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lunedì 31 gennaio 2022

GenNoir: La Nuova Fiera delle Illusioni

10:32

 Ci siamo, il momento per cui abbiamo chiacchierato tutto il mese di noir è arrivato: sono andata a vedere il nuovo film di Guillermo del Toro, La fiera delle illusioni.


A beneficio delle persone che potrebbero passare di qua senza sapere nulla della sottoscritta: guardavo già al cinema con passione e con il lieve trasporto che mi contraddistingue, ma quando ho guardato per la prima volta Il labirinto del fauno ho capito che per me il senso intero dell'arte stava in quella cosa lì. 

Il cinema di Guillermo del Toro non mi ha solo mostrato cosa significhi oggi essere un autore, cosa possa essere il cinema oltre che (se pur rispettabile) semplice intrattenimento, ma soprattutto mi ha riconciliato col mondo, ha preso l'adolescente incazzata che sono stata e l'ha addolcita, perché tanto genuino è il suo sguardo buono sul mondo che non posso non pensare che, in fondo, abbia ragione lui. 

Ha sempre ritratto il peggio del mondo e della storia, ma con le mani fatate di chi ha sempre saputo leggerci le cose migliori. 

In mezzo ad un felicissimo periodo storico in cui ottimi registi proliferano, Guillermo del Toro mantiene un posto nel mio cuore che lo mette al di sopra di chiunque.

Questa intro per dire che ho paura che mi allungherò un po'.




L'adattamento del Nostro è fedelissimo alla storia originale: seguiamo Stanton Carlisle nel suo viaggio verso il successo, da semplice garzone in un circo a incantatore delle ricche folle cittadine, fino a diventare lo spiritista dei ricchissimi. Lo aiuta nel suo viaggio la moglie Molly, e la loro sembra una strada verso le stelle. Sarà l'incontro con Lilith a segnare l'inizio della fine.


A me piace tanto andare al cinema. Mi piace così tanto che quando esco dalla sala per me i film sono tutti bellissimi. Mi faccio cullare dall'entusiasmo per l'esperienza in sala e finisco per amare tutto quanto. Se devo cambiare opinione lo faccio nei giorni successivi, un po' a freddo.

Uscita dalla sala questa notte avrei solo voluto stare in piedi a scriverne immediatamente, per imprimere le sensazioni fresche. Mi sono contenuta, sono andata a letto, ma stamattina è ancora tutto qui, perché quello di del Toro non è cinema da fruizione rapida. Continua a macerare dentro finché non si riesce a mettere a fuoco quello che ha lasciato. Qua oggi ci provo un po'.


La storia di Stan non è una bella favola, non lo era nel romanzo e del Toro non l'ha cambiata. Stan è un personaggio complesso e difficile, che nel corso del film fa un percorso non solo in termini di successo ma anche di evoluzione personale che Bradley Cooper ha portato in scena in quella che è senza dubbio alcuno la miglior interpretazione della sua carriera. Il suo viso nell'ultima inquadratura non me lo dimenticherò mai, mai. Stan nasce nullità: ha bruciato tutto quello che aveva ed è partito, senza meta. Incontra Clem, proprietario di un circo itinerante, che evidentemente vede qualcosa in lui, in quella spavalderia che si porta tatuata sulla faccia, e lo assume. Il circo di Clem è un insieme di mostruosità: sebbene sia superato il momento dei freak show fatti e finiti, la gente è ancora disposta a pagare per vedere qualcuno stare peggio e lui non solo lo sa bene, ma no si fa alcun problema a coltivare questo interesse popolare, presentando, tra le altre cose, lo spettacolo dell'uomo bestia (nel romanzo il mangiabestie). 

La storia di come si crea un uomo bestia, e vederlo sullo schermo, è dura in ogni caso, perché è violento e disumano, e lo è in tutte le sue versioni. Del Toro, però, pur non cadendo mai nella commiserazione, dà alle sue tremende scene un ulteriore tocco di umanità: questo uomo bestia cerca di comunicare il suo disagio, il suo dolore. Stan lo osserva, ne è evidentemente toccato (non si fa problemi a manifestare il suo disappunto con Clem), e fa un gesto microscopico ma fondamentale. Siamo in un noir, tutti non fanno che fumare, e lui fa la sola cosa a cui gli viene da pensare: gli offre la sigaretta. Lo copre quando piove e lo abbandonano davanti ad un ospedale, lo guarda prima di correre via. 

È umanità, questa? No. È un ripetuto strappare la dignità a qualcuno che non ha gli strumenti per riprendersela, ma del Toro non voleva mica ritrarre un cattivo dal cuore d'oro. Stan non è e non sarà mai un eroe, ma è nelle sfumature, negli accenni di compassione, che costruisce un personaggio così forte. Neppure la dolce Molly ha mai uno sguardo per l'uomo bestia, neppure il protettivo Bruno, neppure la materna Zeena. Sono tutti accecati dalla consuetudine di averlo lì, e solo lo sguardo esterno al microcosmo del circo ne percepisce la crudeltà.


Nei primi momenti al circo Stan è silenzioso, riservato. Fa quello che gli viene chiesto senza pensarci troppo, si prende i suoi soldi e non rompe tanto le palle. Però è da subito che lo vediamo come un uomo deciso. Non beve, mai, e lo rivendica con orgoglio. Non accetta di lavarsi nella pozza in cui si lavano tutti. Non ascolta quando gli viene chiesto di stare lontano da Molly. Ci sono piccole sfumature che del Toro ha scelto di inserire e che mancavano nella materia originale che non fanno che dare ulteriore spessore al suo protagonista, il che ha del miracoloso. Il film è tratto da un romanzo, che per sua stessa natura offre molto più tempo per costruire la complessità di una persona, eppure è in questo adattamento che Stan diventa ancora più intenso, il suo ritratto è ancora più puntiglioso. 


Certo, quella Molly lì gli piace proprio, e lui inizia quel lavoro che fanno alcuni uomini per prendersi le donne più fragili. La convince che il circo per lei non sia sufficiente, che meriterebbe di più. Una donna sicura di sé uno così lo manda a spasso, sto dove mi pare e tante grazie. Ma Molly non è così. Vissuta a lungo sotto la protezione del padre prima e di Bruno dopo, cullata dall'amore del circo, non ha avuto modo di diventare adulta a modo suo, e questo suo restare parzialmente bambina le ha permesso di mantenere una cosa che nessuno, intorno a lei, ha più: una morale. Molly, abbindolata dal talento del marito, abituata alla truffa e all'inganno come forme di sostentamento, non riesce a portare il marito sulle stelle perché ha dei paletti morali. Ha dei valori, ha ancora lo sguardo pulito sul mondo, e nonostante la volontà di fare contento il suo uomo non ce la fa. Serve una donna come Lilith, priva di qualsivoglia pensiero genuino, per dare a Stan quello che desidera. Ma siamo comunque in un noir, e l'ambizione non è mai cosa buona. 


Si toccano tematiche strettamente femminili con delicatezza verso lo spettatore (del resto il film lo ha scritto insieme alla moglie, Kim Morgan) ma anche con la durezza necessaria a ricordarci che in quel mondo lì nessuna donna se la passa bene, neppure se sta con un riccone della società bene. Molly è protetta come se fosse di vetro ma con una sola frase ci ricorda che anche se è Ron Perlman in persona a difenderti ti possono succedere cose orrende. L'intera storia che porterà alla fine del film è la storia di una donna che ha perso contro il volere di un uomo. Hanno scelto di non dare troppo tempo ad alcuni episodi terribili, perché non serviva altro che una singola frase per identificarli come tali, e sì, naturalmente parlo di quello che Molly dice a Stan mentre si baciano per la prima volta. 


Questa, prima di tutto, è una storia sulla dannosità del potere, tema che abbiamo visto raccontato tante volte dal Nostro. In passato ha parlato tanto del potere che gli uomini esercitano sulle donne, sfruttando una posizione di inferiorità imposta dalle strutture sociali, ha parlato di donne che nascondono quello che sono, ha parlato di uomini ricchissimi con la possibilità di fare quello che pareva loro come pareva loro, nei confronti delle altre persone, delle creature, del mondo intero. Qua il potere passa da un personaggio all'altro, perché è una storia molto lunga che tocca un arco temporale piuttosto importante, e ogni persona toccata dal proprio "turno" con lo scettro in mano ha sopraffatto, sfruttato, truffato qualcun altro. Non usa giudizio negativo diretto verso le persone, ma verso le dinamiche che rendono alcune persone superiori ad altre. 


