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domenica 10 aprile 2022

Gli anni '30: la rivoluzione Dracula

19:45
Smetterò mai di sentirmi in soggezione nel parlare di cinema dell'orrore? Spero di no, perché è il mio modo di pensare al bene che gli voglio. 
Nel post precedente avevo preannunciato che avrei diviso i due mesi dedicati agli anni '30 per studios, e se così deve essere non posso che partire dalla scelta più ovvia: Universal. 
Tutto il mese di aprile, quindi, lo passeremo in compagnia dei primi veri franchise della storia, e di tutti quei personaggi che, ridendo clamorosamente in faccia al passare del tempo, non solo continuano a vivere indisturbati nell'immaginario di un mondo intero, ma che sono quelli che quello stesso immaginario lo hanno creato, ponendo le fondamenta per tutto quello che verrà costruito.
Sono la mitologia dell'orrore, un'Olimpo di nomi e volti che per fama e ruolo nella storia viene da mettere al pari solo di Babbo Natale, o Topolino. L'inizio di un nuovo modo di guardare, immaginare e soprattutto creare le storie dell'orrore.
Siamo nel 1931, e per la prima volta il mondo vedrà sullo schermo il Conte Dracula e la sua storia, quella che oggi sappiamo essere la più adattata di sempre.
Oggi parliamo di lui, il Dracula di Tod Browning. Mi piaceva l'idea di partire con chi ha cominciato tutto.





Come si arriva a Dracula

La scorsa settimana abbiamo visto la situazione generale degli anni '30, e la prossima nello specifico della storia di Universal e del suo Monster Universe. Come si arriva, però, nello specifico, a Dracula?
Dopo le insistenze di Carl Laemmle Jr., l'azienda ha ceduto, e si è aperta all'orrore. La storia del Conte era la scelta più naturale possibile: dopo i litigi di Florence Stoker - l'esigente vedova di Bram Stoker - con Nosferatu, in qualche modo si è riusciti, pagando il giusto, a portarlo a teatro in Gran Bretagna. Lo spettacolo, a cura di Hamilton Deane, fu un successo inarrestabile e fu l'iniziatore di una politica del mistero e dello sgomento che seguirà il modo di pubblicizzare la storia di Dracula per gli anni successivi: era stato reso noto, mooolto noto, che nel pubblico ogni sera si poteva trovare un'infermiera specializzata, pronta ad aiutare chi si sarebbe sentito male per la forza dello spettacolo in scena. Non giudico nessuno io, queste cose fanno presa tutt'ora sulla sinceramente vostra. 
Il successo straordinario dello spettacolo attirò (ovviamente) l'interesse degli avidi statunitensi, che già un centinaio di anni fa giravano per il mondo chiedendosi cosa c'era di bello da rubare. 
È Horace Liveright, un produttore di Broadway rimasto senza mezza lira, ad intuire che quella roba lì in patria sarebbe andata fortissima. Liveright compra i diritti, porta a Broadway uno spettacolo quasi completamente invariato, e sbanca. Questa non è la sola idea eccellente del nostro. Sceglie per il ruolo del protagonista uno sconosciuto attore ungherese, dall'accetto affascinante e dallo sguardo intenso, e il resto è storia.
Universal, quintessenza dello spirito statunitense, coglie la possibilità di fare soldi con il successo di qualcun'altro, e sotto le pressioni del suo giovanissimo presidente si compra i diritti e inizia a lavorarci. Aveva tutte le carte in regola per diventare un successo: in quel momento Universal, come abbiamo visto qualche post fa, aveva nella coppia Chaney - Browning una delle certezze più insindacabili del cinema del momento.  Una potente - e talentuosissima - gallina dalle uova d'oro: il film si era praticamente scritto da solo. Ma Chaney viene a mancare poco prima dell'inizio delle riprese, e Browning era, come dire, sottotono. La storia, il caso, il fato, o chi credete si occupi di queste faccende, ha fatto sì che l'attenzione tornasse su quello sconosciuto ungherese e su un certo direttore della fotografia: Karl Freund. Il film, come il mondo lo ricorda oggi, è tutto o quasi in mano loro.
Si inizia a lavorarci su, e il resto è storia.


Bela Lugosi


In tutte le fonti che troverete in fondo al post l'opinione è la stessa: il film, oggi, è considerato mediocre, e facilmente dimenticabile se non fosse per il suo immenso contributo storico. Un'altra opinione, però, è altrettanto diffusa: la sola cosa apprezzabile del film risponde al nome di Bela Lugosi. 
Nato in Ungheria nell'ottobre del 1882, proprio vicino al confine con la Transilvania, Bela deve lasciare la sua terra perché, ehm, comunista. Partecipa alla rivoluzione ungherese, lottando contro paghe ridicole e condizioni di lavoro dei giovani attori. Per il partito comunista ungherese non finisce benissimo, e Lugosi nel 1919 è costretto a lasciare il paese. Dopo qualche tappa europea finisce negli Stati Uniti dove si dà al teatro senza sapere una mezza parola, imparando le parti memorizzandole foneticamente, come facevamo noi alle medie con le canzoni dei Backstreet Boys. 
Lui è diventato leggenda e noi, va beh, stiam qua. 

Lugosi non doveva essere un collega semplice. Le voci sul suo conto lo vogliono freddo, distaccato al limite della maleducazione, eccentrico, vanitoso. Poco importa, oggi, perché forse, vedendo il suo Conte, sono proprio queste caratteristiche personali ad avergli consentito di dare proprio questo taglio così di impatto. E poco importa anche perché le persone sono tutte valide a prescindere dalle proprie skill di socialità, ma non è questo il punto. 
Non è solo il suo accento, o il suo aspetto esotico, ad averlo reso leggendario, anche se è innegabile che l'unione di queste cose con l'avvento del sonoro e l'entusiasmo della novità abbiano indubbiamente contribuito. Il suo Conte, però, è diverso da ogni rappresentazione precedente del vampiro: è lento, sensuale, seppur in un modo lontano da quello che intendiamo oggi, ipnotico, e ha posto le basi per tutte le rappresentazioni successive. Di conseguenza, ha posto le basi di un archetipo intero.

