrutta il suo corpo per pagarsi da vivere e lo fa con spensieratezza, a patto di poterlo fare alle proprie condizioni.
Insieme alla sua crescita c'è quella del mondo che la circonda: alla quasi espressionista Lisbona, con i suoi colori sgargianti ma dalle figure sbilenche - filtrate dal candore dello sguardo infantile che le sta conoscendo per la prima volta, seguono un'infelice Alessandria, primo vero incontro della "giovane" con l'ingiustizia e la disparità, e la ricca Parigi, in cui Bella diviene (o sarebbe meglio dire torna) donna. Il mondo le è mostrato attraverso gli occhi consapevoli dell'amica conosciuta al bordello, che la prende per mano e la accompagna attraverso le sue idee rivoluzionarie, la aiuta a lasciarsi indietro l'uomo che l'ha usata quando lei non sapeva cosa volesse dire farsi usare e la guida verso un tipo di piacere nuovo. 
Poiché la sue mente è stata manipolata dai desideri altrui, è col corpo che Bella si fa largo nel mondo. Privata di una formazione tradizionale che l'avrebbe resa pudica e riservata, non teme di manifestare i suoi frequenti appetiti, di sfruttarli per fare soldi. Senza il suo desiderio sessuale non avrebbe incontrato la libertà prima e la conoscenza poi. Il piacere è arrivato da solo, con un esperimento a tavola, e l'ha portata ovunque. Essere così attiva non ha offuscato lo sguardo genuino che Bella ha sempre avuto sul mondo: sono stati gli uomini a farlo. Uomini che la volevano solo per sé, uomini che volevano incatenarla, uomini che volevano farle del male. Dal sesso per Bella è arrivata la libertà, e con essa la vita adulta, l'ambizione, la conoscenza.
Questa donna, figlia e madre di se stessa, ha coltivato da sé la propria educazione, allontanandosi dagli occhi che le erano vicini solo per studiarla, modo ancora più intimo di possederla.
E lei invece ha volato, anche nel ritornare a casa. Nel modo in cui ha osservato la sua sostituta, nel modo in cui i suoi occhi hanno cominciato a vedere il mondo meno distorto ma più simile al reale, nel modo in cui ha deciso per sé cosa fosse meglio fare. 

Uno squisito inno alla vita, alla felicità, al coraggio di andarsela a prendere senza timore di apparire eccessive. Non è per questo naive, anzi: la vita fa schifo, le persone possono essere cattive e le situazioni ingiuste. Però ne vale la pena, e dobbiamo farne il meglio che possiamo. 
Meraviglioso.

lunedì 5 giugno 2023

Primavera 2023: un riassunto

12:47
 Nel mio personale calcolo delle stagioni, la primavera finisce con il mese di maggio, affinché io possa far durare il più a lungo possibile la sola stagione che conti: l'estate.
Poiché per me ormai il cambio di stagione c'è già stato, mi pareva un buon momento per fare una carrellata delle cose più significative tra quelle viste, lette e ascoltate nei mesi passati.




Libri

Sono stati mesi abbastanza soddisfacenti dal punto di vista delle letture, perché ho goduto di un po' più di tempo libero che mi ha permesso di concedermi lunghe ore in poltrona immersa nel mio primo amore. Non mi dilungherò sui libri del progetto Dark Ladies, che sono stati oggetto di dirette su instagram, tutte salvate sul profilo per chi desiderasse recuperarle, ma in questa sede mi fa piacere condividere che sono molto contenta di come sta procedendo l'anno con loro, le signorine della narrativa di genere, e che mi stanno dando grandi gratificazioni.
Sempre in tema di signorine e orrore, in questi mesi ho finalmente recuperato Il mostruoso femminile, quello di Jude Ellison Sady Doyle che ha un'infelice omonimia con quello di Barbara Creed. I due testi parlano di tematiche simili effettivamente, ma se quello di Creed è più accademico, quello di Sady Doyle affronte i temi in modo più immediato e semplice, rendendole alla portata di chiunque. Un ottimo modo per entrare nel tema del mostruoso femminile ed essere indirizzati verso le sue tematiche principali.
Prosegue inoltre la mia lettura del Ciclo di Avalon di Marion Zimmer Bradley. Le nebbie di Avalon è diventato il mio libro preferito, l'ho amato di una passione ardente. Il secondo capitolo è La casa della foresta, che continua il discorso al femminile che sta al centro della saga intera, ma che si sposta indietro nel tempo, ben prima di Camelot. Questa volta ci si concentra sulle sacerdotesse, e sulla storia che ha portato Avalon in essere, ma raccontata intorno ad una storia d'amore di cui purtroppo mi è importato troppo poco perché il coinvolgimento potesse essere lo stesso. Impazzisco per la scrittura dell'autrice e proseguirò comunque nella lettura, ma questo per me non ha toccato i picchi del suo predecessore.
Grandiosa scoperta è stata invece per me Guida il tuo carro sulla ossa dei morti, di Olga Tokarczuk. Un romanzo brillante e divertentissimo, la cui protagonista è forse il personaggio femminile migliore che ho mai letto su carta: un'anziana insegnante che rifiuta di andare in pensione, appassionata di astrologia e delitti, che traduce poesie con uno studente molto più giovane e nel tempo libero risolve i delitti che le stanno accadendo intorno. Un romanzo fortemente antispecista, se non proprio un manifesto intero di un movimento che vuole il bene di altri esseri viventi, un noir moderno e irresistibile, una scoperta felicissima. Non finirò mai di tesserne le lodi. 
Mi sono poi sottoposta alla lettura di V13, l'ultimo libro di Carrére, il racconto del processo per gli attentati terroristici avvenuti a Parigi il 13 novembre 2015. Quando Carrére scrive true crime, lo avevamo già sperimentato con L'avversario, è un maestro: sa su quali tasti premere per coinvolgere emotivamente il lettore senza usare mezzucci poco eleganti e scorretti, sa quali sono le cose su cui puntare l'attenzione per dare un resoconto completo e nel rispetto di quanto accaduto. In questo caso era ancora più difficile, perché non toccava solo storie personali ma anche la coscienza collettiva francese. Ha diviso il testo in tre parti: una dedicata alle vittime, una all'estremismo islamico, per comprendere come nasca il fenomeno del terrorismo e come siano nati, nello specifico, questi terroristi, e una sulla conclusione del processo. È breve, accessibile e completo. Per me, portentoso.
Ho appena ultimato la lettura più dilaniante degli ultimi mesi, Appunti sulla tua scomparsa improvvisa, di Alison Espach. È il racconto di Sally, che si rivolge alla sorella Kathy per raccontarle cosa è accaduto dopo la sua morte improvvisa, da adolescente. Sally ricostruisce il rapporto con la sorella con una lucidità disarmante, racconta dell'infanzia come se ne fosse appena uscita, ed esamina il lutto con tale introspezione, tale chiarezza, da essere ammirevole. Non mi avrebbe stupito se fosse stato autobiografico. Pare non lo sia, il che lo rende un lavoro letterario ancora migliore. 
Infine insieme a Riccardo stiamo leggendo la saga di Blackwater. Leggiamo libri insieme nel senso che io li leggo a voce alta mentre lui guida, e questi libretti piccini e dall'estetica splendida si prestano alla perfezione per questo metodo di fruizione. Sono la storia di una cittadina che si rimette in piedi dopo una piena che ne ha alterato finanze ed equilibri, ma principalmente raccontano la storia di una famiglia, i Caskey, e delle loro diatribe: eredità, figli, potere. A metà tra Dinasty e The Shape of Water, ci stiamo divertendo come i matti.

Film

Anche cinematograficamente sono stati mesi gratificanti. La seconda stagione di Nuovi Incubi - che ci sta dando grandi soddisfazioni ma purtroppo sta volgendo al termine - parla del teen girl horror e quindi mi sono guardata un sacco di ragazze ricoperte di sangue, incazzate e violente, e mi sono divertita come una bambina. In generale, però, di tutti gli horror che ho guardato ho parlato in live o su Instagram, qua mi limiterò a fare una carrellata delle visioni non di genere che più mi hanno toccato nei mesi passati, con una promessa a me stessa: ritornare a scrivere anche post più di frequente su film singoli, come ho fatto per anni.
Prima di tutto ci sono stati i due documentari sulle montagne: se da un lato Free Solo si è rivelato una visione appassionante e coinvolgente, lo stesso non posso dire di Sei tu, Micheal? recentemente approdato su Disney+. Una storia di ego, denaro e potere, che nulla ha a che vedere effettivamente con la montagna. Il fatto di essere realizzato con tanti soldi però fa sì che ci siano riprese interessanti sulla scalata e sulle ricerche di un corpo dopo il Camp 4, il più alto momento di sosta prima della salita per il summit. Però non ha alcun valore se non mostrare quanto certe operazioni siano possibili solo grazie allo sfruttamento delle popolazioni locali, e questo è sempre importante tenerlo a mente.
Sono anche stati i mesi in cui ho visto i due Assassini con Kenneth Branagh, esattamente le cose che cerco quando desidero un film leggero e che si sono rivelati all'altezza delle aspettative. Knives Out 2, Glass Onion, invece, non solo le ha rispettate, le ha superate: goduriosissimo.
Mai avrei pensato, però, almeno prima di conoscere Riccardo, che i miei due film della primavera sarebbero stati uno Spiderman e un film su Dungeon&Dragons.
Honor Among Thieves si è rivelato un gioiello di comicità e avventura, con un inaspettato Chris Pine e il desiderio evidente di far vivere allo spettatore un film dal profumo quasi vintage, da avventura di altri tempi. Ci siamo divertiti come i matti, all'arrivo del Paladino che cammina solo in linea retta eravamo con le lacrime agli occhi. Era da tempo che al cinema non mi sentivo così per un film che non fosse un horror.
Across the Spiderverse è invece un capolavoro fatto e finito. Un film potentissimo sulla lotta al sistema, sul sovvertire le regole, sul prendersi il proprio posto nel mondo con le unghie e i denti. Si prende il supereroe popolare per eccellenza, quello di quartiere, vicino alle persone, e gli si dà il volto di un ragazzino nero, alla base della società, lontano dai grossi e potenti Spiderman degli altri universi. Non gli si dà un'intelligenza fuori dalla norma, un potere diverso dagli altri, una caratteristica unica. Lo si lascia umano, solo questo, con la necessità di avere uno spazio per sé, il bisogno di rivendicarsi il proprio diritto di esistere. Lontano dai meccanismi che portano i grandissimi supereroi in essere, Miles vuole solo essere se stesso e fare quello che può per dare una mano. E solo così, esigendo lo spazio per essere, cresce, ispira e diventa modello. Per la prima volta un film sui giovanissimi fa anche un importante discorso sulla genitorialità, senza il cinismo tipico di narrazioni anni '80, per esempio, ma con grande affetto ed empatia. Unisce un personaggio femminile complesso e intrigante, una SpiderGwen che mi aspetto sia la vera protagonista del prossimo film. Un'animazione mai vista prima, un messaggio di certo non nuovo ma mai visto messo in scena così, con questa potenza, con questo coraggio, un film incredibile. 