Quello che del Toro ha portato in più in una storia ormai conosciuta, è la profondità, la mancanza di giudizio, la voglia di ritrarre le persone come fenomeni complessi e mai incasellate. Ha scelto per questa varietà umana attori in stato di grazia, che parlano con gli occhi e regalano a questi circensi un calore che forse, ora che l'ho trovato qui, riconosco mi sia mancato sia nel libro che nel film del '47. Ha aggiunto dettagli, scene brevissime, accenni, frasi buttate qua e là ma che insieme al resto, ovvero una storia ottima e molto potente, hanno costruito un film incantevole. Ci ha messo la sua estetica particolarissima (dico solo: la bellezza, la bellezza, della casa degli orrori), i suoi colori magnifici (lo dovete vedere al cinema, fatemi e fatevi questo favore), il look curatissimo che tanto amo e che contraddistingue i suoi lavori da sempre, e ha raccontato un mondo in cui non esistono buoni o cattivi, esistono le persone e le circostanze della vita. Esistono gli errori, le strade sbagliate, i traumi del passato, le conoscenze sbagliate per noi, la fragilità che ti è data dall'avidità. Guillermo del Toro non poteva ridurre questa storia ad una lotta tra chi truffa e chi viene truffato, doveva costruire un ritratto realistico del mondo, in cui si diventa quello che si è e in cui non sempre è solo colpa di chi cade e sbaglia. In cui capitano incidenti, in cui si mette la morale da parte un secondo di troppo e si finisce per farsi ancora più male, in cui l'individualità è sì portatrice di cattive notizie ma in cui è anche compresa. 

E fa tutto questo in un film che, anche solo per estetica, è la cosa più bella che ho visto di recente. 


Poi va beh, ha aggiunto i feti deformi conservati nei vasetti, perché va bene che è il suo primo film senza elementi soprannaturali, ma è pur sempre del Toro e almeno un paio di creaturine doveva mettercele. E ovviamente sono bellissime pure quelle. 


giovedì 15 marzo 2018

The book of life

14:29
Quando Coco ha fatto la sua comparsa in tutto il mondo, qualcosina mi si era acceso nel retro della mente.
Siccome, però, la mia memoria fatica a mettere a fuoco anche cosa ho mangiato ieri, ho lasciato perdere la faccenda e me ne sono dimenticata.
Qualcuno, poi, mi ha ricordato The book of life.
Anno 2014, ambientazione messicana, ma soprattutto: prodotto da Guillermo del Toro.
Era giunta l'ora di vederlo, superando la mia naturale lontananza dall'animazione.


Un gruppo di ragazzini scalmanati va in gita al museo. La classica e noiosa guida del museo, però, viene sostituita da una collega ben più simpatica, che accompagna i ragazzi in un lato nascosto del museo, tutto dedicato al Messico. Qui racconta loro la storia di Joaquin e Manolo, due amici che si contendono il cuore della bella Maria. Il loro destino viene manomesso da una scommessa tra La Muerte e Xibalba.

Non posso fare paragoni con il film Pixar, che non ho visto.
The book of life, però, è un tripudio di gioia.

In mezzo ai colori del Giorno dei Morti, alla colonna sonora travolgente fatta solo di cover adattate (c'è I will wait dei Mumford e non ho pianto solo per non perdere alcun fotogramma), all'avventura che supera la vita e la morte, ci sta la più semplice e genuina delle storie d'amore.
Maria da bambina viene allontanata dalla città di San Angel per colpa della sua condotta ribelle, ed è costretta a salutare i suoi amici. L'amore che loro provano per lei, però, supera il tempo e la distanza, e si fa trovare immutato quando, anni dopo, i tre vengono finalmente riuniti, ormai adulti.

Maria, dal canto suo, non li delude: è cresciuta per diventare una donna fortissima. Colta, appassionata di sport, brillante, senza paura, con il carattere frizzante che la caratterizzava da bambina. Non accetta consigli 'da signorina', non si piega a quello che la città si aspetta da lei, non sente nemmeno le chiacchiere gelose. Trascina da un lato all'altro la sua coda di capelli immensa (lo capisco bene baby, ti ammiro tantissimo per l'assenza di emicrania) e il suo maiale priva di vanità ed estri da donnina per bene. Questa usa la spada meglio di suo padre, il generale.
Joaquin e Manolo, chiaramente, sono inebetiti dall'amore.
Uno con la sua forza imbattibile e il suo curriculum da combattente feroce, l'altro con un talento di cui gli importa poco, quello da torero, e con una passione enorme per la musica.
Li unisce un'amicizia che non si è mai scalfita nonostante la rivalità, un'amicizia così forte e sentita da portare al sacrificio più grande, o al presunto tale.
Famiglie intere vengono coinvolte nella conquista di Maria, vive o morte che esse siano, presenti davvero o solo nel ricordo.

La forza del film sta tutta qua: si parla di sentimenti in un modo così genuino, fresco, quasi d'altri tempi, da lasciare inevitabilmente una piccola traccia sul cuore. L'amicizia fraterna, l'amore di famiglie che devono lasciar andare le proprie aspettative per il bene dei propri cari, l'amore come sogno, immaginazione, ricordo, e soprattutto come lotta insieme contro le cose brutte del mondo.

Un tesorino di film, colorato e rumoroso, pieno di sentimenti magnifici che non si prendono mai troppo sul serio, lotta armata e candele volanti, labirinti in movimento e maialini in fuga.
Una coccola per le giornate no, e una certezze per quelle sì.
Chi se lo aspettava?
Ah, sì.
Del Toro.

giovedì 15 febbraio 2018

La forma dell'acqua

08:59
Mi sono chiesta a lungo se alla fine un post su La forma dell'acqua l'avrei scritto o meno.
Ma tale e tanta è stata l'attesa, e tanto vi ho rotto l'anima ultimamente, che mi sembrava giusto mettere un punto a questa attesa che è sembrata infinita.
Ma soprattutto, voglio con tutto il mio cuore unirmi al coro quasi unanime di voci che ha parlato del miracolo firmato Del Toro.
Perché La forma dell'acqua è un miracolo, di quelli potentissimi e talmente evidenti da regalare la fede anche a chi non l'ha mai avuta.


Saltiamo la noiosissima parte della trama, questa volta, il trailer è sufficiente.
Che Guillermo del Toro sia il mio regista preferito non è certo un mistero. Lo considero proprio il mio regista, quello che parla direttamente a me e al mio cuore, e spesso me lo sono custodita gelosamente.
Che sofferenza, però, vedere un talento che ai miei occhi è sempre stato così ovvio e immenso, così snobbato. Lui, che ha sempre fatto film dalla dolcezza potentissima, venire trattato così male, dalla gente che non lo guardava in sala, penalizzandone gli incassi, e dalla critica.
Lo stavamo per perdere, mi sa.
Il cinema sarà anche arte, ma è arte costosissima e se non ci sono i soldi, amici miei, arrivederci e grazie.
Allora lui si è rimboccato le maniche. Ha deciso che era ora di mostrare di cosa è capace, e ha buttato il carico da mille. Mi ha aperta in due, esattamente come sapevo che avrebbe fatto, con un baule carico di un'emotività così strabordante che avrò bisogno di giorni, settimane per smaltirla.
Anche se quello che sento adesso, quella magnifica patina che i film incantati lasciano sulla pelle, non vorrei sciacquarla via mai.

I titoli di testa del film sono un'ovattata ripresa della casa di Elisa sott'acqua. Sotto l'acqua è tutto morbido, sinuoso, leggero. Non dirò che è l'atmosfera di tutto il film, perché sapete bene che quando GDT mette i cattivi li mette cattivissimi.
Ma quella cosa lì, quell'aria lì, è Elisa.
Una donna delicatissima, minuta come un giunco, silenziosa e con un viso dolcissimo. Si è circondata di personaggi adorabili che compensano facilmente la sua mancanza di parole, ma è tutto intorno a lei.
Fino a ieri sera ero certa che la McDormand si sarebbe portata a casa l'Oscar. Ci avrei scommesso tutti i soldi che non ho. Ma Sally Hawkins è stata un incanto, con la sua gestualità e il suo viso così fine e così magnificamente comunicativo, un corpo intero al servizio di un film in cui la comunicazione verbale non serve a niente.
Perché, ve lo ricordo, questa si innamora di una creatura marina che per ovvi motivi non parla.
E quindi si incontrano questi due, con nient'altro che occhi e mani con cui parlarsi, a cui però non manca nulla. Basta una mano appoggiata piano piano su un vetro, e si dice già tutto.
Io ogni tanto me lo dimentico, che basta così poco.
Ma come sempre, del Toro mi ricorda che spesso il 'così poco' è invece un tantissimo, un tutto.
Tutto quello che serve.

