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sabato 14 maggio 2022

Gli anni '30: Tod Browning in MGM - Freaks e gli altri

18:12
Passare attraverso gli anni '30 e ignorare Freaks è immorale, mi vengono a cercare a casa. 
Lo scorso 12 febbraio, il mitologico film di Tod Browning, quello con cui si è giocato la carriera, ha compiuto 90 anni, e resta il film più chiacchierato nell'ambito dell'analisi cinematografica in relazione alla crip theory. Se si parla di disabili al cinema, si parla di Freaks.
Prima di parlare di lui, però, c'è da raccontare come è venuto al mondo.




 MGM prima di Tod Browning


La più canonicamente "star-driven" casa cinematografica di sempre, Metro-Goldwyn-Mayer, nacque nel 1924 con un intento preciso: rendere il cinema il più democratico possibile: non riservato ad un'elite borghese ma nemmeno vincolato alla parte più bassa della popolazione. Obiettivo di casa MGM era un cinema "pulito", aperto, che semplicemente non offrisse a nessuno la possibilità di obiettare. 
Una volta, una, che i poveretti decidono di osare e Browning gli fa, letteralmente, il circo.
Con il tempo sarà la casa considerata responsabile della carriera di mostri sacri del genere come Greta Garbo, Buster Keaton, Elizabeth Taylor...in poche parole, quei volti che oggi associamo all'epoca d'oro di Hollywood. Era la casa con "all the stars in the heaven".
Due erano i nomi principali di MGM: Louis B. Mayer e una nostra vecchia conoscenza, Irving Thalberg. Thalberg lo abbiamo incontrato parlando di Universal, dove ha contribuito a dare una casa ai mostri. In Universal si è fermato per poco tempo, sostituito dopo la sua partenza da Laemmle Jr, ed è passato in casa Mayer. L'abbiamo visto qualche post fa, Thalberg è finito al cinema un po' per caso, per colpa di una madre asfissiante che se lo voleva tenere vicino a casa e si è rivelato uno dei geni del suo settore. Mayer, invece, figlio di immigrati russi, arriva al grande successo partendo da un piccolo nickelodeon acquistato con i risparmi. La loro relazione è stata per tutta la loro carriera condivisa un tumulto di emozioni e sconti, c'è un (bellissimo come sempre) episodio del podcast You must remember this che li ricorda tutti quanti. 
Già negli anni '30, poco tempo dopo la sua nascita, la casa si pregustava un futuro roseo. Ebbe, effettivamente, un momento di gloria duraturo, proprio nel periodo in cui l'idea di Freaks iniziava a fare capolino, ma il suo declino iniziò con il secondo dopoguerra. Nei decenni successivi ha contribuito alla nascita di alcuni fenomeni straordinari (uno su tutti 2001: Odissea nello spazio), ma ha da tempo dimenticato lo sfarzo dei suoi primi decenni.


Tod Browning prima di MGM


Anche Browning non è un nome nuovo nella rubrica. A lui dobbiamo la nascita dell'horror soprannaturale come lo conosciamo e amiamo, con il suo Dracula. Forse il film di cui gli è sempre importato meno, ma di cuiimporta a noi e tanto basta. Oggi, però, lo conosciamo fin da giovane.
Charles Albert Browning, Tod per noi, ha 16 anni e scappa di casa. Per maltrattamenti, vi chiederete? Per passione? No.
Aveva conosciuto una bella signorina che lavorava in un circo.
Come l'ormonale sedicenne che sarà stato, lascia tutto e tutti per darsi alla vita circense, e dentro allo spettacolo si fa fare ogni cosa: fa il clown, lo stalliere, la qualunque. Dategli due robe da mangiare e si fa anche seppellire vivo. Un classico adolescente, che più classico non si può.
Pensate cosa può avere significato essere un adolescente al circo nel momento in cui cinema e circo iniziano a fondersi, creando uno spettacolo tutto nuovo. Stava nascendo il nuovo intrattenimento per il popolo, e la tradizione del circo stava pian piano andando perdendosi.
A contribuire alla nascita della carriera di Browning fu quel regista di cui in questa rubrica non abbiamo parlato: quello che faceva i film razzisti molto molto muti e molto molto molto lunghi. Gli fa fare qualche piccolo ruolo qua e là, e pare sia stato lui a fargli conoscere Thalberg: l'inizio della carriera vera e propria. 
Nel muto fa così tante cose che alcune le abbiamo perdute (uno su tutti il mitologico London After Midnight, con Lon Chaney), e pian piano segue Thalberg nei passaggi tra le case cinematografiche. L'uscita di Dracula è la svolta: ok che del film gli importava poco e nulla, ma ho come la sensazione che del suo straordinario successo, invece, gli sia importato eccome. La valanga dell'universo dei mostri ha letteralmente salvato la vita di Universal, figuriamoci le possibilità che derivano da qualcosa del genere. 
Le testimonianze di chi ha lavorato con lui non sono lusinghiere: sembra che Browning fosse freddo, scostante, quasi al limite della costante maleducazione. Non si parla di lui con affetto, non è uno di quei nomi che commuove al ricordo. È particolarmente interessante che la sua collaborazione più longeva sia stata proprio con Chaney, di cui si dicevano le stesse cose. Hanno fatto dieci film insieme, e non sono mai diventati amici. Si stimavano, pare. Sembra che ogni volta che Browning dovesse lavorare con qualcuno di diverso dall'Uomo dalle mille facce finisse sempre per dire che Chaney l'avrebbe fatto meglio, ma non c'è alcuna testimonianza di un'amicizia, il che fa soffrire noi amanti della bromance. 
Sarebbe stato adorabile invece erano due scorbuticoni che volevano solo parlare di gambe mozzate e gobbe sulla schiena. Certo, poiché ne parlavano così bene, ce lo faremo bastare.