Le conseguenze del "grande ruolo", però, si sono ripercosse anche su Lugosi, nonostante il rapporto complesso che aveva con il suo Dracula. Laemmle Jr. era pronto a costruire con lui un nuovo Chaney, perché, sì, avevano anche già la fissa dell'erede. Dracula riscosse un successo tale da spingere la casa a investire su altre trasposizioni da romanzi dell'orrore e la scelta più naturale finì per essere Frankenstein, la rivoluzione del gotico creata da una poco più che ragazzina. Lugosi, però, non ne volle sapere: il suo volto non poteva non essere riconosciuto, e il ruolo della creatura non faceva per lui. Da quel momento in poi, la sua carriera fu un susseguirsi di scelte opinabili, di possibilità mancate. Tornò ad indossare i panni del suo vampiro per altre occasioni e finì vincolato nel ruolo del villain. In più, l'esperienza di lavorazione del film non fu per lui un'esperienza particolarmente appagante, e soprattutto non abbastanza pagante. In un film in cui - miracolosamente - l'attrice più pagata fu la donna (Helen Chandlers), Lugosi guadagnò meno del desiderato, e nessun centesimo in più della paga per la parte: il merchandise non gli fruttò nulla. Ok, non era il fenomeno che è oggi, però frullano le scatole lo stesso.


La bio sul suo sito è scritta con immenso amore dal figlio, Bela Jr., e ritrae naturalmente anche i suoi aspetti più umani e candidi, come l'amore per i suoi cani, per il sigaro che la povera moglie doveva tenergli acceso mentre lui era in scena e per i vini californiani. 
Leggere di lui in giro, però, non fa altro che contribuire a questa immagine che ormai di lui mi sono costruita in testa, di uomo distante, scostante, un po' altezzoso, che non fa altro che contribuire a sua volta alla tridimensionalità del suo Conte, che con la sua pulita cortesia fa ancora la stessa paura che immagino abbia fatto a chi ha avuto il privilegio di vederlo sullo schermo per la prima volta.

Gli articoli che ne annunciarono la morte lo chiamavano, semplicemente, Dracula. Non lo so se la cosa lo avrebbe davvero reso felice, ma lo spazio che si è preso nella mente di chi è appassionato è rimasto immutato. Felice o no, ha cambiato il modo in cui sono andate le cose, ed è diventato immortale. 
Il suo vero nome, del resto, non lo ha usato mai. Tanto vale ricordarlo come leggenda.
 

Il film


Due info tecniche di numero ma proprio due per fingere una serietà che non mi appartiene: costato qualcosa intorno ai 350.000 dollari, girato in poco più di un mese. Fu una sfida non indifferente per la casa, un rischio importante. A spianargli la strada era stato The Cat and the Canary, qualche anno prima, ma anche l'importante riscontro che il pubblico aveva dato alla versione parlata di The Unholy Three. 
C'è una differenza saliente, però, tra questi film precedenti e quello nuovo, una differenza che rende davvero la sua uscita rivoluzionaria: Dracula, soprannaturale, lo era davvero. In una nazione in cui era stato fondamentale sfruttare la passione per lo spiritismo ma pur sempre riportandola sul ben più rassicurante piano della realtà, il Conte Dracula era un vampiro davvero. Per la prima volta il cinema statunitense si lanciava nel mondo del misterioso, e non gli dava risoluzione.
Il risultato fu il più grande successo commerciale Universal del suo anno. 

Certo, c'è anche stato l'immenso contributo che la parte pubblicitaria gli ha dato. Il claim lo chiamava "The strangest passion the world has ever known!", che non è una bugia ma una descrizione quantomeno creativa, ecco. Dracula poteva essere ogni cosa: una storia romantica, un mystery, un horror: ognuno poteva vederci quello che desiderava, e tutti sarebbero entrati al cinema. Ha funzionato.





C'è un grande elemento, poi, da tenere in considerazione quando si giudica Dracula con gli occhi di oggi: il Codice Hays. È cosa nota che il codice, seppur in vigore dal '30, sia stato preso sul serio solo dal '34 in poi, ma le sue impronte erano già state fissate su carta, e da quel concetto di buon gusto non c'era scampo. Dracula, con le infinite implicazioni sessuali che da allora continuiamo a riconoscergli, era terreno ustionante su cui camminare. Bisognava stare molto attenti che mordesse le donne e solo le donne, per esempio, e da questo vincolo ci siamo liberati solo di recente. Gli uomini, se proprio proprio proprio devono essere morsi, è per nutrizione, e fine della faccenda. Se poi non lo mostriamo, meglio ancora. E allora ecco che l'equipaggio della nave muore per una tempeeeeestaaa, daaaaai, ma cosa pensavate? 
Sono solo le donne (e solo quelle bianche e preferibilmente benestanti), ad avere il privilegio della trasformazione in vampire, tutti gli altri lanciati verso la morte certa con tanti saluti a casa. Tutta la parte "succosa" (passatemelo, dai), avviene fuori dallo schermo, perché avvenga, sì, ma che non ci sia dato vederlo. È figlio del suo tempo ed è ingiusto fargliene una colpa.

