sabato 17 ottobre 2020

The haunting of Bly Manor

11:54

Non starò qui ad ammorbare chi legge con l'ennesima intro su quanto Mike Flanagan sia uno dei registi che amo di più al mondo e su quanto The haunting of Hill House sia per me la cosa migliore più grande mai accaduta al mondo delle serie tv. Per questo c'è un post specifico che trovate qui.

La sola cosa che è importante dire è che, nonostante le mie paure siano sempre state ampiamente smentite dal regista di cui sopra, mi sono approcciata alla visione della seconda stagione della serie migliore della storia con una bella fetta di timore. Era The haunting ma non era la mia storia, non erano i Crane, non era Hill House. Non so come avrei reagito se non mi fosse piaciuta.

Facciamo quindi una recensione breve: sebbene Hill House mantenga nel mio cuore un posto tutto suo dovuto forse al suo essere la prima (o forse al suo essere perfetta, chi lo sa), Bly Manor è stata l'ennesima conferma che io questi timori non li devo avere mai più, perché il cuore e la testa di Flanagan continuano a parlare ai miei e anche questa volta ha fatto la magia.




Per la recensione intera mi sa che ci sarà da mettersi comodi. Farò il possibile perché sia senza spoiler.

Piccolo accenno di trama per chi non sapesse di cosa di parla: la serie è tratta da Il giro di vite, di Henry James, e racconta dell'arrivo di Dani a Bly Manor come ragazza alla pari. Dovrà occuparsi di Flora e Miles, due bambini rimasti recentemente orfani. Con lei nella casa ci saranno il resto dello staff e qualche fantasma.

Ho provato diverse volte a scrivere questo post, perché ci penso da ieri sera, quando ho visto l'ultimo episodio. Eppure le parole che mi vengono in mente quando parlo di Flanagan e dei suoi lavori - anche se in questa stagione il suo ruolo è "solo" di showrunner, perché di episodi ha diretto solo il primo - sono sempre le solite: delicatezza, poesia, intimità, profondità. Alla lunga scrivere sempre le stesse cose diventa ridondante, persino per me che mi ripeto in continuazione. 

Però sto provando a mettere a fuoco cosa di lui io ami così profondamente, per imparare ad argomentare meglio quando scrivo i miei post, ed è difficile. Perché Bly Manor, tanto quanto Hill House prima di lei, non tocca la mia parte razionale. Si tratta di una serie con un'estetica che incontra il mio gusto (costumi, luci, ambienti, messa in scena, per i miei occhi è stata estasi costante), con una scrittura superba che ho ammirato scena dopo scena, con una bella regia coerente con quella del suo showrunner, con grandi interpreti. E queste cose sono certamente fondamentali per il giudizio di un prodotto del suo tipo. Flanagan ricerca sempre una raffinatezza nel comparto tecnico che anche qui si è fatta notare. Però il punto per me non è quello, e da quando ieri sera ho spento la tv rifletto su come mettere nero su bianco il modo preciso in cui mi colpisce così forte.

Il punto è sempre stato il cuore. In un momento in cui escono mille serie al giorno e si punta sempre al prossimo grande successo che farà vendere mille magliette e creerà milioni di cosplay tutti uguali al Lucca Comics (nessun riferimento a case di carta è intenzionale), Flanagan rallenta i ritmi. Non ricerca la frenesia dell'azione, l'iconicità e la riconoscibilità del suo prodotto. Lui ha storie di persone da raccontare e sa che per fare questo serve altro. Si prende il lusso della lentezza, pur essendo in grado di non creare mai storie noiose, perché, come dicevo su, sa scrivere come nessun altro. Usare la lentezza è quello che serve per creare la quotidianità. Ed è quando ricrei una quotidianità reale, con cui si empatizza così tanto, che ci sbatti con violenza dentro il cuore e la testa dei personaggi che stai portando in scena. L'amore reale che si porta a casa per queste persone non nasce nel momento in cui rischiano la vita l'una per l'altra, o quando affrontano fantasmi spaventosi. è un sentimento che si sviluppa quando assaggiano tutti le creme che Owen ha fatto e decidono quale sia più buona, è quando si prendono una pausa dal lavoro e si fermano a bersi un gin tonic e a fare del sano gossip. Li ami un po' di più quando si danno il primo bacio e non va tutto come nelle favole, quando sono spaventati, quando litigano. Quando si scambiano parole quotidiane, quando sono persone normali, con amori che fanno male, con gelosie, con piccole discussioni della vita di tutti i giorni. E per raccontare questo serve tempo. Servono 9 episodi da un'ora l'uno (e sa solo dio se ne vorrei di più) per far sì che alcune persone passino da sconosciuti a colleghi, ad amici, a famiglia. Serve morbidezza nel racconto perché alcune persone capitate lì per caso diventino l'anima intera della casa che amano. L'amore che inevitabilmente si prova per i bambini diventa collante e infine l'amore permea la casa, ed è così forte l'unione che ne nasce che l'ultimo, meraviglioso episodio ce lo conferma. Non si esce mai da quei legami qui, quelli nati con le piccole cose, con la vita condivisa. 

E noi, che lo vediamo sullo schermo, siamo con loro, con il cuore e con la testa. Siamo insieme al meraviglioso Owen quando soffre e ammette cose difficili e beve perché tanto cosa altro può fare? Siamo con Hannah che deve convivere ogni giorno con una vita nuova perché la sua le è stata stravolta. Siamo con lo zio Henry, quando con una sola battuta è stato in grado di ribaltare la sua immagine e spezzarci il cuore. E siamo con i bambini, che sono piccini e pieni di problemi, ma che sono più grandi di tutti, perché hanno segreti e li tacciono solo per il bene di quei grandi che dovrebbero nasconderli a loro, i segreti.

