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venerdì 29 novembre 2019

Horrornomicon: The Roth Inferno

20:10


Io sono peccatrice, e uso questo spazio per redimermi dalle mie colpe.
Quando ho capito che un certo tipo di cinema era la cosa che mi piaceva più di tutte, ho iniziato ad approfondire, a guardarmi meglio intorno. Me la sentivo caldissima. Ma soprattutto, ero di uno snobismo spaventoso, ho riletto di recente certi miei vecchi post da far accapponare la pelle.
Chiedo perdono.
Mi piaceva sentirmi intelligente, e credevo che questo fosse sinonimo solo di piccolo film indipendente girato in bianco e nero sulle coste di una piccola isoletta del Pacifico, oppure meglio ancora solo i grandi autori arcinoti e straordinari. Se solo avessi saputo prima che mi sarei divertita molto di più una volta levata quella patina di arroganza...
E quindi, oggi, Eli Roth.

Eli Roth o Miguel Angel Munoz? Chi può dirlo.

Eli è uno di noi. Se ci sedessimo a parlare una sera in birreria staremmo ad ascoltarlo incantati e poi dovremmo riportarlo a casa in spalla perché non sarebbe in condizioni di guidare, ed è per questo che, nonostante i suoi film siamo brutti per davvero, non per snobismo, io oggi gli voglio bene. Quel bene che si vuole agli amici a cui si darebbe una schicchera sul collo, presente? Quel bene lì.
Mamma come gli piace il cinema dell'orrore. Si diverte un casino, da quando, piccino, ha visto Alien la prima volta. Lo possiamo biasimare? No che non possiamo.
Da allora ha cominciato a giocare con dei corti, andare a scuola per imparare a fare bene quello che voleva fare, e alla fine era il 2002, ed è uscito Cabin Fever. Fa i soldini, si fa notare, poi arriva Tarantino e lo trasforma nella nuova star dell'orrore. Che grandissima botta di culo.
Insomma i due diventano amici e Eli entra a far parte di quella compagnia che comprende anche Rodriguez. Da lì in poi son mazzate, letteralmente.

Ma torniamo a Cabin Fever.
In realtà per capire la poetica (dai, scherzo, non andate via...) del nostro regista ci bastava il suo primo film: lunghi inizi nei quali conoscere i nostri protagonisti, per sfogliarne tutte le qualità e le sfaccettature (sì, sono ironica), per entrare in sintonia con loro e sentirsi parte della goliardica compagnia, cambio radicale di colori che poi conduce alla parte di mattanza, scene di sangue, un po' splatterine ma di questo ne parliamo dopo, un bel po' di sesso, finali che vogliono essere sconvolgenti, sano trash. Sono tutte componenti fisse del lavoro di Roth, tutte quante.
Ci prova con una costanza che alla lunga ti ci fa affezionare.
Insomma, Cabin Fever parla di una compagnia di amici che affitta una casetta in mezzo ai boschi per trascorrerci una vacanza. Un misterioso morbo inizia a prenderseli tutti.
Non so come difenderlo, il povero film. Ha personaggi talmente malconci che pare brutto anche infierire. Sono tremendi. Attori inqualificabili costretti dalla sorte a pronunciare dialoghi ben oltre la soglia del ridicolo, a fare scelte al di là di ogni logica, a morire in modi semicomici. Ti West ci ha provato, a girare il sequel, adesso se glielo nominate si nasconde dietro le piante, povera stella.

Poi però è arrivato Hostel, e la gente è andata in visibilio. Siccome il mondo non è fatto solo di cinefili dagli stomaci di ferro, il film del 2005 si è fatto una fama come film estremo. Pare scontato dire che in effetti di estremo non c'è proprio nulla, non per chi ha visto ben di peggio, ma è anche comprensibile che qualcuno di sconvolto dalla sala ci sia uscito. Il famigerato Saw era uscito l'anno prima, e lo avevano visto anche i morti, ma dal primo film ancora non si poteva capire la piega che la saga avrebbe preso, non aveva la violenza (prima o poi parleremo anche di questo) che è arrivata dopo, quindi Hostel si è preso la fama di iniziatore del torture porn e tutto il baccano che è venuto dopo. Ora, Hostel racchiude tutti gli elementi che ho elencato poco sopra, ed è di un brutto che non ci si crede. Però riesco tranquillamente ad immaginare un gruppo di amici sul divano con la birretta che si sganasciano dal ridere. E preso per quello che è, un giocattolone fracassone con un po' di sangue e un pochino di parti del corpo esposte (sia sessualmente che violentemente) fa passare un'oretta e mezza in un soffio.

Hostel 2 fa un errore che il suo predecessore non faceva: ci crede. Ci crede al punto che in un film adatto proprio per non pensare a niente e divertirsi a buon mercato ci prova a mettere la morale. Questo è inaccettabile. Lascia stare, Eli, accanna. Andava bene così. Questa volta alla consueta trama su turisti in viaggio all'estero che finiscono in mani sbagliate attacca una riflessione su come la violenza sia nascosta in persone insospettabili e sul valore del denaro. L'uomo qualunque che diventa un mostro e la ragazza giovane e innocente ma disposta a tutto. Ora, lungi da me rinnegare una buona morale ogni volta che si può, che dio solo sa in questi tempi bui quanta ce ne serve. Però ho dei limiti anche io.