All'epoca fu anche grande successo di critica, è stato il passare del tempo a renderlo meno amato. In mezzo alle infinite critiche che oggi critici e accademici gli riservano, come dicevo su, c'è il suo essere troppo simile per impronta, stile, caratteristiche, alla produzione teatrale da cui è tratto. Gli viene criticata una narrazione che si srotola troppo lentamente, con una prima parte tutto sommato apprezzata anche oggi ma una seconda sempre fortemente criticata perché povera, piatta, inconsistente. Non si apprezza l'adattamento, colpevole di avere lasciato fuori parti ritenute fondamentali del romanzo, o quantomeno arricchenti, la recitazione di praticamente tutti i coinvolti ad eccezione di Lugosi viene distrutta. Queste sono a grandi linee le critiche che gli rivolgono tutte e quattro le fonti che trovate in fondo al post.

Neppure a Browning viene riservato un trattamento di favore. Chi ha collaborato sul set con lui in questa occasione lo ricorda come costantemente assente, chi è del settore dice che il film è molto più di Freund di quanto non sia di Browning. Oggi, forse, importa davvero poco. Del resto, ce lo siamo detti la settimana scorsa: questo è il periodo delle case cinematografiche, non dei registi. Sono certa che B. abbia dormito serenissimo la notte, dopo questa lavorazione. Un po' meno l'anno dopo, immagino, ma avremo modo di parlarne. 
 
Io, che accademica non sono, gli voglio molto bene. Ho una mai passata cotta per il Conte di Christopher Lee, ma il giorno in cui dirò che trovo questo film mediocre sarà il giorno in cui vi sto comunicando in codice che sono stata rapita e ho bisogno di soccorso. Guardo a lui con l'affetto che si rivolge alle cose fondanti, anche se mentirei se dicessi che per me lo è stato. L'ho scoperto da adulta, non ho verso di lui l'affetto della nostalgia, ma quando Lugosi sale le scale, guarda Renfield e gli dice "Listen to them. Children of the night." io sarò pure banalona ma mi ritrovo a sorridere allo schermo più che di fronte a qualsiasi scena romantica. 
Sono certa che le critiche siano basate fu fondamenti ben più solidi del mio sorridere davanti allo schermo, però a me è quella sensazione lì che tiene ancorata al cinema, e per me il Dracula di Browning, sottotono, spento, teatrale, come vogliano descriverlo, è magnifico. Fine della recensione.








Le fonti di questo post:
(I link con l'asterisco sono affiliati amazon. Acquistando da questi link mi permetterete di prendere una piccola percentuale che mi permette di proseguire con questa serie di post! Grazie se lo farete.)


mercoledì 29 gennaio 2020

Horrornomicon: A new world of gods and monsters

13:39
Io e la mia consueta sindrome dell'impostore vi diamo il benvenuto nel primo Horrornomicon del 2020. Come sempre, è per me difficilissimo parlare delle grandi icone della storia del cinema, ma ci sono volte in cui metto da parte la sindrome di cui sopra e mi decido, in nome di un grande amore, a parlare di cose ben più grandi di me. Senza pretesa di insegnare nulla, solo di condividere.
E quindi, questo mese, gli horror Universal.
Anche se temo sarà un monologo su Frankenstein.


Per me tutto è cominciato con Dracula. 
Anni fa ho fatto uno speciale vampiri, qui sul blog, e non avrei potuto evitare Bela Lugosi nemmeno volendo. Ma perché volere, poi? Pur avendo un cuore che palpita per Christopher Lee, il Conte di Lugosi è una goduria. Oscuro, silenzioso, lento. Lontano anni luce da quello a cui siamo abituati, alla frenesia, alla lunghezza, al suono incessante. Il film di Browning e il suo protagonista entrano dentro come ospiti silenziosi e aprono le porte alla meraviglia che viene dopo.
Se volessimo andare in un rigoroso ordine cronologico, dovremmo specificare che non è con Dracula che si è aperta la gloriosa stagione dell'horror di Carl Laemmle e soprattutto del figlio, i boss Universal, è stato solo il mio battesimo. Prima di lui c'è stata tutta la fase Lon Chaney, che forse affronteremo più avanti, quando me la sentirò ancora più calda di così.

