GenNoir: La Nuova Fiera delle Illusioni
Ci siamo, il momento per cui abbiamo chiacchierato tutto il mese di noir è arrivato: sono andata a vedere il nuovo film di Guillermo del Toro, La fiera delle illusioni.
A beneficio delle persone che potrebbero passare di qua senza sapere nulla della sottoscritta: guardavo già al cinema con passione e con il lieve trasporto che mi contraddistingue, ma quando ho guardato per la prima volta Il labirinto del fauno ho capito che per me il senso intero dell'arte stava in quella cosa lì.
Il cinema di Guillermo del Toro non mi ha solo mostrato cosa significhi oggi essere un autore, cosa possa essere il cinema oltre che (se pur rispettabile) semplice intrattenimento, ma soprattutto mi ha riconciliato col mondo, ha preso l'adolescente incazzata che sono stata e l'ha addolcita, perché tanto genuino è il suo sguardo buono sul mondo che non posso non pensare che, in fondo, abbia ragione lui.
Ha sempre ritratto il peggio del mondo e della storia, ma con le mani fatate di chi ha sempre saputo leggerci le cose migliori.
In mezzo ad un felicissimo periodo storico in cui ottimi registi proliferano, Guillermo del Toro mantiene un posto nel mio cuore che lo mette al di sopra di chiunque.
Questa intro per dire che ho paura che mi allungherò un po'.
L'adattamento del Nostro è fedelissimo alla storia originale: seguiamo Stanton Carlisle nel suo viaggio verso il successo, da semplice garzone in un circo a incantatore delle ricche folle cittadine, fino a diventare lo spiritista dei ricchissimi. Lo aiuta nel suo viaggio la moglie Molly, e la loro sembra una strada verso le stelle. Sarà l'incontro con Lilith a segnare l'inizio della fine.
A me piace tanto andare al cinema. Mi piace così tanto che quando esco dalla sala per me i film sono tutti bellissimi. Mi faccio cullare dall'entusiasmo per l'esperienza in sala e finisco per amare tutto quanto. Se devo cambiare opinione lo faccio nei giorni successivi, un po' a freddo.
Uscita dalla sala questa notte avrei solo voluto stare in piedi a scriverne immediatamente, per imprimere le sensazioni fresche. Mi sono contenuta, sono andata a letto, ma stamattina è ancora tutto qui, perché quello di del Toro non è cinema da fruizione rapida. Continua a macerare dentro finché non si riesce a mettere a fuoco quello che ha lasciato. Qua oggi ci provo un po'.
La storia di Stan non è una bella favola, non lo era nel romanzo e del Toro non l'ha cambiata. Stan è un personaggio complesso e difficile, che nel corso del film fa un percorso non solo in termini di successo ma anche di evoluzione personale che Bradley Cooper ha portato in scena in quella che è senza dubbio alcuno la miglior interpretazione della sua carriera. Il suo viso nell'ultima inquadratura non me lo dimenticherò mai, mai. Stan nasce nullità: ha bruciato tutto quello che aveva ed è partito, senza meta. Incontra Clem, proprietario di un circo itinerante, che evidentemente vede qualcosa in lui, in quella spavalderia che si porta tatuata sulla faccia, e lo assume. Il circo di Clem è un insieme di mostruosità: sebbene sia superato il momento dei freak show fatti e finiti, la gente è ancora disposta a pagare per vedere qualcuno stare peggio e lui non solo lo sa bene, ma no si fa alcun problema a coltivare questo interesse popolare, presentando, tra le altre cose, lo spettacolo dell'uomo bestia (nel romanzo il mangiabestie).
La storia di come si crea un uomo bestia, e vederlo sullo schermo, è dura in ogni caso, perché è violento e disumano, e lo è in tutte le sue versioni. Del Toro, però, pur non cadendo mai nella commiserazione, dà alle sue tremende scene un ulteriore tocco di umanità: questo uomo bestia cerca di comunicare il suo disagio, il suo dolore. Stan lo osserva, ne è evidentemente toccato (non si fa problemi a manifestare il suo disappunto con Clem), e fa un gesto microscopico ma fondamentale. Siamo in un noir, tutti non fanno che fumare, e lui fa la sola cosa a cui gli viene da pensare: gli offre la sigaretta. Lo copre quando piove e lo abbandonano davanti ad un ospedale, lo guarda prima di correre via.
È umanità, questa? No. È un ripetuto strappare la dignità a qualcuno che non ha gli strumenti per riprendersela, ma del Toro non voleva mica ritrarre un cattivo dal cuore d'oro. Stan non è e non sarà mai un eroe, ma è nelle sfumature, negli accenni di compassione, che costruisce un personaggio così forte. Neppure la dolce Molly ha mai uno sguardo per l'uomo bestia, neppure il protettivo Bruno, neppure la materna Zeena. Sono tutti accecati dalla consuetudine di averlo lì, e solo lo sguardo esterno al microcosmo del circo ne percepisce la crudeltà.