Il trio infernale


Quindi, dicevamo, Dracula e tutti i soldi che ha fatto. 
MGM li ha guardati con la bavetta alla bocca, poi li ha indicati col ditino e ha chiesto a Browning: "Anche noi, anche noi!"
E lui, serafico: "Mi fate fare come dico io? Voglio adattare ancora (dopo quel trio infernale del titolo, n.d.R.) un racconto di Robbins, dai."
E loro, con gli occhi a dollarone come Paperone: "Ma certo caro si accomodi, le apriamo la porta, un caffè? Gradisce una penna fatta di pelle umana per firmare?"
E lui firma, e affonda.
Freaks, una semplice storia di un amore non ricambiato e di una vendetta amara, non è solo il più grande scandalo della sua epoca, è una scalata verso l'inferno, verso il dimenticatoio in cui ha cacciato il proprio regista. MGM sopravvive alla botta, Browning no.
Il film esce il 12 febbraio del 1932, prodotto e creato alla velocità della luce nella speranza di cavalcare l'onda del successo di quel vampiro là, e prima ancora che esca, le prime polemiche: un montatore esausto all'idea di dover continuare a vedere gli attori disabili, gente che litiga in mensa per non mangiare con loro, quel Louis Mayer di cui sopra che se appena avesse potuto avrebbe ammazzato di botte Thalberg per aver permesso questa oscenità, Thalberg sereno che dice "Va beh gliel'ho chiesta io la mostruosità, non è che adesso posso tirarmi indietro.". Un caos, un caos.
Poi il film lo fanno vedere in anteprima. Genera un mormorio così potente che una tizia li vuole denunciare per averle causato un aborto. Esce comunque in sala, ma le premesse non sono buone. In periferia va benino, ma sono le grandi città ad essere significative, e lì è un flop di proporzioni epiche: la gente, sto film, non lo vuole vedere. La gente voleva sì i mostri, ma solo quelli finti. A Tod nessuno aveva dato il post it con l'informazione. Manco i suoi stessi interpreti lo ricordano con affetto: nella biografia delle gemelle Hilton, le ragazze siamesi, l'esperienza non è mai nemmeno citata. 
Censurato, ritirato, boicottato, direttamente proibito in diversi Paesi: è quasi un miracolo che ne siano sopravvissute delle copie, peraltro in ottime condizioni. 
Oggi, che lo guardiamo con la santa distanza che ci offre il tempo, è facile capire che idea difficile abbia avuto, il Nostro. Ha deciso, nel '32, di mettere in discussione tutto ciò che era familiare. La famiglia, il corpo, la salute. 
Freaks è prima di tutto un film d'amore, ma quell'amore qua non lo aveva ancora mai ritratto nessuno. O meglio, si apre con un amore familiare: Madame Tetrallini porta alcuni dei suoi compagni di viaggio in un parco che sembra all'aperto e invece è proprietà privata. Quando viene redarguita, si abbraccia i suoi piccoli e lo spiega: sono solo bambini. Questa, la tutela che l'umanità ha nei confronti dei più piccoli, anche se diversi, viene mantenuta, e il rimprovero ritirato. Ma da quel momento in poi, tutte le convenzioni sociali vengono prese e accompagnate alla porta: stiamo entrando al circo e qui le vostre regole non contano. Quelle tra i membri della compagnia sono relazioni comuni e pertanto uniche, come lo sono tutte. Le sorelle siamesi hanno due partner diversi, e bisogna discutere della situazione di alloggio. Si vive in quattro? Mi diventa un poliamore, così? Spiattellato nel '32? E ancora, l'amore fraterno, quasi genitoriale, del clown verso quelle che oggi sono note come le sorelle Pinhead. Infine, la relazione tra Hans e Cleopatra, il centro del film. Cleo è la magnifica trapezista, Hans il ricco nano che lei prima conquista e poi cerca di avvelenare per tenersi l'eredità. Scombinando completamente i ruoli del racconto, in cui il cattivo è Hans che si vendica della moglie per sempre, il film prende una posizione netta nel mettere i normodotati tra i cattivi. Cleo non è cattiva solo perché ha un piano omicida, lo è ben prima. È crudele, passa le giornate a ridicolizzare le persone che la circondano e che si guadagnano da vivere esattamente come lei, espone l'affetto che riceve alla pubblica gogna, non nutre alcun interesse per i sentimenti altrui, è egoista e superficiale. Non c'è mai alcun dubbio, in Freak, su come siano distribuiti i pesetti sulla bilancina della moralità. Infine, l'adorata Frieda, che tanto ama il suo Hans ed è costretta prima a perderlo e infine a vederlo soffrire. Lei è l'amore più pulito, privo di desiderio di possesso, quello che è raccontato nelle storie migliori. Non rimprovera Hans di averla lasciata, per quello lo perdona. Non le importa che ami un'altra. Le importa solo che quest'altra non lo ricambi, lo umili, lo sfrutti. Ogni volta il cuore distrutto, per Frieda, così genuina, in un film che è pieno di sporcizia dell'anima.