I Critical Role

Non guardo una serie tv da settimane intere, e tutto per colpa dei Critical Role. Per chi non li conoscesse, sono un gruppo di doppiatori, amici da una vita, che gioca a D&D in live su Twitch da tanti anni. Col tempo sono diventati così famosi che hanno una serie su Prime ispirata alla loro campagna, ma anche fumetti, manuali di gioco - addirittura è in arrivo un gdr tutto nuovo creato da loro, Candela Obscura - merch. Un fenomeno enorme di cui ovviamente io non ero a conoscenza. Poi, siccome abbiamo iniziato a giocare una campagna con i nostri amici, ho pensato che sarei diventata più brava guardando qualcuno con esperienza giocare, e Riccardo mi ha presentato loro. È stato amore a prima vista. Guardare gente che gioca di ruolo ha una caratteristica interessante. Quando guardo una serie molto a lungo finisce che non mi affeziono solo ai personaggi ma anche ai loro interpreti e al loro rapporto fuori dal set, perché penso sempre che quando si passa così tanto tempo insieme facendo una cosa così bella il legame diventi importante. Non amo i film di Harry Potter ma quando vedo le scene dell'ultimo giorno di lavoro del cast piango come un vitello. Guardare gente che gioca di ruolo unisce queste due caratteristiche, perché si unisce l'interesse per l'avventura - nello specifico noi dei CR stiamo guardando Vox Machina - a quello per i giocatori, che in questo caso sono amici da anni, sposati e fidanzati tra di loro, testimoni di nozze e madrine di figli nati proprio durante le campagne. 
Nella mia, di campagna, mio marito è il master, e giochiamo con la mia migliore amica, il suo migliore amico e la nostra coppia del cuore, per cui è come essere a casa quando guardo loro.
In più, hanno un portentoso master che ha messo in piedi un'avventura piena di emozioni, e giocatori di rara simpatia. Adesso siamo arrivati ad un punto in cui ci si è liberati di un giocatore che appesantiva un po' l'atmosfera e gli altri sono diventati folli anarchici: si trasformano in mucche, danno fuoco alle case, ammazzano le vecchie. In questa casa sono diventati praticamente i protagonisti delle nostre vite.

L'outernet

Questa primavera per me è stata caratterizzata da un evento molto significativo e spiacevole, che mi ha sconquassata a modino e che al tempo stesso mi ha rimesso in discussione le priorità. Piano piano mi sto rimettendo in sesto anche se mi accorgo che ne porto addosso più conseguenze di quante avrei creduto, però mi è stato utile a capire di cosa avevo bisogno. 
Con Riccardo ci siamo concessi una vacanza nella Tuscia, di cui avevamo un disperato bisogno e che ci ha permesso una parte d'Italia che sottovalutavamo e che si è invece rivelata di inaspettata bellezza. 
In più sono riuscita a convincerlo ad andare a visitare l'ex manicomio di Mombello, pietra miliare dell'urbex lombardo. Ormai è un luogo troppo noto perché l'esperienza sia autentica: è stato completamente svuotato da chi non ha ancora capito che se vai a visitare un luogo abbandonato devi tenere le manacce a posto, ma ammetterò che i graffiti hanno contribuito ai brividi dell'esperienza paradossalmente. Io mi sono molto divertita, Riccardo un po'  meno. 
È stato per me anche molto significativo, questa primavera, aver potuto contribuire ad un saggio a sei mani, scritto insieme alle mie amiche Lucia e Ilaria, che è uscito sull'ultimo numero di Segnocinema, la mitologica rivista di settore. L'ho ripetuto mille volte sui social, ma mi emoziona molto ripensarci.


Ancora una volta, questa primavera ho avuto la prova del potere delle storie. Mi è successa una delle cose più difficili della mia vita, e ho come sempre cercato rifugio nelle parole e nelle immagini di chi crea delle storie per mettere meglio a fuoco la vita vera. Non saprei dire se mi ha aiutato a elaborare meglio, ma di sicuro mi ha aiutato a spostarmi per un po' dalla mia, di vita vera, che in quel momento non volevo frequentare, e in certi momenti è stato fondamentale. È fondamentale ridere di gusto al cinema mentre un tipo cammina su un grosso sasso senza scansarlo, è fondamentale piangere quando si legge di una sorella maggiore mancata, è fondamentale guardare delle giovani donne mettere insieme una squadra di supereroi disastrati per salvarne un altro. So per certo che la parte migliore di me è diventata tale perché l'hanno modellata le storie. 

mercoledì 29 giugno 2022

Elvis

19:41
 Erano secoli che non parlavo di un film in sala, ed erano secoli che sul blog non si parlava in un post intero di un film non dell'orrore. 
Però, e la maggior parte di chi passa di qui lo saprà bene, il film che a me ha insegnato che cosa fosse il cinema ma soprattutto che cosa fosse per me non è un horror. È una commedia romantica musicale, e naturalmente è Moulin Rouge!.
Ero pure piccolina, quando l'ho visto la prima volta, e se adesso di cinema ne so poco, figuriamoci allora. Però quel senso di meraviglia lì che mi aveva lasciato quel modo di raccontare le storie non mi ha mai lasciato e se oggi la Redrumia esiste è solo ed esclusivamente per Baz Luhrmann.
E se esce un film di Baz Luhrmann al cinema io, nonostante il periodo un po' troppo intenso, lo vado a vedere, perché questo è materiale santo che va guardato nel luogo religioso per il quale è stato concepito.
Elvis è, ma cosa ve lo dico a fare, un capolavoro.


non ve lo posso spiegare che lavorone ha fatto sto ragazzo



Io quando guardo quel film là con l'esclamativo nel titolo come le band dei primi anni 2000 piango dal momento in cui premo play. Non mi succede con nient'altro al mondo ma vi posso giurare su quello che ho di più caro che non c'è niente che mi coinvolga così. Questo porta con sé una serie intera di aspettative che di solito sono una vera e propria violenza nei confronti del povero cinema che deve confrontarsi con quello che vogliono le persone, anche, ma forse soprattutto, se sono aspettative in positivo. 
Se fossi uscita dalla sala, ieri sera, non me ne sarei mai e poi mai fatta una ragione. E invece Elvis è grande grande, come il ricordo che ha lasciato il suo protagonista.

Come classico del suo regista, si parte dalla fine: Elvis è morto, quasi in rovina, e l'opinione pubblica vuole che la responsabilità sia del suo storico manager, il Colonnello Parker. Si ricostruisce quindi quello che ha portato a quella infelice sorte. 
Poteva essere una tragedia, proprio come quella straordinaria storia di un amore sventurato, e invece decide di andare in una direzione diversa. 
Elvis dà il titolo al film, e in scena non manca mai. Si vede Elvis, si guarda Elvis, si parla di Elvis, si ascolta Elvis, si investe in Elvis. Il suo nome è scritto ovunque. Elvis, però, non c'è mai. Ci sono sprazzi del bambino che è stato, angoli di vita familiare che ci servono, però, solo a raccontare quello che lo circonda, l'ambiente che lo ha cresciuto e le persone che gli sono vissute intorno, ma di lui non si sa quasi nulla. Si lasciano parlare le sue decisioni, le sue canzoni, ma sempre poco. Non c'è alcuna introspezione, non c'è lo scopo di presentare l'uomo dietro l'artista. Non è il character study che avrebbe potuto essere.
Quando il film finisce c'è la grossa scritta commemorativa, con scritto "Elvis Aaron Presley" e le date. Il mio compagno, seduto di fianco a me, che Elvis lo ascolta e pure parecchio, mi dice: "Chi ha mai saputo si chiamasse così?". E tutto il film si racchiude qui: di Elvis si sa il poco che è servito per venderlo. La persona è annullata, per lasciare spazio al personaggio, all'icona, alla famigerata gallina dalle uova d'oro. Elvis non è altro che il suo stesso merchandising.
Voglio essere chiara: il film non solo non è mai critico verso l'artista ma anzi lo copre di un amore sincero. Fa proprio l'opposto, scagliandosi con violenza contro chi, nella vita reale, Elvis lo ha cercato di annullare, con il consueto stile del suo regista che vuole i suoi cattivi grossi, bavosi, grotteschi, proprio come il suo Zidler. Non per la truffa economica ma per il furto di identità, per la privazione della libertà creativa di un artista pronto a cambiare le regole del gioco, per lo spietato sfruttamento dell'immagine. Il film non parla di Elvis Presley, storico cantante che ancora oggi influenza la musica, se non marginalmente. Il film parla di tutto il resto del mondo, che Elvis lo ha prima creato e poi violato, continuamente, fino alla fine della sua carriera. Parla dell'Elvis che fa le magie sul palco mentre dalle seggiole tra il pubblico gli si rovinava la vita. Resta persino sullo sfondo, si sente solo la sua voce profonda così vendibile mentre alle sue spalle tutto andava in rovina. Mentre gli si impediva di brillare quanto avrebbe potuto. E se, in effetti, Elvis la storia l'ha fatta davvero, viene davvero da chiedersi cosa sarebbe potuto essere, cosa ne sarebbe stato dei benpensanti e dell'opinione pubblica, se gli fosse stato concesso di vivere come lo desiderava per sempre. 