Nei primi momenti al circo Stan è silenzioso, riservato. Fa quello che gli viene chiesto senza pensarci troppo, si prende i suoi soldi e non rompe tanto le palle. Però è da subito che lo vediamo come un uomo deciso. Non beve, mai, e lo rivendica con orgoglio. Non accetta di lavarsi nella pozza in cui si lavano tutti. Non ascolta quando gli viene chiesto di stare lontano da Molly. Ci sono piccole sfumature che del Toro ha scelto di inserire e che mancavano nella materia originale che non fanno che dare ulteriore spessore al suo protagonista, il che ha del miracoloso. Il film è tratto da un romanzo, che per sua stessa natura offre molto più tempo per costruire la complessità di una persona, eppure è in questo adattamento che Stan diventa ancora più intenso, il suo ritratto è ancora più puntiglioso.
Certo, quella Molly lì gli piace proprio, e lui inizia quel lavoro che fanno alcuni uomini per prendersi le donne più fragili. La convince che il circo per lei non sia sufficiente, che meriterebbe di più. Una donna sicura di sé uno così lo manda a spasso, sto dove mi pare e tante grazie. Ma Molly non è così. Vissuta a lungo sotto la protezione del padre prima e di Bruno dopo, cullata dall'amore del circo, non ha avuto modo di diventare adulta a modo suo, e questo suo restare parzialmente bambina le ha permesso di mantenere una cosa che nessuno, intorno a lei, ha più: una morale. Molly, abbindolata dal talento del marito, abituata alla truffa e all'inganno come forme di sostentamento, non riesce a portare il marito sulle stelle perché ha dei paletti morali. Ha dei valori, ha ancora lo sguardo pulito sul mondo, e nonostante la volontà di fare contento il suo uomo non ce la fa. Serve una donna come Lilith, priva di qualsivoglia pensiero genuino, per dare a Stan quello che desidera. Ma siamo comunque in un noir, e l'ambizione non è mai cosa buona.
Si toccano tematiche strettamente femminili con delicatezza verso lo spettatore (del resto il film lo ha scritto insieme alla moglie, Kim Morgan) ma anche con la durezza necessaria a ricordarci che in quel mondo lì nessuna donna se la passa bene, neppure se sta con un riccone della società bene. Molly è protetta come se fosse di vetro ma con una sola frase ci ricorda che anche se è Ron Perlman in persona a difenderti ti possono succedere cose orrende. L'intera storia che porterà alla fine del film è la storia di una donna che ha perso contro il volere di un uomo. Hanno scelto di non dare troppo tempo ad alcuni episodi terribili, perché non serviva altro che una singola frase per identificarli come tali, e sì, naturalmente parlo di quello che Molly dice a Stan mentre si baciano per la prima volta.
Questa, prima di tutto, è una storia sulla dannosità del potere, tema che abbiamo visto raccontato tante volte dal Nostro. In passato ha parlato tanto del potere che gli uomini esercitano sulle donne, sfruttando una posizione di inferiorità imposta dalle strutture sociali, ha parlato di donne che nascondono quello che sono, ha parlato di uomini ricchissimi con la possibilità di fare quello che pareva loro come pareva loro, nei confronti delle altre persone, delle creature, del mondo intero. Qua il potere passa da un personaggio all'altro, perché è una storia molto lunga che tocca un arco temporale piuttosto importante, e ogni persona toccata dal proprio "turno" con lo scettro in mano ha sopraffatto, sfruttato, truffato qualcun altro. Non usa giudizio negativo diretto verso le persone, ma verso le dinamiche che rendono alcune persone superiori ad altre.
Quello che del Toro ha portato in più in una storia ormai conosciuta, è la profondità, la mancanza di giudizio, la voglia di ritrarre le persone come fenomeni complessi e mai incasellate. Ha scelto per questa varietà umana attori in stato di grazia, che parlano con gli occhi e regalano a questi circensi un calore che forse, ora che l'ho trovato qui, riconosco mi sia mancato sia nel libro che nel film del '47. Ha aggiunto dettagli, scene brevissime, accenni, frasi buttate qua e là ma che insieme al resto, ovvero una storia ottima e molto potente, hanno costruito un film incantevole. Ci ha messo la sua estetica particolarissima (dico solo: la bellezza, la bellezza, della casa degli orrori), i suoi colori magnifici (lo dovete vedere al cinema, fatemi e fatevi questo favore), il look curatissimo che tanto amo e che contraddistingue i suoi lavori da sempre, e ha raccontato un mondo in cui non esistono buoni o cattivi, esistono le persone e le circostanze della vita. Esistono gli errori, le strade sbagliate, i traumi del passato, le conoscenze sbagliate per noi, la fragilità che ti è data dall'avidità. Guillermo del Toro non poteva ridurre questa storia ad una lotta tra chi truffa e chi viene truffato, doveva costruire un ritratto realistico del mondo, in cui si diventa quello che si è e in cui non sempre è solo colpa di chi cade e sbaglia. In cui capitano incidenti, in cui si mette la morale da parte un secondo di troppo e si finisce per farsi ancora più male, in cui l'individualità è sì portatrice di cattive notizie ma in cui è anche compresa.
E fa tutto questo in un film che, anche solo per estetica, è la cosa più bella che ho visto di recente.
Poi va beh, ha aggiunto i feti deformi conservati nei vasetti, perché va bene che è il suo primo film senza elementi soprannaturali, ma è pur sempre del Toro e almeno un paio di creaturine doveva mettercele. E ovviamente sono bellissime pure quelle.