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sabato 14 maggio 2022

Gli anni '30: Tod Browning in MGM - Freaks e gli altri

18:12
Passare attraverso gli anni '30 e ignorare Freaks è immorale, mi vengono a cercare a casa. 
Lo scorso 12 febbraio, il mitologico film di Tod Browning, quello con cui si è giocato la carriera, ha compiuto 90 anni, e resta il film più chiacchierato nell'ambito dell'analisi cinematografica in relazione alla crip theory. Se si parla di disabili al cinema, si parla di Freaks.
Prima di parlare di lui, però, c'è da raccontare come è venuto al mondo.




 MGM prima di Tod Browning


La più canonicamente "star-driven" casa cinematografica di sempre, Metro-Goldwyn-Mayer, nacque nel 1924 con un intento preciso: rendere il cinema il più democratico possibile: non riservato ad un'elite borghese ma nemmeno vincolato alla parte più bassa della popolazione. Obiettivo di casa MGM era un cinema "pulito", aperto, che semplicemente non offrisse a nessuno la possibilità di obiettare. 
Una volta, una, che i poveretti decidono di osare e Browning gli fa, letteralmente, il circo.
Con il tempo sarà la casa considerata responsabile della carriera di mostri sacri del genere come Greta Garbo, Buster Keaton, Elizabeth Taylor...in poche parole, quei volti che oggi associamo all'epoca d'oro di Hollywood. Era la casa con "all the stars in the heaven".
Due erano i nomi principali di MGM: Louis B. Mayer e una nostra vecchia conoscenza, Irving Thalberg. Thalberg lo abbiamo incontrato parlando di Universal, dove ha contribuito a dare una casa ai mostri. In Universal si è fermato per poco tempo, sostituito dopo la sua partenza da Laemmle Jr, ed è passato in casa Mayer. L'abbiamo visto qualche post fa, Thalberg è finito al cinema un po' per caso, per colpa di una madre asfissiante che se lo voleva tenere vicino a casa e si è rivelato uno dei geni del suo settore. Mayer, invece, figlio di immigrati russi, arriva al grande successo partendo da un piccolo nickelodeon acquistato con i risparmi. La loro relazione è stata per tutta la loro carriera condivisa un tumulto di emozioni e sconti, c'è un (bellissimo come sempre) episodio del podcast You must remember this che li ricorda tutti quanti. 
Già negli anni '30, poco tempo dopo la sua nascita, la casa si pregustava un futuro roseo. Ebbe, effettivamente, un momento di gloria duraturo, proprio nel periodo in cui l'idea di Freaks iniziava a fare capolino, ma il suo declino iniziò con il secondo dopoguerra. Nei decenni successivi ha contribuito alla nascita di alcuni fenomeni straordinari (uno su tutti 2001: Odissea nello spazio), ma ha da tempo dimenticato lo sfarzo dei suoi primi decenni.


Tod Browning prima di MGM


Anche Browning non è un nome nuovo nella rubrica. A lui dobbiamo la nascita dell'horror soprannaturale come lo conosciamo e amiamo, con il suo Dracula. Forse il film di cui gli è sempre importato meno, ma di cuiimporta a noi e tanto basta. Oggi, però, lo conosciamo fin da giovane.
Charles Albert Browning, Tod per noi, ha 16 anni e scappa di casa. Per maltrattamenti, vi chiederete? Per passione? No.
Aveva conosciuto una bella signorina che lavorava in un circo.
Come l'ormonale sedicenne che sarà stato, lascia tutto e tutti per darsi alla vita circense, e dentro allo spettacolo si fa fare ogni cosa: fa il clown, lo stalliere, la qualunque. Dategli due robe da mangiare e si fa anche seppellire vivo. Un classico adolescente, che più classico non si può.
Pensate cosa può avere significato essere un adolescente al circo nel momento in cui cinema e circo iniziano a fondersi, creando uno spettacolo tutto nuovo. Stava nascendo il nuovo intrattenimento per il popolo, e la tradizione del circo stava pian piano andando perdendosi.
A contribuire alla nascita della carriera di Browning fu quel regista di cui in questa rubrica non abbiamo parlato: quello che faceva i film razzisti molto molto muti e molto molto molto lunghi. Gli fa fare qualche piccolo ruolo qua e là, e pare sia stato lui a fargli conoscere Thalberg: l'inizio della carriera vera e propria. 
Nel muto fa così tante cose che alcune le abbiamo perdute (uno su tutti il mitologico London After Midnight, con Lon Chaney), e pian piano segue Thalberg nei passaggi tra le case cinematografiche. L'uscita di Dracula è la svolta: ok che del film gli importava poco e nulla, ma ho come la sensazione che del suo straordinario successo, invece, gli sia importato eccome. La valanga dell'universo dei mostri ha letteralmente salvato la vita di Universal, figuriamoci le possibilità che derivano da qualcosa del genere. 
Le testimonianze di chi ha lavorato con lui non sono lusinghiere: sembra che Browning fosse freddo, scostante, quasi al limite della costante maleducazione. Non si parla di lui con affetto, non è uno di quei nomi che commuove al ricordo. È particolarmente interessante che la sua collaborazione più longeva sia stata proprio con Chaney, di cui si dicevano le stesse cose. Hanno fatto dieci film insieme, e non sono mai diventati amici. Si stimavano, pare. Sembra che ogni volta che Browning dovesse lavorare con qualcuno di diverso dall'Uomo dalle mille facce finisse sempre per dire che Chaney l'avrebbe fatto meglio, ma non c'è alcuna testimonianza di un'amicizia, il che fa soffrire noi amanti della bromance. 
Sarebbe stato adorabile invece erano due scorbuticoni che volevano solo parlare di gambe mozzate e gobbe sulla schiena. Certo, poiché ne parlavano così bene, ce lo faremo bastare.