Eppure, questi sono disabili la cui rappresentazione è ancora oggi una delle più studiate e chiacchierate di sempre. Il fatto che siano Cleo e il suo amante Hercules i cattivi della storia non rende gli altri dei pikkoli anceli. Quello che fa Browning è dare loro un arco narrativo completo, che lo so che oggi è il minimo sindacale che ci aspettiamo, ma diamo a TB il merito di averlo fatto per primo. Sono persone che subiscono un grosso torto e una brutta umiliazione, e in quanto tali si vendicano, in una delle scene che ancora oggi è tra le più forti che il cinema dell'orrore ci abbia mai regalato. Se non avete mai sognato i ragazzi incazzati neri scendere sotto la pioggia dal carro in fiamme non abbiamo gli stessi riferimenti culturali ed è davvero ora che vediate Freaks.
Il suo finale è interessante e spunto di riflessioni infinite: la punizione per Cleo è quella di diventare davvero one of us, una di noi, come le cantavano durante il banchetto nuziale che tanta rabbia le ha scatenato. Ma essere disabili non è una punizione, oggi lo sappiamo bene e chi si occupa di disability studies fa un lavoro immenso nel portare avanti una concezione diversa del corpo disabile. Lungi da me voler davvero applicare la consapevolezza di oggi ad un film di 90 anni fa, ma è pur vero che di questo film non si è mai smesso di parlare anche per questo.
Quello che fu problematico all'epoca fu l'uso di persone reali, con corpi reali. Era accettabile uno zoppo solo se era Lon Chaney, che finito di girare tornava a camminare normalmente. Anzi, gli si diceva pure che era eccezionale (lo era, ovviamente) perché si riduceva il corpo a brandelli pur di diventare diverso da com'era. Loro, diversi, lo erano davvero, e pertanto non più accettabili. 
Il famoso claim di The last house on the left, "Keep repeating it's only a movie", qui non valeva: non era only a movie. 
Paradossalmente, però, il film si chiude quasi su una chiave rincuorante per i ripugnanti fan dell'eugenetica dell'epoca: i freak restano solo tra di loro, ogni apertura al mondo di noi splendenti normodotati non è buona cosa, che si richiudano al circo. È questa forte componente controversa che fa di Freaks uno dei film più famosi di sempre. Non sapremo mai, con immenso dispiacere, se la mezzora di film che la censura ci ha tolto per sempre, avrebbero dato più chiarezza a queste questioni. Quello che possiamo dire è che Browning, con quello che ha potuto fare, ha costruito qualcosa che non solo sta perfettamente in piedi con una parte gigantesca tranciata via, ma che ha saputo usarla per lasciare il segno per sempre. 
Nonostante la spaventosa caduta sul sedere che è stato questo film, MGM dà a Browning un altro paio di possibilità, e quello non si fa scappare la chance di mettere tutti i suoi temi per un altro paio di volte all'interno del cinema dell'orrore. I film sono The mark of the vampire nel 35 e The devil doll l'anno successivo. Il primo fa un pochino quello che non aveva potuto fare con Dracula: riporta i toni su quelli della commedia nera, e torna ad utilizzare quello che ormai in casa Redrumia è l'escamotage da Gatto e Canarino, ovvero riporta al razionale eventi soprannaturali. In questo caso lo fa con una coppia di vampiri (in cui naturalmente il conte è Lugosi, perché davvero questo ha rifatto Dracula ma in una casa diversa) che però forse vampiri non sono perché dai, i vampiri non esistono, no? No? The mark of the vampire visto oggi suona un po' come una presa in giro a quel suo successo strepitoso che lui ha così poco amato, con tanto di animaletto appeso per aria con il filo visibile e tutto il resto. Resta però una visione non solo molto godibile, ma sinceramente molto divertente. 
The devil doll invece mi ha fatto cadere dal pero perché è un adattamento di Brucia, strega, brucia!, romanzo che ho letto all'inizio dell'anno e che mi aveva deliziata. Non solo, ma è un film con un numero infinito di riferimenti al suo precedente Il trio infernale. Anche in questo caso ritornano tanti temi familiari al nostro, ma soprattutto, per restare in tema, il suo attaccamento al tema della famiglia e il suo giocare con i generi. Ci sono uomini che si vestono da donne, nel cinema di Browning, perché la sessualità ma anche l'identità di genere sono messe in discussione in un'epoca in cui forse nemmeno si sapeva della loro esistenza. In Freaks c'è un personaggio che è un ermafrodita perfetto, ne Il trio infernale un adulto che si finge un bambino, e di nuovo in giro per il suo cinema: una potenziale relazione poli, accenni costanti manco troppo velati all'incesto, all'impotenza, alla frustrazione sessuale.
Browning parlava della sfera sessuale con una sfrontatezza che forse il cinema non ha più toccato, ma che di sicuro nessuno aveva mai toccato nelle sale dorate della Hollywood della Golden Era, solo pochi secondi prima dell'entrata in vigore di un codice che in nome di una morale presunta avrebbe tarpato le ali di chi aveva molto da raccontare.
Chissà cosa ci avrebbe raccontato ancora Tod Browning, se solo la gente avesse avuto il coraggio di guardare in faccia la diversità, se non si fosse nascosto l'abilismo più spietato dietro i sorrisi bianchissimi dei benpensanti, se ci avessero insegnato fin dalla notte dei tempi che cosa sono e come sono fatte le persone, tutte quante. 