Non avrete da me la solita scheda tecnica che vi racconta di colori, regia, musica, il lavoro strepitoso di un Doug Jones che merita molta più attenzione di quella che ha. E nemmeno un'apologia del diverso e dell'apertura all'altro. Se avete mai visto un film di del Toro lo sapete già, che è un maestro. Il più grande di tutti, per quel che mi riguarda.
Avrebbe potuto rassegnarsi ad una vita di Pacific Rim e sequel di zarrate sui vampiri, e avrebbe fatto forse più soldi.
Questa volta, invece, ha deciso che era ora di mostrare anche a tutti quelli che lo ignoravano, a tutti quelli che non lo prendevano sul serio, che ha sempre avuto ragione lui. Che il Cinema è questo, è tutto il cuore del mondo preso e messo in un mare d'acqua, insieme a due amanti che ballano, ignari delle differenze, del dolore, delle gocce d'acqua che cadono nel cinema di sotto, colmi solo di quella cosa grande e indefinita che lui nemmeno ci prova, a definire.
Aveva ragione lui, e ora non possiamo che chinare il capo e scusarci, per non averlo mai ascoltato abbastanza.

venerdì 22 settembre 2017

Vampires! - Blade Trilogy

15:03


Presente gli inside jokes che si creano con le persone con cui si passa molto tempo? Io e Riccardo, tra i milioni di altri, abbiamo la pronuncia del menga del nome del povero Wesley Snipes.
Per anni l'ho preso in giro senza avere mai visto Blade, e quale occasione migliore della rassegna sui vampiri?

La faccia di Blade quando realizza che i suoi nemici sono pieni di cacca fino al collo

Snipes qui è il Diurno, una creatura che è riuscita a prendere i pregi di entrambe le razze a cui appartiene, quella umana e quella vampira. I vampiri hanno ucciso sua madre e ora il suo scopo è sterminarli, uno dopo l'altro.


Ah, Blade è uno di quelli lì, ce li avrete ben presenti: fortissimo, che non parla mai e non si lascia andare ad affermazioni emotive, ammazza mille nemici in cinque minuti netti e senza stropicciare il cappotto. È anche uno di quelli da cui ti aspetti il passato problematico (✓), un animo tormentato (✓), un punto debole affettivo (✓). Non è una sorpresa praticamente da nessun punto di vista. Nonostante questo, però, ecco che Blade ci fa innamorare. Si prende sul serio in un modo quasi patologico, come film, ed è zarro come poche altre cose viste, ma alla fine distogliere lo sguardo è impossibile. Annoiarsi, non diciamolo nemmeno. È adrenalinico, divertente, violento. Quel genere di film che un tempo avrei detestato e che oggi invece ho umilmente rivalutato.
E poi ha una colonna sonora pazzesca, di cosa stiamo parlando?


Presente l'intro di questo post?
Cancellatela.
Non che non sia vera, perché lo è, ma bisogna essere onesti con i propri lettori e riconoscere che se mi sono vista il primo Blade (che ho apprezzato sinceramente, non fraintendetemi), perché il vero motivo era che volevo vedere il sequel di Del Toro, Blade II. Eh, oh, già lo sapete come funziona.
GDT, uomo della mia vita, voleva fare i firns belli ma i potenti dell'industria non gli davano un centesimo, allora lui ha deciso di fare un film commerciale a caso e farci qualche soldo nella speranza che poi gli lasciassero portare a casa il suo vero progetto: Hellboy. 
Con nostra straordinaria fortuna, il film su Red è stato portato a termine.
Quindi sia lode al film commerciale, soprattutto se si pensa a quanto del mio amato messicanone ci sia dentro. Se nel primo film Blade era una macchina da guerra, qua è comunque un'arma letale, ma ben più umana di prima. Con dimestichezza lo si è reso più avvicinabile senza privarlo troppo di quell'aura da Vero Duro© che aveva nel primo film. Si è esplorato l'affetto con quell'Abraham (nome a caso, vè?) che nel primo film era quasi solo accennato, si è parlato della madre...Del Toro non accetta di fare cose se non può metterci la lacrimella, proprio non ce la fa, capito? Gli prudono i baffi, non riesce più a mangiare, si chiude nel silenzio.
Ah, e poi ci sono i vampiri, che sarebbero il centro del nostro disquisire.
GDT non vuole fare le cose come le fanno tutti, deve metterci del suo. Nel sequel di un film sui vampiri, allora, lui ci mette i vampiri che vampirizzano i vampiri, in un'elevazione a potenza dei succhiasangue, che diventano creature mostruose prive di ogni parvenza di umanità. Laddove è proprio l'umanità il grande cambiamento che DT regala al personaggio di Blade, i vampiri ne vengono del tutto privati, rimanendo poco più che mostri assetati di sangue. A fianco di queste creature mostruose rimangono i vampiri convenzionali, che però come capirete bene spariscono completamente di fronte a quei cosi là con la bocca che gli apre la mandibola in due.
Ho patito un po' la lunghezza di certi combattimenti, ma a parte quello Blade II è decisamente il migliore della trilogia.
Come se fosse possibile avere dubbi a riguardo.


Se il confronto con il primo film era quantomeno dignitoso per entrambe le parti in esame, capirete da voi che cercare di paragonare un film di Del Toro a quella roba qua, Blade Trinity, puzzi un po' di blasfemia.
Il terzo film della trilogia è quasi vergognoso. Poteva essere una baracconata divertente e caciarona, mandare in vacca i precedenti e diventare un film da ruttosuldivano con grattatadichiappa. Invece fa l'errore mortale di prendersi sul serio e far cascare le nostre braccia lontano lontano, rotolanti come balle di fieno nelle città deserte del far west.
E ne ho anche le cosiddette piene di Ryan Reynolds che fa la parte del coglioncello. Basta, abbiate pietà.

Blade, terzo film a parte, è un personaggio di quelli a cui si finisce inevitabilmente per voler bene. Se la crede un sacco, ma siccome ti fa il culo solo guardandoti direi che ne ha anche ragione lui.


sabato 20 maggio 2017

#CiaoNetflix: Trollhunters

17:10
Vediamo: Netflix che crea una serie animata che ha evidentemente a che fare con i troll firmata da Guillermo Del Toro.
Evasione in massa da questo post (che arriva in ritardo colpevolissimo) per andare a vederla, suppongo, perché non mi vengono in mente combo più felici.
Rischio: non totale oggettività, GDT è pur sempre il mio grande amore. Però vi garantisco che Trollhunters è splendido davvero.



Il protagonista è Jim, un ragazzino normalissimo, forse un po' sfigatino, che un giorno viene scelto  da un amuleto per diventare il protettore dei troll buoni, per difenderli da quelli meno buoni. Il trollhunter, appunto.

Ma allora, perché il titolo è al plurale?
Ah, mettetevi comodi, perché è stupendo.
Jim mica sa niente dei troll. Come noi, nemmeno sapeva che esistessero. Poi, di punto in bianco, un amuleto, e una vita rivoluzionata. Mica solo quella di Jim, però, perché Jim non è solo. Toby, il suo migliore amico, diventa la spalla che serve ad ogni eroe. Barbara, la mamma, nota che il figlio, fino ad un momento prima così adulto e responsabile, improvvisamente diventa un misterioso adolescente dal comportamento un po' troppo strano. Claire, la belloccia della scuola, viene derubata del fratellino minore...la vita di tutta la città di Arcadia è messa sottosopra.
Ed è qui che inizia il bello. Il trollhunter si circonda di anime amiche, di sostenitori ed aiutanti, di consiglieri e protettori, e il ruolo che fino ad allora era stato ricoperto da un solo troll alla volta ora è un lavoro di squadra, di trollhunterS, appunto.
La squadra di amici, umani e troll, è solo uno dei vari modi in cui Del Toro usa la serie per parlare di famiglia. Jim è stato abbandonato dal padre e vive con una madre un po' troppo impegnata col lavoro ma comunque molto presente, i genitori di Toby sono morti, le famiglie troll cercano per i mondi sotterranei i loro membri, Claire combatte i mostri per riprendersi il fratellino, Draal teme di deludere il padre...
La famiglia diventa più o meno direttamente il movente di ogni azione, di ogni combattimento, di ogni scelta. Anche la famiglia che non ha vincoli di sangue. E lo diventa senza bisogno di scene madri con bambini straziati e piagnistei inutili. Conservando un'ironia adorabile (e da Del Toro non mi sarei mai aspettata le risate scorreggione), soprattutto in quel Tobias che è un personaggio perfetto, si toccano picchi altissimi di approfondimento, emozione ed avventura. Sì, anche emozione, perchè mi sono commossa pure in un cartone sui troll, maledetto messicano.