Nel 1931, però, non è stato solo Bela Lugosi ad abitare gli incubi degli americani. Nello stesso anno usciva il film che, insieme al suo sequel, è stato la mia motivazione a scrivere questo post. Niente è più stato lo stesso, per me, dopo Frankenstein e, soprattutto, dopo La moglie di Frankenstein. 
Ci sono mille motivi per cui una persona ama tanto l'orrore, e se ascoltate chi ha voglia di raccontarvelo, non sono quasi mai i litri di sangue e gli sgozzamenti. A quelli ci siamo solo abituati. Il cinema di genere ha un modo che è solo suo di parlare della realtà con una sincerità che spesso ai drammi o alle commedie manca. Il ritratto dell'umanità che esce da certi film che vengono snobbati in nome del loro genere è così profondo, e genuino, e sincero, che guardarli aiuta a leggere la realtà molto meglio di quanto faccia leggere un bell'articolone sul quotidiano. (Cosa che comunque raccomando di fare). Dietro la storia agghiacciante e spaventosa c'è il mondo reale, e a volte è così difficile affrontare il ritratto onesto che ne viene fatto che è più facile snobbare. I due film di James Whale sono un modo così spietato di mostrarci quello che siamo che risuonano più forte di uno schiaffone. Non che il resto della sua cinematografia sia da meno, non fraintendetemi, ma c'è un livello in questi due film che è difficile toccare. Il ritratto di una Creatura così imponente e fragilissima insieme, che nasce priva di sovrastrutture e influenze e diventa violentissima come conseguenza del modo in cui è stata trattata è così spaventosamente attuale che 90 anni dopo ancora dobbiamo interiorizzarli, certi concetti. Il criminale che viola la legge per colpa della società in cui è inserito è ancora una follia agli occhi di qualcuno. Che siamo tutti responsabili, è impensabile. 
Eppure, 90 anni fa, in film che avrebbero potuto parlare solo di mostri, ecco che si ripete spesso la scena della folla in piena isteria, con le fiaccole, le armi. Ed eccolo lì, il circolo vizioso di cui ancora ci sporchiamo dopo così tanto tempo: io, spaventato, attacco te, fragile, e insieme creiamo la criminalità. Non è colpa mia, non è colpa tua, sa soltanto quello che non è (cit). In quasi i tutti i film Universal c'è lo scontro tra il villaggio inferocito e ferito dalle proprie perdite e la creatura mostruosa inconsapevolmente violenta. Ed ogni volta è uno scenario desolante. Non è un caso che la sola persona a non essere terrorizzata dalla Creatura sia un non vedente: non c'è percezione della diversità e pertanto la diversità non esiste. O ancora, nella mitologica scena della bambina, non c'è paura della Creatura, non incute timore per il suo aspetto. Il sorriso che Karloff tira fuori in quella scena lì fa un effetto al cuore che non so spiegare. 
I cattivi, in queste storie, sono gli arroganti: coloro che mettono se stessi al di sopra degli altri, coloro che si ritengono superiori. Non solo gli scienziati in generale, come potrebbe sembrare. Sono coloro che mettono il proprio ego e la propria soddisfazione al di sopra del bene collettivo, del buonsenso, dell'umanità stessa. Henry Frankenstein è rimasto per sempre orgoglioso del suo successo, nonostante tutto. Pretorius lo istiga, lo stimola, lo mette sotto pressione, nel sequel, ma entrambi sono gonfi di se stessi dalla partenza. Non è mai una discesa verso la follia. Frankenstein si apre con due persone che profanano una tomba, non è certo una partenza delicata. Quello che succede, invece, è che il durissimo ritratto della vita della Creatura sovrasta tutto il resto. Le vessazioni perpetrate da Fritz nei confronti del mostro sono quasi insostenibili da vedere: un mondo in cui il debole per sentirsi meglio se la prende con il più debole è un mondo difficilissimo in cui vivere, figuriamoci da ritrarre.
E invece Whale lo fa, con una sensibilità e un'onestà che lo elevano al rango dei Grandi. 
E Karloff ci regala un personaggio che non è solo diventato una grande icona popolare blablabla. Ha parlato con le mani e gli occhi, ha commosso, emozionato, estasiato. Il suo corpo, instabile e furioso, ha parlato molto meglio di quanto avrebbe fatto con la voce. 
E nel caso in cui qualcuno se lo stesse chiedendo: sì, piango tanto con i Frankenstein di Whale, piango un casino che proprio poi mi fa male la faccia. Sono film di un bello che non ci crede.


Questi film sono stati così significativi che quello che Universal ha creato dopo ha sfruttato tutti i loro elementi di forza: la scienza che quando fuori controllo diventa follia, per esempio, come ne L'Uomo Invisibile, sempre di Whale. Meno emotivo di F. ma sicuramente altrettanto forte, è un impietoso ritratto di cosa diventiamo quando qualcosa ci sfugge di mano. E ancora, folle impaurite, la voce inconfondibile di Una O'Connor, e la disturbante (vinco qualcosa ogni volta che lo scrivo? la parola più odiata del web) risata che compare dal nulla.
Meno efficace, ma solo per gusto personale, la saga de La Mummia, che ha comunque i tratti ormai distintivi Universal.
E infine, negli anni 50, un ritorno a quell'emotività che era così significativa in Frankenstein, con la creazione de Il mostro della laguna nera. 
Non c'è uno solo di questi film che non valga la pena vedere. In un'epoca che sembra di un altro pianeta, da quanto ci è lontana, Universal ha tirato in piedi, con i suoi nomi iconici, film dove si mette in dubbio l'efficacia della scienza, l'erotismo, un'omosessualità velata, l'ignoranza, la paura, la desolazione, la solitudine. 
Dopo 90 anni, non siamo cambiati di una virgola, e niente mi spaventa più di questo.

sabato 9 settembre 2017

Vampires! - Lee vs Lugosi

16:14
Nell'ultimo post sul personaggio di Dracula sto per fare una cosa che spezzerà i cuori di molti di voi.
Sarà come scegliere la pizza preferita, o come dichiarare se si vuole più bene alla mamma o al papà.
Parliamo di Bela Lugosi e Christopher Lee.
Apriamo la battaglia nei commenti.
Le parolacce vanno bene, le minacce solo se credibili come 'Ti sparo con il fucile da paintball e ti faccio un malone', ma non accetterò risposte da troll che dicono che preferiscono Kinski o Schreck o chessò io. Vi voglio concentrati.



Se lasciassi il mio disturbo compulsivo guidare questo blog, questo non sarebbe un post discorsivo ma un elenco puntato in due colonne, con un diverso uso dei colori in base alle caratteristiche positive e negative e così via. Mi trattengo, per non farvi fuggire allarmati.

Una breve intro per chi passasse di qui per caso e non conoscesse i due nomi del titolo. Sono questi due qua, con i visi più rilassati con cui li si ricordi:


I due sono i due volti più noti nell'universo per avere interpretato Dracula. Non c'è storia, i Dracula sono stati milioni di milioni, ma come loro nessuno mai. (E sì, ho citato un becero film mucciniano in un post del genere. Fermatemi se vi riesce.) Lee, quello bello a sinistra, è stato Dracula un sacco di volte per la Hammer, quella casa di produzione inglese che ha fatto un sacco di film coi mostroni storici. È riuscito ad essere Dracula anche per qualcuno che non fosse la Hammer, tanto per dire. PPer qualche anno se c'era da fare Dracula non si facevano neanche i casting, si alzava dritto il telefono per lui. Lugosi, quello a destra, è stato lo storico Dracula targato Universal. Talmente preso dal suo ruolo da farsi seppellire con uno dei mantelli del set. Mantello che oggi nessun Dracula indosserebbe se non l'avesse indossato lui per primo. Oggi, allora, nel più antipatico dei modi, li mettiamo a confronto e decidiamo in modo insidacabile quale sia il nostro preferito.

