domenica 18 giugno 2017

Wonder Woman

12:02
Accolgo sempre le notizie di nuovi cinecomics con l'entusiasmo di un beduino che vede di nuovo la sabbia. Sono piena, basta. Pure Netflix ci si mette, una serie ogni sei mesi. In pratica per liberarmi dei tipi con i costumini dovrei ritirarmi dalla vita virtuale e darmi alla meditazione.
Wonder woman, però, è una felice eccezione. Capirete bene che mandare il mio moroso a vedere due ore di Gal Gadot senza la mia cinica censura a fianco sarebbe stata una missione suicida, quindi mi sono unita.
Niente, non ce l'ho fatta a percularla.



Diana è la figlia di Ippolita, regina delle Amazzoni. Vive con sua madre e le sue compagna sull'isola di Themyscira, e la sua vita scorre felice tra un allenamento e l'altro. La trnquillità dell'isola viene disturbata dall'arrivo di un uomo, Steve, che racconta a Diana di come il mondo sia sconquassato da una guerra tremenda, mai vista prima. Lei si convince che il vero responsabile sia Ares, dio della guerra e nemico storico delle Amazzoni, quindi torna sulla Terra con Steve, nella speranza di trovare Ares e ucciderlo.

Non entriamo neanche nel merito DC/MCU perché quella lì non è roba per me. A livello editoriale ho una simpatia maggiore per DC, perché il mio venerato Sandman esce da lì e perché la mia prossima lettura sarà Hellblazer, ma per me la questione finisce lì. E la competizione a tutti i costi mi sta anche tendenzialmente sulle balle.
Diciamo solo che Wonder Woman fa una cosa che nei miei pochi film visti Marvel manca del tutto: fa della morale il suo punto principale.
Sì, ci sono botte da orbi, citazioni che fanno palpitare il cuore agli appassionati, la guerra e gli effetti senza i quali ormai la gente non va al cinema, ma sono solo un contorno rispetto al grande cuore di Diana, che scende sulla Terra e non si fa contaminare dalla parte peggiore dell'umanit, pur conoscendola proprio quando questo lato peggiore è quello che prevarica. Diana però non è una bimbetta ingenua, occhio a non sottovalutarla. Il fatto che creda nel lato positivo delle persone non significa che sia una stupidella naive che non sa come gira il mondo, perché le osservazioni di Diana sono sempre argute. Piuttosto, fa del suo idealismo la spinta principale per non smettere mai di combattere.
A fine visione alcuni miei amici hanno sollevato la questione 'recitazione della Gadot', esprimendo pareri negativi. Io l'ho trovata adeguatissima.

Mi sarebbe piaciuto evitare la questione femminista, ma capirete bene che mi viene piuttosto difficile data la mia opinione leggerissima sull'argomento.
Forse la cosa che ho amato di più nel film è prprio il modo così affine al mio di trattare il femminismo. Diana è nata in un'isola di sole donne, per lei che le donne possano fare quello che vogliono e che siano padrone di se stesse è naturalissimo. Non ci deve lavorare, non ha costrutti sociali contro i quali combattere, è così e basta. Cresciuta in un mondo in cui le donne non solo non sono mai state sminuite, ma in cui erano proprio la principale arma contro Ares, le riesce impossibile pensare all'umanità come divisa in due generi. Non se la prende nemmeno troppo quando qualcuno degli uomini cerca di proteggerla, lei fa quello che le pare punto e basta. Non ha bisogno di puntare i piedi, non deve nemmeno alzare la voce, quando le gira lei volta i piedi e se ne va.
Questo non significa che per lei gli uomini siano creature del demonio. Non li detesta affatto, anzi, ci diventa amica e li ama come amava le sue sorelle su Themyscira. Sono esattamente suoi pari, che è poi la lezione di questa ultima ondata del femminismo.
Beh, magari non proprio suoi pari, ché se questa ti guarda storto ti spezza una gamba, ma ci siamo capiti.

Da questo punto di vista il film mi è piaciuto tantissimo, sono uscita dalla sala senza nemmeno detestare la Gadot per la sua sfacciatissima bellezza inumana, e secondo me il vero risultato del film è questo.

giovedì 15 giugno 2017

Un giro in libreria #2: ET Einaudi e Graphic Novel

18:25
Sono tornata in libreria. Questa volta in Feltrinelli, perché nella mia città ci sono quasi solo librerie di grandi gruppi editoriali. Questo è perché Cremona attende in ansia che io apra il mio piccolo e intimo caffè letterario che venderà anche libri usati e farà la gioia vera di grandi e piccini.