Ma d'altronde, chi si sarebbe mai aspettato qualcosa di meno, da lui?

giovedì 9 febbraio 2017

Non solo cinema: Guillermo del Toro Cabinet of Curiosities

19:16
Giusto un paio di settimane fa dicevo che leggo in digitale. Un guilty pleasure cartaceo, però, è rimasto: i coffee table books, ovvero quei libri che sono quasi oggetti d'arredamento, belli quasi più da sfogliare che da leggere. Grafiche interessanti, colori, volumi bellissimi. Chiamarli guilty pleasure è un po' sbagliato, in effetti, perchè io li sogno e basta, mica li compro, perchè i bastardoni sono costosissimi. Il Cabinet of curiosities dell'uomo della mia vita GDT è un regalo, infatti (💝). Costa una sassata. Fare una recensione di un libro del genere è quasi impossibile, ma può essere interessante discutere insieme del prezzo e del valore effettivo, per valutare quanto valga la pena.


Intanto è un volumone. Ma proprio grosso, di quelli che in libreria dovete tenere coricati. La carta è spessa e liscia come la pelle di un avambraccio dalla parte del palmo. Si alternano pagine interamente fotografiche o di illustrazioni ad altre discorsive, oltre a quelle con illustrazioni e foto più piccoli. Anche quelle di sole parole, però, non sono classiche pagine bianche, ma di un bellissimo beigiolino di cui vorrei almeno un paio di vestiti, con quelle bellissime cornicette intorno che mi fanno venir voglia di sfogliare il libro e basta, tanto per rendegli giustizia. È, in soldoni, esteticamente un volume splendido, da sfogliare e risvogliare.

Accade poi, per una felicissima unione di bellezze, che il libro in questione parli interamente di Guillermo del Toro. Se non avete letto questo post non lo sapete, ma il messicano è il mio regista del cuore. Il primo preferito, quello che parla in un linguaggio che pare fatto su misura per me. Un libro intero su di lui non è solo una cosa bellissima, è un sogno. Quindi sconsiglio l'acquisto a chi non ama il signore in questione, che pare una cosa scontata ma oh, non si sa mai.
Si parte parlando della sua vita, ed è interessantissimo. Più avanti si parlerà delle influenze artistiche e della creatività, ma qui ci sono proprio le origini, la bellezza di una mente geniale che si forma e che brulica da subito di entusiasmi ed interessi. Certo, potete guardare Trollhunters per vedere una fedele rappresentazione del giovane Guillermo (qua il post della mia amica Kara Lafayette), ma se non dovesse bastarvi, qua c'è il resto.
Non farò spoiler per chi se lo vorrà comprare e leggere queste cose da sè, ma la cosa migliore devo dirla. La famiglia di GDT era povera in canna quando lui era bambino. Un bel giorno suo papà ha vinto alla lotteria e hanno fatto i big money. Il papà DT, che per fare un figlio così scemo scemo non doveva essere, pensava che a fare la differenza in una casa fossero i libri. Prima cosa comprata con i big money in questione, quindi, furono due enciclopedie: una medica e una di storia dell'arte.
Adesso rileggete quest'ultima parte e ditemi se non è la sintesi perfetta di quello che è il lavoro di DT. Non ne avevo idea prima di leggere il libro, ma quando ho letto questa frase ho pensato che non poteva che essere così. Anatomia e arte.

La sezione successiva parla di quel capolavoro che è Bleak House, il Cabinet of curiosities reale di quello sperperatore seriale di danaro che è Nostro Signore. L'intera abitazione è un museo, pieno (MA PIENO SBOBBATO) di reliquie, ricordi, libri (tantissimi libri), statue, pezzi da collezione, che derivano dal mondo del cinema, della letteratura, dell'arte e non solo. Ha stanze tematiche, angoli dedicati ad artisti in particolare, ricordi del suo lavoro, opere dei fan. È strabiliante, un giorno intero non sarebbe sufficiente a scoprire ogni piccola cosa presente. Ed è tutta rossa, il che mi fa sempre sentire a mio agio.

Pare poi che il divino sia un fanatico della scrittura, credo sia nel gruppo delle Cartopazze su facebook in incognito. Tiene da anni migliaia di quaderni pieni di annotazioni, disegni, schemi, idee. Il tutto per le sue figlie. O meglio, ha iniziato perchè è fatto così, e capisco che tenere a bada una mente così attiva senza segnarsi niente sia pure complesso, ma col tempo ha deciso di averne particolare cura, perchè restassero alle figlie. Se riuscite a non commuovervi...
Pensate a che patrimonio gigantesco avranno per le mani ste ragazze, non oso pensarci.
Nel volume abbiamo l'onore di vedere alcune delle pagine di questi quaderni: sono frenetiche, scarabocchiate, colorate, scritte metà in inglese e metà in spagnolo. È un piccolo spaccato sul suo lavoro, sul suo modo di creare, ed è magico.

Infine, finalmente, si parla del suo cinema. Dopo una parte in cui si parla delle sue influenze e delle sue preferenze, in arte e in letteratura, si inizia a parlare dei suoi lavori, sia di quelli di cui (grazie. al. cielo.) possiamo fruire, sia di quelli mai completati (ancora ci spero in quelle Montagne della follia....). Il tutto in una chilometrica intervista, in cui GDT ci prende per mano e ci accompagna nel suo lavoro, dall'idea alla realizzazione, film per film. È un incanto

Quelle che per me sono la vera chicca del libro intero, però, sono le parole degli altri. Il libro intero è disseminato di brevi interventi di nomi di gente assolutamente irrilevante: James Cameron, Mike Mignola, NEIL amoremio GAIMAN, Ron amoresuo Perlman...
Leggendo l'infinita stima che questi giganti provano per lui si conferma la cosa più importante. Il valore della nostra vita, delle nostre opere, del nostro lavoro, si valuta in base a quello che lasciamo agli altri.
E quello che lascia Lui è immenso.

(Sì, il libro li vale i soldoni. Se potete, è imperdibile.)

domenica 9 ottobre 2016

Maripensiero: Guillermo Del Toro

14:04


Il Cinema è una di quelle cose, come l'arte in genere o i profumi, per esempio, che segnano le fasi della vita, sia di chi se ne dichiara grande appassionato sia di chi lo vive come un semplice svago. Non è un caso se da adulti ci ricordiamo ancora le canzoni dei film che guardavamo da piccoli.
(Garantisco che se li ricorda anche chi di cinema se ne frega, avrei qualche amico da citare ma confido che chi di dovere si riconosca!)

Una nuova, diversa, fase della mia vita è iniziata quando ho visto il mio primo film di Del Toro, quell'omone dal viso incredibilmente simpatico che oggi compie 52 anni. Una fase molto recente, eh, questo non è un amore che dura da una vita. È iniziata così: io e Riccardo abbiamo il nostro personalissimo cineforum, che ha sede sulla sua auto ogni volta che torniamo dal cinema. Un giorno mi dice che secondo lui mi piacerebbe tantissimo Il labirinto del fauno. Lo conosco solo di fama, mai visto. Riccardo, però, ha totale accesso alla mia mente, se vede una cosa sa immediatamente quale sarebbe la mia reazione a riguardo. Se mi dice di vedere il Fauno, quindi, io lo guardo. E la mia vita cambia.
(Credo di non averti mai detto che è tutto merito tuo. Grazie.)

A lui non è piaciuto granché, dice. Io lo so il perché. Non è vero che non gli è piaciuto, è solo troppo ferito. Io ci ho messo giorni a riprendermi, e ancora adesso vedere Ofelia mi lascia un macigno sul cuore. Esiste una recensione, qui sul blog, che ai tempi era piaciuta e che io ora mi vergogno a rileggere perché la odio. La strapperei, ma nessun post è mai stato cancellato dall'universo redroomiano e non inizierò certo ora. 
A film finito ho pensato che allora una dimensione adatta a me ESISTEVA. Solo che non l'avevo ancora trovata. Un mondo in cui la magia esiste, ma senza le bacchette magiche, in cui i colori non erano solo lì perché ci erano capitati, ma perché qualcuno ci stava giocando, in cui la mente e la fantasia sono IMPORTANTI, e non capricci di un bambino. 
Ho pianto fino a sentire i dolori alla pancia, la prima volta che ho visto un film di Del Toro, e se ad una persona sana questo può far dire 'Ok io di questo non vedo più niente' a me ha fatto dire 'Non voglio altro che questo'.

