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venerdì 26 marzo 2021

Horrornomicon: The Shape Lives

12:43

 Parlando di Wandavision avevo raccontato di come le relazioni di lungo corso finiscono per far mescolare i gusti e le passioni. Ecco, se io mi sono guardata ore ed ore di onde energetiche lanciate dalle mani di persone con i mantelli, Erre ha dovuto tollerare un numero di film dell'orrore ben superiore a quello che avrebbe voluto. 

Sono serviti esperimenti, tentativi, errori, ma finalmente ho trovato qualcosa che gli piacesse davvero. 

La saga di Halloween lo ha conquistato. Sono una donna più felice per questo? Sì. La mia missione è solo all'inizio, ma presto sarà uno di noi, uno che smetterà di chiedermi che film ha fatto Brian De Palma oltre a Carrie. E pure per fargli ricordare quello ci ho messo un po'.




Questo post conterrà spoiler su tutti i film della saga. Tutti, anche La resurrezione. Anche quelli di Rob Zombie. 


Non scriverò la trama di nessuno dei film credo, ma soprattutto non scriverò quella del primo. Se siete su questo blog lo avete certamente già visto, ma se siete qua per caso e ancora non avete avuto l'immenso piacere, non rovinerò in nessun modo la vostra esperienza.

Perché guardare Halloween, quello del '78 diretto dal Sempre Sia Lodato John Carpenter, continua ad essere un'esperienza unica nel suo genere e dio non voglia che ve la rovini io solo perché voglio scriverci su un post. Se anche conoscete Michael Myers di fama e di aspetto, guardarlo tornare ad Haddonfield per la prima volta è proprio tutta un'altra cosa.


Lo dico prima ancora di cominciare a parlarne, per dimostrare subito la persona seria che sono: con l'ovvia eccezione di quelli girati da Rob Zombie, a me i film della saga dell'ombra della strega piacciono tutti. Ho detto tutti quanti. Mi piace quando a Michael tagliano la testa e poi non era lui, quando fanno diventare Laurie sua sorella, quando diventa un reality show, quando assoldano Ant-Man (smettila, internet, di idolatrare Keanu Reeves, il vero immortale è Paul Rudd), quando ci mettono di mezzo le sette e persino quando si dimenticano di metterci Michael e fanno un film diverso. Il mio è amore appassionato. La mia è devozione. Non posso resistere a quella maschera vuota e spenta, mi emoziona. E il motivo per cui non posso resistergli è che a me, signori, Michael Myers fa una paura maledetta. 

Mi piacciono gli slasher proprio perché genericamente hanno un fattore spavento relativamente basso e posso propinarli ad Erre ogni volta che voglio senza doverlo prima preparare a quello che lo aspetta. Michael no. Il Boogeyman per eccellenza mi ha regalato ancora adesso un paio di notti di tensione. Il suo incedere lento, la sua ineluttabilità, il suo silenzio, sono gli elementi che lo rendono il più affascinante di tutti, ma anche il più spaventoso. 


Ma dicevamo, Halloween del 1978. Un film girato da un uomo giovanissimo, in manco un mese, con 5 euro nel portafoglio e una sceneggiatura buttata giù di corsa in poche settimane. Risultato? 40 anni dopo ancora fa scuola, e soprattutto fa soldi.

Se si riconoscono tutti i meriti di chi è venuto prima di lui e gli ha spianato la strada, è anche giusto dire che Carpenter, col suo film, ha creato un genere. Ha scritto le regole che vent'anni dopo Craven avrebbe selvaggiamente preso per i fondelli con quello Scream che giustamente tutti amiamo di un amore romantico, ha aperto la strada ad un'epoca del cinema dell'orrore che ancora oggi diverte come se non fosse passato un giorno. E lo fa con un film che è la dimostrazione di come anche l'orrore a basso costo possa essere allo stesso livello del cinema d'autore. Perché quello che rende il primo film così straordinariamente superiore a tutti quelli arrivati dopo, che vi ricordo io adoro lo stesso, è il suo autore. Che Carpenter sia la storia di un genere non lo devo certo spiegare io a nessuno, è uno di quei nomi a fronte dei quali ci si leva il cappello.

