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domenica 30 agosto 2020

Horrornomicon: l'Opera di Dario Argento

17:04

 Redrumia oggi parla di tante cose diverse, ma quando è nato era tutto rosso, con un altro nome e parlava quasi solo di cinema dell'orrore, il mio primo grande amore. In tutti questi anni ho parlato di tanti film, tanti autori, tanti sottogeneri, eppure non ho mai parlato di quello che il grande pubblico considera il più importante regista di genere italiano: Dario Argento.



Il motivo è molto semplice: a me Argento sta sulle balle come persona e non piace come regista. 

Mi dispiace se in questo post risulterò ancora più ostile e polemica di quanto già non sia abitualmente, ma ho tante cose da dire e nessun altro posto se non questo blog in cui sfogarmi per bene.

Argento nasce con quello che dalle mie parti chiamiamo il culo nel burro. Sua madre è una delle più famose fotografe della capitale, e dalla parte del padre la famiglia lavora nel cinema da almeno due generazioni. Ha i mezzi e le conoscenze giuste, e parte con una notevole spinta che lo ha portato ad essere oggi conosciuto in tutto il mondo. Da parte sua, questo almeno glielo devo, ci mette un'indubbia passione. Ma andiamo in ordine.

Dario inizia la sua carriera lavorativa come giornalista: scrive di cinema e spettacolo per Paese sera e pian piano si apre alle sceneggiature, cosa che la sottoscritta trova particolarmente buffa considerando che se c'è una cosa che nei suoi lavori che è oggettivamente scadente è proprio la scrittura. Insomma un giorno scrive una sceneggiatura e gliela rifiutano ovunque. L'uccello dalle piume di cristallo non piace. Lui allora corre a piangere tra le braccia di papà il quale prontamente apre una casa di produzione, egocentricamente chiamata SEDA (Salvatore e Dario Argento), e gli produce il film, in barba ai cattivoni che non te lo volevano far fare amore il tuo cinemino. 

Nella sua autobiografia (Paura, edita Einaudi) Argento chiarisce che del comparto tecnico non ne sa nulla, che non ha mai nemmeno assistito alla realizzazione di un film, è come un bambino al primo giorni di scuola che non sa manco tenere in mano una biro. Eppure, con l'arroganza che lo contraddistingue per tutta la durata del libro, specifica che non si è fatto mettere i piedi in testa da nessuno, che non ha accettato consigli da nessuno e che ha comandato lui. Bravo pirla. L'inesperienza non è mai una colpa, l'arroganza sempre, e infatti il film lo mostra chiaramente. Come tutti e tre i film della Trilogia degli animali è noioso e scritto da cani (per restare in tema animalesco). Pone chiaramente le basi per tutti gli elementi che troveremo in futuro in buona parte della sua produzione e chiarisce subito con chi abbiamo a che fare e detto da me non è una cosa positiva in questo caso. Possiamo poi davvero parlare di elementi ricorrenti o si tratta palesemente di riciclaggio di idee che erano già stantie la prima volta? Lascio a voi intendere quale sia la mia opinione. Però il film funziona. Fa un sacco di soldi.

Siccome il cinema è pur sempre un'industria ecco che al film ne seguono immediatamente altri due: Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio. Avete tutta la mia ammirazione se siete in grado di distinguerli uno dall'altro. (Ma anche dai suoi gialli successivi). Tre gialli all'italiana che hanno contribuito sicuramente a mettere a fuoco quelli che con il tempo sono diventati tratti distintivi del genere e che hanno indubbiamente portato a decine di emulatori, ma che sono invecchiati malissimo, che non reggono il confronto con chi realmente del genere è stato pioniere (Mario Bava, parlo di te). Non li posso sopportare e non costringerò mai più me stessa alla visione di questa roba perché la vita è una sola. 

Certo che poi è successo Profondo rosso, che sarei ingiusta a paragonare ai primi 3. Rimane un film che non amo particolarmente, ma è chiaro anche ad occhi che, come i miei, non hanno particolare interesse a guardare, pur essendo uguale su un milione di aspetti ai suoi predecessori (ma i suoi gialli sono tutti fatti con lo stampino, mi ripeto) di sicuro sposta l'asticella un po' più in alto, per cura e interesse e anche banalmente livello di violenza. L'inserimento di almeno un pochino di soprannaturalità (l'autocorrettore non me lo corregge quindi deve essere un termine italiano) è sicuramente un valore aggiunto.