Palesato il mio entusiasmo a Riccardo, mi sento dire che è il turno di Hellboy.
Uououo, calma, che a me i supereroi stanno tendenzialmente sulle balle. 
'Ma no, fidati, guarda che è una cosa diversa.'
E nella mia vita entra anche un coso rosso molto grande con il sigaro e i gattini. 
Dopo di lui ci sono stati altri bambini, con i loro fantasmi reali o metaforici, vampiri, uomini pesce, generali, robottoni giganti, amanti sofferenti.
È troppo facile dire che i film di Del Toro sono belli. Lo sono, fine del post e ciaone con la manina. Lo sapete che non sono una tecnica, se volete che vi dica quanto e perché sia un bravo regista non è qui che dovete rivolgervi. Ricordo un post di Lucia in cui parlava di quanto fossero ben girate le scene d'azione di Pacific Rim, cercate lì, che io non ci capisco un cazzo.

Quello che a me ha lasciato interdetta è il filtro straordinario attraverso cui le persone come Del Toro interpretano il mondo. Lo stesso mondo che vedo io. Le stesse foglie degli alberi, le stesse risate dei bambini, le stesse notizie al tg. Vive come me, mangia come me (forse un po' di più, ma niente body shaming), suppongo espleti anche le mie stesse funzioni corporee. Eppure sembra che sia stato dotato di qualcosa che ai comuni mortali non è stato consegnato. Una mente incredibile grazie alla quale quella che io vedo come una bambina per lui diventa una principessa strappata al suo regno. È strabiliante. 
La Mari di qualche tempo fa avrebbe provato invidia per questo superpotere: quello di rendere magico il mondo. Oggi, sebbene non neghi che avere il cervello di questo signore non mi dispiacerebbe per niente, sono grata che ce l'abbia lui. Grata di essere nata in un'epoca in cui posso andare al cinema a vedere che cosa la sua mente stavolta ha fabbricato. Grata di poter accendere il pc, e di permettere ad un universo nuovo di entrarmi dentro e di rendermi un po' migliore, ogni volta.
Un po' più sensibile, un po' più aperta alle storie di chi mi circonda, un po' più umana, perché è proprio il fantastico, quando è così, che ti fa amare ancora di più la realtà.
Le persone come Del Toro (insieme a lui mi viene in mente il solito Neil Gaiman, per esempio) mi fanno credere che allora il problema non è il mondo, il problema sono io. Il mondo non è grigio, o triste, o monotono, o banale. Sono io che quando guardo un albero vedo solo un tronco con delle foglie, loro mi stanno insegnando ad aprire bene gli occhi, quelli che stanno dentro al cervello, perché dentro l'albero ci sta Doug Jones, e non è mica colpa sua se io non l'ho visto. 
Perché i segni del passaggio della principessa sulla terra sono visibili solo agli occhi di chi sa guardare, e dio solo sa quanto sono grata a Guillermo Del Toro per avermi insegnato a farlo.



mercoledì 30 marzo 2016

Cronos

21:47
Fermo restando che non ho alcuna intenzione di farvi sopportare per l'ennesima volta la filippica sul mio amore per il signor Del Toro, devo dire a coloro che passano di qua per caso (ciao nuovi amici, sappiate che sono prolissa, scusatemi) che per me quell'omone lì che ho nominato è ciò che più si avvicina alla perfezione. Se la sua fissa zoofila (?) fossero i gattini e non gli insetti potrei attribuirgliela senza timore delle conseguenze, quella perfezione.
Comunque la mia dose di felini mi è stata ampiamente somministrata in Hellboy, per cui posso tranquillamente dirmi soddisfatta.

Sto cercando in questi giorni di finire i suoi lavori che mi mancano, tanto per essere certa di non sbagliare quando rispondo il suo nome a chi mi domanda chi sia il mio regista preferito.
Toccava ai succhiasangue, perché sto mollando gli insetti e i robottoni per ultimi, ché loro mi interessano meno.

SEMBRA CHE ORMAI NON SAPPIA PIù SCRIVERE POST SENZA ANTICIPAZIONI

Jesùs è un antiquario che un giorno trova nel suo negozio un bizzarro marchingegno. Una volta attivato, assume la forma (da me detestata) della blatta (va beh magari è un altro insetto, ma non stiamo qui a parlarne) e fa un male cane a chi lo tiene, ma pare che in qualche strano modo faccia bene. Dopo l'uso, Jesùs si sente rinato, in forze, ringiovanito.
Mica per niente quel marchingegno lì è piuttosto ricercato.


Non sapevo niente del film prima della visione, se non che si tratta del primo lungometraggio del buon G. e che ci sono di mezzo i vampiri. Avendo una minima conoscenza del signore, non mi aspettavo certo vampiri convenzionali.
Al bando quindi denti affilati, bare, mantelli, aglio e proiettili d'argento.
Qui abbiamo un anziano signore che si china in un bagno a leccare del sangue dal pavimento, in una scena da brividi sul coppino, e che finisce per dormire in un vecchio baule dei giocattoli preparato apposta per lui.

E poi c'è Ron Perlman, che sappiamo essere per G. come Johnny Depp per Burton, salvo il fatto che i primi per ora non hanno toppato niente neanche a chiederglielo, mentre dei secondi potremmo parlarne per ore. Ron Perlman che conserva le sue caratteristiche principali, ovvero il 72 di piede e una testa grande come il mio gatto, quello grasso, quando si appallottola. Stavolta però l'attenzione non è su lui. E, per quanto mi riguarda, neanche su quel Jesus che non ha affatto un nome scelto a caso.
È tutto sulla nipotina.
Una silenziosa, amorevole, all'occorrenza irresponsabile e coraggiosa bambina con un caschetto nero che mi ricorda dolorosamente quello che portavo io alla sua età. Una presenza costante e delicatissima, che col suo eterno tacere ha reso migliore la vita del nonno e che con una sola parola, la sola che pronuncia per tutto il film, gli ha permesso di fare la più difficile e dolorosa delle scelte.


Questo modo magico che ha G. di dipingere i bambini è una poesia a cui non potrò mai abituarmi.
Ho lavorato in un asilo e ora lavoro in una gelateria, vedo parecchi bambini. Li vedo sporcarsi fino ai gomiti, lasciare in giro disgustosi tovaglioli sporchi, li sento strillare e far spazientire le madri. Li vedo al loro peggio.
Poi vado a vedere la bacheca dei disegni e ogni tanto ne trovo uno con scritto 'Per Marica' o 'x maica' o qualcosa del genere, e per due o tre secondi mi ritrovo con un sorriso ripagatore.
È come se G. prendesse quei due o tre secondi e li espandesse, con un tocco dolcissimo, per prolungarli all'eterno.

Anche stavolta è riuscito ad inserire un elemento per me completamente inaspettato: l'ironia. Non che volessi il dramma a tutti i costi e poco altro, ma non credevo avrei visto una esilarante scena di cremazione. Vi dirò di più: non credevo mi sarebbe piaciuta. Anche Hellboy aveva elementi comici, me lo ricordo bene, ma se lì ero pronta a vederli, qua lo ero meno.
E invece eccolo qua di nuovo, Del Toro, che si prende gioco di me e dell'idea che mi ero fatta di lui, che mi mostra un nuovo lato, un nuovo punto di vista, che mi insegna che gli Artisti sono sempre un passo avanti a noi comuni mortali e che, sorpassandoci a destra, ci fanno ammirare la bellezza della loro auto senza permetterci di raggiungerli.
Se abbia senso o meno quello che ho appena scritto non è dato saperlo, ma sono certa che Lui saprebbe trovarci qualche significato interessante.

domenica 14 febbraio 2016

La spina del diavolo

16:41
OCCHIO PERCHÈ DICO UN PO' TROPPE  COSE

Sto per dire una cosa impopolare: a me San Valentino piace.
Niente baciperugina nè peluche nè rose da queste parti (anche se un mazzo di tulipani sarebbe sempre gradito. Uno oppure trecentosessantacinque, uno al dì come le compresse), non sono il genere di cose che mi fa felice.
Però sono contenta che esista un giorno all'anno in cui ci si può fermare a ridare al volersi bene quell'importanza che a volte la routine fa sfumare. Poche balle, non è vero che si dovrebbe festeggiare l'amore ogni giorno, ci sono il lavoro, le preoccupazioni, gli impegni, che a volte fanno sì che diamo per scontate le cose più belle.
E quindi sono felice che sia San Valentino, così da avere un giorno per prendere tra le mani il viso di chi amo e sentirmi il cuore battere forte come il primo giorno.
Quindi ciao, Guillermo Del Toro, grande amore mio. Mi sei mancato
Come nessun altro hai saputo trovare il modo di entrarmi nell'anima, creando Opere che per qualcuno sono semplici film e che invece io vedo come lettere tanto intense dirette proprio a me, pronte a colpirmi lì, in quell'angolino di cuore a cui nessun altro regista è mai riuscito a parlare così chiaramente.


