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venerdì 29 gennaio 2016

Mi metto in pari: Maggie

11:56
Questa cosa che gennaio sta giungendo in dirittura d'arrivo deve finire.
Io ho cose da fare, il tempo non può permettersi di scappare così.
Intanto, però, sto continuando a guardare film dell'anno scorso, tanto per avviarmi verso i prossimi undici mesi senza troppe carenze.
Da blogger professionale e con una precisa strategia (lol) vi ricordo anche che sulla pagina Facebook (che sta qua) ogni tanto ci scappano recensionine ultrarapide su film random.


C'è un momento ben preciso, in Maggie, che mi ha fatto dubitare della necessità di questo post.
Meg si dondola sull'altalena, ripensa all'attacco che ha subito. Nello stesso momento, la compagna del padre è in casa a cucinare, e ascolta le persone che alla radio parlano di come andrebbero trattate le persone che stanno per trasformarsi. Chi parla usa una gelida terza persona plurale, quel 'loro' che priva di ogni umanità, che unisce tutti in un terrificante insieme di esseri da eliminare.
Eppure Maggie è lì, è sull'altalena. È sempre lei.
Si sentono i conduttori dire che chi viene morso va ucciso, punto. Sono pericolosi. Nel fotogramma dopo, la compagna del padre corre fuori, e siccome fino ad un secondo prima aveva in mano un coltello, il collegamento è immediato: prova ad ammazzarla.
Invece no, sta correndo a soccorrerla, Maggie è caduta, sembra ferita.
È stato un colpo piuttosto forte: percepite la freddezza di chi da questo virus evidentemente non è mai stato colpito e poi di colpo lei, che dà il titolo al film, che di questo virus ne è vittima. Ed è umana, è come me, ma quelli che parlano di soppressione mica lo sanno. O meglio, mica ci pensano.
A fronte di un momento così intenso, cosa possono le mie parole?

Quale recensione potrà mai rendere giustizia al grandioso Arnold, che guarda negli occhi i suoi vicini di casa, ormai zombie, e li chiama per nome? Li implora di parlare, perché non c'è niente di più umano della comunicazione. Se avesse sentito le loro voci non li avrebbe mai uccisi.
Quale frase potrà spiegarvi quello che si prova nel vedere l'ultimo abbraccio tra due amiche cresciute insieme, che ci è mostrato in una scena così delicata e forte allo stesso tempo, il momento in cui per la prima volta Maggie e suo padre si lasciano andare alle più inconsolabili delle lacrime.
Così come è inspiegabile la situazione di chiunque li circondi. intrappolato nell'incapacità di dire qualsiasi altra cosa che non sia il solito 'Mi dispiace.'
E questi infiniti primi piani di un padre sofferente sono difficili da sostenere. Se un tempo, nei suoi cultissimi action i sottili occhi di Arnold contribuivano a quell'aria da duro che tanto lo avrà aiutato nella sua carriera, qui sembrano appesantiti dal dolore, e vederlo piangere è quasi un'esperienza mistica.


Ognuno in Maggie ha ragione: hanno ragione i poliziotti che hanno una città da proteggere, ha ragione Caroline a scappare, nonostante i suoi innumerevoli tentativi di stare vicino ai suoi amati.
Ma al cuore cosa importa di chi ha ragione? Come si va oltre l'amore più grande che si possa immaginare per fare la 'cosa giusta'?
La mia mente si rifiuta di affrontare un pensiero simile, ci ho provato, ma scappo.
Il colpo di grazia me l'ha dato, di nuovo, Arnie, quando, durante un attacco, la supplica 'non ancora'.
Chi glielo va a spiegare che il momento giusto non arriverà mai?

Lasciate perdere gli sgozzamenti, orde di zombie uccise con precisi colpi alla testa.
Vi sfido a guardarli di nuovo con gli stessi occhi, dopo tutto questo.

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