Per approfondire il tema Freaks e rappresentazione della disabilità al cinema: 
(link affiliati)



domenica 10 aprile 2022

Gli anni '30: la rivoluzione Dracula

19:45
Smetterò mai di sentirmi in soggezione nel parlare di cinema dell'orrore? Spero di no, perché è il mio modo di pensare al bene che gli voglio. 
Nel post precedente avevo preannunciato che avrei diviso i due mesi dedicati agli anni '30 per studios, e se così deve essere non posso che partire dalla scelta più ovvia: Universal. 
Tutto il mese di aprile, quindi, lo passeremo in compagnia dei primi veri franchise della storia, e di tutti quei personaggi che, ridendo clamorosamente in faccia al passare del tempo, non solo continuano a vivere indisturbati nell'immaginario di un mondo intero, ma che sono quelli che quello stesso immaginario lo hanno creato, ponendo le fondamenta per tutto quello che verrà costruito.
Sono la mitologia dell'orrore, un'Olimpo di nomi e volti che per fama e ruolo nella storia viene da mettere al pari solo di Babbo Natale, o Topolino. L'inizio di un nuovo modo di guardare, immaginare e soprattutto creare le storie dell'orrore.
Siamo nel 1931, e per la prima volta il mondo vedrà sullo schermo il Conte Dracula e la sua storia, quella che oggi sappiamo essere la più adattata di sempre.
Oggi parliamo di lui, il Dracula di Tod Browning. Mi piaceva l'idea di partire con chi ha cominciato tutto.





Come si arriva a Dracula

La scorsa settimana abbiamo visto la situazione generale degli anni '30, e la prossima nello specifico della storia di Universal e del suo Monster Universe. Come si arriva, però, nello specifico, a Dracula?
Dopo le insistenze di Carl Laemmle Jr., l'azienda ha ceduto, e si è aperta all'orrore. La storia del Conte era la scelta più naturale possibile: dopo i litigi di Florence Stoker - l'esigente vedova di Bram Stoker - con Nosferatu, in qualche modo si è riusciti, pagando il giusto, a portarlo a teatro in Gran Bretagna. Lo spettacolo, a cura di Hamilton Deane, fu un successo inarrestabile e fu l'iniziatore di una politica del mistero e dello sgomento che seguirà il modo di pubblicizzare la storia di Dracula per gli anni successivi: era stato reso noto, mooolto noto, che nel pubblico ogni sera si poteva trovare un'infermiera specializzata, pronta ad aiutare chi si sarebbe sentito male per la forza dello spettacolo in scena. Non giudico nessuno io, queste cose fanno presa tutt'ora sulla sinceramente vostra. 
Il successo straordinario dello spettacolo attirò (ovviamente) l'interesse degli avidi statunitensi, che già un centinaio di anni fa giravano per il mondo chiedendosi cosa c'era di bello da rubare. 
È Horace Liveright, un produttore di Broadway rimasto senza mezza lira, ad intuire che quella roba lì in patria sarebbe andata fortissima. Liveright compra i diritti, porta a Broadway uno spettacolo quasi completamente invariato, e sbanca. Questa non è la sola idea eccellente del nostro. Sceglie per il ruolo del protagonista uno sconosciuto attore ungherese, dall'accetto affascinante e dallo sguardo intenso, e il resto è storia.
Universal, quintessenza dello spirito statunitense, coglie la possibilità di fare soldi con il successo di qualcun'altro, e sotto le pressioni del suo giovanissimo presidente si compra i diritti e inizia a lavorarci. Aveva tutte le carte in regola per diventare un successo: in quel momento Universal, come abbiamo visto qualche post fa, aveva nella coppia Chaney - Browning una delle certezze più insindacabili del cinema del momento.  Una potente - e talentuosissima - gallina dalle uova d'oro: il film si era praticamente scritto da solo. Ma Chaney viene a mancare poco prima dell'inizio delle riprese, e Browning era, come dire, sottotono. La storia, il caso, il fato, o chi credete si occupi di queste faccende, ha fatto sì che l'attenzione tornasse su quello sconosciuto ungherese e su un certo direttore della fotografia: Karl Freund. Il film, come il mondo lo ricorda oggi, è tutto o quasi in mano loro.
Si inizia a lavorarci su, e il resto è storia.


Bela Lugosi


In tutte le fonti che troverete in fondo al post l'opinione è la stessa: il film, oggi, è considerato mediocre, e facilmente dimenticabile se non fosse per il suo immenso contributo storico. Un'altra opinione, però, è altrettanto diffusa: la sola cosa apprezzabile del film risponde al nome di Bela Lugosi. 
Nato in Ungheria nell'ottobre del 1882, proprio vicino al confine con la Transilvania, Bela deve lasciare la sua terra perché, ehm, comunista. Partecipa alla rivoluzione ungherese, lottando contro paghe ridicole e condizioni di lavoro dei giovani attori. Per il partito comunista ungherese non finisce benissimo, e Lugosi nel 1919 è costretto a lasciare il paese. Dopo qualche tappa europea finisce negli Stati Uniti dove si dà al teatro senza sapere una mezza parola, imparando le parti memorizzandole foneticamente, come facevamo noi alle medie con le canzoni dei Backstreet Boys. 
Lui è diventato leggenda e noi, va beh, stiam qua. 

Lugosi non doveva essere un collega semplice. Le voci sul suo conto lo vogliono freddo, distaccato al limite della maleducazione, eccentrico, vanitoso. Poco importa, oggi, perché forse, vedendo il suo Conte, sono proprio queste caratteristiche personali ad avergli consentito di dare proprio questo taglio così di impatto. E poco importa anche perché le persone sono tutte valide a prescindere dalle proprie skill di socialità, ma non è questo il punto. 
Non è solo il suo accento, o il suo aspetto esotico, ad averlo reso leggendario, anche se è innegabile che l'unione di queste cose con l'avvento del sonoro e l'entusiasmo della novità abbiano indubbiamente contribuito. Il suo Conte, però, è diverso da ogni rappresentazione precedente del vampiro: è lento, sensuale, seppur in un modo lontano da quello che intendiamo oggi, ipnotico, e ha posto le basi per tutte le rappresentazioni successive. Di conseguenza, ha posto le basi di un archetipo intero.