Siamo sempre nel periodo della guerra civile, e siamo sempre bambini, come in quel Labirinto del Fauno che ha trasformato la mia anima in quella di una persona un pochino migliore. Questa volta, insieme a Carlos, viviamo in un orfanotrofio, gestito da due brave persone, che cercano di tutelarci dall'orrore che sta appena fuori. Stavolta, però, c'è anche un fantasma.

Ogni volta che vedo un film c'è sempre una sequenza che mi fa pensare che nel post dovrei dire una certa cosa piuttosto che un'altra. Questa volta è successo quando i ragazzini sono riusciti ad incastrare Jacinto. Ci viene fatto credere che il Male Vero sia la guerra, cornice che guida il film indirizzando le azioni degli adulti, ma la Crudeltà in realtà risponde al nome di Jacinto. Se per un po' abbiamo creduto che ogni sua azione fosse guidata da una ragione (denaro, denaro e ancora denaro, ma anche un po' di amarezza, un passato complesso, vedetela come volete, ma con queste ragioni si poteva anche spiegare l'omicidio di Santi), ad un certo punto l'uomo si avvicina ad uno dei bambini, restituendogli un 'anello' che il (più o meno) piccolo aveva regalato a Conchita, promessa sposa di Jacinto, ragazza per cui il ragazzino aveva una cotta. Gli fa intendere, così, senza possibilità di dubbio, che lei è morta. Gli spezza il cuore, volontariamente. Gli fa del male con tutta l'intenzione di farlo, per il solo gusto di vederlo soffrire.
E questo è infimo, è viscido, ed è uno di quei momenti di cui parlo quando intendo che Del Toro mi annienta.


Onestamente, però, come si riesce ad isolare una singola scena? Ancora una volta mi sono trovata in balia delle favole di Del Toro, completamente, dall'inizio alla fine. Perché c'era la guerra, sì, e la guerra è inimmaginabile. Però qui ragazzi i problemi grossi erano il fantasma e il bullo. La guerra è servita a noi e agli adulti per dare un senso alle decisioni, ma la nostra concentrazione e quelle di Carlos e i suoi amici stavano tutte sui loro problemi, solo all'apparenza più piccoli. E come al solito la cornice viene presto abbandonata nelle mani di chi se ne può occupare; noi abbiamo altro a cui pensare. Cerco di non fare confronti con quel Labirinto già citato, ma è difficile.
Quello che cambia, però, è che la mia Ophelia era sola. Era circondata di adulti che avevano altro da fare, e solo la sua incantevole mente l'aveva potuta aiutare. Carlos, invece, aveva alle spalle un muro di cinta fatto di scomposti e disordinati orfani, senza niente da perdere ma con tanto da difendere.
Una vita intera, la loro, da proteggere, insieme.
E quindi, come quei freaks di tanti anni fa, anche loro, insospettabili e per niente minacciosi si sono presi una potente rivincita, che si è conclusa con uno spaventoso abbraccio. E io, tra i singhiozzi, in piedi sul divano, ad incitare i miei piccini a picchiare più forte, perché il nemico era uno solo e loro erano tanti, forgiati da un'amicizia di quelle che nascono solo quando si è disgraziati insieme.
E non è vero che, come diceva Jacinto (lui sì, solo per davvero) che nessuno avrebbe mai cercato i poveri piccoli orfanelli.
Si sarebbero cercati l'un l'altro fino alla morte, protetti e difesi insieme, pronti a vendicarsi in ogni secondo.
Come per Santi.

lunedì 2 novembre 2015

Crimson Peak

14:46
POTREI ESSERMI LASCIATA SCAPPARE QUALCHE SPOILER.


COSA VOLEVO
'Oddio un film nuovo di Del Toro! Oddioddioddio.'
'Uh, i fantaaaaaaaaaaaaasmi!'
'TOM HIDDLESTON! Stringimi la mano, Guillè, che ti voglio ancora più bene.'
'Oddioddioddioddioddioddio'
'Epoca vittoriaaaaaaaaaaaanaaaaaaaaaaaaaaaa'
'Ah, ma c'è anche la Chastain, sei proprio un omone intelligente, che bella testa che hai'
'<3<3<3'
'Ma tu vuoi proprio che io muoia, dimmelo che lo vuoi, io non reggo a tanto splendore, io sverrò in sala, il mio cuore non può sopportare questa attesa,ma chi me lo dà il coraggio, ma con che forza posso vivere fino all'uscita'

Questi, in ordine cronologico più o meno corretto, sono i pensieri che hanno attraversato la mia mente dal momento in cui Crimson Peak è stato annunciato, più o meno sei ere geologiche fa. Almeno questo mi sono sembrate.
Tanto ero concentrata sul nuovo film di Del Toro che la settimana scorsa ho sbagliato a comprare il latte per il bar dove lavoro.

Ogni minimo aspetto di quanto ci era strato mostrato del film sembrava cucito addosso alle mie preferenze: attori, location, storia, regista, epoca, ogni cosa mi faceva battere il cuore dall'impazienza. Mai nella vita mi era capitato di incontrare una pellicola che mettesse insieme così tante delle cose che amo, per cui le mie non erano nemmeno aspettative, erano proprio certezze.

Nell'ordine, mi aspettavo: un gran bel film, raccontato con tono incantevole, con quel modo di raccontare ogni storia come se fosse una favola, con quello sguardo sui personaggi che te li rende indimenticabili. Dei colori incredibili e immagini mozzafiato perché Del Toro mi ha abituata molto bene, non posso scendere a compromessi che mi portino ad accettare una qualità visiva minore di quella a cui lui stesso mi ha fatta affezionare. Fantasmi, tanti, rumorosi e se possibile vecchio stile, un po' poltergeist: scricchiolii, rumori sibilanti, porte che si aprono da sole, volevo sentire i peletti della nuca alzarsi in modo talmente lento da farti impazzire, roba da picchiettarsi il coppino fino a farlo sobbollire. Romanticismo vittoriano, un po' janeaustiano, di quelli in cui il sentimento nasce da lontano, delicatamente, molto molto più dolcemente che non tramite Whatsapp.


COSA HO AVUTO

Tutto tutto tutto quello che volevo.
Per davvero.
È quasi surreale, una sensazione straniante per chi non ci è abituato. Ho visto tanti film che ho amato, ma per la prima volta ho provato cosa significa quando ogni tuo desiderio viene soddisfatto. Del Toro ha compreso esattamente cosa amo, perché probabilmente è quello che ama anche lui, non so spiegarmi altrimenti questo mix perfetto di mie grandi passioni. Ci sono certe inquadrature che parevano finte, dei quadri, dei dipinti impressionisti. Questa villa incredibile immersa nel nulla, circondata solo di chiara e finissima nebbiolina, con l'argilla cremisi che pian piano emerge, fino a ricoprire completamente il terreno intorno alla casa, mi hanno rubato il cuore. All'interno, poi, mi ha fregato con i colori. Mi aspettavo toni molto caldi, a fare quel contrasto con il bianco che tanto mi rende felice, tonnellate di rosso, un bel marrone intenso. Ci sono, non preoccupatevi. Ma mi ha fregato, il mio amorone, mettendoci degli elegantissimi quanto inaspettati tocchi di quello che è da sempre il mio colore preferito: l'ottanio. Intere gigantesche pareti di un blu petrolio incantevole, per non parlare di quella coperta che ancora sogno la notte.
Lo sapevo che le immagini sarebbero state uno dei punti di forza, ci avrei scommesso le dita dei piedi, perché io nella testa ho i modi per pressare il caffè o la quantità di gelato da mettere in un cono da 2,30, lui ha vallate di fiori, tavolozze di colori, struggenti primi piani di donne sofferenti. E cosa ti aspetti da una mente così? Nient'altro che bellezza, nella sua concezione più poetica.
D'altro canto, nemmeno la storia mi ha deluso. Non che lo temessi, ma insomma, va specificato. Parliamo di Edith, giovane aspirante scrittrice di Buffalo, che anziché sposarsi con il bravo medico di famiglia che le sbava copiosamente dietro da tempo immemore si piglia una sbandata senza precedenti per sir Thomas Sharpe, con il quale finisce per sposarsi dopo la prematura e violenta dipartita del padre di lei. Dopo le nozze i due si trasferiranno nella proprietà del baronetto, villa fatiscente emblema del fallimento della loro famiglia. Non vivranno soli, a dividere con loro l'incantevole Allerdale Hall sarà Lucille, sorella di Thomas.
Lucille e Thomas sono la bomba pronta ad esplodere, la tensione tra i due è talmente papabile che avevo quasi paura di spezzarla solo respirando. E sono due mostri, un Hiddleston bello da far soggezione e una Chastain con quel viso lì che non so cosa possa avere fatto sta stronza per meritarselo. Chiudete gli occhi, immaginateveli vestiti con splendidi abiti vittoriani. Immaginateli scambiarsi sguardi di un'intensità rara, immaginate gli occhi di lui guardare la Wasicosa e realizzare che ne è innamorato, figuratevi nella mente due paia di occhi che trasudano erotismo e sensualità. Due bellezze raffinatissime, e tanto basterebbe ad elevarli al rango di divinità.
Poi recitano.
E allora capisci che la sopracitata definizione mica è sufficiente.
Un crescendo emozionantissimo che culmina con un braccio teso, e un dito rosso e morto dritto ad indicare la stanza in cui si consuma la vergogna.
Chiamiamola vergogna, perché ai nostri occhi è tale.
Ai loro è amore.
Folle, malato, irrazionale, di quelli che ti marciscono dentro, di quelli che ti uccidono. O che ti fanno uccidere. Di quelli a cui non sopravvivi.
Solo in mani dorate come quelle del messicano potevano prendere un sentimento così, e trasformarlo in un film che è quasi poesia. Che è talmente completo, raffinato e commovente che ti ribadisce due volte che 'i fantasmi esistono' e tu non dubiti nemmeno per un istante che sia così.