Ve lo dico in modo che sia chiarissimo e non ci siano supposizioni nei commenti.
Se avete il sospetto che io sia di parte è perché, banalmente, lo sono.
Sir Christopher è il signore e padrone del mio cuore.

Lee, infatti, parte con uno scatto iniziale che supera Lugosi a destra e lo semina rapidamente. È nato nel '22. Non credete nel karma? Male. Il '22 è l'anno di Nosferatu e qui nella Repubblica di Redrumia non crediamo affatto alle casualità. Il destino lo ha voluto Dracula, e lui ha obbedito alla chiara vocazione con la quale era stato marchiato fin dalla nascita.

Pausa.
Lo so, LO SO, che ricordare un attore (o due) per un ruolo soltanto è limitato e ingiusto, ma in una rassegna sui vampiri parlare di Saruman mi pareva un minimo off topic. Se si pensa poi che la carriera di Lee è una delle cose più variegate e sconfinate del panorama mondiale (anche grazie al fatto che sia vissuto sette milioni di anni) e che quella di Lugosi è stata fondamentalmente un disastro, direi che è meglio rimanere in tema e parlare di quello che hanno fatto decine di anni fa.
Hanno cambiato il volto di un culto.

Sia chiaro a tutti che non è che siccome la mia preferenza va al gentiluomo inglese allora io snobbi il succhiasangue ungherese. Il film di Tod Browning è stato per me quasi rivelatore. Il costume è diventato iconico mica per niente, regala al Conte un'aria splendidamente elegante, i suoi occhi e la sua fronte sono stati quasi indipendenti dal resto, l'aspetto è ben più umano di quello del suo predecessore tedesco ma non per questo meno sinistro. Il suo castello è quello che preferisco, tra l'altro.
Non si diventa mai icone per niente, e Bela Lugosi ne è la prova.

Accade, però, che un giorno, in cima alle scale, ci stia Cristopher Lee, in un ingresso in scena ai miei occhi indimenticabile. Scende le scale con la distinta eleganza che contraddistingue i suoi movimenti e che appare così bizzarra su un corpo così spaventosamente alto, cementificando così l'immagine di un Conte raffinato e curato. Sembra quasi levitare, mentre scende i gradini.
Lui e la sua quindicina di metri di altezza si sono portati a spasso un mantello praticamente grande come un lenzuolo matrimoniale con la scoltezza di chi è nato per vestirsi così. Senza parlare troppo (parlando anzi davvero molto poco), Lee si è preso lo schermo e lo ha mangiato, creando l'immagine del vampiro sensuale e irresistibile, dal fascino fuori dal comune. Le sue dimensioni, i suoi occhi e il suo silenzio sono stati la tela perfetta su cui dipingere un'immagine che sarebbe entrata nella storia.
Competeva sullo schermo con il mio Van Helsing preferito, il pacato Peter Cushing, eppure, senza privarlo del suo santo spazio, gli passava sopra con un trattore e si prendeva la meritata gloria.
Il Dio Indiscusso.



domenica 3 settembre 2017

Vampires! - Nosferatu for dummies

15:27
In modo assolutamente non creativo la parte cinematografica dello speciale sui vampiri non può che partire con Nosferatu. È proprio previsto dalla legge marziale che si faccia così, non ho scelta.
Il destinatario ideale di questo post è il fruitore di cinema medio, quello non troppo appassionato ma che se la gode un po' e che non ha mai voluto guardare i film fossili per paura di dormire/non capire/ridere (selezionare voce a scelta). Ritratto peraltro pericolosamente somigliante alla me di qualche anno fa. 
Senza alcuna (giuro) pretesa di fare la maestrina mi piacerebbe parlare a loro di Nosferatu.


Intanto, ciao, fruitore medio di cinema che non ha mai voluto guardare i film fossili. Ti dò il benvenuto nella mia modesta magione. Ti immagino pronto ad addentrarti nelle antichità del cinema e come tutti i cristiani ti immagino a cercare informazioni nell'unico modo che conta davvero: Google. Cerchi Nosferatu e ti esce questa frase ormai scolpita nella storia: film del '22 diretto da Friedrich Wilhelm Murnau, caposaldo del cinema espressionista.
Caposaldo del Cinema Espressionista
(Leggilo piano, goditelo sulla lingua, perché adesso puoi iniziare a dirlo con aria snob, erre moscia finto francese per sbattere in faccia la tua cultura ai tuoi amici che vanno a vedere i film dei supereroi. Film che tu non vedrai più perché sei stato Iniziato.)

A questo punto, amico mio, ti immagino chiederti, con tutte le ragioni di questo mondo, che minghia vuol dire. Sono qui per te, perché potrei essermelo chiesto anche io, qualche tempo fa. E allora, lascia che la sigla di Superquark ti accompagni mentre ti racconto cosa è sto espressionismo tedesco così ce lo leviamo dai cosidetti.

Dunque, siamo negli anni 10 del '900, in Germania. Nell'arte pittorica e nel teatro si diffonde questa nuova corrente, questa tendenza artistica, l'Espressionismo, appunto. In un'epoca in cui a spopolare erano la voglia di realismo e di concretezza, ecco che l'Espressionismo, con la strafottenza tipica di chi sa che avrà la storia a dargli ragione, si è imposto per la sua voglia di andare in direzione diamentralmente opposta. Ah, tu vuoi l'oggettività? La fedeltà al reale? E io ti dò le emozioni, invece. Ti lancio addosso la soggettività come se fosse stella filante a Carnevale. Quella realtà per te tanto preziosa io la prendo e deformo, la tiro e la mollo come se fosse mia e voglio proprio vedere cosa fai per fermarmi. Quello che vedi non è proprio il mondo, è la mia interpretazione dello stesso. Nel cinema quindi le cose sono un po' ballerine. Le figure hanno forme esagerate, distorte, allungate.