Le conseguenze del "grande ruolo", però, si sono ripercosse anche su Lugosi, nonostante il rapporto complesso che aveva con il suo Dracula. Laemmle Jr. era pronto a costruire con lui un nuovo Chaney, perché, sì, avevano anche già la fissa dell'erede. Dracula riscosse un successo tale da spingere la casa a investire su altre trasposizioni da romanzi dell'orrore e la scelta più naturale finì per essere Frankenstein, la rivoluzione del gotico creata da una poco più che ragazzina. Lugosi, però, non ne volle sapere: il suo volto non poteva non essere riconosciuto, e il ruolo della creatura non faceva per lui. Da quel momento in poi, la sua carriera fu un susseguirsi di scelte opinabili, di possibilità mancate. Tornò ad indossare i panni del suo vampiro per altre occasioni e finì vincolato nel ruolo del villain. In più, l'esperienza di lavorazione del film non fu per lui un'esperienza particolarmente appagante, e soprattutto non abbastanza pagante. In un film in cui - miracolosamente - l'attrice più pagata fu la donna (Helen Chandlers), Lugosi guadagnò meno del desiderato, e nessun centesimo in più della paga per la parte: il merchandise non gli fruttò nulla. Ok, non era il fenomeno che è oggi, però frullano le scatole lo stesso.


La bio sul suo sito è scritta con immenso amore dal figlio, Bela Jr., e ritrae naturalmente anche i suoi aspetti più umani e candidi, come l'amore per i suoi cani, per il sigaro che la povera moglie doveva tenergli acceso mentre lui era in scena e per i vini californiani. 
Leggere di lui in giro, però, non fa altro che contribuire a questa immagine che ormai di lui mi sono costruita in testa, di uomo distante, scostante, un po' altezzoso, che non fa altro che contribuire a sua volta alla tridimensionalità del suo Conte, che con la sua pulita cortesia fa ancora la stessa paura che immagino abbia fatto a chi ha avuto il privilegio di vederlo sullo schermo per la prima volta.

Gli articoli che ne annunciarono la morte lo chiamavano, semplicemente, Dracula. Non lo so se la cosa lo avrebbe davvero reso felice, ma lo spazio che si è preso nella mente di chi è appassionato è rimasto immutato. Felice o no, ha cambiato il modo in cui sono andate le cose, ed è diventato immortale. 
Il suo vero nome, del resto, non lo ha usato mai. Tanto vale ricordarlo come leggenda.
 

Il film


Due info tecniche di numero ma proprio due per fingere una serietà che non mi appartiene: costato qualcosa intorno ai 350.000 dollari, girato in poco più di un mese. Fu una sfida non indifferente per la casa, un rischio importante. A spianargli la strada era stato The Cat and the Canary, qualche anno prima, ma anche l'importante riscontro che il pubblico aveva dato alla versione parlata di The Unholy Three. 
C'è una differenza saliente, però, tra questi film precedenti e quello nuovo, una differenza che rende davvero la sua uscita rivoluzionaria: Dracula, soprannaturale, lo era davvero. In una nazione in cui era stato fondamentale sfruttare la passione per lo spiritismo ma pur sempre riportandola sul ben più rassicurante piano della realtà, il Conte Dracula era un vampiro davvero. Per la prima volta il cinema statunitense si lanciava nel mondo del misterioso, e non gli dava risoluzione.
Il risultato fu il più grande successo commerciale Universal del suo anno. 

Certo, c'è anche stato l'immenso contributo che la parte pubblicitaria gli ha dato. Il claim lo chiamava "The strangest passion the world has ever known!", che non è una bugia ma una descrizione quantomeno creativa, ecco. Dracula poteva essere ogni cosa: una storia romantica, un mystery, un horror: ognuno poteva vederci quello che desiderava, e tutti sarebbero entrati al cinema. Ha funzionato.





C'è un grande elemento, poi, da tenere in considerazione quando si giudica Dracula con gli occhi di oggi: il Codice Hays. È cosa nota che il codice, seppur in vigore dal '30, sia stato preso sul serio solo dal '34 in poi, ma le sue impronte erano già state fissate su carta, e da quel concetto di buon gusto non c'era scampo. Dracula, con le infinite implicazioni sessuali che da allora continuiamo a riconoscergli, era terreno ustionante su cui camminare. Bisognava stare molto attenti che mordesse le donne e solo le donne, per esempio, e da questo vincolo ci siamo liberati solo di recente. Gli uomini, se proprio proprio proprio devono essere morsi, è per nutrizione, e fine della faccenda. Se poi non lo mostriamo, meglio ancora. E allora ecco che l'equipaggio della nave muore per una tempeeeeestaaa, daaaaai, ma cosa pensavate? 
Sono solo le donne (e solo quelle bianche e preferibilmente benestanti), ad avere il privilegio della trasformazione in vampire, tutti gli altri lanciati verso la morte certa con tanti saluti a casa. Tutta la parte "succosa" (passatemelo, dai), avviene fuori dallo schermo, perché avvenga, sì, ma che non ci sia dato vederlo. È figlio del suo tempo ed è ingiusto fargliene una colpa.