Il trio infernale


Quindi, dicevamo, Dracula e tutti i soldi che ha fatto. 
MGM li ha guardati con la bavetta alla bocca, poi li ha indicati col ditino e ha chiesto a Browning: "Anche noi, anche noi!"
E lui, serafico: "Mi fate fare come dico io? Voglio adattare ancora (dopo quel trio infernale del titolo, n.d.R.) un racconto di Robbins, dai."
E loro, con gli occhi a dollarone come Paperone: "Ma certo caro si accomodi, le apriamo la porta, un caffè? Gradisce una penna fatta di pelle umana per firmare?"
E lui firma, e affonda.
Freaks, una semplice storia di un amore non ricambiato e di una vendetta amara, non è solo il più grande scandalo della sua epoca, è una scalata verso l'inferno, verso il dimenticatoio in cui ha cacciato il proprio regista. MGM sopravvive alla botta, Browning no.
Il film esce il 12 febbraio del 1932, prodotto e creato alla velocità della luce nella speranza di cavalcare l'onda del successo di quel vampiro là, e prima ancora che esca, le prime polemiche: un montatore esausto all'idea di dover continuare a vedere gli attori disabili, gente che litiga in mensa per non mangiare con loro, quel Louis Mayer di cui sopra che se appena avesse potuto avrebbe ammazzato di botte Thalberg per aver permesso questa oscenità, Thalberg sereno che dice "Va beh gliel'ho chiesta io la mostruosità, non è che adesso posso tirarmi indietro.". Un caos, un caos.
Poi il film lo fanno vedere in anteprima. Genera un mormorio così potente che una tizia li vuole denunciare per averle causato un aborto. Esce comunque in sala, ma le premesse non sono buone. In periferia va benino, ma sono le grandi città ad essere significative, e lì è un flop di proporzioni epiche: la gente, sto film, non lo vuole vedere. La gente voleva sì i mostri, ma solo quelli finti. A Tod nessuno aveva dato il post it con l'informazione. Manco i suoi stessi interpreti lo ricordano con affetto: nella biografia delle gemelle Hilton, le ragazze siamesi, l'esperienza non è mai nemmeno citata. 
Censurato, ritirato, boicottato, direttamente proibito in diversi Paesi: è quasi un miracolo che ne siano sopravvissute delle copie, peraltro in ottime condizioni. 
Oggi, che lo guardiamo con la santa distanza che ci offre il tempo, è facile capire che idea difficile abbia avuto, il Nostro. Ha deciso, nel '32, di mettere in discussione tutto ciò che era familiare. La famiglia, il corpo, la salute. 
Freaks è prima di tutto un film d'amore, ma quell'amore qua non lo aveva ancora mai ritratto nessuno. O meglio, si apre con un amore familiare: Madame Tetrallini porta alcuni dei suoi compagni di viaggio in un parco che sembra all'aperto e invece è proprietà privata. Quando viene redarguita, si abbraccia i suoi piccoli e lo spiega: sono solo bambini. Questa, la tutela che l'umanità ha nei confronti dei più piccoli, anche se diversi, viene mantenuta, e il rimprovero ritirato. Ma da quel momento in poi, tutte le convenzioni sociali vengono prese e accompagnate alla porta: stiamo entrando al circo e qui le vostre regole non contano. Quelle tra i membri della compagnia sono relazioni comuni e pertanto uniche, come lo sono tutte. Le sorelle siamesi hanno due partner diversi, e bisogna discutere della situazione di alloggio. Si vive in quattro? Mi diventa un poliamore, così? Spiattellato nel '32? E ancora, l'amore fraterno, quasi genitoriale, del clown verso quelle che oggi sono note come le sorelle Pinhead. Infine, la relazione tra Hans e Cleopatra, il centro del film. Cleo è la magnifica trapezista, Hans il ricco nano che lei prima conquista e poi cerca di avvelenare per tenersi l'eredità. Scombinando completamente i ruoli del racconto, in cui il cattivo è Hans che si vendica della moglie per sempre, il film prende una posizione netta nel mettere i normodotati tra i cattivi. Cleo non è cattiva solo perché ha un piano omicida, lo è ben prima. È crudele, passa le giornate a ridicolizzare le persone che la circondano e che si guadagnano da vivere esattamente come lei, espone l'affetto che riceve alla pubblica gogna, non nutre alcun interesse per i sentimenti altrui, è egoista e superficiale. Non c'è mai alcun dubbio, in Freak, su come siano distribuiti i pesetti sulla bilancina della moralità. Infine, l'adorata Frieda, che tanto ama il suo Hans ed è costretta prima a perderlo e infine a vederlo soffrire. Lei è l'amore più pulito, privo di desiderio di possesso, quello che è raccontato nelle storie migliori. Non rimprovera Hans di averla lasciata, per quello lo perdona. Non le importa che ami un'altra. Le importa solo che quest'altra non lo ricambi, lo umili, lo sfrutti. Ogni volta il cuore distrutto, per Frieda, così genuina, in un film che è pieno di sporcizia dell'anima.
Eppure, questi sono disabili la cui rappresentazione è ancora oggi una delle più studiate e chiacchierate di sempre. Il fatto che siano Cleo e il suo amante Hercules i cattivi della storia non rende gli altri dei pikkoli anceli. Quello che fa Browning è dare loro un arco narrativo completo, che lo so che oggi è il minimo sindacale che ci aspettiamo, ma diamo a TB il merito di averlo fatto per primo. Sono persone che subiscono un grosso torto e una brutta umiliazione, e in quanto tali si vendicano, in una delle scene che ancora oggi è tra le più forti che il cinema dell'orrore ci abbia mai regalato. Se non avete mai sognato i ragazzi incazzati neri scendere sotto la pioggia dal carro in fiamme non abbiamo gli stessi riferimenti culturali ed è davvero ora che vediate Freaks.
Il suo finale è interessante e spunto di riflessioni infinite: la punizione per Cleo è quella di diventare davvero one of us, una di noi, come le cantavano durante il banchetto nuziale che tanta rabbia le ha scatenato. Ma essere disabili non è una punizione, oggi lo sappiamo bene e chi si occupa di disability studies fa un lavoro immenso nel portare avanti una concezione diversa del corpo disabile. Lungi da me voler davvero applicare la consapevolezza di oggi ad un film di 90 anni fa, ma è pur vero che di questo film non si è mai smesso di parlare anche per questo.
Quello che fu problematico all'epoca fu l'uso di persone reali, con corpi reali. Era accettabile uno zoppo solo se era Lon Chaney, che finito di girare tornava a camminare normalmente. Anzi, gli si diceva pure che era eccezionale (lo era, ovviamente) perché si riduceva il corpo a brandelli pur di diventare diverso da com'era. Loro, diversi, lo erano davvero, e pertanto non più accettabili. 
Il famoso claim di The last house on the left, "Keep repeating it's only a movie", qui non valeva: non era only a movie. 
Paradossalmente, però, il film si chiude quasi su una chiave rincuorante per i ripugnanti fan dell'eugenetica dell'epoca: i freak restano solo tra di loro, ogni apertura al mondo di noi splendenti normodotati non è buona cosa, che si richiudano al circo. È questa forte componente controversa che fa di Freaks uno dei film più famosi di sempre. Non sapremo mai, con immenso dispiacere, se la mezzora di film che la censura ci ha tolto per sempre, avrebbero dato più chiarezza a queste questioni. Quello che possiamo dire è che Browning, con quello che ha potuto fare, ha costruito qualcosa che non solo sta perfettamente in piedi con una parte gigantesca tranciata via, ma che ha saputo usarla per lasciare il segno per sempre. 
Nonostante la spaventosa caduta sul sedere che è stato questo film, MGM dà a Browning un altro paio di possibilità, e quello non si fa scappare la chance di mettere tutti i suoi temi per un altro paio di volte all'interno del cinema dell'orrore. I film sono The mark of the vampire nel 35 e The devil doll l'anno successivo. Il primo fa un pochino quello che non aveva potuto fare con Dracula: riporta i toni su quelli della commedia nera, e torna ad utilizzare quello che ormai in casa Redrumia è l'escamotage da Gatto e Canarino, ovvero riporta al razionale eventi soprannaturali. In questo caso lo fa con una coppia di vampiri (in cui naturalmente il conte è Lugosi, perché davvero questo ha rifatto Dracula ma in una casa diversa) che però forse vampiri non sono perché dai, i vampiri non esistono, no? No? The mark of the vampire visto oggi suona un po' come una presa in giro a quel suo successo strepitoso che lui ha così poco amato, con tanto di animaletto appeso per aria con il filo visibile e tutto il resto. Resta però una visione non solo molto godibile, ma sinceramente molto divertente. 
The devil doll invece mi ha fatto cadere dal pero perché è un adattamento di Brucia, strega, brucia!, romanzo che ho letto all'inizio dell'anno e che mi aveva deliziata. Non solo, ma è un film con un numero infinito di riferimenti al suo precedente Il trio infernale. Anche in questo caso ritornano tanti temi familiari al nostro, ma soprattutto, per restare in tema, il suo attaccamento al tema della famiglia e il suo giocare con i generi. Ci sono uomini che si vestono da donne, nel cinema di Browning, perché la sessualità ma anche l'identità di genere sono messe in discussione in un'epoca in cui forse nemmeno si sapeva della loro esistenza. In Freaks c'è un personaggio che è un ermafrodita perfetto, ne Il trio infernale un adulto che si finge un bambino, e di nuovo in giro per il suo cinema: una potenziale relazione poli, accenni costanti manco troppo velati all'incesto, all'impotenza, alla frustrazione sessuale.
Browning parlava della sfera sessuale con una sfrontatezza che forse il cinema non ha più toccato, ma che di sicuro nessuno aveva mai toccato nelle sale dorate della Hollywood della Golden Era, solo pochi secondi prima dell'entrata in vigore di un codice che in nome di una morale presunta avrebbe tarpato le ali di chi aveva molto da raccontare.
Chissà cosa ci avrebbe raccontato ancora Tod Browning, se solo la gente avesse avuto il coraggio di guardare in faccia la diversità, se non si fosse nascosto l'abilismo più spietato dietro i sorrisi bianchissimi dei benpensanti, se ci avessero insegnato fin dalla notte dei tempi che cosa sono e come sono fatte le persone, tutte quante. 