Ed è a questo punto, però, che mi sento di parlare di un'altra faccenda. Pare evidente agli occhi dello spettatore che Argento ha una gran passione per tutto il comparto tecnico, questo glielo devo concedere. Lo ama proprio, fa ricerca, si impegna, gli piace un casino. Il suo periodo d'oro è stato negli anni '70, e bisogna ammettere che l'artigianato dei suoi lavori è una delle componenti più interessanti. Ma è qui che mi casca l'asino. Dario Argento, grazie appunto al papà di cui sopra, ha avuto l'immensa possibilità di circondarsi fin dal primo film di straordinari professionisti del settore. Il direttore della fotografia de L'uccello dalle piume di cristallo è Vittorio Storaro, 3 volte premio Oscar di cui una per Apocalypse Now. Sempre per il suo primo film ha avuto Ennio Morricone per la colonna sonora, e la loro collaborazione si è poi estesa a diversi altri titoli. 4 mosche di velluto grigio è stato montato da Francoise Bonnot, Oscar nel 1970 per il montaggio di Z - L'orgia del potere. Carlo Rambaldi ha curato gli effetti speciali di Profondo rosso. La sua collaborazione con Stivaletti è storica. Ha spesso lavorato con Mario e Lamberto Bava. Forse il mio è un giudizio superficiale e anche cinicamente dettato dalla mia antipatia, ma se non avesse avuto questo sconfinato privilegio oggi noi Dario Argento non sapremmo nemmeno chi è. Nella sua biografia anziché prendere coscienza di questo si pone in una posizione di estrema superiorità rispetto ai suoi collaboratori, parlando spesso di 'sguardi riconoscenti' nei suoi confronti dai suoi amati sudditi che tanto avevano bisogno di lui. Parla apertamente di persone di rilievo nel mondo del teatro che devono a lui la rinascita della loro carriera. Un ego che non ci si crede. Mi sono spesso ritrovata a leggere attonita gli sproloqui di un uomo anziano così pieno di sé da non vedere oltre il proprio naso. Tutto il mondo dello spettacolo debitore nei confronti di Dario Argento. Un modo così gonfio di parlare della propria vita che lascia senza parole.

Però dopo Profondo rosso succede qualcosa che per me ha del soprannaturale: Dario Argento fa un capolavoro. Qualcosa di inspiegabile avviene in Italia nel 1977 e quel qualcosa risponde al nome di Suspiria, uno degli horror italiani preferiti di sempre della sinceramente vostra. Suspiria ha tutto: colori, regia, atmosfera, folklore, ambientazione, storia. L'aria del film è straordinaria a partire dalle primissime scene. Come un lavoro così sia riuscito ad un regista che sia prima che dopo non ha mai soddisfatto le mie aspettative ha per me dell'incredibile. Suspiria è un film che si piazza sotto la pelle, che incupisce l'aria intorno, che non fa la paura canonica ma che molto più elegantemente inquieta e riempie l'atmosfera. Il remake di Guadagnino è una meravigliosa ciliegina su una torta già buonissima, che naturalmente Darione ha dovuto rovinare sputandoci sopra con la presunzione di chi non vuole ammettere che qualcun'altro abbia fatto un lavoro immenso. Peccato per lui, che non sa vedere il bello nemmeno quando glieli cacci sotto il naso come Sherlock Cumberbatch il giorno delle nozze di Watson nella serie tv. La mia opinione da hater è che il contributo della Nicolodi in Suspiria sia molto più importante di quanto Argento voglia farci credere, perché come questa roba sia uscita dalle mani che hanno prodotto Il fantasma dell'Opera del '98 è non solo inspiegabile, è incredibile.

Gli anni '80 rappresentano un gran calderone di roba mediocre. Non si toccano i picchi di orrore (nel senso brutto del termine, non in quello interessante) che raggiungiamo dal '93 in poi, ma di roba buona c'è ben poco. Sono degli anni '80 Opera, uno dei film con i dialoghi più atroci mai visti (ma sono reduce da Tenet, e anche lì a dialoghi...), l'impietoso - e noiosiiiiissimo - sequel di Suspiria, Inferno, ma anche Tenebre e Phenomena. Il primo è uno di quei gialli sempre identici a se stessi di cui sopra e il secondo è pieno di insetti quindi il mio giudizio è di parte: al patibolo. Gli anni '80 sono noiosi, nel complesso trovo i suoi film di questo periodo ripetitivi, poco interessanti, con nulla da dire.