Ad inserirsi in questo contesto casca a fagiolo la primissima trasposizione cinematografica del romanzo di Bram Stoker: Nosferatu.




Nosferatu non ha una sorte felice: uscito nel '22 viene ben presto preso a male parole dalla moglie di Stoker, alla quale non era stato proprio chiesto il permesso per fare un film dall'opera del marito. La signora Stoker ottiene che tutte le copie del film vengano distrutte, ma suna qualche intercessione di divinità unite ha fatto sì che una copia sopravvivesse.

L'ho visto per la prima volta in un cinemino spettacolare della mia città, con i ragazzi del corso di Musicologia della mia città che suonavano dal vivo, come il film era pensato in origine. Vedere lavori del genere in sala è un evento incredibile a prescindere dalla passione per il cinema quindi fatemi il favore di scollare le chiappe abbronzate dai multisala e tornate ad esplorare i cinemini.
(Per i cremonesi: se non andate al Filo puzzate di cacca.)

È inutile che ti prenda in giro, fruitore medio di cinema: io preferisco i film più vicini a me. Diciamo che ne godo di più, l'esperienza è più piacevole e rimane sul piano della passione. Quando mi avventuro in film del genere lo faccio per studiare. Mi metto lì, con i miei libri di teoria del cinema e cerco nel film le cose che leggo, e cerco di imparare. Mi aiuta a godere meglio della mia passione e mi piace sinceramente farlo, ma non è la prima cosa che cerco quando ho voglia di vedere un film.
Nonostante ciò, Nosferatu è riuscito laddove Il gabinetto del dottor Caligari con me (CON ME) aveva fallito: fa paura regà.
Il film di Murnau funziona alla grande anche dopo i suoi migliaia di anni. Il Conte Orlok è spaventoso. E non parlo dell'iconica salita delle scale che ho postato, gli basta stare sulla porta e niente, è agghiacciante. Non deve parlare, è bestiale, inumano, terrificante. L'aspetto di Max Schreck è sicuramente di grande aiuto, ma quello sguardo lì mica te lo dà la natura, lo devi fare tu, e lui lo fa in maniera straordinaria.
Murnau, poi, era fuori come un balcone. Intanto si era convinto che Schreck fosse un vampiro vero, aveva convinto tutti di questa cosa e secondo me un pochino questo timore nei suoi confronti traspare nel film (o forse sono io che ce lo voglio vedere, chissà). Poi, in un periodo in cui gli scenari dei film erano dei bellissimi pannelli colorati lui ha deciso di spostare baracca e burattini e girare in esterno, per la prima volta all'interno della corrente dell'Espressionismo. La natura diventa quindi parte integrante della pellicola, e collabora alla perfezione nel trasmettere quasi del misticismo.
Potremmo stare qui a parlare dei giochi di ombre, luci e specchi, dell'effetto Schufftan e tutto il resto, ma allo spettatore quelle cose qua spesso non interessano. Ci sono i tecnici per questo. Lo spettatore fruisce del loro lavoro, e oggi, millesettecento anni dopo, siamo ancora nelle mani di espedienti ormai abbondantemente superati. La storia e la tecnica sono andati avanti ma Nosferatu non ha perso niente.
Solo un inizio così sfolgorante avrebbe potuto rendere il Dracula cinematografico la leggenda che è oggi.

CONSIGLIO PER I NAVIGANTI
Attenti quando lo cercate online, evitate youtube (dove se ne trovano diverse versioni) per essere certi di stare guardando la versione corretta, perché la musica di Nosferatu è complice di Schreck nel incutere un'inquietudine di quelle viscidine che sembrano essere facilmente superabili ma che invece non si schiodano di dosso.


Simile capolavoro non sarebbe rimasto intoccato a lungo.
In realtà tra lui e il suo remake sono passati intorno ai 60 anni, ma cosa sono 60 anni rispetto all'immortalità dei due film in questione?
Sì, signora mia, lo so che il remake non è mai bello come l'originale, ma un giorno un tale, Werner Herzog (quindi insomma non l'ultimo degli stronzi), ha pensato bene di dirigere di nuovo la storia di Orlok ed è riuscito nel miracolo di creare un film che, portando i suoi dovutissimi omaggi all'originale, vive di vita propria e non ha proprio niente da rimproverarsi.
Da un punto di vista narrativo si sceglie di ripercorrere la stessa identica vicenda del '22, restituendo soltanto ai personaggi i propri nomi, quelli del romanzo. Inspiegabilmente spesso Mina diventa Lucy e viceversa, ma non andiamo troppo per il sottile.

Nel marasma di ottime idee che hanno portato Nosferatu, il principe della notte ad essere il bel film che è, una su tutte ha secondo me del glorioso: KLAUS KINSKI.
Non frintendetemi, almeno nei suoi primi anni al cinema Dracula ha avuto la fortuna di avere sempre dei volti ben più che dignitosi, quantomeno nelle trasposizioni più celebri, ma Klaus...un incubo.
E ricordate che parliamo di Dracula, quindi è un complimentone.
Più di tutti i suoi predecessori, Kinski ha uno sguardo assolutamente killer. Lo so, l'ho detto anche di Schreck poco sopra, ma lui era muto, aveva solo quello da sfruttare. Qua no, qua Kinski parla. Parla, è a colori, ha 60 anni di tecnologia in più da sfruttare a suo favore, ma tutto questo è NIENTE in confronto al sudore freddo che il primo sguardo di Dracula verso il taglio che Jonathan si fa ad un dito mi ha causato.
Amico mio, il fruitore di cinema medio, se sei giunto fino a qui: lo so che io parlo per iperbole e sono un po' drama queen quindi sembra sempre che esageri, ma mi devi ascoltare. Kinski è uno dei migliori Dracula che la storia ricordi e il fatto che spesso sia oscurato da altri è ingiusto e frustrante. Se anche tu pensi che sia giusto ridare luce ai talenti, lascia da parte la venticinquesima versione di Sir Christopher Lee (a cui comunque rivolgiamo una preghiera ogni sera prima di dormire) e dai una possibilità anche a lui.
Scoprirai un Dracula drammatico, umano, amaro.
Eterno.