Per approfondire il tema Freaks e rappresentazione della disabilità al cinema: 
(link affiliati)



venerdì 6 maggio 2022

Gli anni '30: White Zombie e l'origine dei ritornanti

17:29
In questi primi due decenni di ricostruzione della storia del cinema dell'orrore abbiamo visto quasi tutte le creature che ci accompagneranno per tutto il percorso: demoni, streghe, vampiri, scienziati pazzi...
All'appello, però, insieme ad altri amici che conosceremo settimana dopo settimana, mancano i più politici di tutti: gli zombie. 
Questo perché fino al 1932, anno di uscita di White Zombie, dei ritornanti non si era ancora parlato, o almeno non nei termini che utilizziamo ancora oggi.
Oggi, quindi, vediamo insieme la storia e le conseguenze di un film piccolo e anche un po' odiato, una delle rarissime incursioni di casa United Artists nel mondo del cinema dell'orrore.


manco la faccio la gag per farvi indovinare di chi siano sti occhi da ossesso



Le origini del mito


Mi verrebbe fin troppo facile riassumere la nascita della figura dei morti viventi con un semplice "i bianchi fanno schifo", ma è un po' come dire che l'acqua è bagnata ma non spiegare perché disseta, quindi mi impegno un po' di più. 
Per quanto il concetto di ritorno dalla morte sia effettivamente parte di più di una cultura, è all'Haiti del diciassettesimo secolo che dobbiamo la figura dello zombie il più simile possibile a quella che intendiamo oggi. E dico che i bianchi fanno schifo perché naturalmente Haiti era una colonia francese. E colonia = schiavitù. E schiavitù = metodi diversi di gestire l'immensità della situazione da parte delle persone che la subivano. Nascono credenze popolari, suggestioni, che vogliono la possibilità del ritorno dalla morte come qualcosa di tutto fuorché positivo. Chi moriva e poi tornava lo faceva in uno stato di totale assenza dell'anima: a tornare erano solo i corpi. Questo portava ad una maggiore oppressione, una totale cessione del corpo al volere dell'altro. Se non esisti come umano ma solo come corpo sei maggiormente comandabile, la sopraffazione su di te è totale. Lo zombie, quindi, è il frutto della paura più grande, della peggiore delle realtà possibili. Il più rappresentativo simbolo dell'ingiustizia sociale.