Poi arrivano gli anni '90, quelli con la fama di essere brutti e cattivi per il cinema dell'orrore. Per Dario Argento è l'inizio della fine. Non che per me abbia mai avuto momenti di vero splendore, Suspiria a parte, ma quello che succede da Trauma in poi è una lenta discesa verso gli inferi del cinema. Se per i primi film mi pareva anche giusto spiegare cosa ci fosse di sbagliato, elencare l'orrore che succede nei film dell'ultima fase del regista romano è come sparare sulla Croce Rossa. Non sarò così superficiale da attribuire il considerevole peggioramento solo all'introduzione della figlia Asia in ogni cast dal '93 in poi, non sono così ingiusta. Però è sotto gli occhi di tutti che l'amore genitoriale lo ha accecato e lo ha costretto a usare Asia in ogni film, quando davvero Asia dovrebbe fare un altro lavoro. I film da allora dimostrano che non ci si è messi al passo con i tempi, che non si è adattato il proprio modo di fare cinema ai milioni di passi avanti che l'industria ha fatto dagli anni '70 ad oggi. Parlo di recitazione (che è la critica più banale, ma non dirlo è un po' prendersi in giro), messa in scena, banalmente anche solo scelta musicale. I Goblin stavano da dio sotto a Profondo rosso ma stonano sotto Non ho sonno. Oltretutto, Argento sceglie di toccare temi che alla sottoscritta importano molto, e con La sindrome di Stendhal (film in cui la sindrome che gli dà il titolo è assolutamente irrilevante) lo dimostra facendomi anche un po' girare le cosiddette. Da questo momento in poi i film sono parodie, ultimi sos lanciati da un uomo che vuole tenere alto il proprio nome finendo inesorabilmente per trascinarlo giù con sé. Avrebbe potuto fermarsi, vivere nella gloria del passato, fare il produttore. Ha invece portato avanti questo accanimento terapeutico nei confronti della sua stessa carriera che non mi fa venire voglia di prenderlo in giro, ma piuttosto mi intristisce parecchio. 

Quello che è successo dopo, quando sono arrivati gli anni Duemila, non l'ho guardato. Ho provato a guardare Giallo in virtù di una mia passata passione per Adrien Brody, e ho guardato - e prontamente dimenticato - Non ho sonno, ma la vita è una sola. Non posso usare il mio poco tempo libero per guardare Dracula 3D

Quello che, più di tutto, fa sì che io possa dire con discreta certezza che Dario Argento non mi piacerà mai è che non ha nulla da dire. Non serve leggere la sua autobiografia, che è uno dei peggiori libri che ho letto nel 2020 per cose dette e modo di dirle, basta guardare un paio di interviste. Quando gli si chiede di parlare dei suoi lavori lui ci gira intorno, non argomenta mai nulla. Non ha un messaggio da lasciare, non ha un concetto che gli interessa trasmettere, è un guscio vuoto. Parla in continuazione della 'febbre' che lo coglie quando scrive (il che forse spiegherebbe perché scrive così), di incubi, del mostro che vive dentro di noi ma dentro di lui sta un po' più in superficie, roba che se leggo un'altra volta di un mostro dentro Dario Argento chiamo un esorcista perché è chiaro che serve l'intervento della chiesa cattolica. Parlare di horror come di un genere che deve solo fare paura e far fare gli incubi è una visione limitata e limitante, e se questo è quello che Dario Argento ha da offrire allora grazie, ma io sono a posto così.


giovedì 26 marzo 2015

Almanacchorror - Marzo 2015

23:04
Mi rendo conto che avrebbe avuto molto più senso dare inizio a questa nuova rubrica nel mese di gennaio, ma perché fare le cose logiche quando ci sono quelle disordinate?

