Gli anni '30: James Whale
Mari.
17:45
Il cinema dell'orrore, l'ho detto troppe volte, non è una passione che mi trascino fin da piccola. O meglio, le sue radici sono nella mia storia familiare, ma la nostra relazione la coltiviamo da relativamente poco, tutto sommato.
Whale era inglese, nato a fine '800 da una famiglia di origini così umili da richiedergli di andare a lavorare il più presto possibile, soldi per studiare non ce ne stavano. La prima guerra mondiale colpisce anche lui, ovviamente, che si arruola volontario e finisce per venire imprigionato dai tedeschi. È nel periodo della prigionia che si avvicina al suo destino. Un'altro al posto suo, imprigionato in guerra, sarebbe impazzito, questo si è messo a fare il teatro. Venitemi a dire che l'arte non salva la vita. Continua a darsi al teatro anche dopo l'armistizio, al suo ritorno a casa, e la combo dell'esperienza in guerra + quella teatrale lo portano alle sue prime esperienze di regia, proprio a teatro: il suo primo lavoro è Journey's End, una narrazione della vita degli ufficiali di fanteria durante la guerra.
Il momento in cui ho capito che io dovevo condividerla col mondo, quella passione qui, è arrivato con Evil Dead, e da lì è nato quello che era Mari's Red Room e che è diventato la Redrumia, ma il momento in cui ho capito che avrei dovuto dedicare la mia esistenza intera alle persone che parlano di orrore è arrivato la prima volta che ho visto La moglie di Frankenstein.
Il mio modo di guardare il cinema non è mai più stato lo stesso.
Nel mese dedicato ad Universal, quindi, non potevo che mettermi umilmente a scrivere un post su James Whale.
Soli 4 horror in carriera, e il mondo si prostra ancora ai suoi piedi.
perché con una faccia così non si sia messo a recitare per sempre ma solo a dirigere è un mistero e un nostro grande privilegio La vita |
Journey's End va così bene che attira l'attenzione del mondo del cinema (sorpresi, vero?) e finisce che Whale si ritrova a dirigerne anche la versione cinematografica.
Quando c'è profumo di soldi c'è Laemmle, che infatti gli è balzato addosso come un gatto affamato e se lo è portato in Universal. In questa sede non ci interessano tutte le altre cose che ha fatto (alcune delle quali, però, le trovate in questa playlist che ho creato su Youtube) perché questo è pur sempre un blog di cinema dell'orrore e pur essendo io certa siano tutte cose magnifiche qua bisogna arrivare al sodo: il 1931, quello che David J. Skal ha definito il peggior anno del secolo per gli americani e quindi il migliore per il cinema dell'orrore. Whale viene scelto da Laemmle per riprodurre il successo di Dracula, e quindi James ha deciso che lui lo avrebbe fatto di più e meglio: i suoi 4 film horror per Universal sono non solo rivoluzionari, e di quello parleremo poi, ma anche incredibili successi di botteghino, a differenza di alcuni dei suoi lavori che escono dalla definizione di genere, sempre amati dalla critica ma accolti più tiepidamente dal grande pubblico.
Dopo un decennio infuocato, Whale si ritira dalle scene. Lavora ancora per un po' a teatro, con risultati deludenti, e sporadiche e insignificanti apparizioni nel mondo del cinema.
La fine della sua vita è drammatica: dopo un paio di ictus il suo stato di salute peggiora, fisicamente e mentalmente. Si è tolto la vita a meno di 70 anni.
I film
Ce lo siamo detti nel post a lui dedicato: il Dracula di Tod Browning fa un successo immenso. Così grande da convincere persino il vecchio Uncle Carl, che in questo cinema dell'orrore proprio non ci vedeva niente di buono, a farne un altro, subito. Si fa presto a decidere che il prossimo sarà Frankenstein: era già pubblico dominio. E quindi, Whale dietro la mdp, e si fa la storia.