All'epoca fu anche grande successo di critica, è stato il passare del tempo a renderlo meno amato. In mezzo alle infinite critiche che oggi critici e accademici gli riservano, come dicevo su, c'è il suo essere troppo simile per impronta, stile, caratteristiche, alla produzione teatrale da cui è tratto. Gli viene criticata una narrazione che si srotola troppo lentamente, con una prima parte tutto sommato apprezzata anche oggi ma una seconda sempre fortemente criticata perché povera, piatta, inconsistente. Non si apprezza l'adattamento, colpevole di avere lasciato fuori parti ritenute fondamentali del romanzo, o quantomeno arricchenti, la recitazione di praticamente tutti i coinvolti ad eccezione di Lugosi viene distrutta. Queste sono a grandi linee le critiche che gli rivolgono tutte e quattro le fonti che trovate in fondo al post.

Neppure a Browning viene riservato un trattamento di favore. Chi ha collaborato sul set con lui in questa occasione lo ricorda come costantemente assente, chi è del settore dice che il film è molto più di Freund di quanto non sia di Browning. Oggi, forse, importa davvero poco. Del resto, ce lo siamo detti la settimana scorsa: questo è il periodo delle case cinematografiche, non dei registi. Sono certa che B. abbia dormito serenissimo la notte, dopo questa lavorazione. Un po' meno l'anno dopo, immagino, ma avremo modo di parlarne. 
 
Io, che accademica non sono, gli voglio molto bene. Ho una mai passata cotta per il Conte di Christopher Lee, ma il giorno in cui dirò che trovo questo film mediocre sarà il giorno in cui vi sto comunicando in codice che sono stata rapita e ho bisogno di soccorso. Guardo a lui con l'affetto che si rivolge alle cose fondanti, anche se mentirei se dicessi che per me lo è stato. L'ho scoperto da adulta, non ho verso di lui l'affetto della nostalgia, ma quando Lugosi sale le scale, guarda Renfield e gli dice "Listen to them. Children of the night." io sarò pure banalona ma mi ritrovo a sorridere allo schermo più che di fronte a qualsiasi scena romantica. 
Sono certa che le critiche siano basate fu fondamenti ben più solidi del mio sorridere davanti allo schermo, però a me è quella sensazione lì che tiene ancorata al cinema, e per me il Dracula di Browning, sottotono, spento, teatrale, come vogliano descriverlo, è magnifico. Fine della recensione.








Le fonti di questo post:
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mercoledì 29 gennaio 2020

Horrornomicon: A new world of gods and monsters

13:39
Io e la mia consueta sindrome dell'impostore vi diamo il benvenuto nel primo Horrornomicon del 2020. Come sempre, è per me difficilissimo parlare delle grandi icone della storia del cinema, ma ci sono volte in cui metto da parte la sindrome di cui sopra e mi decido, in nome di un grande amore, a parlare di cose ben più grandi di me. Senza pretesa di insegnare nulla, solo di condividere.
E quindi, questo mese, gli horror Universal.
Anche se temo sarà un monologo su Frankenstein.


Per me tutto è cominciato con Dracula. 
Anni fa ho fatto uno speciale vampiri, qui sul blog, e non avrei potuto evitare Bela Lugosi nemmeno volendo. Ma perché volere, poi? Pur avendo un cuore che palpita per Christopher Lee, il Conte di Lugosi è una goduria. Oscuro, silenzioso, lento. Lontano anni luce da quello a cui siamo abituati, alla frenesia, alla lunghezza, al suono incessante. Il film di Browning e il suo protagonista entrano dentro come ospiti silenziosi e aprono le porte alla meraviglia che viene dopo.
Se volessimo andare in un rigoroso ordine cronologico, dovremmo specificare che non è con Dracula che si è aperta la gloriosa stagione dell'horror di Carl Laemmle e soprattutto del figlio, i boss Universal, è stato solo il mio battesimo. Prima di lui c'è stata tutta la fase Lon Chaney, che forse affronteremo più avanti, quando me la sentirò ancora più calda di così.