Il Dracula in questa versione è pieno di gloria. Non mi stupisce che quindi, oggi, Nosferatu sia pronto a tornare. Non ha ancora finito con noi, e Robert Eggers lo sa.
(Qui per leggere le prime info!)

giovedì 31 agosto 2017

Vampires! - Dracula, Bram Stoker

13:31
Ogni anno, per il compleanno del blog, decido di scrivere un post più particolare, magari più ricercato o che sia per me in qualche modo significativo. Quest anno, invece, ho deciso che avrei approfittato della mia ricorrenza per colmare una mia grande lacuna. Per tutto il mese di settembre, quindi, a parte un paio di eccezioni con i colleghi blogger ai quali non posso dire di no, e a parte oggi che è ancora agosto, si parlerà di vampiri.
Così è deciso.


Prima di tirare in ballo il cinema, però, c'è da leggere almeno almeno Dracula. 
La mia prima lettura del romanzo di Stoker risale ai tempi del liceo, in cui leggere certe cose mi faceva sentire così outsider che le avrei lette anche per strada pur di far sfoggio del mio essere diversa. Non sembra, ma dai miei tempi del liceo sono passati un po' di anni, quindi, in previsione di questa serie di post, mi sono riletta Dracula.
Pensavo mi piacesse, prima. Ne avevo un buon ricordo, quindi mi era senz'altro piaciuto. Adesso, dopo anni, è amore. Se è vero che c'è un momento giusto per ogni cosa, allora io devo essere reinciampata sul romanzo nel momento perfetto, perché la lettura di Dracula è stata illuminante, e come le cose molto molto luminose ha annebbiato la vista e rincoglionito un po' il cervello, impedendomi di leggere oggettivamente quanto venuto dopo.

Ma andiamo con calma.

Anno domini 1890. Bram Stoker, un gentiluomo irlandese, fa un brutto sogno, come ne facciamo tutti. Si sveglia la mattina, decide di fare un po' di ricerche (ma giusto un paio, per qualcosa come sette anni), poi butta giù due cosette. Nel 1897 le sue ricerche producono un romanzo e la narrativa dell'orrore non è più la stessa. È più o meno la stessa sensazione che deve avere provato Freddie Mercury quando ha scritto Bohemian Rhapsody. Hai un'idea, e anni dopo le persone ancora vivono all'ombra della maestosità di quanto hai fatto. Letteratura e musica non sono mai più stati gli stessi. Chissà cosa si prova. Se esiste un'aldilà spero che entrambi possano vedere che ancora oggi pendiamo dalle loro labbra.
Insomma, esce un romanzo che si chiama Dracula. Finisce per diventare fenomeno di costume, vincolando per sempre la leggendaria figura del vampiro al suo nome. Sono passati 120 anni e le ristampe del libro non sono ancora cessate. Se chiudo gli occhi riesco quasi ad immaginare John William Polidori che alza la mano, si schiarisce la voce e dice timidamente che veramente quello che è considerato il primo racconto di vampiri lo ha scritto lui, ma uno sguardo di Bram, dall'alto della sua indiscussa superiorità storica, dovrebbe bastare a rimettere il povero John al suo posto.
Polidori lo ricordiamo essere portatore di una sfiga rara. Il suo racconto è stato prima offuscato da un certo Frankenstein, scritto nella stessa sera e oggi finito ingiustamente nel dimenticatoio (ironia alert), e poi da quest'altro qua, il cui nome è diventato sinonimo di vampiro, capostipite assoluto di una discendenza che, ancora oggi, non accenna ad estinguersi, prima fiammella di un fuoco che non ha alcuna intenzione di placarsi.

Il romanzo si apre - e si chiude - con un diario. Jonathan Harker, un giovane apprendista in uno studio legale, è in partenza per la Transilvania, per concludere un affare con un cliente del luogo. La gente intorno a lui gli fa intuire che non si tratti di una buona idea, ma il lavoro è lavoro e Jonathan e Dracula si conoscono. Li vediamo insieme solo nella prima parte del romanzo perché poi, con l'eleganza dei cattivi migliori della storia, Dracula sparisce. Sta sullo sfondo, mentre noi leggiamo dai racconti dei protagonisti le conseguenze delle sue azioni. E tutto questo, per me, è già straordinario. Dracula fa paura non essendoci mai, ma essendo sempre presente, Sta sullo sfondo, eppure tutto quello che succede in primo piano è in funzione di lui. Una città intera è piegata al suo potere, ma nessuno lo conosce.
Mina, Jonathan, Arthur, Lucy, Renfield, Quincey, Seward,e ovviamente l'amatissimo (almeno da me) Van Helsing sono personaggi di cui non facciamo mai conoscenza diretta, nel senso che non ci vengono mai presentati. Il romanzo è costituito solo delle loro parole, attraverso diari, lettere, memorie, e niente di tutto ciò è diretto ad un lettore. I protagonisti scrivono per se stessi, quindi sono onestissimi, e hanno una paura maledetta.
Oppure sono incuriositi, frustrati, addolorati, affascinati. L'unico a non avere voce diretta è proprio il protagonista indiscusso della vicenda, il Conte. (Non fate i pignoli, lo so che anche Renfield non parla mai direttamente.) Dracula parla e compare pochissimo, non abbiamo mai visione diretta dei crimini che compie, perché non ne ha bisogno. È già terrificante così.