I film con una morale sembrano essere piaciuti al Nostro, che qualche anno dopo se ne esce con The Green Inferno, un film su un gruppo di attivisti che parte per il Sud America per un'azione di protesta in tutela delle tribù locali. Avessero saputo prima come sarebbero finita avrebbero mandato sotto le ruspe la tribù e anche tutti i loro discendenti.
Ambiziosissimo, sto progetto. In milioni di interviste ha dichiarato il suo amore per i cannibal movies, per il cinema di genere italiano, salvo poi trattare Deodato come un menomato in questa breve intervista. Polemichella a parte, si vede che queste cose le ama davvero, ne prende a piene mani e ne cosparge il suo film, che però risulta essere comunque fiacchissimo. Si spinge un po' più in là con la violenza, ma d'altronde siamo nel 2013 e anche il grande pubblico inizia ad essere più esigente e ad aspettarsela, da Roth soprattutto. Eppure riesce ad ammazzare l'atmosfera con picchi di trash che non devo nemmeno citarvi, li avete già in mente da voi, e un film che avrebbe potuto sì portare di nuovo quella morale che conosciamo sullo schermo finisce per andarsene prestissimo nel dimenticatoio.

E allora ci riprova, a fare qualcosa che lasci il segno, con Knock Knock, home invasion del 2015. Io credo di poter dire con discreta sicurezza che il segno sia stato lasciato solo dalle due ragazze (una delle quali è l'onnipresente Lorenza Izzo, l'ex moglie del regista) nei sogni di chiunque ne fosse interessato, perché, di nuovo, il tentativo di dare profondità e messaggio alla storia finisce perso in un meandro di botte, vendetta e la consueta dose di sesso. Sono cambiati i colori, la sporcizia, gli attori, e di quelli manco tutti, ma la sostanza è quella.

Il problema di tutta la sua cinematografia è principalmente uno: la scrittura. I film hanno un ritmo sbagliato, dialoghi al limite del fantascientifico, logica ignorata e soprattutto un'enorme superficialità. Questo suo essere così approssimativo ha fatto sì che la gente con lui si incazzasse, per gli impietosi ritratti delle nazioni europee, per la descrizione dei ragazzi come di peni deambulanti senza alcuna razionalità in contrapposizione a giovani innamoratissimi, sensibili, e con velleità da scrittori e delle ragazze come di 1. promiscue seduttrici, 2. bionde dal qi 12, 3. sprovvedute incapaci di stare al mondo, degli attivisti come di sognatori senza alcun contatto con la realtà. In qualche modo è riuscito a farsi dare del fascista. Ed è ebreo. Non ne ha presa una, i suoi personaggi sono insalvabili. Non ha nemmeno provato a rappresentare un'umanità intelligente, non c'è il minimo sforzo di andare più a fondo, è come se tutto fosse solo un modo per arrivare alla mattanza. Come o con chi, poco importa.
Se si accetta questo, i suoi film sono giocattoloni divertentissimi e come tali vanno presi. Si toccano picchi di trash per i quali provo grande gratitudine.
Grazie a film nei quali gli aguzzini scivolano sul sangue e si tranciano le gambe, attacchi di diarrea sconvolgono dei prigionieri in punto di morte e si hanno attacchi di panico in seguito all'efferata rapina di un ipod, Roth non si è solo fatto un nome: ha sgomitato nell'industria fino a fare tutto.
Roth produce, scrive, anima, recita, fa le serie tv.
Ha smesso di fare orrore ed è passato ai film per bambini (non gli vengono particolarmente bene manco quelli) o i remake di quelli storici.
Non è strano che il suo nome nonostante tutto sia così rilevante. è onnipresente, ha gli amici giusti e ha dato al cinema quello che voleva al momento giusto: i tendini tranciati.
Un posticino nell'horrornomicon gli spettava, dai, non fosse altro per il fatto che alla sua grandissima faccia di tolla ci siamo affezionati tutti quanti, se non altro per il modo in cui gli si illumina tutta la faccia quando parla dei cinemacci dell'orrore che ci piacciono così tanto.
E ne parla tantissimo, History of Horror lo prova.
Quello sì che è carino.

giovedì 13 febbraio 2014

I 5 film che un regista deve vedere prima di girare un film horror

10:56
A me le idee per questi post vengono in doccia.
Perchè in doccia io non canto, quindi ho tempo di pensare.
Anche stavolta, come nel primo post ideato mentre mi lavavo, si tratta di un argomento aperto, che possiamo incrementare con i vostri commenti e le vostre idee, che sono sempre benaccette e molto gradite.
Noterete l'assenza di Carpenter e Kubrik. Voluta, non preoccupatevi. Ho solo immaginato che una persona con la voglia di fare un film horror quantomeno La Cosa l'avesse visto.
Iniziamo!