Nel 1931, però, non è stato solo Bela Lugosi ad abitare gli incubi degli americani. Nello stesso anno usciva il film che, insieme al suo sequel, è stato la mia motivazione a scrivere questo post. Niente è più stato lo stesso, per me, dopo Frankenstein e, soprattutto, dopo La moglie di Frankenstein. 
Ci sono mille motivi per cui una persona ama tanto l'orrore, e se ascoltate chi ha voglia di raccontarvelo, non sono quasi mai i litri di sangue e gli sgozzamenti. A quelli ci siamo solo abituati. Il cinema di genere ha un modo che è solo suo di parlare della realtà con una sincerità che spesso ai drammi o alle commedie manca. Il ritratto dell'umanità che esce da certi film che vengono snobbati in nome del loro genere è così profondo, e genuino, e sincero, che guardarli aiuta a leggere la realtà molto meglio di quanto faccia leggere un bell'articolone sul quotidiano. (Cosa che comunque raccomando di fare). Dietro la storia agghiacciante e spaventosa c'è il mondo reale, e a volte è così difficile affrontare il ritratto onesto che ne viene fatto che è più facile snobbare. I due film di James Whale sono un modo così spietato di mostrarci quello che siamo che risuonano più forte di uno schiaffone. Non che il resto della sua cinematografia sia da meno, non fraintendetemi, ma c'è un livello in questi due film che è difficile toccare. Il ritratto di una Creatura così imponente e fragilissima insieme, che nasce priva di sovrastrutture e influenze e diventa violentissima come conseguenza del modo in cui è stata trattata è così spaventosamente attuale che 90 anni dopo ancora dobbiamo interiorizzarli, certi concetti. Il criminale che viola la legge per colpa della società in cui è inserito è ancora una follia agli occhi di qualcuno. Che siamo tutti responsabili, è impensabile. 
Eppure, 90 anni fa, in film che avrebbero potuto parlare solo di mostri, ecco che si ripete spesso la scena della folla in piena isteria, con le fiaccole, le armi. Ed eccolo lì, il circolo vizioso di cui ancora ci sporchiamo dopo così tanto tempo: io, spaventato, attacco te, fragile, e insieme creiamo la criminalità. Non è colpa mia, non è colpa tua, sa soltanto quello che non è (cit). In quasi i tutti i film Universal c'è lo scontro tra il villaggio inferocito e ferito dalle proprie perdite e la creatura mostruosa inconsapevolmente violenta. Ed ogni volta è uno scenario desolante. Non è un caso che la sola persona a non essere terrorizzata dalla Creatura sia un non vedente: non c'è percezione della diversità e pertanto la diversità non esiste. O ancora, nella mitologica scena della bambina, non c'è paura della Creatura, non incute timore per il suo aspetto. Il sorriso che Karloff tira fuori in quella scena lì fa un effetto al cuore che non so spiegare. 
I cattivi, in queste storie, sono gli arroganti: coloro che mettono se stessi al di sopra degli altri, coloro che si ritengono superiori. Non solo gli scienziati in generale, come potrebbe sembrare. Sono coloro che mettono il proprio ego e la propria soddisfazione al di sopra del bene collettivo, del buonsenso, dell'umanità stessa. Henry Frankenstein è rimasto per sempre orgoglioso del suo successo, nonostante tutto. Pretorius lo istiga, lo stimola, lo mette sotto pressione, nel sequel, ma entrambi sono gonfi di se stessi dalla partenza. Non è mai una discesa verso la follia. Frankenstein si apre con due persone che profanano una tomba, non è certo una partenza delicata. Quello che succede, invece, è che il durissimo ritratto della vita della Creatura sovrasta tutto il resto. Le vessazioni perpetrate da Fritz nei confronti del mostro sono quasi insostenibili da vedere: un mondo in cui il debole per sentirsi meglio se la prende con il più debole è un mondo difficilissimo in cui vivere, figuriamoci da ritrarre.
E invece Whale lo fa, con una sensibilità e un'onestà che lo elevano al rango dei Grandi. 
E Karloff ci regala un personaggio che non è solo diventato una grande icona popolare blablabla. Ha parlato con le mani e gli occhi, ha commosso, emozionato, estasiato. Il suo corpo, instabile e furioso, ha parlato molto meglio di quanto avrebbe fatto con la voce. 
E nel caso in cui qualcuno se lo stesse chiedendo: sì, piango tanto con i Frankenstein di Whale, piango un casino che proprio poi mi fa male la faccia. Sono film di un bello che non ci crede.


Questi film sono stati così significativi che quello che Universal ha creato dopo ha sfruttato tutti i loro elementi di forza: la scienza che quando fuori controllo diventa follia, per esempio, come ne L'Uomo Invisibile, sempre di Whale. Meno emotivo di F. ma sicuramente altrettanto forte, è un impietoso ritratto di cosa diventiamo quando qualcosa ci sfugge di mano. E ancora, folle impaurite, la voce inconfondibile di Una O'Connor, e la disturbante (vinco qualcosa ogni volta che lo scrivo? la parola più odiata del web) risata che compare dal nulla.
Meno efficace, ma solo per gusto personale, la saga de La Mummia, che ha comunque i tratti ormai distintivi Universal.
E infine, negli anni 50, un ritorno a quell'emotività che era così significativa in Frankenstein, con la creazione de Il mostro della laguna nera. 
Non c'è uno solo di questi film che non valga la pena vedere. In un'epoca che sembra di un altro pianeta, da quanto ci è lontana, Universal ha tirato in piedi, con i suoi nomi iconici, film dove si mette in dubbio l'efficacia della scienza, l'erotismo, un'omosessualità velata, l'ignoranza, la paura, la desolazione, la solitudine. 
Dopo 90 anni, non siamo cambiati di una virgola, e niente mi spaventa più di questo.

lunedì 29 settembre 2014

Aspettando AHS Freak Show: Freaks

16:58
(1932, Tod Browning)


Il 7 ottobre è il mio compleanno.
Il giorno dopo c'è la premiere di American Horror Story: Freak Show.

E da queste parti non crediamo alle coincidenze.

Io non ve lo dico nemmeno quanto sto in fissa per questa nuova stagione.
'Na malattia.

Il C I R C O.
Se non facessero un buon lavoro non li perdonerei mai. (Anche se, sinceramente, non mi hanno mai completamente delusa)
Mi hanno già conquistata.
Sono bastati 20 teaser trailer.
Che trovate qui.

Siccome bisogna arrivare preparati, tutti i miei post fino a quel giorno felice saranno sul circo.
O meglio, sugli horror che ruotano intorno al circo.
Il che rappresenta la fusione tra due delle cose che mi affascinano di più al mondo.
Quando si tratta di circo io non capisco più niente. Ritorno bambina in un secondo. Mi attrae in maniera assoluta, dai costumi, ai talenti, agli animali (discorso controverso, lo so), ogni cosa. Un mondo così lontano dal mio, che sono così sedentaria e tradizionalista e assolutamente imbranatissima a fare qualsiasi cosa comprenda l'agilità del corpo, che non può che esercitare su di me un fascino magnetico.
E chiaramente sì, il Circo de los horrores me lo sono persa.