Mi piace pensare che sia questo il film che più di tutti lo eleva al rango di Maestro, perché forse con Il seme della follia sarebbe troppo facile. Quella è roba complessa, lovecraftiana, di quelle che alla fine ti fanno cercare su google la spiegazione del finale. Halloween aveva tutte le carte in regola per essere un film semplice: ha una trama che più minimal di così non si può. Un uomo scappa da un manicomio e uccide delle adolescenti. E invece lui ne tira fuori un opera immensa.

Quello che fa il film è rendere questa cosa così apparentemente lineare molto più interessante di così, e lo fa regalandoci il villain più iconico di tutti, con buona pace di Jason e gli altri. Scusatemi, sono sempre di parte. Michael ha sembianze umane, e pare che il suo DNA lo renda proprio uno di noi. Eppure, quella dell'uomo è solo una forma, la Shape, appunto, perché quello che c'è dentro non ha nulla di umano. Come il povero dottor Loomis cerca di spiegare in ogni benedetto film per tutta la durata della saga, Michael Myers è il Male. Non ha scopi, non ha motivazioni, non ha emozioni (poi magari ne riparliamo), non ha nulla. Dietro la maschera c'è solo il vuoto, e un vuoto che uccide. Così d'impatto è la sua presenza che non serve altro. Non pronuncia mai un solo verso, non ha un volto, non ha nemmeno un solo attore che lo interpreti per tutto il tempo, tanto questo è insignificante: Micheal Myers è il Male, e tanto ci basti sapere. Non hanno alcun interesse Carpenter e Debra Hill, a spiegarci cosa e perché, perché non ne esistono. L'anti spiegone per eccellenza, paradossalmente in un film in cui si parla molto. Loomis è molto, molto verbale su quello che Michael rappresenta e su come sia il peggior pericolo che la cittadina di Haddonfield abbia mai incontrato. Loomis spiega, parla, agita, ma è tutto quello che può fare. Oltre ad un ormai iconico monologo che rappresenta l'essenza vera del film. Accanto a lui, la final girl per eccellenza, una Jaime Lee Curtis così appassionata del ruolo che ancora oggi ne parla piena di orgoglio. La sua Laurie è, insieme alla Sidney del sopracitato Scream, la mia preferita.

Halloween è un film pacato ed elegante, che non mostra più sangue di quanto sia necessario e che non sbrodola mai in nulla che non contribuisca a renderlo uno dei più grandi di sempre. 


Potrei parlare solo di lui, del suo sconvolgente inizio e del suo bellissimo finale e di tutto quello che ci sta in mezzo, ma poiché i film sono tanti, meglio passare al suo primo sequel, Halloween II - Il signore della morte. 

Rientra tra quei sequel che a me piacciono molto, ovvero quelli che riprendono le file della storia esattamente da dove le avevamo lasciate, ed è infatti ambientato la stessa notte. Laurie è in ospedale, e ha da qui inizio la faccenda che la vede sorella di Michael. Ne avremmo fatto a meno? Possibile. Eppure alla fine io a questa storia mi ci sono affezionata e mi diverte sempre sentire che lo chiama "mio fratello". Faccio così anche io quando il mio, di fratello, mi fa incavolare, lo privo del nome proprio e lo chiamo "mio fratello", esattamente con il tono sprezzante che Laurie riserva a Michael in 20 anni dopo. 

Il due è una bella e concitata caccia alla Laurie, per quanto ci tenga a ricordare che concitata si intende per gli standard Myersiani. Michael è una personcina composta, non corre, non salta se può evitarlo, al massimo si prende delle gran mazzate. 