1 - Un film a scelta, ma se li guardate tutti è tanto di guadagnato, di Ti West o Lucky McKee.






Dovete avere ben chiaro in mente il vostro obiettivo, cari registi novelli. Fare un buon film o la notorietà improvvisa? Siccome questo elenco è pensato per persone serie e non per manici di successo, la seconda opzione non è contemplata. The woman, o The house of the devil, i due esempi che vi ho messo sopra, sono quasi sconosciuti alla maggior parte delle persone che incontrate al cinema al sabato a vedere il nuovo film di Verdone. Eppure sono due film che fanno ben sperare per il futuro del genere. Azzardiamo a dire che sono semi capolavori?
Azzardiamo.
Ricordati, futuro regista, che carry on smiling and the world will smile with you*, tanto per fare una vergognosa citazione. Ma il succo è che se fai un buon lavoro prima o poi qualcuno si accorgerà del tuo talento.
E se non se ne accorgeranno le masse fa niente, se ne accorgeranno i blogger, e pare chiaro che i suddetti hanno certamente più rilevanza ai fini del giudizio.


2 - Hostel, di Eli Roth, 2005.


Ecco invece il sunto di tutto quello che NON dovete fare.
Non avete bisogno di grandi nomi (soprattutto non di Tarantino, non rischiate di fargli fare brutta figura) per farvi pubblicità, non vi servono tette vaganti e personaggi stupidi, non vi serve la violenza a tutti i costi, non vi servono i bambini malefici. Ma soprattutto, non vi servono queste cose tutte insieme. Scegliete il vostro obiettivo.
Volete i soldi?
Via ai nomi famosi in locandina e alle tette.
Volete i personaggi stupidi?
No, non li volete.
Volete la violenza?
Concentratevi su quella, ma fatelo bene. Con uno scopo.
I bambini malefici non sono male, in genere, ma devono essere diversi da quelli di Hostel.
Ma TUTTO INSIEME no, per nessuna ragione al mondo.

3 - E tu vivrai nel terrore: L'Aldilà, di Lucio Fulci, 1981.





Scontato, vero?
Ma un film di Fulci a scelta tra quelli della Trilogia della morte è imprescindibile, per due motivi soprattutto.
Il primo è che saper scrivere non è una conditio sine qua non. Chiariamo subito prima che fraintendiate e non sia mai. L'Aldilà è un film caotico, con una trama appena appena accennata, tanto bastava per tenere in piedi un film. E neppure gli attori erano tutti eccelsi, ecco. Ricordo ai gentili ascoltatori che quello che viene magnato dalle tarantole adesso conduce Elisir. Eppure, quanta paura fa. Con quei giochi di immagini, di colori scuri, poi chiari, e l'atmosfera, questo fare solo ed esclusivamente quello che al regista andava. Oltre le convenzioni, le abitudini del cinema italiano anni 80, Fulci aveva una passione e la rovesciava tutta in film così imcomprensibili, come se la conoscenza completa non ci fosse mai concessa. Perché la paura è un sentimento irrazionale, e come tale va presa e gestita, senza mettere tutti i tasselli a posto.
Il secondo motivo è che tutti quanti, io compresa, dovremmo volere più bene alla nostra Italia, che forse non vive un momento splendido, ma che ci ha regalato la grandezza, nel suo essere così bella e nel fare film horror che Hollywood levati.

4 - Session 9, di Brad Anderson, 2001.





Se siete al vostro primo lavoro è probabile che disponiate di ben poca pecunia. Ma guai al primo che sento che dice che questo è un problema. Session 9 è un gioiello low cost, ma gli esempi sono infiniti. Per non essere affatto scontata potrei anche raccontarvi di come ha fatto Raimi a girare La Casa con un paio di dollari in tasca e un paio di amici cretini. O di come Oren Peli ha sbattuto le porte di casa sua e ha girato un film discutibile, ma che ha avuto un successo incredibile. Oppure ancora del giorno in cui Neil Marshall ha trovato l'idea per The descent e ha creato uno dei film migliori degli ultimi anni.
I soldi non fanno la felicità.
Nemmeno quella dei cinefili.

5 - Il cigno nero, di Darren Aronofsky, 2010.





Io non so nemmeno scattare una fotografia senza farla mossa. Ma se avete in mente di fare un film dovreste avere una certa manualità con macchinari di sorta. Se cercate un uomo da cui copiare il modo di gestire le immagini, quello è sicuramente Darren Aronofsky, che in particolare in quest splendore di film distruggi-anima, gioca con lo spettatore, con la macchina, in una costante danza tra cò che è buono e ciò che non lo è. Riflessi nello specchio, il doppio visto in ogni suo aspetto. Nel contesto di un film praticamente perfetto, per scrittura e interpretazioni, una regia che sfiora il sublime è la ciliegina sulla torta, quel qualcosa in più che eleva Darren al ruolo di genio e me all'adorazione più totale.



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