Non ci sono molte fonti riguardanti la figura del ritornante precedenti la Rivoluzione Haitiana, quella per l'abolizione della schiavitù e la liberazione dal governo francese, avvenuta tra il 1791 e il 1804. Sappiamo che la parola compare per la prima volta nel 1697, in un testo autobiografico di Pierre-Corneille Blessebois (non chiedetemi mai quante volte ho fatto un controllo sul modo corretto di scrivere il suo nome), intitolato Le Zombi du Grand Pérou, considerato oggi il primo romanzo coloniale francese. 
Dopo la Rivoluzione, le condizioni di vita ad Haiti non sono migliorate, almeno per i membri delle classi inferiori (una grande sorpresa per nessuno): politica instabile, differenze di classe, leader affamati di potere. Il risultato è che la schiavitù è stata sì abolita, ma non la supremazia dei ricchi sui poveri, che restano pesantemente controllati. Fu inevitabile, poi, l'interessamento degli Stati Uniti verso una nazione fragile ma ricchissima. Nel 1910 gli USA ottengono il monopolio economico della nazione, e il resto è storia. 
È dopo la Rivoluzione che lo zombie di Haiti diventa parte della religione Voodoo e non solo elemento folkloristico: sono gli sciamani , gli stregoni chiamati bokor, a crearli, di nuovo per far svolgere loro mansioni di varia natura. 
Per i poveri morti non c'è pace.

Punto di svolta nella narrazione degli zombie haitiani arriva nel 1929: William Seabrook, noto occultista americano, pubblica un testo che è un resoconto di un periodo trascorso sull'isola, The Magic Island, oggi accreditato come principale ispirazione per il film di cui, giuro tra poco, parleremo. Nel testo accenna a loro come a soulless human corpses, cadaveri umani senz'anima. Racconta di pratiche Voodoo, di stregoneria, di pozioni con erbe e incantesimi. Non ne parla con toni negativi, non le paragona a pratiche primitive e superate, ma piuttosto come di un elemento spirituale molto potente e sentito, a suo dire perduto nella comunità da cui proviene, gli Stati Uniti. Parla però anche di lavoratori defunti, ma non nel senso di morti bianche: proprio di morti che continuano a lavorare. Gli viene offerta la possibilità di conoscere "uno zombie", opportunità che il nostro coglie felicemente. Pare lo abbiano direttamente portato in una sugar factory, tanto lo zombie stava di turno.
È questo testo che porta alla nascita del film, e sarà il film a creare l'immaginario intero degli zombie che ci portiamo ancora appresso. La figura del ritornante non prende subito piede, però: dopo il film del '32 c'è un sequel, quattro anni dopo, e infine i tentativi di Tourneur nel decennio successivo, ma si tratta di tentativi sporadici, non di un filone vero e proprio.
Per quello ci tocca aspettare Romero.


Il film


Ormai, grazie anche al lavoro di Seabrook, il pubblico conosceva il concetto di ritorno dalla morte: perché non lucrarci su? Il primo tentativo arriva nel '32. L'horror sta facendo soldi buoni, è un rischio tutto sommato limitato. 
I fratelli Halperin hanno un budget limitato (50mila dollari), qualche studio a disposizione, la presenza (tutto sommato economica, con grande rimpianto dell'attore) di Bela Lugosi e la possibilità di girare solo di notte. Si portano a casa il film in poco più di 10 giorni. Haiti all'epoca entrava nel diciassettesimo anno di occupazione americana ed è proprio durante l'occupazione che il film è ambientato. Racconta di Madeline e Neil, una coppia felicemente in procinto di sposarsi, proprio ad Haiti, in prossimità della piantagione di proprietà di Charles Beaumont. Beaumont, però, è follemente innamorato di Madeline ed è disposto a tutto per averla tutta per sé. Bisogna sempre stare attenti a quello che si desidera, però, perché ad aiutarlo c'è Murder Legendre, il personaggio di Lugosi, che ha tutto fuorché buone intenzioni.

Oggi riconosciuta come una delle rappresentazioni più fedeli dello zombi in senso haitiano, il film fa un buon successo di botteghino ma non di critica: viene quasi all'unanimità criticato principalmente per le interpretazioni, il che a me oggi fa un po' ridere perché uno è Lugosi e l'altra una zombie, viene da chiedersi cosa ci si aspettasse. Non solo, il film fa un grande uso dei silenzi, che mi ha nostalgicamente riportato ai giorni del cinema muto, e secondo me ci gioca molto bene, con una recitazione che rimandando agli antichi fasti non è certo debole. Ma questa è solo un'opinione mia. 

Quando si dice che il film parla bene degli zombie di Haiti è perché è principalmente un film che parla di schiavitù. Nonostante il focus sia su Madeline e l'amore malato che Beaumont prova per lei, il problema vero è che l'intera piantagione è sostenuta da zombie. C'è una scena agghiacciante di una morte sul lavoro che fa impallidire il cinema drammatico di oggi. Gli zombie sono ripresi sul lavoro, mentre silenziosi, lenti e obbedienti, creano la ricchezza di Beaumont. La morte del loro compagno non è nemmeno vista, si prosegue nella fatica come se nulla fosse successo. Nel senso più tradizionale dello zombie, questi non sono morti e ritornati, sono vittime di un incantesimo che li annienta e li rende solo corpi lavoratori. Il film è uno specchio del colonialismo americano e dei suoi disastri. 

Leggenda vuole che la distribuzione del film abbia invitato i singoli esercenti a utilizzare cittadini neri, preferibilmente in abiti tradizionali, se poi per favore possono anche cacciare qualche urlo animalesco, grazie, ci fareste molta pubblicità. Andarono così spietatamente contro tutto quello che il film così aspramente criticava. Voleva essere un modo per lanciare questa storia di magia nera, è stato solo l'ennesimo caso di lurido razzismo. Anche in questo caso, sorprendendo nessuno.
Ancora più agghiacciante per lanciare proprio un film che fin dalle sue prime scene mostra che il mostro è l'oppressore. Quando la coppia sta arrivando a destinazione subisce una brusca battuta d'arresto: in mezzo alla strada c'è un funerale. 
Alla richiesta di spiegazioni, l'autista della carrozza (si chiamano autisti anche se guidano le carrozze?) racconta che le persone del luogo sono costrette a seppellire i propri morti per la strada, dove passi sempre gente, per paura che qualcuno (aka il bianco oppressore del cazzo) se li vada a riprendere.
Come poi gli americani siano riusciti anche a rovinare il lancio di questa roba mi è inspiegabile. Non ce la fanno manco se glielo disegni. 