giovedì 9 ottobre 2014

Non solo horror: Hellboy

16:51
(2004, Guillermo Del Toro)


Sono una maledetta snob, io.
E le commedie no, e i supereroi no, e la cippa lippa no.
Ma quando vedo certi nomi tra gli addetti ai lavori smetto di pensare e guardo qualsiasi cosa producano con le loro manine dorate.
Del Toro è uno di questi signori.
Di quelli che se mi portassero sugli schermi la bella che la va al fosso a resentar (qui la soundtrack del futuro film) io mi precipiterei in sala.
Anche parlando de Il labirinto del fauno credo si sia intuito che quando Guillermo Del Toro parla, io pendo dalle sue labbra cinematografiche e perdo la mia già molto scarsa capacità di discernere il bene dal male.

Per questo anche Hellboy, una pellicola così lontana dai miei gusti abituali, mi ha sempre affascinata.
Fino a quando l'ho visto, e ho capito perché mi affascinava.
Perché è bellissimo, ecco perchè. Imperfetto ma bellissimo e perché io evidentemente sono dotata di poteri paranormali che mi avevano predetto che sarebbe stato bellissimo.


Hellboy è un demone dalle sembianze schwarzeneggeriane. A parte che è rosso, va beh. E' stato adottato da piccino da un giovane professore che lo ha cresciuto come un figlio. Spunta da un varco che era stato aperto dai nazisti che dopo aver risucchiato un tale Rasputin ha ringraziato mandandoci il piccolo rosso. Lavora con il papà in un dipartimento delegato al controllo di fenomeni e creature paranormali ma quando Rasputin vuole tornare il nostro Hellboy perde un po' di tempo a liberarsene.


Ve l'ho raccontata male, vero, la trama?
Perché non conta niente.
Almeno nel modo in cui ho goduto io il film.
E' stato come se la storia in sè fosse, paradossalmente, solo un contorno messo lì per dovere, perché quello che interessava mostrare era altro. Sono certa che i puristi della novel adesso mi detesteranno e mi lanceranno maledizioni in russo apprese probabilmente dalla novel stessa, ma abbiate pietà di me.
A livello ''''''''''''tecnico''''''''''''''''' ammetto che non parliamo certo di un capolavoro. Ma è riuscito a toccarmi il cuore, e a farmi ridere di gusto. Che sono praticamente gli unici due ingredienti che mi fanno dire se un film mi piace oppure no.
Certo è, e questo per una volta sono contenta di dirlo, che il signor Claudio Fattoretto ha fatto un ottimo lavoro con il doppiaggio del nostro eroe.
E i miei complimenti per la voce.
A me non importa la componente action, non mi importano le figate nerd, la manona che apre un portale, i varchi che conducono chissà dove.
Tutte queste cose, ben presenti e apprezzate da chi le ama di default (ciao, Erre, parlo di te), passano decisamente in secondo piano rispetto ad uno dei più bei character che i miei poveri occhi stanchi abbiano mai avuto la gioia di vedere.

Di Hellboy abbiamo due ingressi in scena. Lo vediamo prima da piccolo, scappare dai soldati per poi lasciarsi conquistare con del cioccolato ed una coperta calda. Lo vediamo mettersi in posa per una foto di gruppo, piccola mascotte con l'aria da boss in fasce che è una bellezza da sciogliere i cuori. Persino la manona riesce ad essere tenera quando è piccino.
Ricompare poi qualche anno dopo. Sigaro in bocca, torso nudo, impegnato a fare pesi con la nonchalance tipica di chi 'io a sto fisico ce so abituato'. 60 anni anagrafici ma una trentina effettivi causa invecchiamento tutto strano. Aria snobbissima di chi duro lo è per davvero e non lo fa da poser.
Però ama i gattini.
E Liz.
(Altro personaggio di quelli a cui vorresti dare un lungo abbraccio sperando che non prenda fuoco nel frattempo.)
E il mostro che deve combattere lo chiama 'faccia di cacca'.
Possiamo non amarlo? Eh?


Perché, in tutto ciò, oltre a combattere contro strane creature, Hellboy è perdutamente innamorato. Di quell'amore mai banale o mainstream, loro due non sono mai tre metri sopra a niente.
Anzi, stanno di soppiatto sotto a tutto, macerati ognuno dai propri demoni.
E proprio in un film così improbabile ci sono alcune delle scene d'amore più belle e spaccacuore che io abbia mai visto.
Al funerale del papà, per esempio.
Lui assiste da lontano, sotto la pioggia. Saluta dall'alto la prima - e forse unica - persona che lo abbia amato incondizionatamente e andando oltre all'aspetto, perchè questo è quello che fa un genitore. Con il valore aggiunto dell'essere un genitore adottivo, che un figlio così lo ha VOLUTO e non AVUTO.
Lei non gli sta vicino. Lo guarda dal basso, gli rivolge uno sguardo che parla più di migliaia di parole. Capisco il tuo dolore, non so cosa fare per aiutarti, ma vederti così mi strazia.
Una scena durata qualche secondo, ma davvero comunicativa.
Ma il momento in cui ho sentito che mai un personaggio era stato tanto umano arriva nel moemnto in cui finalmente si parla a voce alta dei sentimenti che lui prova per Liz (ma se cercate i 'sei la mia vita ti ho sempre amata' cambiate film) e le dice che vorrebbe tanto poter fare qualcosa per quel suo strano aspetto, ma non può.

Mentre lui parlava io ero in una specie di stato onirico.
Mi sono tornate vive e chiare nella memoria tutte quelle volte in cui davanti allo specchio mi sono sentita inadeguata.
Il mio naso era sempre troppo grosso, e così il seno, e così i fianchi, e così il sedere.
E gli occhi troppo piccoli.
E questi capelli di un colore che ti prego signore dimmi che cavolo mi significa.
E ste benedette lentiggini.
Ogni sguardo era un'analisi a me stessa da cui uscivo giudice e perdente.
E così lui, costretto a vivere in un corpo che lo caratterizza subito come demone, come mostro, come cattivo.
Ma Albus Silente, uomo che non è diventato Preside per niente, diceva che sono le nostre scelte a determinare chi siamo. E Hellboy ha sempre saputo da che parte stare.

Cosa che lo rende più umano della maggior parte di noi.


Un caro saluto a Ron Perlman che è più figo da rosso che senza trucco.

martedì 20 agosto 2013

Il labirinto del fauno

18:25
(2006, Guillermo del Toro)



CONTIENE UNO SPOILER GRANDE COME UNA CASA.

Essere appassionati di Cinema può essere molto, molto impegnativo.
Perchè ci sono in ballo i sentimenti: quelli di chi gira, di chi recita, ma soprattutto quelli di chi guarda. E certe volte un film può prenderti il cuore e semplicemente farlo a pezzi.
Poi, per carità, altri film sono una medicina per l'anima, alcuni possono essere dei simpatici passatempo e alcuni degli enigmi.

Ma Il labirinto del fauno è più di tutto ciò.