Questo è un film gigante perché usa pochi tocchi per creare un contesto storico, che mai come in questa storia è fondamentale, perché ha un equilibrio perfetto nel non distrarsi mai troppo dal suo protagonista pur volendo parlare di altro, perché l'ha diretto un Grande che ha la capacità di riempirmi occhi e cuore di una meraviglia a cui non sono disposta a rinunciare una volta che il film è finito. Sono piena di amarissimi lustrini negli occhi, oggi. Vedo le stelle e il glamour e il potere e li vedo con la straordinaria bellezza con cui questo signore racconta la tragicità. Ed è tutto un glitter, in una sfavillante cadillac rosa, con abiti magnifici e le gloriose ambizioni dei giovani di talento, che insieme ricoprono il mare di merda che risiede al di sotto. Un ambiente in cui le quantità di denaro accecano, in cui il senso vero delle cose è distorto dal potere, in cui non c'è nulla di genuino se non i brevi sprazzi d'amore che il film ci concede. Così brevi che neppure la più bella canzone d'amore che sia mai stata scritta si sente per intero. 

Ora, io sul film ho una sola perplessità. Non è solo intriso di cultura afroamericana, ne è proprio un elogio. È una statua intera in suo onore. Non solo per omaggiare le origini della cultura di Elvis ma anche per sottolineare le mancanze che una nazione intera ha avuto nei confronti di chi non ha avuto il privilegio della pelle bianca. Però, in un film così, si usa la n-word. Io non lo so che cosa è giusto fare, non so nemmeno se sia un problema di traduzione o se sia così anche in originale (ma me lo riguardo anche in lingua originale, eccome se me lo riguardo), ma vorrei che la comunità nera si esprimesse a riguardo. Perché magari con questo livello di contestualizzazione storica ha senso farlo? Non ho risposte ma le vorrei, soprattutto dai diretti interessati. 

Mi sono emozionata tanto, perché amo questo modo di parlare dell'orrendo collocandolo in mezzo ad una bellezza così sfacciata e spietata che è difficile da spiegare. Mi sono sentita il cuore piccolo piccolo di fronte al racconto di quest'uomo svuotato in un mondo così pieno.
Solo Luhrmann lo poteva raccontare così. È giusto che questo omaggio arrivi da lui perché l'orrore dello show business pare scritto per essere narrato con i suoi occhi barocchi, le sue immagini piene e desolanti insieme. 
È un incanto, e io, a quella magia qui, non mi ci abituerò mai.


(Chiusura con un po' di fatti miei. La Vostra a settembre si sposa. Prima di vedere il film ingaggia una band, per il Redrumonio, perché ha sempre desiderato avere la musica dal vivo. Ingaggia una band anni '50. Sentirli quel giorno lì cantare Elvis mi piacerà ancora un pochino di più.)

sabato 10 luglio 2021

Black Widow

09:53
Ormai questo è un blog in cui il Marvel Cinematic Universe viene affrontato solo quando parla delle sue donne. La cosa mi dispiace? Nemmeno un po'. Tanti cari saluti agli arroganti uomini di ferro, da queste parti preferiamo le assassine esperte. Stamattina, quindi, Black Widow.
Spoiler: da quello che ho letto in giro mi sa che è piaciuto solo a me.





Perché l'MCU abbia aspettato tanto a dedicare un film a Natasha è per me un mistero. Perché questo film abbia avuto la sfiga di arrivare a noi in un momento in cui l'universo cinematografico si sta espandendo e sta lasciando indietro gli Avengers originari è ancora più misterioso. Ancora un po' di più se poi si pensa che Black Widow è ambientato subito dopo Civil War. Abbiamo dovuto tollerare Thor 3 prima di questo. BLACK PANTHER. E la povera Natasha, che per tutti i film si è fatta un culo a fette sottili, ha dovuto aspettare anni.

La sua è una origin story dalla struttura molto interessante: la vediamo bambina, fuggire con la sua famiglia dalla vita normale che sembrava stessero vivendo senza alcun preavviso, e la riprendiamo ormai adulta, quando deve fare i conti con la sua storia e tutto quello che le è accaduto. Che cosa sia stato lo dobbiamo ricostruire noi, la regista non perde tempo a mostrarcelo e fa bene: proprio perché ormai conosciamo Natasha da diversi film, conosciamo quello che la sua storia le ha fatto, abbiamo visto le conseguenze del suo addestramento, sappiamo di cosa è capace. Non è difficile capire COME sia diventata la donna che è. Vedere momenti di addestramento che al cinema abbiamo visto e rivisto e rivisto ancora non solo non avrebbe aggiunto nulla al film ma lo avrebbe penalizzato ancora di più dal punto di vista della durata, che già così per me si soffre un po'. Rientra negli standard nell'MCU, ma personalmente avrei comunque rinunciato a qualche minuto. 

Anche così, però, con le sue due ore e un quarto, l'ho molto amato. L'ho trovato un film dall'azione eccezionale, come forse nel suo universo cinematografico non avevo mai visto, e di sicuro non in un film su un singolo eroe. Mi correggeranno i veri esperti dell'azione, ambito in cui sono molto lacunosa, ma ho avuto la sensazione che queste scene di combattimento (che sono numerosissime, è un film in cui ci si picchia durissimo senza tregua) fossero di livello superiore: ho notato una cura impressionante per i dettagli, un inserire movimenti e mosse inedite, riprese con cura e mostrate in ogni più piccolo aspetto, con grande attenzione al ritmo e a non perdere mai il senso "globale" di quello che si stava facendo. Senza entrare in spoiler cito per chi ha visto il film il primo momento in cui Scarlett Johansson e Florence Pugh fanno a botte la prima volta: una scena divertentissima, violenta, cattiva, chiusa in uno spazio molto contenuto. Bellissima. 
Infine, l'inevitabile "battaglia finale MCU", la chiusa classica di tutti i loro film fin dalla notte dei tempi: quella di Black Widow è impressionante, gigantesca, anch'essa chiusa in uno spazio limitato (dai richiami quasi fantascientifici), e visivamente eccellente. La cura per le cose più piccole, dal modo in cui qualcuno cade a quello in cui si ci attacca agli oggetti in volo, è stata per me una gioia per gli occhi. Mi ha entusiasmato davvero, e per me che solitamente all'azione non sto particolarmente attenta è stata una sorpresa. 

Soprattutto, è finalmente un film interamente al femminile. Ci sono pochi uomini e irrilevanti, qua a tenere in piedi la faccenda sono le signore, le Vedove. Sono le donne le vittime e al tempo stesso le macchine da guerra, sono le donne a salvare le loro sorelle, a proteggersi da sole e insieme, sono le donne le sole protagoniste. (Consiglio di leggere la "simpatica" recensione di Fumettologica, perché ovviamente questa cosa doveva stare sullo stomaco a qualcuno, un film senza uomini è inaccettabile.)
Gli uomini sono irrilevanti, dannosi o peggio, macchiettistici. Addirittura c'è un uomo che serve solo a portare cose alla protagonista! Incredibile. 
Il cattivo, poi, è l'emblema di quello che i maschietti odiano vedere al cinema. Dreykov è un uomo piccolo, dall'ego fragilissimo, la rappresentazione su schermo del luogo comune dell'uomo microdotato con il suv. Nasconde la sua inutilità dietro un esercito creato senza avere nessuna capacità, si convince di essere rilevante e di avere potere perché non può concepire di essere un uomo comune, ambisce alla conquista del mondo perché non può, in realtà, avere nulla. Usa tecniche manipolatorie per avere quello che non può raggiungere in altro modo, ha strumenti e tecnologia, soldi e possibilità, ma null'altro, e quindi riempie questo vuoto convincendosi di essere quello che non è. Vederlo ridimensionato (è pur sempre un film MCU, lo sappiamo come va a finire) è stata una delle scene più goduriose che ho visto al cinema di recente. 
Le due protagoniste, che già sapevamo essere ancora più brave che belle (e considerato quanto sono belle, è tutto un dire), confermano qui la loro fama, ma non posso non menzionare il fatto che la giovane Yelena è interpretata da NELLIE PICCOLINAMIA DI HILL HOUSE. 

Ora, avrete capito che sono uscita dalla sala entusiasta (ma io in fondo quando mai non lo sono), e questo è sufficiente come recensione, ma siccome mi fa piacere parlare anche di altro, segnalo che da qui in poi il post conterrà SPOILER

Il film parla fondamentalmente di tratta delle schiave. Dreykov da decenni raccoglie le bambine abbandonate e le trasforma nelle sue Vedove, facendo loro un tremendo lavaggio del cervello per annientarne la personalità e i pensieri. Persone la cui vita e i cui ricordi sono stati completamente annullati, per le quali ogni possibilità di una vita normale è stata cancellata. Persone che smettono di essere tali per diventare macchine, strumenti nelle mani di un omuncolo così pieno di sé da convincersi di starle salvando da una vita squallida. Questa manipolazione è così radicata che una volta liberate la prima cosa che le Vedove si chiedono è "Cosa facciamo adesso?". Persone che non hanno mai avuto la possibilità di decidere per se stesse, donne incapaci di concepire la libertà perché non l'hanno mai conosciuta. Vederle liberarsi, alla fine, è stato un momento emozionantissimo, che la regista si è giocata con una gran classe, senza mai scadere nel didascalico, nella faciloneria. Questa non è una storia di donne fragili (che non sarebbero comunque giudicabili, confido che chi legge questo blog ormai mi conosca), ma di donne che con le unghie e i denti, aiutandosi, si riprendono il proprio spazio in un mondo che le ha fino a quel momento cancellate. Vedere la figlia di Dreykov, la principale delle sue vittime, aprire gli occhi e chiedere solo "Lui è morto?" è stato un momento molto forte, e immaginare la sua vita da quel momento in avanti è struggente. Black Widow, con il personaggio di Antonia, parla anche di etica, di scelte, di quello che succede quando si ha uno scopo e si è pronti a tutto pur di raggiungerlo, pur consci che si dovrà vivere per sempre con la consapevolezza di quello che si è fatto, e lo fa senza giudicare, solo mostrando quello che è stato. Natasha ha convissuto per anni con il pensiero di avere ucciso una bambina, e con la consapevolezza che fosse per lei la sola cosa da fare. Una riflessione che non viene mai troppo approfondita, che viene vissuta come forse appare nella mente di Vedova Nera: un episodio del passato che fa parte di lei, che la rende la persona che è. 

