Madre!
Mari.
14:36
Ho pensato per giorni se fosse il caso o meno di parlare di Madre!.
Poiché, però, dalla sera della visione non riesco a pensare ad altro, mi ritrovo a dover almeno provare a buttare giù qualche riga, nella vaga speranza mi esca qualcosa di sensato.
Per quanto mi riguarda un film di Aronofsky al giorno potrebbe essere la ricetta della felicità. Mi piace tanto, tantissimo, rappresenta in pieno quello che cerco quando inizio un film. Alle prime notizie dei fischi a Venezia mi sono tappata le orecchie e ho indossato il velo del negazionismo.
Ebbene, entro in sala.
A metà film voglio uscire.
La coppia composta da Jennifer Lawrence e Javier Bardem (caposquadra dei Brutti Che Piacciono Alla Mari®) vive in una casa in mezzo al nulla. Sembrano felici anche se l'ispirazione di lui, poeta, sembra tardare ad arrivare. La loro solitudine viene interrotta dall'arrivo di un ospite, convinto che la loro casa fosse un b&b, che viene invitato a restare da Bardem.
Per me, da questo momento, ha inizio un incubo.
Mano a mano che l'ospite diventava invadente, io diventavo nervosa. Se ognuno di noi è più o meno sensibile a cose diverse, io impazzisco quando mi sento invasa. La mia casa è la mia casa e tu ti prendi la confidenza che io ti dò, punto. Ho persone a me vicine che invece sono meno inflessibili di me e che toccano la casa altrui come se fosse propria e le condannerei a morte con tortura. Nel senso che mi dà fastidio anche se lo fanno a casa d'altri, mi sembra proprio di impazzire.
Tutta la prima metà del film è un home invasion di portata psicologica terrificante. Con l'arrivo della moglie la visione è diventata per me faticosa come un allenamento di Kayla Itsines e per la prima volta nella mia vita, sono disposta a giurarlo, mi è balenata in testa l'ipotesi di lasciare la sala.
Sono abituata al cinema che lascia sensazioni negative. Spesso mi piace. Mi piace l'arte che scombussola, che rimette in discussione, che frantuma e ricostruisce. La fruizione, però, deve essere gradevole. Mi piace guardare i peggio film horror anche quando sono beceri oppure spaventosissimi perché per qualche motivo mi divertono, quindi anche qualora la sensazione non sia quella di cavalcare un unicorno io ne traggo comunque qualcosa di positivo. Quando ho visto Martyrs ho faticato come un anziano che salta i fossi per il lungo, ma alla fine per tutta la durata ho avuto la netta sensazione di stare guardando qualcosa di Grande. L'esperienza finisce sempre e comunque per essere gratificante.
In Mother! mi sono spesso ritrovata a pensare che non ne valesse la pena. Ogni sgarbo, ogni imposizione, ogni intrusione mi sono pesati come macigni e non voglio sentirmi così quando guardo un film. Ero arrabbiata furiosamente con Darren Aronofsky che non mi stava dando quello che volevo e che mi disturbava così (avanti, anticinefili dell'internet, perculatemi pure, ho intenzione di usare tantissimo la parola disturbante in questo post).
Ma soprattutto, levatemi di torno la faccia della Pfeiffer perché com'è vero Iddio io la detesto.
Mi passerà, quando mi dimenticherò il film, ma è stata talmente brava che io adesso vorrei procurarle dolore fisico con le mie stesse mani.
Poi, però, succede qualcosa.
Il film entra in una seconda fase in cui, sia lodato Djesoocreesto, la Pfeiffer scompare dalla scena per lasciare spazio ad un'infinità di cose in più. Tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento prende un aspetto nuovo, interessante. Una nuova lettura ci viene sottoposta e noi finiremo per rileggere tutto il film in luuunghe sedute di discussione con chi abbia avuto la sfortuna di finire in sala con noi.
Bisogna riconoscere che DA sembra credere molto in se stesso, ho avuto la sensazione che in ogni fotogramma gridasse allo spettatore 'Mi vedi quanto sono controverso? Guarda fin dove oso!'. Si sarà fatto le carezzine sulla testa di fronte al grande coraggio di portare un'allegoria della bibbia in un film così tanto particolare, fuori dal convenzionale. Ci crede un sacco, è bravo e lo sa e non vede l'ora che tutti glielo ricordino.
Avrei potuto facilmente detestarlo, per una cosa del genere.
Invece mi è piaciuto tanto. Non l'ho capito subito, che mi era piaciuto, però. Sono uscita dalla sala confusa e disturbata, quasi quanto l'imbecille seduta davanti a me che una volta in bagno si è lamentata con la sua amica di non avere capito il film. Fosse stata su Instagram almeno 5 minuti in meno magari le sarebbe rimasto qualcosa in più che non la sola domanda 'Ma perché adoravano un poeta?'.
Ne ho parlato a lungo con R, ho parlato con persone che ne sanno di religione ben più di me, ci pensato un sacco, per giungere alla conclusione che con me anche questa volta Darren aveva fatto centro. La mia testa è sempre lì, dopo giorni, e questo, nonostante l'indubbia fatica e il disturbo quasi mortale che mi ha causato, è il motivo per cui guardo i film.