Ultima volta che vediamo il duo Carpenter - Hill all'opera, il secondo capitolo della saga è per me godibilissimo, che soffre del confronto impietoso col suo predecessore ma che tutto sommato si difende dignitosamente. Non fa niente se non piace manco a Carpenter stesso, gli voglio bene io per entrambi.


Poi succede una cosa strana. Esce un film che si chiama Halloween III - Il signore della notte. Si chiama così, ha il numero 3, tutto farebbe pensare che sia un sequel comune. E invece no.

Un Halloween senza Michael, un ritorno alla saga senza Laurie, senza Loomis, senza proprio lo slasher. Un caso di scambio in culla? Un errore di battitura? No, lo volevano proprio chiamare così. Ci offendiamo per ben altro, da queste parti, quindi prendiamo questo buffo episodio per quello che è, un film che col tempo è stato molto rivalutato e che rappresenta una di quelle belle critiche al sistema capitalistico che lo stesso Carpenter a sua volta sa fare bene come pochi altri. Il signore della notte non raggiunge certo i picchi di grandi film sociali e politici che il cinema dell'orrore ci ha spesso regalato, ma è piacevole e ha una di quelle canzoncine che alla fine del film ti fanno venir voglia di sbattere la testa contro il muro, sintomo che evidentemente sono efficaci.


Si ritorna alla nostra cittadina preferita con Halloween 4, per il quale ho proprio un debole. 

Dopo la parentesi del terzo film, bisognava inserire un elemento di novità alla saga originaria, per non continuare a riproporre sempre la solita faccenda, e si sceglie di inserire una bambina. Una dolcissima Danielle Harris interpreta la piccola Jaime, figlia della defunta Laurie, e quindi nipote di Michael. 

Io questo film l'ho proprio adorato, ben consapevole dei suoi vari limiti. Il mio cuore, però, si scioglie sempre davanti ai bambini dei film dell'orrore, piccoli nanini inconsapevolini e fragilini. Jaime è proprio da canone di cuore sciolto: orfana, ma di nuovo amata dalla famiglia che l'ha adottata, tenerina e ben interpretata. Il film poi è proprio innamorato di quello del '78. Non c'è solo un uso sempre bello della colonna sonora mitologica (ma quella ci accompagnerà fino alla fine), ma c'è anche il costumino da pagliaccio, e soprattutto c'è il finale. Ah, mi dispiace, detrattori di questo film. 

Quel finale lì è proprio un gran bello. Michael vive, anche nelle bambine di manco dieci anni.




Vive anche letteralmente, perché come abbiamo ormai capito nessun tentativo di farlo fuori, nemmeno quelli più coreografici, funziona mai. Micheal torna di nuovo, e questa volta lo scopriamo perché è Jaime stessa, la nipotina, lo sente e lo vede. Ne percepisce la presenza e ha vere e proprie visioni. Come la madre biologica prima di lei nel suo secondo capitolo, è rinchiusa in un ospedale. Non che Myers si sia mai fermato di fronte ai nosocomi, e infatti quello che abbiamo è l'ennesimo film in cui i giovani vengono selvaggiamente ammazzati dal Nostro. Diverte che il film diventi una sorta di meta-Halloween, in cui il nostro killer diventa per la prima volta anche un effettivo travestimento da halloween, e diverte l'infelice sorte che tocca a questi adolescenti, che sono francamente i peggiori dall'inizio della saga. Si sposta un po' in là l'asticella, perché questa volta quelli che Michael cerca di uccidere non sono più solo adolescenti ma anche una coppia di bambini. In più, è in questo film che viene introdotta la questione della famigerata setta, che incontreremo ufficialmente nel film successivo. Forse è la sola volta in cui un film della saga sembra venir scritto dando per scontato che un sequel ci sarà, perché la questione della setta viene introdotta solo come la schiena di un personaggio ignoto che compare ogni tanto e libera Michael alla fine, dopo che Loomis era riuscito a farlo arrestare.