Un film molto forte, con scene d'azioni entusiasmanti e che al tempo stesso parla di donne come forse ancora il MCU non era riuscito a fare. Un vero, vero peccato che di questa splendida Natasha si sia iniziato a parlare così tardi, quando ormai il MCU l'ha salutata. Io, di quelle botte da orbi qui, non ne ho ancora avuto abbastanza.

venerdì 17 luglio 2020

Parliamo (piangendo) di Hamilton

15:55
Se c'è una cosa che mi piace tanto ma non approfondisco mai sono i musical. Non c'è una ragione precisa per cui non mi metta a studiarli per bene, scelgo solo di dare la precedenza ad altro, ma li guardo sempre tanto volentieri.
Il musical più di successo degli ultimi anni è arrivato su Disney+ e io mi sono gustata due ore e quaranta di schiavisti americani che cantano d'amore e libertà e ho pianto ogni lacrima che avevo.


Prima di iniziare devo specificare una cosa. So di chi parla questo musical e di cosa si sono macchiate le persone che sono qui rappresentate. Lo so e devo ancora capire cosa penso del fatto che, pur con lo sguardo attento di oggi, si scelga di portare in scena personaggi che fanno parte di una pagina sporca della politica americana. Non lo so cosa deve fare l'arte in questi casi, se ha dei doveri o se il discernere cosa è giusto o meno è tutto in mano a noi spettatori. 
Quello che ho cercato di fare io è guardarlo come se fosse interamente una storia di finzione, che ripensandoci è una mossa paracula. 
Ho di sicuro ancora tanto da imparare.

Detto ciò, parliamo di Hamilton.
La creazione è tutta di Lin-Manuel Miranda, che per gli amanti delle serie tv è il fratellone d'oro di Amy Santiago di Brooklyn99. Si è scritto i testi, le canzoni, è lui il protagonista. Tutta farina del suo sacco. La storia è quella di Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, che conosciamo sia nella sfera pubblica che in quella privata.

Ho pianto come una dannata per la storia di uno dei padri fondatori degli Stati Uniti.
Chissà poi cosa me ne frega a me dei padri fondatori degli Stati Uniti, ma chi se ne è mai interessato. Forse manco gli americani stessi. Poi arriva Lin-Manuel Miranda, scrive un musical su un tizio che devo ammettere non avevo manco mai sentito nominare in tutta la mia vita, e io sono qua che da tre giorni sto sotto un treno chiamato AlexanderHamiltooon. 
Perché tocca ammettere che se questo musical è diventato la fissa di tutti c'è un motivo e che il motivo è quello più banale di tutti: è magnifico.
Tutto, in Hamilton è potentissimo: la messa in scena, i costumi, gli attori, le canzoni. 
Il modo in cui una noiosissima storia di giochi politici è stata trasformata in una giostra di emozioni mi lascia ancora senza parole. Basta una singola canzone a chiarire cose che a volte nei film non vengono rese con la stessa efficacia. Le emozioni sono istantanee. Quando ho ascoltato Satisfied per la prima volta non sono manco riuscita a piangere, mi aveva preso alla pancia e stavo come dentro ad una bolla a guardare questa strepitosa attrice cantare come una dea del suo dolore senza interagirci, per godermela tutta. Dal secondo ascolto in poi non sono più riuscita a non piangere, e oggi, due giorni dopo, continuo a piangere ogni volta che la sento. E la ascolto tantissimo, Angelica è il mio personaggio preferito.
(Quando invece ho visto e ascoltato per la prima volta It's quiet uptown ho pianto immediatamente, perché c'è un limite a tutto e il testo di questo pezzo qua è così intenso e delicato e perfetto nel dire quello che vuole nel modo più elegante possibile che davvero sfido a restare a occhi asciutti) 
La musica è hip hop, si rappa molto e gli interpreti hanno un talento che li rende evidentemente creature superiori a noi, perché io e la mia voce da papera di fronte ai suoni che certi umani possono emettere alziamo le mani e ci arrendiamo.

E sì, è chiaro che ci sono le parti in cui compare Giorgio III che fanno riderissimo (lui di un bravo che si fa fatica a crederci), che Jefferson è amatissimo perché esagerato, che Peggy è simpatica e quindi è la preferita di tutti delle Schuyler, che ci sono elementi di leggerezza. Ma nel complesso è una storia di ideali e passione, di amore e società, di strategia, della nascita di una nazione, dell'eredità che si lascia dietro di sè.
Mi ha emozionato come una bambina. 

lunedì 14 ottobre 2019

Vengo in pace: un post su Joker

09:48
Il domestico cineforum che si svolge sulla mia Yarisina dopo la visione di un film di solito dura il tempo di tornare a casa dal cinema, 30 minuti di discussione se non mi addormento prima e passa la paura.
Di Joker io e Erre abbiamo discusso per tutto il viaggio di rientro, prima di andare a dormire e per le due ore di strada che, il giorno dopo, ci hanno portato verso la meta della nostra gita domenicale.
E secondo me ancora non abbiamo finito.
Oggi, quindi, provo a mettere giù i miei confusi pensieri a riguardo.


DISCLAIMER: RECENSIONE SENZA SCORSESE MA CON SPOILER.

Prima che arrivino i sostenitori armati: in linea di massima il film mi è abbastanza piaciuto ma ho alcune perplessità.

Io arrivavo in sala avendo amato tantissimo il trailer. Le scritte giganti mi fanno questo effetto, sono una ragazza semplisce. A fine film mi sono resa conto che il trailer aveva già detto tutto quello che il film aveva da dire: che ci sarebbe stata una palette strepitosa, che Phoenix sarebbe stato il grandissimo attore che però sapevamo già essere, che Phillips voleva tantissimo che le immagini del suo film ci piacessero. E allora via di lunghi silenzi e immagini bellissime pronte per diventare la copertina su facebook dell'utente medio, primissimi piani di un protagonista al quale è stata data la dura missione di tenere in piedi qualcosa di molto fragile, una ricercata iconicità che ha ben poco di spontaneo.
Mi ha dato l'impressione di essere un film che voleva tantissimo piacere e ci ha provato un pochino troppo forte. 

Il mio primo dubbio arriva prima ancora della visione. 
Dunque, Batman Begins, il primo della trilogia di Nolan, è del 2005. Prima di allora i film sui supereroi erano roba da non considerarsi Vero Cinema Importantissimo. Arriva lui, fa i film cupi e seri e bellissimi e i suoi Batman diventano i film di supereroi che la critica può amare senza avere vergogna. Poi però è arrivato l'MCU, tre anni dopo, e i cinecomic, che pur esistono da molto prima, esplodono e diventano un fenomeno gigantesco, smuovono le masse e fanno i fantastiliardi. Non li possiamo più guardare con snobismo.
Penso, con queste premesse, che il cinecomic con pretese autoriali oggi abbia meno senso, ammesso che l'operazione Nolan ne avesse (ricordatevi che a me Nolan piace, mettete giù quelle torce, lì). L'ho trovata fuori tempo. Qualcuno potrebbe parlare di Logan, che ha un tono diverso dai suoi predecessori, ma io non lo farò perché non sono abbastanza ferrata sul tema cinecomics da perdermi in digressioni troppo profonde. Mi è solo sembrato che fosse più coerente con quello che è venuto prima e comunque collegato al suo mondo, mentre Joker spunta dal nulla ed è un fenomeno a sé, non legato a saghe pre esistenti.

Il film di Phillips si prende la responsabilità di parlare di cose grandi, e quando lo fai hai in mano una fragilità che rende tutto il lavoro più difficile. La mia conclusione è che devi essere molto più bravo di lui per farlo. Arthur Fleck come personaggio dei fumetti nasce (leggo su wiki, ché io vi ricordo non so quasi nulla sui fumetti di supereroi) nel 1940, ed è un matto incontrollato, sadico, psicopatico. Mi sta bene che nel 1940 si parli in questi termini della disabilità mentale, in un medium che non vuole certo essere scientifico. Finora anche il cinema ci aveva mostrato questo, un fuori di melone con un fascino tale da circondarsi di mistero e curiosità, inesplorato, furbo, disturbatissimo. Nel 2019 mi aspetto altro. Mi spiego: il politically correct è un concetto che sposo (ne riparleremo, magari) ma non è il metro che uso per giudicare le cose che leggo o guardo. Non sono io, quindi, che cerco questo nel film di Phillips ma è lui che pone le basi perché io me lo aspetti. Se mi fai una origin story e la fai così concentrata su quanto il personaggio del Joker sia nato per colpa di una società incapace di gestire lui e i suoi problemi, i quali ci sono anche a causa delle persone orrende, lo devi fare più a fondo di così, il tempo lo hai avuto. Invece di bruciare secondi con Arthur che guarda fuori dal finestrino dell'auto della polizia e sorride, approfondisci la questione della sua malattia, ché tanto lo sappiamo già quanto è bravo Phoenix, non continuare a buttarmelo in faccia, lo vedo. Non lasciare tutto il lavoro sporco sulla faccia e il corpo del tuo protagonista, troppo facile così. Wikipedia dice che esiste davvero qualcosa del genere, parliamone. Approfondiamo, facciamo conoscere. Non mi basta un bigliettino passato sul bus con scritto il problema. 
Parlare con questi toni di quello che poi a tutti gli effetti si rivela un criminale efferato non aiuta la causa. Cosa facciamo, ora, con questo Joker? Gli è stata data un'umanità che finora non aveva avuto, e questo non può essere un male, però non possiamo arrivare alla legittimazione dei gesti. Joker è una vittima e questa empatia che inevitabilmente crea (sempre perché Phoenix è tanto bello e tanto bravo, se lo leggo ancora una volta mi cavo gli occhi) distoglie l'attenzione dal caos totale che nel frattempo a Gotham si è generato. Joker è un cattivo, e pur essendo vero che il mondo ha mille sfumature e le persone non sono solo buone o cattive non possiamo e non dobbiamo dimenticare che Arthur non può e non deve essere idolatrato. Non possiamo farne solo una vittima.
Allora non mi bastano gli accenni (anche qui, sempre e solo grandi temi accennati e buttati lì, nessun approfondimento) a Bruce Wayne e a quello che diventerà, mi devi dare di più, e invece sto film si perde talmente tanto nel suo essere bello da dimenticarsi che, spesso, è vuoto. Io peraltro non li ho apprezzati, sti rimandi a Batman, li ho trovati solo buttare altra, l'ennesima, carne al fuoco che non aggiunge e non toglie niente al film. Lo sapevamo già chi sarebbe diventato Arthur Fleck, lo avete messo nel titolo, non mi serviva un ulteriore strizzatina d'occhio. 