Spagna, 1944. La guerra civile è in dirittura d'arrivo, e la piccola Ofelia con la madre si sta trasferendo dal nuovo patrigno, il Capitano. Qui incontrerà il Fauno, che le rivelerà la sua vera identità: lei è in realtà una principessa di un regno sotterraneo, 'dove la bugia e il dolore non hanno significato'. Il suo vero padre la sta cercando da tempo, e lei dovrà superare tre prove per dimostrare di essere veramente la principessa.

Ricapitolando: ci sono una guerra, uno Stronzo di dimensioni intergalattiche e una bambina, che deve sopravvivere a tutto questo con l'aiuto di una madre che la vorrebbe già adulta e matura. Ad inizio film le dice che è 'un po' cresciuta per queste sciocchezze'.
E invece no, santo cielo, no. La sua mente è strabiliante, le permette di tutelarsi come la madre non può fare. Vede uno scarafaggione e non urla dallo schifo (come farei io), no, lei lo insegue, perchè ci vede una fata. [Però, Guilly, la prossima volta basta bestiacce, ok? Per favore.]
E da quella fata nasce un mondo. Un rospone che impedisce ad una pianta di fiorire, un mostro senza occhi, un regno intero che aspetta solo lei. È troppo facile aspettare dal cielo di diventare una principessa, e comunque William se lo sono già preso. Ofelia sa di essere una principessa e lo diventa. Chi se ne importa se lo diventa solo nella sua mente? È una principessa, punto.



Una principessa aiutata nel raggiungimento del suo scopo da un tizio che, insomma, non è che ispiri propriamente fiducia. Il Fauno. Prima di tutto lasciatemi dire che alla faccia se è fatto bene. Dal punto di vista esteriore, prima di tutto. Bello, bello, bello. Nel suo essere fauno, e lo sappiamo che notoriamente non son belli come gli elfi, per dire. E poi è pieno di carisma. Perchè fino alla fine non sappiamo bene che idea farci di lui. È buono? È cattivo? Ad ogni sua apparizione il suo atteggiamento cambia, lasciando sconcertati noi, figuriamoci Ofelia.


In giro ho letto di molti che hanno definito il film una 'favola nera'. Io non sono molto d'accordo, perchè Il labirinto del fauno non ha nulla del favolesco, trasuda realtà. La mente di un bambino può viaggiare fino all'altra parte del mondo, fino a dimensioni parallele, ma al primo cambio d'inquadratura la vita reale ricompare, spezzando il nostro sogno di vedere la piccola scappare dai 'veri' genitori. Al primo cambio d'inquadratura ecco gli spari, i cavalli, le torture nella dispensa, quella musica mentre il Capitano si rade. Sembra quasi impossibile concepire che la bambina possa aver sentito quello che sentivamo noi, le urla, le minacce, la paura.

Il finale, soprattutto, ci mostra come le favole per gli adulti non esistano. Non importa come e quanto lei abbia sognato, questo non l'ha aiutata a scappare realmente da quel campo, non l'ha aiutata sul serio a nascondersi. È morta comunque.
Però sorrideva, perchè fino all'ultimo istante la sua fantasia non l'ha lasciata, ha continuato a proteggerla dal dolore.

Avete presente gli occhi dei gatti? Quando c'è luce le pupille sono strette, a mò di protezione, ma di notte si ingrandiscono, come se il buio nascondesse qualcosa che solo a loro è concesso vedere. Gli occhi dei bambini sono sempre come quelli dei gatti di notte. Sempre spalancati sulle continue sorprese, sempre pronti a vedere qualcosa che a noi è nascosto. Con le pupille dilatate dalla curiosità, o dall'entusiasmo. La piccola Ivana Baquero ha conservato questo sguardo per tutto il film, in un modo talmente spontaneo e appassionato che quando recitava in scene più cupe era un dolore vederle perdere quello sguardo sul mondo.

D'altro canto, bisogna ammettere che anche la parte dello Stronzo a Sergi Lopez è venuta molto bene.
Non c'è buonismo, non c'è clemenza. Il mondo A VOLTE fa schifo e Del Toro ce l'ha mostrato.



Ma ci ha mostrato anche l'altro lato della medaglia. E cioè che l'amore sa fare grandi cose. Ti dà il coraggio di rimanere a lavorare dal nemico solo per aiutare tuo fratello, ti dà la forza di credere nei tuoi ideali nonostante tutto, ti lega ad una bambina che nemmeno conosci ma che proteggi fino al limite dell'impossibile, ti dà la follia che serve per sposare un uomo che non ami (e che è pure Stronzo) per dare a tua figlia una vita che pensi sia migliore, o quantomeno sicura.

Alla fine si capisce quanto Il labirinto del fauno sia un gran film d'Amore. E io non sarò mai abbastanza cresciuta da smettere di credere in queste 'sciocchezze'.


mercoledì 20 febbraio 2013

La Madre, Andres Muschietti

11:37

Titolo originale: Mama

Anno: 2013

Durata: 100 min

Trailer:



Jeff è un uomo come molti altri, fino a quando, un giorno, strangola la moglie e scappa con le due figlie, Victoria e Lilly. Decide di portarle in un bosco, dove vorrebbe liberarsi di loro. Qualcosa glielo impedisce.
5 anni dopo, le piccole vengono ritrovate, affidate alle cure dello zio Lucas, della sua ragazza Annabel e del dottor Dreyfus, un terapista di cui hanno bisogno a causa della traumatica esperienza.
Ma chi le salvò dal padre non è disposto a condividere il loro amore..

Ho aspettato 'Mama' per mesi, dopo aver visto il trailer quasi per caso. Ho goduto tantissimo del cortometraggio ispiratore, che in 3 minuti mi aveva fatto trasalire almeno 250 volte. Quindi figuratevi le aspettative. Fortunatamente sono state quasi tutte soddisfatte. Non è il capolavoro che desideravo vedere, ma è un buon film.

Partiamo dai titoli di coda che sono entrati di diritto nelle mie preferenze. I disegni delle bambine, la musica, anche il titolo mi piace. So far so good.

Inizia la vicenda, e quanto a coinvolgimento emotivo, ci siamo. Ma si può dire che a Muschietti piace vincere facile, due belle bimbe piccole, bionde, con la vocina spezzacuore e tutto un 'Daddy' che mammamiasesonocarine.

Fino a quando le ritrovano 5 anni dopo, e allora smettono di essere carine perchè sono spaventose. Con il comportamento che ti aspetti da due bambine cresciute apparentemente da sole in mezzo a un bosco. Movimenti animaleschi, incapacità di esprimersi, sporcizia. . Il tutto reso magnificamente da ambientazioni inquietanti, sia prima che dopo, una fotografia quasi gotica e due piccolette che porco cane se son state brave. Sinceramente inquietanti, in particolare Lilly, che mentre scende le scale all'inizio fa un'impressione allucinante.
 
 

Sempre riguardo ad attori, movenze strane e tutto il resto, devo comunicare la profonda angoscia che mi sa trasmettere quel maledetto di uno Javier Botet che già dopo Rec lo detestavo, figuriamoci ora. Avevo visto anche il Movement Test prima del film, eppure santissimamisericordia i salti che mi ha fatto fare sul divano. Ci si spaventa che è un piacere, di conseguenza è un film fortemente consigliato alle persone con la pressione bassa.

Sempre rimanendo sugli attori, special mention alla Jessica Chastain (Annabel) che mi ha lasciata senza parole. Ruolo non semplice, che rischiava di trasformarsi in un clichè verso la fine ma che lei ha saputo trattenere a forza per i capelli rimanendo credibile e intensa.



Più di tutto mi è piaciuta la resa della Mama. Mi spiego: è chiaro già dal trailer che ci troviamo di fronte ad un ghost movie. Non avrei sopportato di vedere il solito fantasmino che muove i lampadari e sbatte le porte. Questo, di fantasma, fa paura. Al di là dei movimenti inumani (oh, io mi son fissata, ma non è che Botet è nato senza ossa? Ah no, si vedevano solo quelle. Ti offro un panino quando ci vediamo, Javy.), Mama produce versi sinistri e spaventosi, e non è un'entità astratta, è lì ed è tangibile. Si fa vedere quando vuole, ma sta lì. Ed è sempre dietro la schiena. Che nervoso.
 

L'azione ogni tanto rallenta un po', il che è facilmente giustificabile dal fatto che se ti ispiri ad un cortometraggio e lo tiri fino all'impossibile, non avrai comunque materiale sufficiente per riempire un'ora e mezza, ma tutto sommato non ci si annoia.

Per farla breve: il film sa far paura, sa giocare di spaventi e d'atmosfera, ci sono ottimi attori, bei dialoghi non troppo prolissi, Muschietti ha iniziato sulla buona strada.

Adesso però basta produrre, Guglielmo. Combina qualcosa, you lazy boy.


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