Non sono così pazza da considerare questo film uno di quelli da storia del genere, ma è riuscito comunque a divertirmi tantissimo, e da una saga slasher non chiedo altro.


Certo, poi arriva Halloween 6, e ammetterò che anche il mio amore folle qui ha vacillato. Arrivare al nipote di Laurie comincia a sembrare un pochino azzardato anche a me. Del resto Michael a questo punto non è più di primissimo pelo, e il film è proprio stanco. Vuole aggiungere nuovi elementi, che però iniziano l'opera di distruzione della base della mitologia della saga (la posso chiamare così?). Insinuare di culti e maledizioni e druidi e tribù priva di senso tutta la narrazione che ci viene fatta di Michael dal primo film. Che è poi l'imperdonabile errore che fa Zombie nei suoi film. Non mi interessava dare un approfondimento psicologico al passato di Michael, non le volevamo delle motivazioni soprannaturali. Potete lasciarci un killer cattivo e basta senza metterci ste sbrodolate? Che noia.


Bisognava solo portare pazienza, però, perché era questione di pochi anni e Laurie sarebbe tornata a renderci felici. Siamo nel 1998 ed esce Halloween - 20 anni dopo. Il film ignora tutto quello che è successo prima e si colloca dopo il secondo. Laurie ha finto la sua morte per andarsene da Haddonfield e vive ben lontano da lì, con il suo unico figlio ormai adolescente e una bella dose di ansia che le è rimasta da quello che le è accaduto. Sì, si può dire che a grandi linee il film somigli a quello del 2018. L'ultimo, però, è molto più riuscito, decisamente la cosa migliore mai successa al franchise dopo la sua nascita. Quello di metà anni '90 è un film figlio della sua epoca, di grande intrattenimento ma con ben poca profondità. Jaime Lee Curtis ogni volta che riveste i panni di Laurie è brava e si vede quanto se la gode. Il film regala momenti di sincera ilarità (a me, che faccio una gran fatica a ridere), come l'indimenticabile estintore in testa. Non che a Michael un estintore in testa possa causare alcun danno, ma mi ha comunque spaccato dalle risate. 

Ha un grande difetto, però, H20. Ha portato ad Halloween: Resurrection. 

Siamo in un'era del cinema dell'orrore che definirei complessa, i primi anni Duemila. Bisognava portare di nuovo a casa la pagnotta con un franchise che ormai stava in piedi da più di vent'anni. Cosa fare? Inserirci il reality show. Se si ama il trash, questa è poesia. Un gruppo di adolescenti partecipa ad un reality show prodotto da Busta Rhymes e Tyra Banks (in caso aveste qualche dubbio sull'anno di realizzazione del film, ve l'hanno chiarito così, sono proprio i primi Duemila). E non sono manco ironica, son proprio loro. Devono entrare, armati di telecamere e microfoni, all'interno di casa Myers, quella in cui si è verificato l'omicidio originale, quello in cui Michael ha ucciso la sorella. La prima, di sorella, perché Laurie muore all'inizio di questo capitolo. Lo fanno e ovviamente lui non è contento manco per niente, anche perché sembra che in quella casa lui di fatto ci abiti, quindi è pure una discreta violazione di domicilio. I giovani finiscono mediamente male, ci mettono dentro una morte che è ormai tradizionale del Nostro (la persona pugnalata e appesa a muri o porte con i coltelli), il reality show diventa la chiave per salvare la vita, mediante un sistema di messaggistica alquanto originale, ai suoi partecipanti. 

Questo è un brutto film, dai, lo possiamo dire. Se prendessi la faccenda sul serio potrei pure essere indignata che si chiami proprio Halloween. Però siccome sul serio non la prendo, mi godo questa robaccia come il film trash che è, e mi ci diverto come una matta.  