Credo che a questo punto sia una semplice questione di gusti: si può amare il Joker misterioso e imprevedibile, di cui non si sa nulla, che resta uno dei villain più affascinanti del mondo oppure preferire l'Arthur umano, creato da un mondo vigliacco e crudele. 
Credo, nonostante le mille paranoie uscite in questo post, di preferire il secondo.
Avrei solo voluto non lo raccontasse Todd Phillips.


venerdì 26 aprile 2019

Avengers Endgame: un post PIENO di spoiler

13:55
Io vi ho avvisato nel titolo.
Proseguite a vostro rischio e pericolo perché dirò tutto quanto e se proseguite nonostante tutto gli spoiler ve li meritate.


Fatta la simpatica premessa (doverosa, perché la gente è matta), ne devo fare una seconda, la solita: non conosco i fumetti, quello che so lo devo a Erre, il moroso, che mi spiega tutto quanto. Non posso e non voglio fare confronti.

Ok, possiamo cominciare.
I bastian contrari a me fanno un'antipatia che non la contengo. Nel senso che proprio mi si vede sulla faccia. Per cui quando qualcosa è amatissima e a me per varie ragioni non piace quasi me ne vergogno. Quindi, via il dente via il dolore: Endgame ha avuto finora recensioni molto entusiaste (entusiastiche? chissà), ma fino agli ultimi 40 minuti a me non è piaciuto. Alcune cose mi hanno proprio fatto arrabbiare. Ed è stata una discreta palla per tutta la prima ora e mezza. Perché sì, dura tre ore e finora non ho trovato un motivo ragionevole per questa lunghezza.
Ok, ci siamo levati le cose sgradevoli. Ora argomentiamole.

Siamo arrivati a questo punto dopo il finale di Infinity War che aveva tanto colpito tutti quanti. A me un pochino meno, perché sì, ci hai dato il finale negativo che non abbiamo mai avuto ma i protagonisti sono tutti salvi e allora per me sei stato un pochino paraculetto. Ma ci poteva stare.
Dopo il finale tremendo uno spiraglio di luce: Nick Fury ha chiamato Captain Marvel e adesso non ci sono più cazzi per nessuno.
Arriva quindi il film, su di lei, e si conferma che una volta che quando lei arriverà in soccorso agli Avengers di sicuro andrà tutto bene, perché il film ci mostra un'eroina forte come non se ne erano mai viste prima (tranne il Dottor Manhattan. Lui è fortiiiissimo. Ma non è qui quindi a posto). Ci sentiamo al sicuro. Carol Danvers è venuta a salvarci.
E invece no, ma proprio manco per niente.
Carol Danvers, l'eroina più forte del mondo, di una potenza che spaventa i passeri, compare il tempo necessario di riportarci Iron Man sano e salvo sulla Terra, poi fa ciao con la manina perché lei ha di meglio da fare, e se ne va. Ricompare alla fine durante la battaglia di cui parliamo dopo per cinque minuti per poi fallire miseramente e tornare nel nulla da cui è venuta. Non solo fallisce, ma fallisce dopo avere fatto la sbruffona arrogante su quanto gli Avengers abbiamo perso perché erano senza di lei. Spoiler: vincono senza di lei.
Perché?
Siamo partiti con i quattro Avengers principali, lo sapevamo che era con loro che sarebbe finita. E va bene così, pur con tutte le aggiunte era bello chiudere il cerchio con loro. Ma perché questa triste, tristissima, parentesi Capitan Marvel? Sono certa che un modo per riportare Tony Stark sulla Terra lo avremmo trovato comunque.
Avevamo tra le mani il personaggio Vedova Nera. Natasha Romanoff è un personaggio chiave di Endgame come non lo era stata per nessun film precedente e non solo per il suo sacrificio: è quella la cui sofferenza ci è mostrata più a fondo di tutti, quella che rimane ancorata alla sede degli Avengers a coordinare il lavoro di tutti. Eppure, di lei non sappiamo niente. Oltretutto i miei fumettari di fiducia dicono che la sua storia sia una delle più interessanti. Che peccato vederla sprecata così.
Ormai l'MCU non è più un fenomeno della comunità geek. Non si può dare niente per scontato, perché è talmente vasto che deve raggiungere tutti, e ignorando così parte della storia non lo fa.

Ci sono altri personaggi inseriti in Endgame. Se da un lato l'inserimento di Ant Man mi va benissimo per modi e tempi, il ritorno di quello che io pensavo essere Occhio di Falco e che invece adesso è Clint Barton proprio non mi è piaciuto. L'hanno fatto sparire per anni, per poi tornare rivoluzionato con la storia commovente sperando di farci emozionare. Con me non ha funzionato. E pensare che quando Cap ha rivisto la sua Peggy è bastato uno sguardo per sciogliermi. Con Ronin zero emotività.

Giuro che poi passiamo ai lati positivi, che ci sono e sono tanti, ma prima finiamo con i negativi: troppa comicità. Io un altro Thor 3 non lo volevo.
O meglio: volevo solo Thor. Il dio del tuono appesantito e stupido mi stava benissimo. Chris Hemsworth funziona sempre, mi diverte molto.
Poi però ci sono anche Ant Man, Rocket Racoon, le chiappe di Capitan America, War Machine che dà dell'idiota a Star Lord, Iron Man con il suo sarcasmo. Per me troppo, troppissimo. Sono qui a vedere un film in cui dovrebbe esserci disperazione sopra ad ogni cosa, non volevo vedere questo. Forse questa critica è legata al mio gusto personale e basta, ma siccome è il mio blog questo vi tocca.
Ma soprattutto, la cosa peggiore di tutte, è Hulk. No, questo proprio no. Mi pare quasi un torto personale. L'aspetto migliore di Hulk (ricordate, detto sempre da una che ha visto solo qualche film) era lo stesso del mio grande amore Remus Lupin: il tormento per la sua condizione. Era così bello, nel primo Avengers, il suo personaggio, che mi stringeva il cuore. Sto scemo che dabba e si fa i selfie con i bambini a me non sta bene. Uno dei geni della sua generazione, un grande scienziato, ora un buffone.
Perché?
Perché farmi soffrire così?
Erre è imbufalito, perché Planet Hulk è uno dei suoi volumi preferiti, e lui è da Thor Ragnarok che si è legato al dito sto cambiamento inspiegabile. Ce l'avevamo già il comic relief, non lo volevamo anche da lui. Questa è la guardianidellagalassite, eh. Io volevo il drammone e la battagliona, mi sono trovata dei pagliacci.

Certo è che questi pagliacci umani così non li avevamo mai visti. Il dolore è palpabile ed è un po' nostro. Tony che scende dalla nave e dice al Cap 'Ho perso il ragazzo' è uno dei momenti più dolorosi di tutto il film ed è proprio all'inizio. Vedere lo sbruffone così ferito è un bel colpo.
Ci sono parti degli altri film e se per qualcuno questo sarà fan service a me è piaciuto, perché da qualche parte siamo pur arrivati, e se questo film, oggi, sta facendo i miliardi in giro per il mondo è perché siamo partiti da lì. Il primo Avengers per me è ancora superiore a questi nuovi.
Di certo, è magnifico rivedere tutti.
Combattere insieme al momento della battaglia più grande di sempre è commovente e un degno saluto a queste prime fasi MCU. Si è dato un tempo giusto ad ognuno, agli sguardi di chi si rivedeva dopo tanto tempo, ai saluti, alla gioia di sapersi ancora vivi, pur non togliendo nulla alla battaglia. Non avevamo alcun dubbio che sarebbero tornati, ma è stato molto bello vederlo. E sì, la sala mi ha dimostrato quello che sospettavo: potevano restare morti tutti, ma l'importante era che tornasse SpiderMan. Si è proprio sentito il sospiro di sollievo. L'arrivo dei wakandiani e del loro esercito è stato notevole, il momento in cui gli stregoni (sarà la parola giusta? Erre non arrabbiarti) di Dr Strange hanno protetto tutti dal fuoco che arrivava dal cielo è stato commovente, Benedict Cumberbatch sempre bello come un tramonto sulla spiaggia con i delfini e le nuvolette rosa, e soprattutto il momento in cui si sono viste insieme tutte le donne mi ha stretto il cuore di orgoglio. Che fighe incredibili.
Quindi sì, la battaglia che sta alla fine per me ha reso valido tutto il resto, perché è stata bellissima.
Sacrificio di Tony Stark compreso. Tutti quanti avevano indovinato che sarebbe stato lui a sacrificarsi e secondo me è stata una bella scelta. Per quel poco che ho visto, è stato l'unico personaggio con una bella storia, che nel corso del tempo è diventato sempre una versione migliore di sé, e quindi mi stava benissimo che il sacrificio fosse il suo, ma uccidere quello con la bambina piccola signori è violenza. Una crudeltà. Pepper, passi. Ma la bambina? Perché sottoporci allo strazio di vedere una piccina perdere il papà? Cattivissimo.

In qualche modo il bene ha vinto di nuovo, e l'ha fatto in grande stile, salutandoci con un grande affetto che è passato e arrivato tutto, e che alla fine, nonostante le perplessità, è arrivato fino al mio cuore arido. E forse alla fine quello che conta è questo.
Che piaccia o meno questa è la mitologia moderna, e la portata di persone accorse a vederla finire, almeno in parte, lo dimostra. Ieri al cinema i bambini erano silenziosissimi e commossi, e io il cinema che fa questo effetto lo difenderò per sempre.

giovedì 15 febbraio 2018

La forma dell'acqua

08:59
Mi sono chiesta a lungo se alla fine un post su La forma dell'acqua l'avrei scritto o meno.
Ma tale e tanta è stata l'attesa, e tanto vi ho rotto l'anima ultimamente, che mi sembrava giusto mettere un punto a questa attesa che è sembrata infinita.
Ma soprattutto, voglio con tutto il mio cuore unirmi al coro quasi unanime di voci che ha parlato del miracolo firmato Del Toro.
Perché La forma dell'acqua è un miracolo, di quelli potentissimi e talmente evidenti da regalare la fede anche a chi non l'ha mai avuta.