A balzare subito all'occhio è inevitabilmente la promo Einaudi: compra due ET e ti regaliamo il telo mare de L'isola del tesoro (che, ammettiamolo, è proprio un gran bello).
È già stato fatto da blogger ben più rilevanti della sottoscritta, ma se non sapeste come barcamenarvi nel marasma dei tascabili Einaudi, ecco i miei due spicci, esclusi i classici:


  • per gli idealisti politici, attaccati alla sinistra vecchio stile, che tutti gli anni vanno a mangiare pane e salamella alla Festa dell'Unità: gli scritti di Augias e Berliguer sono ET. 
  • girl power: Chimamanda Ngozi Adichie, Margherita Hack, Concita De Gregorio, Michela Murgia, Alice Munro.
  • gialli: qua ci potrebbe essere da sbizzarrirsi, di giallisti ne è pieno l'universo. Un solo nome, però, spunta nell'arido cuore mio. FRED VARGAS.
  • da regalare all'amico hipster: David Foster Wallace. Ma proprio tutto, in pratici formati convenienza. Se Infinite Jest risulta un po' poco pratico da trasportare, allora ci si può buttare sulle Brevi interviste per uomini schifosi.
  • se vi serve un piantino liberatorio: tutto quello su cui potete mettere le mani di Kazuo Ishiguro. Ma non prendete sottogamba nemmeno il fattore lacrima di Philip Roth. 


Infine, le novità graphic (che sono novità almeno per me). Ribadisco quanto detto la volta scorsa: ora che tutti leggono i fumetti le case editrici si adeguano.
Della già citata collana di Mondadori, Oscar Ink, ha colpito la mia curiosità Monstress, fantasy ambientato in un mondo in cui la popolazione è divisa per razze, e che ha per protagonista una donna che sembra avere possessioni demoniache.
Sono inoltre sempre più tentata da Saga, che in ogni libreria in cui vado sta lì, a sfidarmi. Certo, in attesa di essere acquistati ci sono anche Paper Girls e Strangers in paradise, ma non è che ho i miliardi a disposizione. Alla fine il fil rouge di quello che mi attira è il mood anni 80, amici, mostri e fantasy. Niente che sia il mio genere del cuore, in realtà, eppure in forma di fumetto è questo che attira sempre la mia attenzione.
Per suscitare in voi le mie stesse voglie a proposito di questo maledetto calderone mangiadenaro che è l'editoria a fumetti, lascio qui questo video, che se devo soffrire io almeno soffrite con me:


lunedì 12 giugno 2017

The town that dreaded sundown

11:17
Ogni volta che negli ultimi mesi ho aperto un sito di streaming, per scegliere il film da vedere, sono incappata in questo. Mi dicevo che il titolo era un gran bello ma poi lo lasciavo lì, e mi lasciavo prendere da altro.
Oggi mi sono decisa.



Texarkana è una città che si trova sul confine tra Texas e Arkansas. Negli anni 40 era stata vittima di una serie di brutali omicidi, per mano di un serial killer chiamato Il Fantasma. 60 anni dopo Il Fantasma è tornato.

Ho questa impressione, che potrà essere confermata o smentita dagli amanti del cinema in senso più 'tecnico' di me: negli ultimi anni sono spuntate pellicole che hanno una grossa caratteristica comune e che alla fine della fiera si sono rivelati alcuni tra gli horror migliori del periodo. Prendono gli elementi 'canonici' di un particolare sottogenere (lo slasher regna incontrastato), li mettono tutti bene in fila su un tavolo, poi si lanciano sul tavolo e fanno l'angelo con le braccia e le gambe per spostare tutti questi elementi e rimescolarli, dando loro nuova luce, nuovi significati, pur rimanendo fedeli alla loro natura.
Il primo film che ho notato (nella mia ignoranza) fare questo giochino è stato Quella casa nel bosco, osannato come l'horror dell'anno del 2012 (che aveva comunque altre uscite interessanti). Ci sono stati poi It follows, The final girl, e, oggi, The town that dreaded sundown. Dove con oggi intendo tre anni fa, ma ci siamo capiti. Quest ultimo, in particolare, non è solo una rivisitazione di un genere che sembra essere il più diffuso anche tra chi gli horror non li guarda, ma è anche un monumento al film di cui è remake e che io, colpevole, non ho visto. Il film del 1976 è in tutto e per tutto un personaggio fondamentale del suo remake, rendendo quello del 2014 un film intrigantissimo. È metacinema felicissimo di esserlo. 
Oltre a ciò, è anche uno slasher con tutti i crismi, con il villain con la maschera, le morti violente e tutto il resto, sempre per quel discorso che gli elementi classici non vengono toccati ma solo riadattati. 
Ma la cosa più importante, che se vogliamo essere onesti nel mio cuore batte tutto il discorso sopra, è che The town that dreaded sundown è un film bellissimo, pieno di colori e movimento, 
E tanto mi basterebbe. Se poi c'è anche il resto, beh, io non mi lamento.