Questo nuovo spazietto, che ci sarà gli ultimi giorni di ogni mese, lo riempiremo con qualsiasi evento ci vada, pertinente o meno. E dico CI vada, perché spero che nei commenti possiate e vogliate aggiungere ogni evento o ricorrenza che più vi aggrada.

Partiamo!

6 marzo 1947: nasce Rob Reiner e se questo non fosse avvenuto oggi non avremmo Stand by me, Misery non deve morire, La storia infinita e nemmeno Harry ti presento Sally. 

7 marzo 1975: Dario Argento sforna una pagnotta calda e croccante. Esce Profondo Rosso. Il primo Argento che ho visto, quella canzoncina mi ha torturata per giorni. Quest anno fa 40 anni, se la matematica non mi tradisce, e per l'occasione il Museo Nazionale del Cinema di Torino (di cui vi ho parlato qui) ha organizzato il ProfondoRossoDay, giornata dedicata al film con esposizioni fighissime, edizione rimasterizzata al cinema e ospiti a sorpresa. Evento a cui non sono chiaramente andata perché vivo nel sedere della civiltà.

11 marzo 2005: al Brussels International Festival of Fantasy Films viene proiettato per la prima volta un gioiellino di film che tanto da queste parti amiamo col corazon. Trattasi di The Descent, perla diretta da Neil Marshall. Ha compiuto 10 anni, e per l'occasione tale Chris Weston ha creato un poster commemorativo, questo:





13 marzo 1996: muore Lucio Fulci. E' ancora decisamente lontano il giorno in cui mi prendero' la self confidence necessaria per mettermi a parlare di un suo film. Ma sono talmente radicati nel cuore di chi scrive che, silenziosamente, lui se ne sta li', nome tutelare di questo piccolo e pretenzioso mio spazio nel mondo.
 
15 marzo 1937: muore Howard Philip Lovecraft, gravemente malato di tumore. Non staro' certo qui a narrarvi l'importanza di tale signore all'interno della narrativa di genere, se siete qui significa che lo conoscete e con ogni probabilità lo avete letto. E' la persona che ha inculcato nella mia mente, e sono certa anche nella vostra, il concetto di paura ancestrale, a cui non c'è rimedio, che ti penetra nelle ossa e ti vincola a se', parola dopo parola, virgola dopo virgola. Una costante presenza nelle mie letture, ogni occasione e' buona per concedersi 5 minuti di tempo per leggere un racconto di Lovecraft. Ti rimette in pari con l'universo.

15 marzo 1943: vede la luce un piccolo esserino, battezzato David. Pare si trattasse di David Cronenberg. Se pensate che la coincidenza di date lo renda la reincarnazione del signore sopracitato, sappiate che lo penso anche io. Uniamoci in questo nostro credo pagano e sacrilego. Insieme a La Cosa, La Mosca e' uno di quei film di cui tanto ho sentito parlare nell'infanzia da mio padre. Oggi, qualcosa come una trentina di anni dopo, il motivo per cui tanto lo amasse e' ancora li', cristallino come fosse stato girato ieri.

17 marzo 1951: mi rendo conto che iniziano a infastidire tutti sti compleanni, c'avete ragione. Ma, insomma, Kurt Russell non penso sia lasciabile fuori, no?

21 marzo 1958: il mondo incontra per la prima volta quella meraviglia di Gary Oldman. Capirete che i motivi per amarlo sono diversi, ma quel Dracula ce lo ricordiamo tutti, vero?

22 marzo: Fu allora che la nostra imbarcazione si precipito' nella morsa della cateratta dove si era spalancato un abisso. (Edgar Allan Poe, Le avventure di Gordon Pym)

23 marzo: compleanno di Michael Haneke, uomo della cui sopravvivenza mi stupisco quotidianamente considerata l'infinita sequela di accidenti che la sottoscritta gli tira con cadenza settimanale da quando ha visto Funny Games.
(P.S. Mike, ottima mossa quel Michael Pitt nel remake, ottima ottima mossa)

27 marzo 1963: non e' strettissimamente collegato al mondo horror, ma che fai, vuoi non fare gli auguri a Quentin Tarantino?