Saltiamo la noiosissima parte della trama, questa volta, il trailer è sufficiente.
Che Guillermo del Toro sia il mio regista preferito non è certo un mistero. Lo considero proprio il mio regista, quello che parla direttamente a me e al mio cuore, e spesso me lo sono custodita gelosamente.
Che sofferenza, però, vedere un talento che ai miei occhi è sempre stato così ovvio e immenso, così snobbato. Lui, che ha sempre fatto film dalla dolcezza potentissima, venire trattato così male, dalla gente che non lo guardava in sala, penalizzandone gli incassi, e dalla critica.
Lo stavamo per perdere, mi sa.
Il cinema sarà anche arte, ma è arte costosissima e se non ci sono i soldi, amici miei, arrivederci e grazie.
Allora lui si è rimboccato le maniche. Ha deciso che era ora di mostrare di cosa è capace, e ha buttato il carico da mille. Mi ha aperta in due, esattamente come sapevo che avrebbe fatto, con un baule carico di un'emotività così strabordante che avrò bisogno di giorni, settimane per smaltirla.
Anche se quello che sento adesso, quella magnifica patina che i film incantati lasciano sulla pelle, non vorrei sciacquarla via mai.

I titoli di testa del film sono un'ovattata ripresa della casa di Elisa sott'acqua. Sotto l'acqua è tutto morbido, sinuoso, leggero. Non dirò che è l'atmosfera di tutto il film, perché sapete bene che quando GDT mette i cattivi li mette cattivissimi.
Ma quella cosa lì, quell'aria lì, è Elisa.
Una donna delicatissima, minuta come un giunco, silenziosa e con un viso dolcissimo. Si è circondata di personaggi adorabili che compensano facilmente la sua mancanza di parole, ma è tutto intorno a lei.
Fino a ieri sera ero certa che la McDormand si sarebbe portata a casa l'Oscar. Ci avrei scommesso tutti i soldi che non ho. Ma Sally Hawkins è stata un incanto, con la sua gestualità e il suo viso così fine e così magnificamente comunicativo, un corpo intero al servizio di un film in cui la comunicazione verbale non serve a niente.
Perché, ve lo ricordo, questa si innamora di una creatura marina che per ovvi motivi non parla.
E quindi si incontrano questi due, con nient'altro che occhi e mani con cui parlarsi, a cui però non manca nulla. Basta una mano appoggiata piano piano su un vetro, e si dice già tutto.
Io ogni tanto me lo dimentico, che basta così poco.
Ma come sempre, del Toro mi ricorda che spesso il 'così poco' è invece un tantissimo, un tutto.
Tutto quello che serve.

Non avrete da me la solita scheda tecnica che vi racconta di colori, regia, musica, il lavoro strepitoso di un Doug Jones che merita molta più attenzione di quella che ha. E nemmeno un'apologia del diverso e dell'apertura all'altro. Se avete mai visto un film di del Toro lo sapete già, che è un maestro. Il più grande di tutti, per quel che mi riguarda.
Avrebbe potuto rassegnarsi ad una vita di Pacific Rim e sequel di zarrate sui vampiri, e avrebbe fatto forse più soldi.
Questa volta, invece, ha deciso che era ora di mostrare anche a tutti quelli che lo ignoravano, a tutti quelli che non lo prendevano sul serio, che ha sempre avuto ragione lui. Che il Cinema è questo, è tutto il cuore del mondo preso e messo in un mare d'acqua, insieme a due amanti che ballano, ignari delle differenze, del dolore, delle gocce d'acqua che cadono nel cinema di sotto, colmi solo di quella cosa grande e indefinita che lui nemmeno ci prova, a definire.
Aveva ragione lui, e ora non possiamo che chinare il capo e scusarci, per non averlo mai ascoltato abbastanza.

venerdì 26 gennaio 2018

Gravity

13:32
Ho visto Gravity per la prima volta solo adesso.
Lo so, lo so.
Mi ero lasciata di nuovo prendere dal pregiudizio, dall'antipatia personale (più per Clooney che per la Bullock), dall'antifantascientismo.
Adesso dovrò convivere tutta la vita al pensiero che non avrò mai la possibilità di vederlo al cinema, e credo sia una punizione sufficiente per il mio snobismo del cavolo, che io provo a sedare ma che rimane lì, implacabile, a farmi perdere i capolavori in sala.



La storia è quella dell'ingegnere Stone, alla sua prima missione spaziale, che insieme all'astronauta Matt Kowalsky deve sopravvivere ad un urto che ha distrutto la navetta con cui erano arrivati.
Fine della storia, tutto qua.
Due persone da sole nello spazio infinito che devono sopravvivere.
Agghiacciante.

Non è che fossi scettica, di più. La mia attuale inversione di rotta, però, quella che oggi mi fa guardare anche i film di fantascienza quando una volta francamente li schifavo, mi ha condotta fino a Gravity. Per colpa di questa inversione di rotta io al minuto 12 stavo col fiatone, un'ansia devastante e il cuore incapace di tollerare tanta tensione.

Facciamo una breve premessa: io ho il terrore del volo. Detesto ogni tipo di altezza, ma quando sotto di me non ci sta niente io sbrocco. Pesantemente. (Il primo che mi dice 'ma c'è l'aaaaria' subirà un trattamento pari alla sua simpatia) Ma del tipo che non posso guidare sulla Cisa o mollo la macchina in mezzo alla corsia e corro giù a piangere.
Immaginate che esperienza è stata per me Gravity. Non ho mai vissuto niente di simile, e l'ho visto solo dal divano di casa. Al cinema forse sarei morta. Ma quanto ne sarebbe valsa la pena.
La sola idea di trovarmi sola nello spazio infinito, lontana in modo indescrivibile dalla mia sacra Terra, sperduta, mi ha sconvolta. Ho temuto di dover prendere uno di quegli Alprazolam che mi hanno consentito di prendere gli unici due voli della mia vita.

Priva di qualsivoglia competenza tecnica, non ho idea di come si girino scene del genere, ma Alfonso, cosa hai fatto. Certi momenti sono indescrivibili, di una bellezza semplicissima eppure immensa, da togliere il fiato. La sensazione visiva è totalizzante, un enorme senso di vuoto si apre intorno a chi assiste inerme al destino agghiacciante di una Sandra Bullock che lancia violentemente alle sue spalle decenni di commedie romantiche per rivelarsi qualcosa di completamente inaspettato. Nel mezzo mi fa anche un gesto dell'ombrello. A me e alla mia mancanza di fiducia.
Tutto è immenso e intenso, le prime immagini si sono tatuate nella mia memoria e sarà difficilissimo superarle. Ogni mia certezza è andata distrutta insieme al satellite russo che ha causato tutto il patatrac.

Ultimamente le mie certezze vengono spesso smentite.
Una volta me la sarei presa a morte, il mio orgoglio non accetta l'errore.
Oggi, invece, dio solo sa quanto ne sono felice.
Dove con dio intendo Alfonso Cuaròn.

sabato 4 novembre 2017

A Monster Calls - Sette minuti dopo la mezzanotte

17:31
La vita dell'influencer la desideriamo un po' tutti. Guadagnare, e bene, con un lavoro allìapparenza semplicissimo e appassionante, la fama sul web...
Gli influencer, però, sono tali quando spostano gli acquisti, quando inducono qualcuno, con la fiducia, a provare o meno uno o più prodotti.
Io, oggi, desidero più di ogni altra cosa essere influencer, perché se dopo questo post avrò convinto una e una sola persona a vedere questo incanto, allora saprò di avere fatto qualcosa di buono con questo posticino sperduto nel web.



La mamma di Conor sta morendo. Il cancro la sta consumando e lui lo sa, anche se maschera il tutto con una forza insospettabile. Una notte, però, sette minuti dopo la mezzanotte, un mostro gli fa visita. È un grosso albero, che promette al ragazzino di raccontargli tre storie, al termine delle quali vorrà sentire la sua, di storia. La storia dell'incubo che lo tormenta tutte le notti.

Non starò nemmeno qui a dirvi quanto sia tremendo il cancro al cinema. Ci vuole una maestria leggendaria per non scendere nel braccialettirossismo. Bayona non solo ce l'ha, ma rende insostenibile qualsiasi cosa al suo confronto. Non sarà nemmeno necessario sottolineare quanto il bambino solo e bullizzato sia ormai un luogo comune.
Però, però, però.
Però diciamolo che ogni volta che sembra entrare in gioco la mente dei bambini allroa scatta la magia. Ricordiamo anche come l'incanto del Cinema stia anche nello stravolgere i sentimenti in maniera inaspettata. Sottolineiamo soprattutto che spesso e volentieri gli autori bravissimi ma bravissimi davvero sanno usare le materie complicate per parlare delle nostre anime e dei nostri cuori e mentre ci fanno piangere allora ci fanno anche tanto pensare e, tra un singhiozzo e l'altro, ci fanno uscire migliori dalla visione.

Questa specie di enorme, spaventoso Groot, arriva nella vita di Conor nel suo momento più fragile, quando la sua vita viene stravolta. A sua volta, invece di collaborare a farlo stare meglio, lo tortura, lo mette spalle al muro per fargli affrontare la più dura delle realtà. Lo spinge ad azioni incontrollate, lo punisce. Non è certo l'amico immaginario dei sogni.
Alla fine, però, lo aiuta a perdonarsi. E non esiste cosa più importante.
Un bambino, ancora incapace di comprendere come sia complessa e profonda la mente degli uomini, come l'amore si manifesti in modi che spesso non ci piacciono e che sono difficili da accettare, viene accompagnato dal mostro in un viaggio per perdonarsi e lasciarsi andare all'umanità del dolore, anche se è insostenibile.
Per noi, invece, è magico, e commovente, e indimenticabile, e tutta un'altra lunga serie di aggettivi che in ogni caso non gli renderebbero un briciolo solo di giustizia.

sabato 27 maggio 2017

Non solo horror: Dark Places

20:02
Giro intorno a Gillian Flynn da quando ho visto Gone girl, quella perla scattata di colpo tra i film più belli che abbia mai visto. Non ho ancora finito di girarle intorno, perchè i libri non li ho letti, ma almeno mi sono procurata Dark Places, tratto da un altro dei suoi romanzi.
Le aspettative erano alle stelle, e non sono stata delusa nemmeno per un istante.



Charlize Theron è Libby Day. Una trentina di anni prima sua madre e le sue sorelle sono state assassinate e per l'omicidio è stato arrestato il figlio maggiore, Ben. Libby è sul lastrico, e quando un gruppo di appassionati di cronaca la assolda per indagare di nuovo sul caso Libby accetta.