Siamo molto lontani dallo zombi a cui devi sparare in testa, da quello che parla di società e capitalismo, da quello che diventa narrazione della malattia e del fine vita. Certo, lenti son lenti anche questi.
Quello che abbiamo, però, è un amarissimo ritratto dello sfruttamento, dell'oppressione, della schiavitù, della totale disumanizzazione dello schiavo, di una società capace di prendere un'intera fetta dell'umanità e trasformarla in vegetale a proprio piacimento. Gli esseri umani qui sono macchine da lavoro, bestie da soma, vuote di occhi e di voce. Naturalmente allo stesso modo sono trattate le donne: Madeline è oggetto del desiderio malsano di Beaumont, a cui poco importa del contenuto: il guscio è bello e lo voglio io. Quando capisce che gli esseri umani sono qualcosa di più non è solo troppo tardi, è pure limitato: non posso andare a letto con lei, non vedi che è vuota? Lo schiavo no, quello tienilo che mi occorre ancora. 

In barba alle sue critiche, per me White Zombie è fondamentale, durissimo, angosciante. 
È pubblico dominio, non avete scuse: lo trovate qui.




Le fonti di questo post:
(come sempre, asterisco significa link affiliato Amazon, grazie se lo userete!)

Fay, Jennifer, Dead Subjectivity


domenica 10 aprile 2022

Gli anni '30: la rivoluzione Dracula

19:45
Smetterò mai di sentirmi in soggezione nel parlare di cinema dell'orrore? Spero di no, perché è il mio modo di pensare al bene che gli voglio. 
Nel post precedente avevo preannunciato che avrei diviso i due mesi dedicati agli anni '30 per studios, e se così deve essere non posso che partire dalla scelta più ovvia: Universal. 
Tutto il mese di aprile, quindi, lo passeremo in compagnia dei primi veri franchise della storia, e di tutti quei personaggi che, ridendo clamorosamente in faccia al passare del tempo, non solo continuano a vivere indisturbati nell'immaginario di un mondo intero, ma che sono quelli che quello stesso immaginario lo hanno creato, ponendo le fondamenta per tutto quello che verrà costruito.
Sono la mitologia dell'orrore, un'Olimpo di nomi e volti che per fama e ruolo nella storia viene da mettere al pari solo di Babbo Natale, o Topolino. L'inizio di un nuovo modo di guardare, immaginare e soprattutto creare le storie dell'orrore.
Siamo nel 1931, e per la prima volta il mondo vedrà sullo schermo il Conte Dracula e la sua storia, quella che oggi sappiamo essere la più adattata di sempre.
Oggi parliamo di lui, il Dracula di Tod Browning. Mi piaceva l'idea di partire con chi ha cominciato tutto.





Come si arriva a Dracula

La scorsa settimana abbiamo visto la situazione generale degli anni '30, e la prossima nello specifico della storia di Universal e del suo Monster Universe. Come si arriva, però, nello specifico, a Dracula?
Dopo le insistenze di Carl Laemmle Jr., l'azienda ha ceduto, e si è aperta all'orrore. La storia del Conte era la scelta più naturale possibile: dopo i litigi di Florence Stoker - l'esigente vedova di Bram Stoker - con Nosferatu, in qualche modo si è riusciti, pagando il giusto, a portarlo a teatro in Gran Bretagna. Lo spettacolo, a cura di Hamilton Deane, fu un successo inarrestabile e fu l'iniziatore di una politica del mistero e dello sgomento che seguirà il modo di pubblicizzare la storia di Dracula per gli anni successivi: era stato reso noto, mooolto noto, che nel pubblico ogni sera si poteva trovare un'infermiera specializzata, pronta ad aiutare chi si sarebbe sentito male per la forza dello spettacolo in scena. Non giudico nessuno io, queste cose fanno presa tutt'ora sulla sinceramente vostra. 
Il successo straordinario dello spettacolo attirò (ovviamente) l'interesse degli avidi statunitensi, che già un centinaio di anni fa giravano per il mondo chiedendosi cosa c'era di bello da rubare. 
È Horace Liveright, un produttore di Broadway rimasto senza mezza lira, ad intuire che quella roba lì in patria sarebbe andata fortissima. Liveright compra i diritti, porta a Broadway uno spettacolo quasi completamente invariato, e sbanca. Questa non è la sola idea eccellente del nostro. Sceglie per il ruolo del protagonista uno sconosciuto attore ungherese, dall'accetto affascinante e dallo sguardo intenso, e il resto è storia.
Universal, quintessenza dello spirito statunitense, coglie la possibilità di fare soldi con il successo di qualcun'altro, e sotto le pressioni del suo giovanissimo presidente si compra i diritti e inizia a lavorarci. Aveva tutte le carte in regola per diventare un successo: in quel momento Universal, come abbiamo visto qualche post fa, aveva nella coppia Chaney - Browning una delle certezze più insindacabili del cinema del momento.  Una potente - e talentuosissima - gallina dalle uova d'oro: il film si era praticamente scritto da solo. Ma Chaney viene a mancare poco prima dell'inizio delle riprese, e Browning era, come dire, sottotono. La storia, il caso, il fato, o chi credete si occupi di queste faccende, ha fatto sì che l'attenzione tornasse su quello sconosciuto ungherese e su un certo direttore della fotografia: Karl Freund. Il film, come il mondo lo ricorda oggi, è tutto o quasi in mano loro.
Si inizia a lavorarci su, e il resto è storia.


Bela Lugosi


In tutte le fonti che troverete in fondo al post l'opinione è la stessa: il film, oggi, è considerato mediocre, e facilmente dimenticabile se non fosse per il suo immenso contributo storico. Un'altra opinione, però, è altrettanto diffusa: la sola cosa apprezzabile del film risponde al nome di Bela Lugosi. 
Nato in Ungheria nell'ottobre del 1882, proprio vicino al confine con la Transilvania, Bela deve lasciare la sua terra perché, ehm, comunista. Partecipa alla rivoluzione ungherese, lottando contro paghe ridicole e condizioni di lavoro dei giovani attori. Per il partito comunista ungherese non finisce benissimo, e Lugosi nel 1919 è costretto a lasciare il paese. Dopo qualche tappa europea finisce negli Stati Uniti dove si dà al teatro senza sapere una mezza parola, imparando le parti memorizzandole foneticamente, come facevamo noi alle medie con le canzoni dei Backstreet Boys. 
Lui è diventato leggenda e noi, va beh, stiam qua. 