Ebbene, direi che come inizio non c'e' male.
Aspetto di leggere le vostre ricorrenze!

giovedì 25 dicembre 2014

L'importanza di chiamarsi Jennifer

15:37
Ciao a tutti, mi chiamo Jennifer.
Mi trovo in una casa di riposo, in un paese del quale non ricordo il nome. Ormai gli anni che mi porto addosso non sono pochi, per cui ho deciso di raccontarvi la mia storia, prima di finire per dimenticarmela del tutto.
Non sono certo stata quella che si definirebbe una ragazza fortunata.
Nella vita ho avuto più eventi drammatici di chiunque altro, e la gente, credendolo divertente, ha deciso di ispirarsi a me per girare diversi film.
Non che io fossi d'accordo, sia chiaro, ma credete che siano venuti a chiedermi il permesso?
Certo che no, e nemmeno ho visto il becco di un quattrino.
Oltre i danni, le beffe.

Della mia infanzia non ricordo molto, diciamo che il primo evento molto traumatico è avvenuto nel 1978. La cosa peggiore che possa accadere ad una donna. Sognavo di diventare una scrittrice, così avevo pensato di rifugiarmi in una casetta in un bosco, per lavorare e restare concentrata.
Sono stata stuprata lungo la strada.
Ma, vedete, io non ero una principessina ingenua.
Se mi toccavi, io mi sentivo in diritto di toccare te, e sfido chiunque di voi alla lettura a contraddirmi.
Sono vecchia ma ancora in gamba.
Ognuno reagisce al dolore, all'enorme trauma, come può, io li ho fatti fuori tutti.

Nello stesso anno, tale Meir Zarchi viene a sapere la mia storia. La trova figa (perché quello stuprato non era lui) e decide di tirarci fuori una pellicola. Questa:


Ho trovato la forza di vederlo solo una volta, in compagnia della ragazza che gestisce questo posticino rosso.
Nemmeno lei ha retto a quell'infinito, disgustoso, atroce stupro.
Ma credo non avrebbe retto nemmeno se fosse stato rapido ed indolore (ma quando mai lo è?).

Il risultato di questa irrispettosa e antipatica mossa commerciale è un film di una durezza quasi insostenibile. Non credo sinceramente che il signor Zarchi avesse altri grandi intenti se non quello di sconvolgere, irritare, lasciare i suoi spettatori a fine visione atterriti sul letto con la sensazione di essere appena cascati da quattro o cinque rampe di scale.
Gli è riuscito.
Molto bene.

(Come se rivivere questa vicenda non fosse stato già straziante una volta, nel 2010 arriva Steven Monroe e gira un remake del film del 78. Non l'ho guardato, scusatemi, mi voglio ancora un po' bene.)


Insomma, dopo questa tortura non sono più stata la stessa.
Il male aveva preso possesso della mia anima, che avevo sempre creduto così buona.
Forse ero solo ingenua.
Sta di fatto che, da un certo momento in poi (non ricordo con precisione quando, ma mi pare c'entrasse un concerto rock!), ho sentito la necessità di ammazzare degli uomini.
Ero bella davvero, da giovane, tirarli a me era la cosa più semplice, quei poveri salami. gli mostravo un po' di scollatura poi TRAC, li facevo fuori. Niente di più semplice.
Il peggio era che dovevo mangiarli.
Ne avevo bisogno, capite?
Solo la mia amica Needy aveva capito che qualcosa non andava in me. Non le credevano, ovvio. Ero una bambolina sexy e popolare, non potevo certo essere un'assassina spietata e cannibale.
Eppure....

Insomma, volete sapere com'è finita la storia?
Ero POSSEDUTA da un demone.
Qualcuno voleva offrirmi a Satana, ma mi chiedo come abbiano potuto pensare che fossi vergine.
Era piuttosto palese che mi piaceva godermela.
E' stata Neeby a mettere fine a tutto. Mi ha uccisa.
Certo, poi è stata rinchiusa al manicomio perché andava a raccontare a tutti che razza di demone fossi.

Il risultato? Un ALTRO film, stavolta per mano di Karyn Kusama. E l'orrore che sta Kusama è riuscita a tirare fuori da una storia che già aveva poco del salubre è inenarrabile.
Quale persona con un minimo di senso estetico ha creduto che quella biondina sarebbe risultata credibile nei panni della sfigatella? Chi?
E insomma, quella mora è certamente di una bellezza rara, ma che mi abbia reso giustizia proprio no.
Un filmaccio che sono certa nessuno di voi persone dotate di razionalità vorrà vedere.
E pensare che di sta Diablo Cody alla sceneggiatura avevo sentito dire cose così belle.