giovedì 8 giugno 2017

Il paradiso degli orchi, Daniel Pennac

16:33
Come avevo detto nel primo post sul giro in libreria, mi sono finalmente decisa a conoscere Malaussène.
Ho fatto bene.


Benjamin Malaussène è un capro espiatorio. Di lavoro, infatti, si prende la responsabilità di tutti gli errori di un centro commerciale, recitando la parte del pover'uomo e convincendo i clienti a ritirare le lamentele. Quando torna a casa si occupa dei suoi fratellastri e delle sue sorellastre, che la madre gli ha lasciato in gestione per andare in giro per il mondo con la fiamma del momento. Un giorno, nel centro commerciale scoppia una bomba. E poi un'altra, e poi un'altra.
Chi potrà essere il primo sospettato, se non un capro espiatorio?

Sapevo che Pennac mi sarebbe piaciuto. La sua fama lo precede, e sapevo che questo modo fresco di scrivere mi conquista sempre. Ero stata ben attenta a non costruirmi delle aspettative particolari, però, ché quelle lì sono delle nrutte bestie e rovinano sempre tutto. Quello che non sapevo, quindi, era quanto Pennac mi sarebbe piaciuto.
Ora lo so: tanto.
Se la bizzarria della famiglia Malaussène non fosse sufficiente a farvelo amare, e io credo basti da sè, vi dirò di più: la scrittura di Pennac è deliziosamente inaspettata. Pensavo a qualcosa di molto elementare nello stile che finiva per avere il suo risalto nei contenuti. Niente di più sbagliato.
Daniel Pennac scrive in un modo incantevole, che è sì leggero e scorrevole come olio di cocco sulla padella calda su cui state per fare i pancakes, ma è molto meno immediato rispetto all'idea che mi ero fatta. Nelle prime pagine, soprattutto, in cui il rapporto tra i membri della famiglia Malaussène non è ancora chiarito, serve un momento per fare il punto della situazione senza finire a pensare di essere impazziti.
La routine familiare è adorabile, ogni fratello ha caratteristiche e passioni molto pronunciate, che rendono ciascuno indimenticabile a modo suo. L'equilibrio in cui Benjamin deve restare per gestire da solo una famiglia molto numerosa e un cane epilettico ricorderà a tutti gli assurdi giochi di gestione familiare, in cui le bizzarrie di ciascuno non sono più assurde ma quotidiane, in cui ogni secondo della giornata è incastrato alla perfezione per non lasciare fuori le necessità di nessuno e in cui, tutto sommato, è l'affetto a tenere in piedi la traballante baracca.
Oltre a ciò, il giallo, le bombe che esplodono e i personaggi altrettanto inconsueti che lavorano nei Grandi Magazzini. Niente è lasciato al caso, ogni dettaglio è curato e divertente, e sì, ogni dettaglio fa ridere.
Fino alla risoluzione del caso, lì non c'è proprio niente da ridere.
Ed è lì che Pennac passa dal raccontare una storia buffa ad una ben più grande con un solo giro di pagina. In poche righe il romanzo assume tutt'altra piega, entrando nella lista dei Grandi, facendosi spazio nel cuore del lettore senza che questo nemmeno se ne renda conto.
È troppo impegnato a ridere.

lunedì 5 giugno 2017

Raw

16:06
Circa un anno fa Twitter è esploso dopo l'uscita delle prime news su questo misterioso film franco-belga che doveva essere la nuova frontiera del gore. Per giorni gli account di cinema che seguo non hanno parlato d'altro, non facendo altro che far crescere la mia già notevole scimmia. Che vi devo dire, io in queste campagne ci casco con tutte le scarpe, quindi mi sono seduta comoda comoda in un angolino e ho aspettato.
E ho aspettato.
E ho aspettato.
Fino ad oggi.