Se dopo Monster avevamo bisogno di una conferma sulla Theron, eccola qua: è bra vis si ma. Libby è traumatizzata, torturata dal più tremendo dei lutti e sola al mondo. Ha un viso indurito dal tempo, è rigidissima e intoccabile, e queste caratteristiche piazzate sul viso algidissimo della Theron sono state un mix micidiale.
Ci fosse solo la Charlize sarebbe già un bel film, invece si rivela ottimo perché la storia è eccezionalmente intrigante, come adesso mi aspetto da ogni cosa scritta dalla Flynn, molto più articolata dei thriller commercialotti a cui siamo abituati (sì, Glenn, sì, Dan, parlo di voi).
La figura di Ben è la meglio costruita di tutta la vicenda. Il Ben giovane e quello adulto sono sfocati, dai contorni vaghi, indecifrabili fino alla fine. Il primo incontro che abbiamo con lui, in carcere, è serimente inquietante, quella mano sul vetro a me ha dato i brividi, un po' per la bravura dell'attore e un po' per la forza della convinzione che, noi insieme a Libby, abbiamo della sua colpevolezza.

Io non ho un gran cultura di thriller, devo dire la verità. Se ce n'è un tipo che amo, però, è quello in cui il vero mistero sono le anime dei personaggi. Non è che la storia non sia interessante, anzi, ma come in Gone girl sono le persone ad essere ancora più interessanti del caso. Ognuno è spinto da motivazioni potenti e dolorose, nessuno è quello che sembra e soprattutto alla fine della storia nessuno è lo stesso che era ad inizio film. L'influenza che quello che viviamo ha su di noi è profondissimo e Libby ne è una prova evidente. Il suo trascorso nella vicenda, sia nel passato che nel presente, il processo di autocritica e perdono, sono il vero fulcro del film, e lo trasformano da bel film a lavoro splendido.

Adesso la Flynn la leggo davvero.
Davvero.

domenica 14 maggio 2017

#CiaoNetflix: Il lato positivo

15:09
Un sabato pomeriggio di riposo!
C'è anche il sole! Usciamo, facciamo un giro in bici, andiamo a vedere un museo, andiamo a dar da mangiare agli asinelli!
No, dormimo fino alle 4 e poi attacchimoci al pc, perché sprecare la vita è sport olimpico.


Il lato positivo è la storia di Patrick, appena uscito dall'ospedale psichiatrico in cui era stato ricoverato dopo che il suo disturbo bipolare era emerso. Una volta uscito il suo unico scopo è riconquistare la moglie, e per farlo chiederà l'aiuto di Tiffany, una conoscente. Tiffany, però, chiede un favore in cambio.

Quando dico che i film d'amore non mi piacciono in realtà mento sapendo di mentire. Diciamo che non sono la prima cosa che cerco quando vado al cinema, ma credo che la colpa sia anche del fatto che sono molto molto esigente. Quando mi emoziono piango per giorni, ma prima di trovare coinvolgimento dalle storie d'amore ce ne passa. Il mio snobismo mi fa dire che è molto presuntuoso voler parlare d'amore, è follia chiedere a due persone di fingere di amarsi e soprattutto è quasi impossibile trasmettere il sentimento a chi stia fruendo del prodotto.
Però ci provo, ogni tanto, perchè quando trovo un film d'amore che mi emoziona mi conquista in modo totalizzante.
È il caso di Silver Linings Playbook?
Eh, mi sa di no.

DA QUI ANTICIPAZIONI ROVINATRAMA, COME SE CI FOSSE QUALCOSA CHE NON SIA INTUIBILE ANCHE SOLO DALLA LOCANDINA

Partiamo dal dire cosa cerco: la cosa che preferisco della rappresentazione dell'amore è vederlo nascere. Cioè quello che preferisco è il prima. Outing: quando avevo 16 anni e leggevo Twilight (eh, oh), lo adoravo perché nel romanzo buona parte del rapporto tra i due è ritratta prima della nascita della storia. Edward e Bella si pizzicavano, si provocavano, si divertivano. Non alla Mulder e Scully che ci hanno messo 10 anni, ma insomma è stato bello per me vedere la lenta crescita di qualcosa oltre l'amicizia. È sempre bello per me, mi coinvolge e quando arrivo alla definizione della relazione sono già emozionatissima.
Niente, qua non mi ha toccato niente. Ci stava quasi riuscendo, con le scenate in giro per la città e i due che si rincorrevano per le strade, c'eravamo quasi. Poi hanno preso a ballare e niente, è morto tutto. E non è che io odi le scene di danza, ve lo ricordate vero che uno dei miei film della vita è Dirty Dancing?
Però Bradley, ti prego, sei bello come il sole, la finisci di ballare? Stai fermo, come la statua greca che ricordavi prima di diventare un mortadellino, e lasciaci sognare.
Il suo personaggio non mi conquistata nemmeno per un istante, non so se sia colpa del fatto che BC è tanto bello poco bravo. Anche Jennifer Lawrence mi ha lasciata freddina, ma c'è anche da dire che non sono una sua particolare ammiratrice.

Tutto sommato non è che il film sia brutto, scorre veloce e abbastanza piacevole, ma coinvolgimento da parte mia meno venticinque.
Lo troverò il film d'amore della mia vita, a costo di metterci vent'anni.

venerdì 28 aprile 2017

Non solo horror: Hidden Figures

16:45
Disclaimer: ogni tanto questo blog diventa veicolo di messaggi personali, nei quali il parlare di un film o di un libro sono solo una scusa per dire qualcosa a qualcuno che fa parte della mia vita reale. Mi rendo conto che possa sembrare scortese, ma Hidden Figures è un film che si presta moltissimo a fare da sprono a persone che stanno vivendo momenti particolari, e ha l'aggiunta non da poco di essere anche un film bellissimo. 
Oltretutto, citando le sagge e profonde parole della sempre stimata Gigliola Cinquetti, qui comando io, questa è casa mia, quindi oggi si va di post personale.


Cara Amica mia,
lo so che quel post qua, proprio su quel film qua, è piuttosto prevedibile considerato il numero di volte in cui ti ho detto di guardarlo, ma siccome la situazione si fa più complicata ogni volta che ci vediamo, ci vuole l'artiglieria pesante: il blog. Più complicata per entrambe, tra l'altro, perché se ci si vuole bene davvero allora bisogna condividere anche quelli che in francese si chiamano periodi di merda.
Le protagoniste del film sono tre amiche, il che rende il tutto ancora più pertinente. Lavorano come computers alla NASA, cosa che le rende intellettualmente più affini a te che a me. Tutte e tre hanno particolari predisposizioni, talenti innati e capacità sopra la media, che però vengono ignorate in virtù del loro essere donne, con l'aggravante dell'essere donne di colore. La cosa paradossale è che tutte le predisposizioni delle tre signorine in questione stanno dentro al loro cervello, che come tu sai bene non ha nulla a che vedere con quello che sta fuori dalla sua bella e preziosa scatolina cranica. Al massimo al contrario, è lui che comanda quello che sta fuori, ma di certo non viceversa.
Le ragazze si chiamano Katherine, Mary e Dorothy. Fanno vite normali, con famiglia e figli, e si ritrovano vincolate in qualcosa che non fa completamente per loro (suona familiare?).
Bella eh, la NASA, bello fare i conti, bello essere d'aiuto, però...
È davanti al però che nasce il futuro, si aprono le possibilità, si scavalcano i limiti. Ecco, questi sono quello di cui dobbiamo parlare. Limiti ne abbiamo tutti, e dio solo sa quanti ne hanno le tre protagoniste. Sono nere, negli anni 60, sono donne, fanno la pipì in bagni diversi, cose del genere. Eppure, vogliono entrare in un mondo che sembra impossibile, un mondo lavorativo utopico e irraggiungibile, fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni (suona familiare anche questo?).
I tuoi, di limiti, sono di ben altra fattura, e sai bene che con questo non intendo affatto sminuirli. I tuoi sono esattamente quello che le tre non hanno. Loro sono sicure di sè, convinte di potercela fare, non dubitano mai delle loro capacità. È per questo che voglio così tanto che quando lo sconforto prende il sopravvento tu guardi questo film: perché sono una bomba di energia, prendono una scala e fanno calcoli su una lavagna francamente gigantesca con la stessa naturalezza che hai tu quando parli delle questioni che riguardano la tua vita professionale. Quando un dono è così profondamente innato, non ci sono incertezze che tengono. La strada per il futuro sarà anche costellata di incertezze e buchi nel terreno, ma la meta è cristallina, solo che ogni tanto ti vengono i dubbi sulla capacità della macchina di percorrerla, quella strada lì.
Mary, Dorothy e Katherine sono brillanti anche e soprattutto perché perfettamente conscie di esserlo. È questo che le tiene in piedi quando il sistema combatte contro la loro riuscita. È per questo che scavalcano i loro superiori, si impongono, finiscono in tribunale. Sono eccezionali e sanno di esserlo, e si prendono con la forza il futuro che gli spetta.
Non che sia sempre tutto liscio come l'olio, figuriamoci. Non lo è mai nella realtà, figuriamoci se può esserlo in un film così genuinamente onesto. Ci sono ostacoli, insicurezze, fraintendimenti. Ma a farglieli superare non c'è la solita fragorosa botta di culo (sempre in francese, perdonerai il mio essere poliglotta), è il loro carattere a tirarle fuori. Sono coraggiose e impertinenti.
Delusione? Aggiustatina degli occhiali sul naso e calcolo fatto alla perfezione tanto per ricordare a tutti chi è il genio qui dentro.
Marito che cerca di prendersi troppa autorità sulla tua vita? Prendi il titolo che aspetti e glielo sventoli sotto il naso come fosse Rossella O'Hara.
Capa fracassa-anima e anche un po' razzista? Le aggiusti il macchinario che nessuno sa manco guardare e se ci scappa le scoreggi anche in faccia.
Avranno anche creduto di non potercela fare, in qualche momento, ma sono partite come treni e nessuno le ha fermate. Il tuo, di treno, è in corsa già da un po', punta più lontano che puoi e ci andrà praticamente da solo.
Impegnate ognuna a pensare ai propri problemi, però, sono state anche la rete di supporto una dell'altra. E se tu, per anni, sei stata la mia, sappi che a tua volta puoi buttarti quando vuoi, hai le spalle sempre coperte.

sabato 3 dicembre 2016

Non solo horror: Song of the sea

12:26
Io e la mia solita amica Elena abbiamo questa cosa per cui i nostri discorsi non hanno alcuna logica, partono da una cosa e finiscono chissà dove. La creatività è uno dei punti su cui torniamo spesso, e ogni volta in cui mi sono sentita in blocco (ed è capitato con frequenza allarmante), lei mi ha detto che niente stimola la creatività più di Song of the sea, che lei ha visto molto prima che uscisse nelle sale italiane.
Ce ne ho messo di tempo, ma eccomi qua.