Lo sappiamo tutti quanti che il capolavoro di Whale è un altro, ma il momento in cui questo film ha visto la luce è quello in cui il regista si è portato a casa la possibilità di fare praticamente quello che gli pareva, con buona pace di Universal e del Codice Hays.
L'impatto della Creatura del 1931 è stato così potente che oggi, semplicemente, la Creatura ha i chiodi nel collo, fine della discussione. Non c'è un momento nella vita in cui questa informazione non sia già radicata nella mente di chiunque: il Mostro di Karloff (a cui sarà dedicato il post della prossima settimana) è l'unico possibile, l'unico indimenticabile. E se il merito di questo è ovviamente da attribuirsi al suo magnifico interprete e all'iconico make up di Jack Pierce, è innegabile che il taglio che Whale ha deciso di dare alla più classica delle storie di mostri sia stato significativo. Nel guardarlo oggi, quando il ruolo di Karloff nella costruzione del mito è ormai dato per scontato, è l'interpretazione di Colin Clive (Henry Frankenstein) a far accapponare la pelle. Il suo viso elegantissimo e segnato e scolpito sono ipnotici, le sue urla paralizzanti, il suo Henry spaventoso, nevrotico, eccitante.
Sono due le cose di questa versione del Moderno Prometeo che fanno riflettere: Whale sceglie di togliere la parola al mostro e decide di dargli un difetto di "creazione", ovvero un cervello difettoso. A dirlo così sembra evidente una volontà di allontanare ogni forma di empatia verso una creatura mostruosa, biologicamente crudele, sbagliata e oltretutto privata della più comune forma di comunicazione.
È invece proprio in questo il punto più alto del film: Whale inquadra le mani della Creatura, la più espressiva parte del corpo umano dopo il volto, lo mostra muoversi smarrito nello spazio come se avesse la percezione costante di non appartenenza, gli fa subire angherie, maltrattamenti, violenza. Gli fa conoscere il bene del mondo e glielo fa strappare dalle mani, in una scena che 91 anni dopo ancora prende il cuore, lo strappa dal petto, lo calpesta e ci sputa pure sopra. Giusto per ricordare a tutti che se si è appassionati di orrore è molto probabile che si abbia anche bisogno di andare in terapia. Ma anche che le parole sono spesso superflue.
Si può quindi dire che Whale, con il suo primo contributo all'horror, lo ha già rinfrescato? Sì, ovviamente.
Le cose vanno talmente bene che il suo secondo, magnifico, film dell'orrore arriva l'anno dopo, e naturalmente finisce per sovvertire un genere intero. Si chiama The Old Dark House e si prende gioco, rimescolando tutte le carte in tavola, del genere che viene ricordato come, ehm, dark house, e che fa parte del cinema americano fin dai suoi esordi. Lo avevamo già visto parlando di The Cat and the Canary, che pur essendo delizioso e molto rilevante per la storia può solo farsi da parte e levarsi il cappello.
Non solo fa questo, ma è da molti ricordato come il più esplicitamente queer dei suoi lavori, grazie anche al suo essere uscito prima del '34, anno dell'entrata effettiva in vigore del Codice Hays. Se l'attenzione di tutti, per ovvie ragioni, è sempre stata su La Moglie, Harry M. Benshoff nel suo saggio Monsters in the closet, che trovate linkato nelle fonti, dedica una parte proprio al secondo lavoro di Whale.
La storia, che racconto perché meno nota della precedente, è quella di una coppia che, in auto insieme ad un amico, si perde guidando e resta bloccata, a causa della tempesta, nella casa in cui si erano fermati a chiedere soccorso. La casa appartiene alla misteriosa famiglia Femm, e la notte trascorrerà tra eventi misteriosi e personaggi spaventosi. È o no un riassunto degno di una rivista di programmazione tv?