(NdA: Seth Coen leader di una rock band NO)

La mia adorata Neeby è stata per anni rinchiusa in manicomio, con l'unica consolazione che almeno io avrei smesso di massacrare e mangiare adolescenti in piena tempesta ormonale.
Ebbene, io di certo non ero morta.
E nemmeno avevo smesso di nutrirmi di esseri umani.

Di certo, non ero più la bella e popolare Jennifer.
Quello che era rimasto di me era il mio corpo favoloso, ma il mio volto portava chiari impressi i segni della possessione prima e del tentativo di omicidio poi.
Mi ero trasformata in un mostro deforme, gli uomini non mi guardavano più.
Io loro però continuavo a guardarli, eccome.
E a mangiarli.

Mi sentivo sola, la gente mi odiava, cercavano (di nuovo, io proprio non me lo spiego) di farmi fuori, la mia vita era una fuga.
Fino a che non ho incontrato il detective Frank.
Ah, gran bell'uomo quello.
Me lo portavo a letto che era un piacere, dopo che mi aveva salvato la vita.
Gli ho anche ammazzato gatto e vicina di casa, ma lui continuava a portarmi a letto nonostante fossi un mostro, quindi non credo gli importasse poi molto.


Da questa nostra strana relazione Dario Argento ha voluto trarne un mediometraggio.
Secondo me non aveva idee per partecipare a quella cosa lì che avevano passato in tv (i Masters of Horror, ndA.) e ha pensato di prendere sta roba strana per riempire l'oretta che gli era stata destinata. L'ha chiamato Jenifer sbagliando pure il mio nome, ma tant'è.
Fosse l'errore nel titolo la cosa peggiore.
La cosa peggiore è che se avessi voluto che venisse realizzato un porno sulla mia vita mi sarei candidata io, tanto più che magari ci avrei fatto dei soldi.
Non mi scandalizza il sesso (come avete visto dai film, nella mia vita ne ho fatto molto) ma se tutto ciò che Argento aveva da infilare nella pellicola era quello, quanto può rivelarsi ineressante ad un pubblico che cerca horror?
Cosa altro gli diamo a sta gente, Dario?
Vuoi far passare il mio Frank per una specie di perverso a cui piacciono le relazioni con le stramboidi? Andatelo a dire a sua moglie, non credo la trovereste d'accordo.
Il risultato è un'accozzaglia di scene di sesso tenute insieme una all'altra da una pessima recitazione e dalla solita colonna sonora di Darione tanto carina ma che stavolta non è stata sufficiente.

E poi sì, son diventata brutta, ma non così tanto.

Insomma, in qualche modo mi sono ritrovata qua, al ricovero.
Tanto ci finiamo tutti, no?
Voi, ragazze giovani, prendetemi come esempio per i vostri propositi per l'anno nuovo.
Non siate sceme come me, e tenete a bada i vostri ormoni, che poi vi posseggono i demoni.
Buon anno.




venerdì 7 marzo 2014

Suspiria

09:57
(1977, Dario Argento)


Premetto che di Darione non parlo. Leggo molto, ho visto qualcosa ma troppo poco per avere un'opinione precisa, quindi piuttosto che dire cose incomplete e sbagliate lascio da parte il giudizio sul regista per concentrarmi sulla perla che probabilmente gli è valsa già da sola la fama che lo accompagna(va?).

Susy è una ballerina che si trasferisce a Friburgo per frequentare la prestigiosa Accademia di danza. Sul luogo, però, scopre che una delle studentesse è stata appena uccisa e insieme all'amica di quest'ultima indaga sugli eventi strani che accadono nell'istituto.

Nell'ordine Suspiria vanta:
un cast che non offre la sua performance migliore (Miguel Bosè nei suoi giorni di gloria, ragazzi, una specie di visione mistica),
una sceneggiatura imperfetta,
un doppiaggio (im)pietoso,
effetti speciali diciamo agé,
un ritmo abbastanza lento,
e qualche personaggio da prendere a schiaffoni a due a due finchè diventan dispari.