Justine parte per l'università. Si è iscirtta a veterinaria, facoltà che sta frequentando anche la sorella maggiore, Alexia. Al suo arrivo è sottoposta agli scherzi che vengono fatti alle matricole. Quello che i suoi compagni più grandi non sanno, però, è che Justine tende al cannibalismo (non che lei ne sia a conoscenza, comunque), e che darle da mangiare della carne cruda forse non è una buona idea.

L'avete letto Danse Macabre, di Stephen King?
Se non l'avete fatto fatelo, io vi faccio solo uno spoilerino: quando il Re parla de L'esorcista dice che è una bellissima (e terrificante, ndr) metafora della pubertà. Corpo che cambia senza controllo, bisogni diversi, incapacità di riconoscere se stessi. Ragazze, il vostro primo ciclo ve lo ricordate come se fosse successo cinque minuti fa, giusto? Se è così, e non mi sento di andare contro a lui, allora mettetevi comodi, perché Raw è L'esorcista del 2017.

QUALCHE SPOILER 

Parole forti? Parole forti.
Però guardate che Raw è più forte ancora.
Lo so, lo so, la campagna che lo ha anticipato (e che ha fatto cascare me tra le sue braccia fin dal primo istante) non gli rende giustizia. O forse sì. Perché se fare del becero allarmismo (giente svenuta in sala!1! vomitini verdastri!) porta le persone ad avere voglia di guardarlo, allora ben venga, perché film così vanno visti e diffusi, va sparso il verbo. Poi ci sarà di sicuro quello che lo odierà perché non è splatter come l'avrebbero voluto, ma noi sappiamo che di loro ce ne deve importare meno di niente, vero Julia? Perché tu hai girato un film intensissimo e profondo, hai guardato all'anima delle persone fin nel punto in cui fa più paura, e l'hai messa su pellicola, non smettendo nemmeno per un istante di renderle giustizia. Perché i personaggi di Raw sono sfaccettati come diamanti, e non perdono di credibilità nemmeno quando si mettono a mangiare carne umana.
Justine è la ragazza modello: non beve, odia le feste, ragazzina prodigio dalla mente geniale che non copierebbe mai un compito e che ama gli animali come le persone. Alexia è provocatoria, scaltra, distante dalla sua famiglia di perfettini. Adrien è il coinquilino omosessuale.
Alla fine della fiera, però, Justine è quella che limona allo specchio pronta a fare le cosacce, Alexia è quella fragile e Adrien è quanto di più lontano dallo stereotipo del gay tutto Spice Girls e arcobaleni, e se gli scappa si fa anche le donne. È un veloce esame su quanto siamo lontani da quello che crediamo di essere (Sense8, s2e1, Lito e Van Damn, vi dice niente?), su quanto la nostra personalità non fa altro che crescere, e cambiare, per poi cambiare di nuovo.
Forse le creature che si aspettavano il film più violento di sempre saranno rimasti delusi. Io no, perché un paio di scenette da pelle d'oca ci sono state e il mio stomaco mi ha detto che andava bene così, tante grazie. Se quelle riuscite a sopportarle, ci sarà il rifiuto di Justine per se stessa a non farvi dormire la notte.
Con tanti cari saluti all'horror 'estremo'.


Recensioni che vi convinceranno che Raw è il film che dovete vedere stasera:
Shiva Produzioni
The Guardian
Ilgiornodeglizombi

giovedì 1 giugno 2017

Nonsolocinema: I segreti di Heap House

15:42
Maledette siano le aspettative e chi le ha create. O ancor più maledetta io, che mi conosco eppure continuo a farmele.
Puntavo questo libro da mesi. Avvistato in libreria e bramato immediatamente, è stata la lettura più desiderata di questi mesi.
Mi è piaciuto?
No.
E adesso venite a dirmi che non è una sensazione da schifo.



La famiglia Iremonger è disprezzata dall'intera città. Vive in una casa costruita da e su una discarica, e ha consuetudini molto radicate e bizzarre. Per fare un esempio, ad ogni Iremonger viene consegnato un oggetto natale, cioè un semplice oggetto della vita quotidiana (come un tappo da bagno) da conservare con estrema cura. Clod è un membro della famiglia, un ragazzino esile e malaticcio che ha la caratteristica di sentir parlare gli oggetti natali.