I riferimenti e le connotazioni queer che Benshoff elenca nel film sono sconfinate: dalla "padrona di casa" che fa osservazioni alla sua ospite, inviti più o meno espliciti in camera da letto, i personaggi di Horace, Penderel e soprattutto Saul.
Studiando la storia del cinema dell'orrore è sempre più evidente che mai come in questo caso non si possa parlare per assolutismi, tutto si miscela armoniosamente con quanto arrivato prima e si crea sempre qualcosa di nuovo. In questo caso credo di poter fare un'eccezione: il queer coding nel cinema ce l'hanno portato Whale e tutti i suoi creativi modi di ritrarre l'irritraibile, con buona pace del Codice e delle sue norme antiumanità.
Se Saul è eterosessuale io sono bionda.
Del film mi piace anche ricordare quanto sia divertente. E non ascoltate chi lo considera un Whale minore. Non c'è niente al mondo che sia un "Whale minore".
Per parlare de L'uomo invisibile, del '33, vi cito semplicemente quello che ne dice Tom Weaver nel suo Universal Horrors:
Deprive the average special effects film of its visual tricks and you rob it of its heart and soul. The Invisible Man, Universal’s superb 1933 filmization of one of H.G. Wells’ most enduring novels, is a firm exception to this rule. Its gripping narrative, masterful direction and believable performances elevate the film beyond mere novelty, and hold up alongside the unerring technical effects for the audience’s attention. One of the handful of fantastic films unblemished by the ravages of time, The Invisible Man is a monument to the genius of four remarkable artists: Director James Whale, screenwriter R.C. Sherriff, special effects ace John P. Fulton and star Claude Rains.
In buona sostanza, senza tradurre il tutto: è un capolavoro, ciao.
E io lo so che gli amanti della fantascienza proveranno a rivendicarselo come roba loro, ma saprete ormai bene che delle mie cose io sono gelosa, giù le mani da James Whale.
La Sposa
Sì, lei ha un paragrafo a parte, perché non è solo il Capolavoro del Nostro, ma è il film che mi ha portata qua e secondo me non c'è niente al mondo che sia bello quanto La moglie di Frankenstein.
Laemmle Jr. era in procinto di lasciare il prestigioso ruolo che gli aveva regalato il padre, ma prima di andarsene aveva in serbo un paio di "speciali": una versione cinematografica del musical di grande successo Show Boat e un sequel per Frankenstein. Se non fu difficile assegnare a Whale il musical, del sequel il regista non ne voleva proprio sapere. La condizione per accettare? Avere carta bianca. Non l'ha poi avuta davvero, perché il Codice sempre lì stava, ma insomma.
È ironico? Un po'. Manco lo voleva ed è diventato il suo lavoro più importante.
Comincia la lavorazione, e una volta assicurati i posti di Clive e Karloff è in questa sede che si fa la scelta forse più importante del film: per il ruolo di Pretorius, forse la persona più famosa del film dopo la Sposa, viene scelto Ernest Thesiger, già Horace di The Old Dark House.
Whale era solito lavorare con attori che avessero una sorta di, passatemi il concetto, "aura gay". Per quanto, come riporta Benshoff nel suo testo, la società avesse con l'omosessualità un rapporto meno peggiore di quanto si possa pensare, non tutti erano nella posizione privilegiata del regista, quindi alcuni degli attori che coinvolgeva erano spesso sposati con delle colleghe, e la loro omosessualità non sempre era dichiarata. Tra questi Thesiger stesso, che in Gran Bretagna, da cui arrivava, era noto per il suo "queer appeal". Septimus Pretorius è la punta di diamante di un film che non sarò mai in grado di giudicare con oggettività: siamo dalle parti della perfezione.