Lugosi non doveva essere un collega semplice. Le voci sul suo conto lo vogliono freddo, distaccato al limite della maleducazione, eccentrico, vanitoso. Poco importa, oggi, perché forse, vedendo il suo Conte, sono proprio queste caratteristiche personali ad avergli consentito di dare proprio questo taglio così di impatto. E poco importa anche perché le persone sono tutte valide a prescindere dalle proprie skill di socialità, ma non è questo il punto. 
Non è solo il suo accento, o il suo aspetto esotico, ad averlo reso leggendario, anche se è innegabile che l'unione di queste cose con l'avvento del sonoro e l'entusiasmo della novità abbiano indubbiamente contribuito. Il suo Conte, però, è diverso da ogni rappresentazione precedente del vampiro: è lento, sensuale, seppur in un modo lontano da quello che intendiamo oggi, ipnotico, e ha posto le basi per tutte le rappresentazioni successive. Di conseguenza, ha posto le basi di un archetipo intero.

Le conseguenze del "grande ruolo", però, si sono ripercosse anche su Lugosi, nonostante il rapporto complesso che aveva con il suo Dracula. Laemmle Jr. era pronto a costruire con lui un nuovo Chaney, perché, sì, avevano anche già la fissa dell'erede. Dracula riscosse un successo tale da spingere la casa a investire su altre trasposizioni da romanzi dell'orrore e la scelta più naturale finì per essere Frankenstein, la rivoluzione del gotico creata da una poco più che ragazzina. Lugosi, però, non ne volle sapere: il suo volto non poteva non essere riconosciuto, e il ruolo della creatura non faceva per lui. Da quel momento in poi, la sua carriera fu un susseguirsi di scelte opinabili, di possibilità mancate. Tornò ad indossare i panni del suo vampiro per altre occasioni e finì vincolato nel ruolo del villain. In più, l'esperienza di lavorazione del film non fu per lui un'esperienza particolarmente appagante, e soprattutto non abbastanza pagante. In un film in cui - miracolosamente - l'attrice più pagata fu la donna (Helen Chandlers), Lugosi guadagnò meno del desiderato, e nessun centesimo in più della paga per la parte: il merchandise non gli fruttò nulla. Ok, non era il fenomeno che è oggi, però frullano le scatole lo stesso.


La bio sul suo sito è scritta con immenso amore dal figlio, Bela Jr., e ritrae naturalmente anche i suoi aspetti più umani e candidi, come l'amore per i suoi cani, per il sigaro che la povera moglie doveva tenergli acceso mentre lui era in scena e per i vini californiani. 
Leggere di lui in giro, però, non fa altro che contribuire a questa immagine che ormai di lui mi sono costruita in testa, di uomo distante, scostante, un po' altezzoso, che non fa altro che contribuire a sua volta alla tridimensionalità del suo Conte, che con la sua pulita cortesia fa ancora la stessa paura che immagino abbia fatto a chi ha avuto il privilegio di vederlo sullo schermo per la prima volta.

Gli articoli che ne annunciarono la morte lo chiamavano, semplicemente, Dracula. Non lo so se la cosa lo avrebbe davvero reso felice, ma lo spazio che si è preso nella mente di chi è appassionato è rimasto immutato. Felice o no, ha cambiato il modo in cui sono andate le cose, ed è diventato immortale. 
Il suo vero nome, del resto, non lo ha usato mai. Tanto vale ricordarlo come leggenda.
 

Il film


Due info tecniche di numero ma proprio due per fingere una serietà che non mi appartiene: costato qualcosa intorno ai 350.000 dollari, girato in poco più di un mese. Fu una sfida non indifferente per la casa, un rischio importante. A spianargli la strada era stato The Cat and the Canary, qualche anno prima, ma anche l'importante riscontro che il pubblico aveva dato alla versione parlata di The Unholy Three. 
C'è una differenza saliente, però, tra questi film precedenti e quello nuovo, una differenza che rende davvero la sua uscita rivoluzionaria: Dracula, soprannaturale, lo era davvero. In una nazione in cui era stato fondamentale sfruttare la passione per lo spiritismo ma pur sempre riportandola sul ben più rassicurante piano della realtà, il Conte Dracula era un vampiro davvero. Per la prima volta il cinema statunitense si lanciava nel mondo del misterioso, e non gli dava risoluzione.
Il risultato fu il più grande successo commerciale Universal del suo anno. 

Certo, c'è anche stato l'immenso contributo che la parte pubblicitaria gli ha dato. Il claim lo chiamava "The strangest passion the world has ever known!", che non è una bugia ma una descrizione quantomeno creativa, ecco. Dracula poteva essere ogni cosa: una storia romantica, un mystery, un horror: ognuno poteva vederci quello che desiderava, e tutti sarebbero entrati al cinema. Ha funzionato.





C'è un grande elemento, poi, da tenere in considerazione quando si giudica Dracula con gli occhi di oggi: il Codice Hays. È cosa nota che il codice, seppur in vigore dal '30, sia stato preso sul serio solo dal '34 in poi, ma le sue impronte erano già state fissate su carta, e da quel concetto di buon gusto non c'era scampo. Dracula, con le infinite implicazioni sessuali che da allora continuiamo a riconoscergli, era terreno ustionante su cui camminare. Bisognava stare molto attenti che mordesse le donne e solo le donne, per esempio, e da questo vincolo ci siamo liberati solo di recente. Gli uomini, se proprio proprio proprio devono essere morsi, è per nutrizione, e fine della faccenda. Se poi non lo mostriamo, meglio ancora. E allora ecco che l'equipaggio della nave muore per una tempeeeeestaaa, daaaaai, ma cosa pensavate? 
Sono solo le donne (e solo quelle bianche e preferibilmente benestanti), ad avere il privilegio della trasformazione in vampire, tutti gli altri lanciati verso la morte certa con tanti saluti a casa. Tutta la parte "succosa" (passatemelo, dai), avviene fuori dallo schermo, perché avvenga, sì, ma che non ci sia dato vederlo. È figlio del suo tempo ed è ingiusto fargliene una colpa.

All'epoca fu anche grande successo di critica, è stato il passare del tempo a renderlo meno amato. In mezzo alle infinite critiche che oggi critici e accademici gli riservano, come dicevo su, c'è il suo essere troppo simile per impronta, stile, caratteristiche, alla produzione teatrale da cui è tratto. Gli viene criticata una narrazione che si srotola troppo lentamente, con una prima parte tutto sommato apprezzata anche oggi ma una seconda sempre fortemente criticata perché povera, piatta, inconsistente. Non si apprezza l'adattamento, colpevole di avere lasciato fuori parti ritenute fondamentali del romanzo, o quantomeno arricchenti, la recitazione di praticamente tutti i coinvolti ad eccezione di Lugosi viene distrutta. Queste sono a grandi linee le critiche che gli rivolgono tutte e quattro le fonti che trovate in fondo al post.