Per accenderlo, il cervello, non per spegnerlo.
Poiché, però, dalla sera della visione non riesco a pensare ad altro, mi ritrovo a dover almeno provare a buttare giù qualche riga, nella vaga speranza mi esca qualcosa di sensato.
Per quanto mi riguarda un film di Aronofsky al giorno potrebbe essere la ricetta della felicità. Mi piace tanto, tantissimo, rappresenta in pieno quello che cerco quando inizio un film. Alle prime notizie dei fischi a Venezia mi sono tappata le orecchie e ho indossato il velo del negazionismo.
Ebbene, entro in sala.
A metà film voglio uscire.
La coppia composta da Jennifer Lawrence e Javier Bardem (caposquadra dei Brutti Che Piacciono Alla Mari®) vive in una casa in mezzo al nulla. Sembrano felici anche se l'ispirazione di lui, poeta, sembra tardare ad arrivare. La loro solitudine viene interrotta dall'arrivo di un ospite, convinto che la loro casa fosse un b&b, che viene invitato a restare da Bardem.
Per me, da questo momento, ha inizio un incubo.
Mano a mano che l'ospite diventava invadente, io diventavo nervosa. Se ognuno di noi è più o meno sensibile a cose diverse, io impazzisco quando mi sento invasa. La mia casa è la mia casa e tu ti prendi la confidenza che io ti dò, punto. Ho persone a me vicine che invece sono meno inflessibili di me e che toccano la casa altrui come se fosse propria e le condannerei a morte con tortura. Nel senso che mi dà fastidio anche se lo fanno a casa d'altri, mi sembra proprio di impazzire.
Tutta la prima metà del film è un home invasion di portata psicologica terrificante. Con l'arrivo della moglie la visione è diventata per me faticosa come un allenamento di Kayla Itsines e per la prima volta nella mia vita, sono disposta a giurarlo, mi è balenata in testa l'ipotesi di lasciare la sala.
Sono abituata al cinema che lascia sensazioni negative. Spesso mi piace. Mi piace l'arte che scombussola, che rimette in discussione, che frantuma e ricostruisce. La fruizione, però, deve essere gradevole. Mi piace guardare i peggio film horror anche quando sono beceri oppure spaventosissimi perché per qualche motivo mi divertono, quindi anche qualora la sensazione non sia quella di cavalcare un unicorno io ne traggo comunque qualcosa di positivo. Quando ho visto Martyrs ho faticato come un anziano che salta i fossi per il lungo, ma alla fine per tutta la durata ho avuto la netta sensazione di stare guardando qualcosa di Grande. L'esperienza finisce sempre e comunque per essere gratificante.
In Mother! mi sono spesso ritrovata a pensare che non ne valesse la pena. Ogni sgarbo, ogni imposizione, ogni intrusione mi sono pesati come macigni e non voglio sentirmi così quando guardo un film. Ero arrabbiata furiosamente con Darren Aronofsky che non mi stava dando quello che volevo e che mi disturbava così (avanti, anticinefili dell'internet, perculatemi pure, ho intenzione di usare tantissimo la parola disturbante in questo post).
Ma soprattutto, levatemi di torno la faccia della Pfeiffer perché com'è vero Iddio io la detesto.
Mi passerà, quando mi dimenticherò il film, ma è stata talmente brava che io adesso vorrei procurarle dolore fisico con le mie stesse mani.
Poi, però, succede qualcosa.
Il film entra in una seconda fase in cui, sia lodato Djesoocreesto, la Pfeiffer scompare dalla scena per lasciare spazio ad un'infinità di cose in più. Tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento prende un aspetto nuovo, interessante. Una nuova lettura ci viene sottoposta e noi finiremo per rileggere tutto il film in luuunghe sedute di discussione con chi abbia avuto la sfortuna di finire in sala con noi.
Bisogna riconoscere che DA sembra credere molto in se stesso, ho avuto la sensazione che in ogni fotogramma gridasse allo spettatore 'Mi vedi quanto sono controverso? Guarda fin dove oso!'. Si sarà fatto le carezzine sulla testa di fronte al grande coraggio di portare un'allegoria della bibbia in un film così tanto particolare, fuori dal convenzionale. Ci crede un sacco, è bravo e lo sa e non vede l'ora che tutti glielo ricordino.
Avrei potuto facilmente detestarlo, per una cosa del genere.
Invece mi è piaciuto tanto. Non l'ho capito subito, che mi era piaciuto, però. Sono uscita dalla sala confusa e disturbata, quasi quanto l'imbecille seduta davanti a me che una volta in bagno si è lamentata con la sua amica di non avere capito il film. Fosse stata su Instagram almeno 5 minuti in meno magari le sarebbe rimasto qualcosa in più che non la sola domanda 'Ma perché adoravano un poeta?'.
Ne ho parlato a lungo con R, ho parlato con persone che ne sanno di religione ben più di me, ci pensato un sacco, per giungere alla conclusione che con me anche questa volta Darren aveva fatto centro. La mia testa è sempre lì, dopo giorni, e questo, nonostante l'indubbia fatica e il disturbo quasi mortale che mi ha causato, è il motivo per cui guardo i film.
Per accenderlo, il cervello, non per spegnerlo.