Nonostante cambi di sceneggiatura, modifiche, addolcimenti sciocchi per la censura, aggiramenti delle norme e un prologo che odiano anche i sassi (ma io no, perché ci sono dei borzoi e io amo tanto i borzoi), l'opera non pecca mai - mai, mai, mai - dell'incoerenza di cui potenzialmente avrebbe potuto soffrire. È anzi un lavoro maturo, raffinato, equilibrato. Un film che, preoccupandosi di non fare sconcezze inadeguate, ha elegantemente preso per il culo la società americana nella sua interezza, nella sua ipocrisia, nei tre valori tradizionali su cui è basata e che non sono mai stati un ritratto fedele del Paese, ma solo del modo in cui il Paese si dipingeva ai suoi stessi occhi.
Ora, un briciolino di fatti miei. Ho qualche tatuaggio. Uno di questi è il volto della Sposa, dietro il braccio destro. Quando ho deciso di farmela ho chiesto alla tatuatrice di disegnarmela nel suo stile, che amo molto. Mi manda un disegno, e la Sposa ha un'espressione incazzata. Ma proprio che è nera. E io me lo guardo, sto tatuaggio, e non sono convinta dell'espressione. Allora mi sono riguardata il film.
E adesso io la mia Sposina incazzata la amo come se la avessi disegnata io. È potente, è rappresentativa, è proprio lei. È quella che non ha chiesto di venire al mondo e si è trovata sfruttata, con un ruolo già scritto per lei ancora prima di nascere. È quella a cui non viene data personalità, vestita e atteggiata come tutte le altre. È quella che ha il solo scopo di compiacere il suo maschio, quella che non conta niente se non in funzione del suo ruolo. E allora io la guardo e la amo sempre di più, con i suoi occhi tutti bianchi e le sopracciglia aggrottate. Ed è magnifica e la porto a spasso con orgoglio, perché di donne incazzate non ce ne sono mai abbastanza. Lo fossimo anche tutte, non saremmo abbastanza.
Nel suo saggio Here comes the Bride, Elizabeth Young espone un altro modo per analizzare il film: se La moglie analizza le paure e le ansie degli anni '30, non possiamo ignorare quelle razziali. La prima metà degli anni '30 è stata caratterizzata da un numero significativo di linciaggi ai danni di uomini neri, che hanno nel caso di Scottsboro del '31 il loro episodio più eclatante. Al mostro sono attribuite tutte le caratteristiche che una società profondamente razzista attribuisce alla popolazione nera: criminalità, violenza, inferiorità di intelletto...La fisicità di Karloff, poi, ha dato un grande contributo a questa lettura. Era un uomo molto alto, imponente, dai lineamenti molto marcati. Il collegamento si fa da sé. C'è pure il linciaggio, perfetto.
Nel secondo film della serie, però, quello che ci interessa è l'elemento dello stupro.
Quale stupro? vi chiedere giustamente, Quello che non c'è?
Proprio quello.
È proprio nell'elemento dell'allusione (Elizabeth che strilla dietro la porta chiusa a chiave appena la creatura entra), della possibilità, che la creatura diventa perfetta rappresentazione della vita degli uomini neri, accusati con imbarazzante frequenza di violenze mai avvenute, perché come di consueto lo stupro è importante solo in relazione agli uomini che o lo praticano o lo subiscono indirettamente, mai alle vittime reali. Lo stupratore nero è un elemento ricorrente della cinematografia e della cultura popolare di un paese che è sempre stato molto attento alle inezie, e mai alle persone. La diversità di chi commette il reato immediatamente sessualizza il reato stesso.
Che donne, razza e classe fossero legati da un filo invisibile ma non troppo ce lo ha spiegato Angela Davis, in un testo fondamentale e potentissimo che inspiegabilmente (o forse molto spiegabilmente) non è ancora un testo scolastico.
Solo che lei ce lo ha detto nell'81.
James Whale aveva iniziato ad accennarlo 46 anni prima.
Con un film dell'orrore.
La mia narrazione della storia è forse di parte?
Un po'.
Le fonti di questo post:
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