Song of the sea è la storia di due fratelli, e penso abbiate ormai capito che i cartoni con due fratelli non riescono a lasciarmi fredda, che convivono con la scomparsa della madre, una selkie, creatura del folklore irlandese. Questa natura mitologica è stata trasmessa alla figlia minore, Saoirse.
Capirete da voi che il primo vero vantaggio del film è quello di decidere insindacabilmente quale sia la vera pronuncia del nome della Ronan, fine della questione.


Fare i cinici è facilissimo, è una cosa a cui gioco continuamente e che mi dà anche piuttosto soddisfazione. Ogni tanto, però, per ristabilire un minimo gli equilibri interni e scongiurare quindi il rischio di un TSO, ecco che faccio queste manovre suicide e mi lancio in visioni che prendono tutti i sentimenti umani e li scombussolano tutti, lasciando me e chiunque altro ad un ameba singhiozzante.
Song of the sea parla di una famiglia, che nel suo piccolo mondo sembra stare d'incanto. La madre, però, deve fare ritorno al suo habitat, il mare, e lascia dietro di sè lo scheletro di quella che era la calorosa famiglia iniziale. Un uomo spezzato e solitario, un bambino rancoroso e sofferente e una bambina muta. Chiaramente quando la nonna fa la sua comparsa cerca di rattoppare il danno, come le chiede la sua natura di nonna, ma certe ferite vanno ricucite da sè. Iniziano allora canti, rincorse, suppliche, avventure. Arrivano streghe, gufi, streghe dei gufi. Perchè la più reale delle storie, ovvero quella di persone che soffrono, viene raccontata con la magia di un mondo fatato, in cui i bambini si legano alla cintola col guinzaglio e in cui i sentimenti diventano di pietra.
Viene raccontata con disegni dai tratti semplici ma incantati, dai movimenti leggeri e dai colori tenui, e con un dolcissimo uso della musica. No, non è un musical, è un film in cui la musica è salvifica e non riesco a pensare a niente di altrettanto vero.

E se fino a qui sembra solo la storia tenerina di un fratellone maggiore che deve salvare la sorellina, ecco che ad un certo punto arriva ciò che spinge la lancetta un po' più in là, e che fa passare Song of the sea da un bel film d'animazione ad un'opera ben più profonda, facendo quello stesso percorso che fa il mio adoratissimo La città incantata.
Ben, il bambino, e la strega, hanno l'ambito confronto, e lei gli fa la più semplice delle domande: se potessi pietrificare il tuo dolore, non lo faresti?
Eh.
Se avete una risposta tenetevela per voi ancora un po'.
Poi guardate Song of the sea. Può essere che finiate affogati nella vostra commozione, ma se non altro avrete le idee un po' più chiare.
Mettete da parte il nostro amico cinismo per un po', ché io sto ovulando e ho la lacrima facile, e accettate che la soluzione è questa: il dolore ce lo dobbiamo tenere, fa parte di quello che siamo anche se è una superba rottura di coglioni. Ma si cura. L'amore lo cura. L'amore (di qualunque tipo) ti prende il viso tra le mani e ti forza a cantare la canzone che ti salverà la vita. Ed è vero, lo è sempre anche quando queste ci sembrano solo cagatine buoniste e smielate, che ci rende individui migliori, che affrontare quella sofferenza (anche quella più arrabbiata) ci libera di quel risentimento rancoroso che ci rende ostili e furiosi col mondo.
Non so quanto io possa essere attendibile, quando dico certe cose, ma una cosa la so per certo: io SONO rancorosa, io provo risentimento, io sono arrabbiata. Lo sono da quando ho memoria. Lo sono per quelle cose di cui sono stata privata, soprattutto per le possibilità che mi sono state tolte, lo sono per quelle cose che avrei desiderato e che non ci sono state e per anni sono stata certa che questi sentimenti me li sarei portata dentro per sempre, e quel piccolo maleducato dispettoso Ben non poteva starmi antipatico, era una Mari irlandese.


Per quanto Song of the sea sia incantevole, non fraintendetemi: non dico certo che un film rende persone migliori, e se I Tenenbaum non hanno risolto i miei problemi nessuno al mondo lo può fare, ma la testa si apre. Quando ci si emoziona per il dolore provato da un bambino disegnato su uno schermo, è naturale riflettere sul proprio, e guardarlo dall'esterno per un po'.
Fa bene all'anima.
E fa bene alla testa, perché oltre a tutte queste infinite sovrastrutture che ci costruiamo sopra in base alla nostra vita, Song of the sea è una poesia.

Questo il link per acquistare il DVD del film: http://amzn.to/2gkDeQf
Cliccando qui, invece, arriverete dritti alla playlist di spotify della colonna sonora. Se riuscite ad ascoltare altro fatemi sapere.

lunedì 3 ottobre 2016

Non solo horror: Una tomba per le lucciole

15:38
Oggi sono incazzata. Di quell'incazzatura che ti prende quando ti svegli alle 6 e alle 6 e 10 già vorresti finire in galera per omicidio. Quantomeno in galera non devi avere a che fare con chi ti fa girare così tanto i cosiddetti.
Così, qualcosa mi suggerisce che una giornata di merda ce l'abbiate avuta grossomodo tutti, quindi capirete lo stato d'animo che mi ha portata a sedermi sul divano, coperta con un plaid, tisana ai frutti rossi piena di miele (perché, come se i nervi scoperti non fossero sufficienti, ho pure il raffreddore da quelli che sembrano venticinque anni), gatti di fianco, e film di quelli capaci di farti piangere anche le lacrime che non hai.
E quando sto così solo il Ghibli mi può salvare.


Il film si apre con un giovane, Seita, che parla del giorno della sua morte. Dalla scena seguente ripercorriamo la sua vita, quella di un giovane orfano che deve occuparsi della sorellina Setsuko durante la Seconda Guerra Mondiale.

Io i film sulla Seconda Guerra Mondiale li odio, in linea di massima. Trovo sia impossibile fare qualcosa sul tema e che non sia un polpettone melò di quelli che non avendo altro puntano sulla disperazione. Sì, odio anche Schindler's list e La vita è bella. Mi urtano e basta.


Poi, però, è successo lo Studio Ghibli.
Come una specie di Attila al contrario, anziché distruggere al proprio passaggio, i film Ghibli hanno il potere quasi surreale di creare. Luce, emozione, parole. Il Ghibli stimola la creatività di chi si lascia trasportare dalla magia, e questo sempre, in ogni film, anche in quelli meno riusciti come Marnie. 
(Che poi, sia chiaro, con loro quando parlo di 'meno riusciti' intendo che sono comunque film incantevoli, qui si passa da 'capolavoro' a 'comunque film molto bello')
Per quanto nessuno dei film sia una semplice poesiola colorata per bambini, Una tomba per le lucciole riesce nell'impossibile. Far crollare me, detestatrice di film sulla guerra, in una pozza di disperazione come poche altre volte mi era successo. Ho pianto per ogni genere di film, nella mia vita, Interstellar mi aveva ridotto ad un pozzo singhiozzante. A volte ho frignato ascoltando Unconditionally di Katy Perry, e la canzone nemmeno mi piace. Qui, dove mi aspettavo di cadere in pianti a dirotto, non sono riuscita a versare nemmeno una lacrima.
Ho guardato il deperire di due esistenze, e non sono riuscita a piangere. La loro morte ci era chiara dal primo fotogramma, non è stato un subdolo colpo di scena. Eppure li abbiamo visti vivere, li abbiamo visti combattere per sopravvivere. E quanto questo sia stato difficile ci è mostrato senza alcuna censura: morti, botte, bombe, umana crudeltà. Non siamo certo di fronte ad un altro Totoro. Sapevo che mi avrebbe distrutta, e ci ho provato a non affezionarmi, a non empatizzare, perché ero stata avvertita. Ad un certo punto, però, Setsuko si toglie il cappuccio che la mamma le metteva, e svela una testa circondata da un caschetto nero come la pece, tagliato corto, con la frangetta densa. Che ci crediate o no, il taglio di capelli storico della Mari bambina.


In questo quadro di disperazione (che però non cade mai nel 'State piangendo, pubblico? Non ci siamo riusciti? Rincariamo la dose'), la guerra sta sullo sfondo. Presente, ogni tanto rimbalzata all'attenzione di chi guarda con un suono o un accenno, tanto per ricordarci perché siamo qui, in una grotta. Ma non è la protagonista, è solo la scusa per prendere i nostri cuori e farne qualcosa di diverso da quello che erano solo un'ora e mezza prima. Il mio, al momento, sta in un angolo, a leccarsi ferite autoinferte. Ha appena visto un film in cui apparentemente niente accade, ma in cui accade tutto.


Le immagini, cosa ve lo dico a fare, sono poesia. Non mi capaciterò mai di come possiate preferire l'animazione occidentale ad una cosa del genere. E la musica, con la solita dolcezza infinita, sembra non capire che stiamo vivendo il più grande dei dolori, e ci accompagna verso il lutto con una tenerezza che non fa altro che infliggerci sofferenza in più.


Sì, fiera delle banalità: la morte dei bambini è qualcosa a cui si fatica a credere, qualcosa che per nostra stessa natura non possiamo accettare. Il Ghibli ce la serve su un piatto dorato, facendoci ancora più male. E sì, sto continuando a premere sul pedale della sofferenza, perché oggi il Cinema mi ha ferito ancora una volta. Continuo a perdonarlo, come un'amante tradita che torna dal fedifrago. Fino a che esisteranno film del genere, io sarò qua a parlarne.

Disclaimer

La cameretta non rappresenta testata giornalistica in quanto viene aggiornata senza nessuna periodicità. La padrona di casa non è responsabile di quanto pubblicato dai lettori nei commenti ma si impegna a cancellare tutti i commenti che verranno ritenuti offensivi o lesivi dell'immagine di terzi. (spam e commenti di natura razzista o omofoba) Tutte le immagini presenti nel blog provengono dal Web, sono quindi considerate pubblico dominio, ma se una o più delle immagini fossero legate a diritti d'autore, contattatemi e provvederò a rimuoverle, anche se sono molto carine.

Twitter

Facebook