Da quale film potevo iniziare, se non dal re magno, dal capostipite, dal dio incontrastato, dal sovrano amatissimo di tutti gli horror circensi?

Protagonista di Freaks è Hans, persona affetta da nanismo che si innamora perdutamente della trapezista Cleopatra, la quale invece è intenzionata a sfruttarlo solo per il patrimonio da lui ereditato.

Una volta terminato il film, la prima cosa che mi è venuto spontaneo fare è stata cercare delle informazioni sugli attori. Ho letto che Hans e Frida erano fratelli, che Josephine Joseph (la persona per metà di genere femminile e metà maschile) si è sempre dichiarata (dichiaratA in quanto personA, non saprei che genere attribuirgli per parlarne) ermafrodita, ma che non esistono prove a conferma di questa affermazione, ho letto che l'uomo bruco era molto colto.
Ma tra tutte queste informazioni francamente poco importanti, quella che più mi ha colpito è una, ed è in comune per tutti i freak. 
Quelli del film sono i loro veri nomi.
Le gemelle siamesi si chiamano davvero Daisy e Violet. Josephine Joseph è il nome con cui l'ermafrodita si faceva chiamare abitualmente. Il ragazzo senza gambe era davvero Johnny e
Schlitzie interpretava se stesso.
E tutti loro, tutti, lavoravano realmente nei freakshow.

E la consapevolezza di quello che avevo appena visto mi ha preso come uno schiaffo in viso.
Non abbiamo visto un film.
Per quanto si parli di finzione, per quanto la trama sia stata inventata per crearci una storia, noi abbiamo visto persone REALI riportare su uno schermo quella che davvero era la loro vita.
Perché DAVVERO queste persone venivano guardate nei circhi, puntate a dito, davvero suscitavano reazioni di orrore e disgusto.
Perché DAVVERO esistevano i freakshow.


Sapete, è facile parlarne oggi.
Abbiamo una consapevolezza diversa, una cultura diversa, una società diversa.
Ci piace definirci evoluti, saggi, aperti.
Oggi la chiameremmo disabilità.
Ma comunque continuiamo ad utilizzare un termine che rende automaticamente queste persone diverse. Ancora oggi le mamme che scelgono di portare avanti una gravidanza una volta conosciuta una disabilità nel feto vengono guardate dalle altre come 'Che brava donna, ma come farà? Ma che vita gli darà?'.
Hans e Frida erano fratelli. Figli di una stessa madre che ha dovuto crescere più figli disabili nello stesso momento. Figli di un tempo in cui l'aborto non era possibile, e avere figli con dei problemi non era una scelta.
Oggi lo è, eccome.
E sia chiaro che con questo non mi dichiaro antiabortista, anzi.
Sto solo riflettendo a 'voce alta' su quello che siamo oggi rispetto a quello che eravamo 80 anni fa.

Mi fermo poi a pensare ad un altro aspetto.
Io ho la fortuna di essere nata in salute, senza malattie che mi deformassero.
E già così il pensiero di espormi in un film, o anche solo il pensiero di partecipare ad una trasmissione televisiva, o anche solo di parlare a voce troppo alta in un locale e far girare le persone, mi angoscia.
Questione di carattere, certo.
Ma, proprio per il mio carattere, mi chiedo: cosa ha spinto queste persone a partecipare ad un progetto come quello di Freaks?
Ok, erano tutti abituati per via delle loro partecipazioni ai vari circhi, ma cosa ti porta a esporti così?
Erano consapevoli della volontà di critica sociale del regista?
Volevano mandare un messaggio?
O, semplicemente, sognavano una carriera come attori?
Alcuni di loro, il già citato Schlitzie, per esempio, pare avessero anche un grave ritardo mentale.
Quindi mi chiedo: com'è successo? Come si sono trovati tutti lì?
Perché una persona con una problematica tanto grave è stata sottoposta a questo?
Ho mille domande, davvero.
Magari sono stati tutti trattati con i guanti, badate bene che la mia non vuole essere un'accusa.


Ma la cosa che rende questo film GRANDE, lo sapete qual'è?
Che i freaks possono essere cattivi.
Browning non si nasconde dietro un misero velo di compassione, e soprattutto non nasconde loro. (Ma nemmeno li espone come fenomeni da baraccone, appunto, ci sono e basta)
Gli esseri umani, di qualsiasi colore, forma, genere, possono essere persone meravigliose, generose, pure di cuore.
Oppure possono essere crudeli, vendicative, opportuniste.
Oppure, cosa molto più probabile, possono essere piene di sfumature appartenenti all'una o all'altra caratteristica.
Perché siamo PERSONE.
E quando questo termine diventerà l'unica etichetta di cui ci vestiremo, allora avremo raggiunto l'apertura mentale di cui già ora ci stiamo facendo vanto.
Tod Browning, invece, l'aveva capito 80 anni fa.

E ci ha sbattuto in faccia un film fortissimo (e chissà quanto lo era prima dei tagli violenti della censura) per farcelo capire, senza paura delle conseguenze.
Se ancora oggi il personaggio di colore è sempre il primo a morire nei film, pensate a quanto ha scioccato il mondo quest'uomo più o meno quando sono nati i nostri nonni.

Infine, tornando ad American Horror Story, ho capito finalmente dove hanno preso l'ispirazione per Pepper, che, guarda caso, ritroveremo in Freak Show.






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