Sono molto più severa, invece, con i due film di Rob Zombie che hanno avuto la sventurata idea di chiamare proprio Halloween. Se con i film precedenti sono sempre disposta a perdonare tutto, con questi proprio non ci siamo. Partivo già maldisposta, perché a me lui non piace. Se trovo molto carino La casa dei 1000 corpi, ho quasi odiato tutto il resto che ho avuto la pazienza di guardare, e di conseguenza ho pure smesso di provarci. Io e Rob non ci capiamo, e va bene così, lo accettiamo entrambi serenamente. Quello che fa con il film è completamente snaturare il concetto che della saga sta alla base: Michael non ha un passato traumatico. Anzi, da quel poco che ci è mostrato nel film di Carpenter, arriva da una famiglia per bene, che vive in una bella casa in un bel quartiere, sembrano persone normali. La famiglia disfunzionale e malsana che ritrae Zombie è un'altra cosa. È cercare un'origine a qualcosa che per definizione un'origine non ha. È volergli dare una ragione. E a me non sta bene, mi fa proprio sedere in un angolo imbronciata con le braccia incrociate sul petto. Potrei pure accettarlo e passare sopra a quella che proprio prendo come un'offesa personale, ma è il prendersi così sul serio che non perdono. Anche il sesto film snatura un po' il concetto stesso di Michael Myers, ma è un film cazzone, sotto sotto si fa voler bene. Brutto è e brutto resta, ma lo prendiamo per quello che è, come quell'amico che al bar ti mette sempre in imbarazzo perché fa troppa cagnara ma poi all'aperitivo lo chiami lo stesso. Zombie invece col suo crederci così tanto, col suo sentirsela quasi autoriale, mi fa ancora più rabbia. Oltretutto, il film alla fine è debolissimo, manca di tutta l'atmosfera che si vede ha cercato di metterci. È riuscito ad ammazzare una scena che avrebbe potuto essere piena di pathos, ovvero il ritrovamento della maschera con la colonna sonora originale. Mi ha comunicato il nulla, e soprattutto non fa mai mai mai mai un briciolo di spavento. E questo, a un film in cui c'è l'ombra della strega, non lo posso perdonare. Il suo sequel manco l'ho riguardato, la vita è troppo breve. 


E infine, il film del 2018, che è bellissimo e a differenza di quello qua sopra fa bene a crederci. Perfettamente inquadrato nel suo momento storico si apre con due podcaster true crime che vogliono intervistare Michael (che anime candide). Gli fanno girare la uallera, però, perché hanno la pensata di tirar fuori la sua maschera. Questo viene trasferito, scappa di nuovo, cerca Laurie. Perché sì, torna spettacolare come sempre la nostra preferita, una Jaime Lee Curtis invecchiata con una grazia che può avere solo lei. Ed è come sempre il suo personaggio il cuore della saga. Si vede cosa succede alla final girl dopo che il film è finito, e quello che succede non è bello. Come una reduce dal Vietnam, Laurie ha uno stress post traumatico che l'ha resa una madre ansiosa e complicata. Beve, si trascura, e soprattutto vive nell'attesa che Michael torni. E lui, chiaramente, torna. Lei, però, non ha passato questi anni senza prepararsi. Nonostante la figlia non la prenda sul serio, Laurie si è attrezzata, ed è pronta a fare a fettine sottili il culo del fratello. 

Questo primo film della nuova trilogia è davvero bello. Arriva dove tutti gli altri non sono riusciti a fare, è intenso, appassionato, scritto in maniera intelligente e girato bene. Non è chiaramente un film fatto cavalcando l'onda del momento, ma fa parte di un'operazione ben pensata e ben sviluppata. Parla di traumi, di paure, di rapporti familiari complessi, di adolescenti, e lo fa benissimo. 


Ed è, per me, la prova che quando lo si mette in mano ad addetti ai lavori sapienti e capaci, nessun franchise è morto. Ci saranno sempre nuove cose da dire, nuovi aspetti da esplorare, nuovi personaggi da approfondire, nuovi momenti storici da sfruttare. 

E io sono pronta a vederli arrivare tutti.

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