Neppure a Browning viene riservato un trattamento di favore. Chi ha collaborato sul set con lui in questa occasione lo ricorda come costantemente assente, chi è del settore dice che il film è molto più di Freund di quanto non sia di Browning. Oggi, forse, importa davvero poco. Del resto, ce lo siamo detti la settimana scorsa: questo è il periodo delle case cinematografiche, non dei registi. Sono certa che B. abbia dormito serenissimo la notte, dopo questa lavorazione. Un po' meno l'anno dopo, immagino, ma avremo modo di parlarne. 
 
Io, che accademica non sono, gli voglio molto bene. Ho una mai passata cotta per il Conte di Christopher Lee, ma il giorno in cui dirò che trovo questo film mediocre sarà il giorno in cui vi sto comunicando in codice che sono stata rapita e ho bisogno di soccorso. Guardo a lui con l'affetto che si rivolge alle cose fondanti, anche se mentirei se dicessi che per me lo è stato. L'ho scoperto da adulta, non ho verso di lui l'affetto della nostalgia, ma quando Lugosi sale le scale, guarda Renfield e gli dice "Listen to them. Children of the night." io sarò pure banalona ma mi ritrovo a sorridere allo schermo più che di fronte a qualsiasi scena romantica. 
Sono certa che le critiche siano basate fu fondamenti ben più solidi del mio sorridere davanti allo schermo, però a me è quella sensazione lì che tiene ancorata al cinema, e per me il Dracula di Browning, sottotono, spento, teatrale, come vogliano descriverlo, è magnifico. Fine della recensione.








Le fonti di questo post:
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venerdì 1 aprile 2022

Gli anni '30: Come sta il cinema?

11:34

 Ci siamo, il cinema delle origini ha avuto i suoi due mesi di approfondimento ed è giunto il tempo di passare al decennio che ha formato il linguaggio del cinema di genere come lo conosciamo oggi. 

Ho pensato di introdurre ogni decennio con un primo post introduttivo, per capire come se la passa il mezzo cinema a prescindere dal nostro genere di riferimento, per dare un'occhiata generale su cosa succedeva in tutto il mondo che ruota intorno a quello dell'orrore. Saranno proprio post di passaggio tra un decennio e l'altro, come al solito per approfondimenti e completezza rimando alle fonti che sono sempre in fondo ad ogni post.

Innanzitutto, cara Redrumia, grazie della domanda: il cinema sta un fiore. Mai stato meglio, stiamo per entrare in un decennio dorato. Vediamo perché.




Un micro contesto storico


Il decennio precedente si è chiuso con la famigerata crisi del '29. I primi segnali di una caduta sono arrivati l'anno prima, ma è nel '29 che hanno dovuto scavare per capire dove fosse finita la Borsa di New York. Il sito tuttoamerica.it attribuisce le responsabilità del disastro a speculazione esagerata, inflazione del credito, speculazioni in Borsa e distribuzione ineguale della ricchezza.

Il caos generato dalla crisi si è trascinato per almeno una decina d'anni, nonostante con l'elezione di Roosevelt nel '32 e con il suo New Deal si sia cercato di mettere una pezza. Se il caos è americano, però, diventa caos per tutto il mondo occidentale: prestiti internazionali, importazione ed esportazione, il recente trattato di Versailles...nessuno ne è uscito senza ammaccature.


Il cinema, però, trova sempre il modo di godere di queste circostanze complesse, e ne esce sempre vincitore. Offre da sempre una forma di evasione tutto sommato accessibile ai più, sfrutta le storie come breve momento per dimenticare o come metafore per analizzare e comprendere meglio quello che succede fuori dalla sala.

Prima di questo decennio, però, tutta una fetta di pubblico rischiava di essere tagliata fuori da questo momento di svago: chi non poteva leggere le didascalie. E quindi ecco la prima, immensa rivoluzione, che ha reso il cinema la più democratica delle arti: il sonoro.


L'avvento del sonoro


Se il cinema doveva offrire una scappatoia dalla realtà doveva però anche assomigliarle, rappresentarla al meglio, in modo che chi ne fruisse potesse riconoscere il mondo che vedeva rappresentato. Il silenzio imposto dai mezzi del cinema muto bloccava questa possibilità. 

In realtà le prime produzioni sonore risalgono alla metà degli anni Venti, con quel Don Juan del '26 che tutti conosciamo ma che avranno visto in 6 compreso chi lo ha fatto, che però di sonoro aveva solo una componente musicale. La parola arriva con il successivo film dello stesso regista, Alan Crosland, Il cantante di Jazz. 


Ovviamente questa ventata di novità portò con sé inevitabili problemi tecnici, che come tutte le cose nuove costavano una badilata di soldi ed erano un casino da gestire. C'era il modo di registrare i suoni, sì, ma si registravano tutti. Se qualcuno in lontananza parlava male del regista era un bordello, tutto registrato. Le macchine da presa facevano un casino infernale, e allora via a rinchiuderle in cabine insonorizzate. C'era ancora da imparare a gestire cose che oggi sono assolutamente scontate, come la sincronia labiale. L'abbiamo superata brillantemente sta fase, ma immagino i poveretti al lavoro per risolvere problemi mai visti prima. A loro, tutta la mia solidarietà: lo so raga, la tecnologia è molto bella finché ci lavorano gli altri.

Il sonoro segna la fine di un'epoca: quella in cui ogni proiezione era diversa dalla precedente. Il cinema muto portava con sé presentazioni e accompagnamenti musicali sempre nuovi e diversi, e questo lo rendeva ogni volta un'esperienza unica. Il sonoro universalizza l'esperienza, e segna una nuova epoca.

È pur vero che parlare in inglese porta con sé un'ulteriore limitazione: come lo esporti un film in cui nessuno capisce una fava? Per lo spagnolo era semplice: finito di girare una scena arrivavano attori nuovi madrelingua e rigiravano la stessa cosa nella loro lingua, sugli stessi set. A volte capitava che gli stessi attori girassero la scena più volte in lingue diverse (e questo spiega perché Stanlio e Ollio parlano in italiano ma con accento inglese, per esempio), ma per il doppiaggio vero e proprio dobbiamo aspettare la fine del decennio.