Esistono creature particolari, chiamate vampiri. Qualcuno di noi ha prove di loro esistenza. (...) Un Nosferatu non muore come ape dopo che ha punto. Diviene solo più forte. (...) Questo vampiro che è tra di noi ha, da solo, la stessa forza fisica di venti uomini. Sua astuzia è più che mortale perché sua astuzia cresce con passare di anni. È bestiale, anzi più che bestiale! È demonio insensibile, senza cuore.
Solo un personaggio alla sua altezza poteva contribuire alla sconfitta del Conte più temibile della storia del mondo: Abraham Van Helsing. Badass senza precedenti, AVH ha cinque milioni di anni (iperbole, sempre iperbole), un centinaio di lauree in scienze dalla diversa utilità (Lettere e Filosofia vs Medicina, per dirne solo tre) ed è l'unico che abbia la più vaga idea di quello che sta succedendo, azzoppato anche dal lieve dettaglio di essere l'unico a crederci, a quello che sta succedendo. Dettaglio peraltro niente affatto irrilevante se si pensa che non si può uccidere qualcosa in cui non si crede.
È molto interessante, poi, che sia proprio lo scienziato a diventare la rovina di Dracula. Il sovrannaturale, il pericoloso, il mortale, vengono annientati, come nelle migliori favole a lieto fine, dall'uomo di scienza, dalla razionalità. Ai miei occhi non esiste niente di più rassicurante.

Io mi rendo anche conto che una che trova rassicurante Dracula possa non sembrare tutta a posto con il cervello, lo capisco. Ma nell'eterna lotta tra il bene e il male il romanzo di Stoker ci mostra che il Male è anche umano, che può essere anche un uomo per il quale sia lecito provare a volte anche sentimenti di tenerezza (all'inizio, il Conte solo nel castello a me ha stretto il cuore che vve devo dì), e che annientarlo non lascia mai privi di cicatrici.
Ma che si combatte, sempre.
Spesso con la scienza.
Il che mi porta a concludere che un romanzo di 120 anni fa scritto da un irlandese sia un baluardo dell'antigrillismo.
Ok, la smetto.



giovedì 11 febbraio 2016

Nosferatu

14:21
Ieri sera, per la prima volta in 25 anni, ho visto un film muto.
L'ho visto in quello che considero il cinema più bello e adorabile dell'universo, per di più.

Non penserete mica che io sia qui a recensire un film del 22, vero?
Non che non lo pensate, non siete mica scemy.


Però due chiacchiere si fanno sempre volentieri, se sono sul cinema ancora meglio.

Fino a qualche tempo fa a me del lato storico e tecnico del cinema interessava quanto mi interessa la politica dell'Islanda. Meno di niente, l'Islanda non è neanche nell'Unione Europea.
Superficialità? Ignoranza? Entrambe.
Volevo andare al cinema e farmela sotto. Oppure emozionarmi, oppure divertirmi (questo meno). Oppure tutto insieme.
Poi è successo, un giorno, che mi sono messa a rosicare perché gli altri sapevano le cose. Capivano le citazioni, i riferimenti, riuscivano a stendere con cognizione di causa una 'poetica' degli autori. E io leggevo i loro post (gli altri generico, chiaramente) e mi sentivo piccola piccola.
Mi ci sento ancora, btw.

Il punto è, e qui so che vorrete dire 'bencaduta dal pero' ma vi prego di trattenervi, queste persone mica sono nate imparate (dai che è dialettale, passatemelo).
Per imparare le cose bisogna studiare, pensate un po'. Leggere, prepararsi, informarsi.
E guardare sempre più film, compresi quelli che si sono sempre ignorati. Sempre per il discorso che la conoscenza non ci entra nel cervello per conto suo. Ce la dobbiamo mettere noi, altrimenti lei se ne sta comoda comoda, stampata sui libri, a riposare.

Per questo motivo ieri sera sono andata a vedere Nosferatu in sala.
Per questo e perché le iniziative intelligenti e stimolanti dei piccoli cinema vanno sostenute, la guerra ai multisala è ancora lunga.
Il 4 maggio, infatti, aspettatevi di leggere qualcosa su Caligari, perché al Filo ci torno.


Certa che sarebbe stato impegnativo da parecchi punti di vista, io, nannimorettiana fino alla morte, amo le parole (motivo per cui, unica cosa che dirò sul film, ho voluto un gran bene agli Odiosi Logorroicissimi Otto), e sono figlia della mia epoca. Nessuno chiederebbe alla mia epoca se sono stata adottata come invece succedeva con la mia madre naturale. Si vede chiaro due chilometri che sono proprio figliola di questo secolo.
Quindi, è stato difficile?
Molto, al punto da rendermi difficile il considerare Nosferatu un film. È stato complesso per me guardarlo ascoltando solo musica, fermandomi a leggere frasi qua e là, è stato strambo approcciarmi per la prima volta alla recitazione così sopra le righe. Ciò su cui si è concentrata la mia attenzione, però, è l'uso dei colori. Filtri (sarà poi corretto dire 'filtri'?) forti, colori che riempiono la scena e lo schermo. Un uso completamente diverso rispetto a quello a cui sono abituata, che però è stato interessante osservare.

Ho immaginato una me stessa degli anni 20. Mi sono immaginata al cinema a vedere un film su un vampiro per la prima volta. Ho guardato la sinistra figura di Schreck avvicinarsi lentamente alle porte, salire le scale, o semplicemente accogliere nel castello il povero Hutter (personaggio dall'entusiamo gilderoyallockiano, se me lo concedete), e sì, me la sarei fatta sotto.

Un'esperienza.
Un primo passo verso quello che voglio costruire, non tanto per il blog quanto piuttosto per mia volontà di completezza. E per sincera passione per qualcosa che finora avevo considerato solo ad un livello più comodo.

Ma tranquilli, il momento in cui su questo blog si inizierà a parlare di espressionismo tedesco è ancora moooolto lontano.

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