Quello che mi fa incazzare è che le premesse le ho amate. Se andassi in libreria e trovassi un altro libro simile, lo vorrei allo stesso modo, perché se c'è qualcuno che ripensa con nostalgia ai bei vecchi tempi in cui il nominatissimo Tim Burton faceva bei film quella sono io. I segreti di Heap House avrebbe potuto essere un nuovo La sposa cadavere e rendermi la ragazza felice e piena di soddisfazioni che ogni tanto credo di meritare di essere.
INVECE NO.
Quanto le volevo quelle atmosfere weird un po' schifosine in cui non capisci bene se i personaggi ci sono o ci fanno, volevo i rapporti familiari malsani, volevo un clima goticheggiante mischiato con una dose inaspettata di ironia. Questo mi diceva la copertina, questo suggeriva la quarta, così mi ha illuso Bompiani.
Tu quoque, Bompiani mia?
Mia amatissima, incantevole casa editrice. Nel post di giovedì scorso avevo appena palesato al mondo il mio amore per te, e tu ti prendi gioco dei miei sentimenti così, con un romanzetto che ci prova fortissimo a fare l'Henry Selick della situazione ma manca l'obiettivo cadendo rovinosamente nella pila dei libri non riusciti.
(Avete mai notato che nelle foto di profilo Selick pare l'Uomo Pallido de Il Fauno? Sono pazza?)

Ci sono gli ambienti giusti, ci sono alcuni personaggi che mi sono piaciuti (la Nonna e Tummis), altri che ho detestato in ogni momento (Lucy, Lucy, LUCY!), ma tutto sommato è il mordente che è mancato. Non ho letto passione, non ho letto la storia un po' marcia e un po' romantica che mi aspettavo. Mi fossi limitata a volere una lettura piacevole magari l'avrei pure amato, ma così no.

Peerò, oh, i disegni dell'autore quelli sì che son proprio belli.

sabato 27 maggio 2017

Non solo horror: Dark Places

20:02
Giro intorno a Gillian Flynn da quando ho visto Gone girl, quella perla scattata di colpo tra i film più belli che abbia mai visto. Non ho ancora finito di girarle intorno, perchè i libri non li ho letti, ma almeno mi sono procurata Dark Places, tratto da un altro dei suoi romanzi.
Le aspettative erano alle stelle, e non sono stata delusa nemmeno per un istante.



Charlize Theron è Libby Day. Una trentina di anni prima sua madre e le sue sorelle sono state assassinate e per l'omicidio è stato arrestato il figlio maggiore, Ben. Libby è sul lastrico, e quando un gruppo di appassionati di cronaca la assolda per indagare di nuovo sul caso Libby accetta.

Se dopo Monster avevamo bisogno di una conferma sulla Theron, eccola qua: è bra vis si ma. Libby è traumatizzata, torturata dal più tremendo dei lutti e sola al mondo. Ha un viso indurito dal tempo, è rigidissima e intoccabile, e queste caratteristiche piazzate sul viso algidissimo della Theron sono state un mix micidiale.
Ci fosse solo la Charlize sarebbe già un bel film, invece si rivela ottimo perché la storia è eccezionalmente intrigante, come adesso mi aspetto da ogni cosa scritta dalla Flynn, molto più articolata dei thriller commercialotti a cui siamo abituati (sì, Glenn, sì, Dan, parlo di voi).
La figura di Ben è la meglio costruita di tutta la vicenda. Il Ben giovane e quello adulto sono sfocati, dai contorni vaghi, indecifrabili fino alla fine. Il primo incontro che abbiamo con lui, in carcere, è serimente inquietante, quella mano sul vetro a me ha dato i brividi, un po' per la bravura dell'attore e un po' per la forza della convinzione che, noi insieme a Libby, abbiamo della sua colpevolezza.

Io non ho un gran cultura di thriller, devo dire la verità. Se ce n'è un tipo che amo, però, è quello in cui il vero mistero sono le anime dei personaggi. Non è che la storia non sia interessante, anzi, ma come in Gone girl sono le persone ad essere ancora più interessanti del caso. Ognuno è spinto da motivazioni potenti e dolorose, nessuno è quello che sembra e soprattutto alla fine della storia nessuno è lo stesso che era ad inizio film. L'influenza che quello che viviamo ha su di noi è profondissimo e Libby ne è una prova evidente. Il suo trascorso nella vicenda, sia nel passato che nel presente, il processo di autocritica e perdono, sono il vero fulcro del film, e lo trasformano da bel film a lavoro splendido.

Adesso la Flynn la leggo davvero.
Davvero.

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