Eppure è IL film simbolo di Argento, una perla dell'horror italiano quando sapevamo come farlo, riconosciuto universalmente come un capolavoro, come uno dei film di cui possiamo andare internazionalmente fieri.
Possibile?
Eccome, perché è così.


Quindi, cosa rende un film così di valore, se pur con i suoi difetti?
Dall'arrivo di Susy a Friburgo c'è nell'aria qualcosa che non va, a partire da quella ragazza che scappa dall'Accademia, a partire da quella porta chiusa, ma lei è appena arrivata, non dà troppo peso a queste cose, poi c'è un tempaccio, trova un posto per la notte e torna il giorno dopo. Il giorno dopo, con il bel tempo e la luce del sole, infatti, tutto sembra meno drammatico, le persone dell'istituto sono accoglienti, le ragazze alla mano, e chi si ricorda più di quella ragazza che scappava?
Peccato che lei sia morta, e che ogni passo all'interno della scuola sembri più strano del precedente. Sguardi troppo lunghi, questo strano malessere, l'essere costretta a stare lì. Non è normale, ma Susy non ci pensa troppo. Si gode la sua occasione. L'amicizia con Sarah, che queste stranezze le vede e sente da più tempo, le aprirà gli occhi, a Susy come a noi, che stiamo continuando a fidarci dell'ambiente, perché sarà sì bizzarro, ma noi siamo innocentisti fino a prova contraria, giusto? Sappiamo per certo che ci sarà qualcosa che andrà storto, perchè sappiamo cosa stiamo guardando, ma cosa, quando e come accadrà, ma soprattutto per mano di chi, sono cose che ovviamente non sappiamo, quindi, di chi fidarsi?
Eppure qualcosa peggiora continuamente, i segreti che Sarah rivela all'amica sono inquietanti, gli eventi sfuggono di mano, la completa comprensione dei fatti arriva quando forse è troppo tardi.

Abbiamo di fronte un film abbastanza lento, ma quando si arriva alla fine ci si chiede 'Ma come, già finito?'. Argento ci butta all'interno dell'Accademia, senza paura che ci facciamo male. Colora tutto di rosso, gioca con i colori come un bambino, ma con il risultato che ogni cosa è meno chiara ma sicuramente amplificata. E accende la musica, questa musica dei Goblin (la cosa ci sorprende molto) che sembra uscita da un carillon, che peraltro è abbastanza pertinente con l'ambiente della danza, e che sembra volerci rassicurare, quando invece avremmo bisogno di qualcuno che ci metta in guardia.


Va poi affrontato un aspetto che riguarda non solo Suspiria ma una bella fetta dei film vintage. Nel 1977 gli effetti speciali non prevedevano uso di pc, computer grafica, niente del genere, E qui viene tutto mostrato, niente è lasciato all'immaginazione dello spettatore, qualche bella scena splatter ce la troviamo. E sono anche fatte bene, nel loro essere agé, come dicevo prima. Questo mi ha fatto riflettere su quanto girare un film horror qualche anno fa dovesse essere molto più difficile. Non solo per il regista che doveva immaginare, studiare, inventare metodi nuovi o sistemi per utilizzare metodi già conosciuti, ma anche per gli stessi attori che sicuramente erano messi più alla prova rispetto ai contemporanei. La strega era una nonnina di 94 anni. Sono partiti avvantaggiati sul trucco, ok, ma capite cosa vuol dire arrangiarsi? Darione si è arrangiato con quello che aveva, l'ha sistemato in modo ottimale e ha ottenuto scene pressochè perfette. Troppo facile mettere un omino davanti al computer a simulare un omicidio, una creatura mostruosa, una scena sanguinolenta. E troppo facile per le persone dire 'Ma si vede che è un manichino!'.



Insomma, mentre riflettevo sui massimi sistemi siamo arrivati a fine film. La spinosa questione streghe (non è uno spoiler, Suspiria è il primo capitolo della trilogia delle madri e sapevate già che parla di streghe quindi non arrabbiatevi con me) viene toccata con una grazia incredibile, non si scade mai nel banalotto o nel fastidioso, soprattutto perché la famigerata parola esce ben dopo la metà del film. La storia viene narrata con semplicità, e io sono contenta che sia stato così.

Dario, vogliamo ricordarti così.

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