Con l'arrivo degli anni '30, ormai in America il muto è del tutto abbandonato: tutte le case cinematografiche di Hollywood si sono adattate alla novità, e nonostante diversi nomi popolari avessero manifestato un parere contrario all'innovazione, non ci fu modo di fermare l'ondata. Il cinema muto era destinato all'estinzione.


Lo studio system e il divismo

(ovvero il motivo per cui i post dei prossimi due mesi saranno divisi per case cinematografiche)


Ora, il problema del sonoro, oltre a quelli elencati su, era uno su tutti: costava un sacco di soldi. E quando ci sono i soldi in ballo cambiano tutte le dinamiche. Avere bisogno di più soldi vuol dire avere bisogno di qualcuno che te li dia, e se qualcuno ti dà soldi si prende potere. Signori, nascono i produttori.

Ora, è pur vero che ci sono sempre state figure come quella del produttore, ma fino a questo momento il loro potere era tutto sommato limitato. Con l'arrivo del sonoro il loro ruolo superava tutti gli altri. È lui che nomina il regista, che sceglie il cast, che sceglie quali film fare e quali scartare. 

La componente artistica passa in secondo piano rispetto a quella industriale: se una cosa funzionava si riproduceva a catena, per trarne tutto il traibile. Nascono i generi: horror, commedia, musical, western, animazione e gangster. Venivano realizzati film sulla base di caratteristiche precise, che rientrassero in canoni facilmente identificabili ed etichettabili, con produzioni in serie e confezionamenti quasi meccanici.

Non fraintendetemi, nei prossimi due mesi avremo modo di vedere che le personalità di spicco del periodo sono state in grado di girare intorno al sistema e risplendere in mezzo alla produzione di massa, ma è pur vero che restare entro certi canoni di riconoscibilità era la strada del successo sicuro. E l'industria, in un periodo di crisi nera come quello che la nazione stava vivendo, non poteva permettersi di sbagliare.


È così l'avvento del sonoro a far sì che si ridisegni il sistema generale delle case cinematografiche di Hollywood. Se ne distinguono tre categorie. Ci sono le cinque major (Paramount, MGM, 20th Century Fox, Warner Bros. e RKO), le tre minor (Universal, Columbia e United Artists) e un sottobosco di produzioni indipendenti, quelle destinate a creare i film della seconda serata nelle double feature, le serate di doppia proiezione. 

Lo studio system, che vede tutta l'industria basata sulla potenza delle case in questione, fa sì che a delineare lo stile del cinema non sia il singolo artista ma la casa per cui lavorava. Erano loro a dare il tono, a creare un paradigma collettivo che accomunasse i loro lavori. Di nuovo, occhio a quanto detto su, però, che chi voleva farsi riconoscere aveva modi e capacità per farlo.


Elemento di successo delle case era dato sì dalla propria impronta personale, ma anche da certi volti noti. Il fenomeno del divismo, che già negli anni '20 aveva posto le sue radici, è qui una delle armi più forti. Il divo o la diva erano la caratteristica più forte del cinema anni '30, la chiave di riconoscibilità immediata. È importante sottolineare che non è l'attore il punto, ma il personaggio-divo. Un mito che si ripeteva film  dopo film, che nulla aveva a che vedere con la persona dietro il ruolo, ma solo con la riconoscibilità del personaggio portato in scena. Gli uomini imponevano lo standard della mascolinità, le donne erano la blueprint della femminilità, che a volte era imposta fin da bambine, con casi eclatanti come quello di Shirley Temple. Sarà interessante vedere, mano a mano che ci addentreremo nel nostro genere preferito, come ci siamo creati un Olimpo tutto nostro, fatto di persone e mostri che da allora non ci hanno lasciato più.


Il Codice Hays


Lo abbiamo già visto parlando della situazione italiana qualche settimana fa, ma è fenomeno mondiale: il cinema intimorisce i benpensanti. E siccome, lo ribadisco, è pur sempre di un'industria che si parla, era importante tenerseli buonini. Nel 1922 era nata la MPPDA (Motion Picture Productors and Distributors Association), un modo sicuro per, credo che possiamo dircelo serenamente, pararsi il culo, garantendo una sorta di legittimità morale delle cose portate in scena. A dirigerlo era Will Hays, presidente del, ehm, partito repubblicano. 

Per garantire che tutti stesso tranquilli e dormissero sonni sereni ha creato un Codice che portava il suo stesso nome, che elencava una serie di norme da rispettare affinché il film fosse considerato accettabile. Vi riporto da Wikipedia i principi fondamentali:

  1. Non sarà prodotto nessun film che abbassi gli standard morali degli spettatori. Per questo motivo la simpatia del pubblico non dovrà mai essere indirizzata verso il crimine, i comportamenti devianti, il male o il peccato.
  2. Saranno presentati solo standard di vita corretti, con le sole limitazioni necessarie al dramma e all'intrattenimento.
  3. La Legge, naturale, divina o umana, non sarà mai messa in ridicolo, né sarà mai sollecitata la simpatia dello spettatore per la sua violazione.


Ovviamente la lista è ben più lunga di così: niente nudo, niente droghe, niente omosessualità, adulterio, niente sexo tra persone di RaZzE DiVeRsE, e così via. Insomma, il tono vi è chiaro. 

Questo elenco di squisitezze esce nel '30 ma viene bellamente ignorato fino al '34, anno di vera e propria entrata in vigore, e anno in cui veniva richiesta una preapprovazione prima che il film approdasse in sala.

Come detto in precedenza, quando le cose vengono vietate agli artisti non resta che trovare modi creativi ed artigianali per girarci intorno, ma è impossibile negare che questo sia stato l'ennesima cancellazione del ruolo del regista, che ormai era quasi bassa manovalanza messa a creare film cercando in ogni modo di restare nei paletti imposti da studio e produzione.



Nonostante tutto, quella degli anni '30 è un'epoca tra quelle ricordate con più amore tra gli appassionati. Sono state poste le basi per tutto quello che vediamo in sala ancora oggi, e forse proprio a causa di tutte le limitazioni ricordiamo gli artisti dell'epoca con un po' di affetto in più.

Nei prossimi due mesi elogiamo chi, nonostante tutti i bastoni tra le ruote, ha portato il mondo dell'orrore al cinema, e ha cambiato la storia.

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