Il male, a Bly Manor, ha la forma del trauma, del dolore che ha fatto fermentare il germe cattivo. Non ci sono cattivi e basta, ci sono persone rotte dentro che non sanno come fare ad essere altro che così. Non ci sono nemici, non ci sono vincitori. Quello a cui assistiamo è il frammento di alcune esistenze e, sebbene da un punto di vista strettamente tecnico i tempi siano perfetti così, è ogni volta un dolore non poterli accompagnare oltre. Vedere Flora diventare grande, vedere Owen guarire dal suo mal di cuore, vedere Jaime felice, vedere la vita di tutti andare avanti. Mi pare evidente che la serie la ricomincio subito, ma mi fermerò sempre lì, e sarà sempre una sofferenza.


Il modo in cui Flanagan ha rivestito di un amore così profondo l'orrore mi lascia ogni volta senza parole. Tra gli appassionati si sa che l'orrore è cosa ben più ampia dei cinemacci di sangue e squartamenti che gli vengono spesso affibiati come unica caratteristica, ma Flanagan lo sta facendo su Netflix. Non in un cinemello di nicchia, ma sulla più grande piattaforma di streaming del momento lui sta  mostrando a tutti che quella poesia qua è possibile. Ci sta dicendo che il modo migliore per parlare di sentimenti è quello sincero, non artefatto, non costruito a pennello per ricalcare un nostro immaginario. Usa un linguaggio così vicino a noi che i nostri sentimenti si fondono sempre alla perfezione con quello che vediamo sullo schermo. Mi dispiace non essere in grado di evitare i consueti aggettivi che gli riservo, quindi li metto tutti alla fine e tutti insieme, per sfogarmi di averli trattenuti finora: Bly Manor è l'ennesima storia di Flanagan che mescola l'orrore con la poesia, fondendoli con la maestria di chi questo cuore ce l'ha sinceramente e non costruito solo per fare un buon prodotto. In questo caso c'è anche l'aggiunta di un magnifico racconto d'amore, e se aveste qualche dubbio ve lo sciolgo subito: è dolcissimo nel modo potente e mai mai mai mai mai stucchevole in cui solo lui poteva esserlo. Emozionante sempre, dolce, elegantissimo, magnetico.

Anche questa volta, Mike Flanagan è stato il più bravo di tutti. 

The rest is confetti.

mercoledì 14 ottobre 2020

Redrumia30: settimana due e comunicazione di servizio

17:20

 La possibilità che io potessi eguagliare in grandi successi la settimana uno era già bassa in partenza. Se non sapete di cosa sto parlando, questo è il post da leggere. In più, la scorsa settimana è stata costellata da impegni causa compleanno - tra i quali spicca la più fallimentare delle torte fritte che la vostra abbia mai cucinato - e soprattutto dall'uscita della seconda stagione della Serie Migliore Di Sempre.

Ma andiamo con ordine.




Il primo giorno mi sono guardata Freddy vs Jason, che, devo ammetterlo battendomi il petto tre volte, non avevo mai visto. Per chi come me fosse in ritardo rispetto al resto del mondo c'è Netflix, che in mezzo ad un catalogo horror nel complesso dimenticabilissimo, nasconde cose come questa. Il mio insindacabile giudizio sul film è che se non vi piace non si può essere amici. In una settimana di cosine mediocrissime e noiose fino al sanguinamento oculare, un film in cui i due migliori amici del cinefilo dell'orrore si prendono a botte fortissime non può che essere una festa. Protagonista indiscusso è Freddy, il solito sarcastico grilletto che salta e urla e ammazza per tutto il film, il bene che gli si vuole è incontenibile. Jason è il mercenario muto, la controparte "pacata" e silenziosa, lenta e atroce. Non si potevano che mettere uno contro l'altro e il risultato è un film in cui quello che succede è assolutamente irrilevante, vogliamo solo vedere i due amati ammazzarsi di botte e infatti quello ci viene dato. E noi di questo rendiamo grazie.




Sulla scia di Host, guardato e amato la scorsa settimana, ho dato una possibilità anche a Bedeviled. Stava lì su Prime, in attesa di essere guardato. Ecco, col senno di poi poteva aspettare ancora un po'. Io lo dico ogni volta che posso perché non sia mai che mi si prenda sul serio: a me piacciono sì i film autoriali belli seri polpettoni infiniti ma impazzisco anche per i cinemelli scemini con gli adolescenti che sbagliano tutto e muoiono in modi creativi. Questo film poteva regalarmi una piacevole oretta e invece è troppo vuoto, persino per me. Non ci prova nemmeno, ad essere qualcosa di diverso: è un brutto film fatto per cavalcare l'onda dell'horror tecnologico ma che non ha nulla da aggiungere e purtroppo, è fatto per essere dimenticato non appena la visione finisce. Peccato.




Qui ho fatto un errore da principiante, lo ammetto. Widow's walk mi scrutava da Prime da un po'. Aveva questa locandina bella pastello, un bel titolo, aveva la campagna inglese, i fantasmi, una storia di lutto...poteva avere il mio cuore. Non lo ha avuto. 

Quella che avrebbe potuto essere una magnifica, lenta e dolcissima storia di elaborazione del lutto ha il difetto principale di essere vuota. Avrebbe potuto essere un corto, in una ventina di minuti si sarebbe costruito quello che la regista ha tentato di fare qui allungando la minestra con tante, tantissime scene che ambiscono ad un'eleganza e ad una ricercatezza che purtroppo non raggiungono mai. Ci prova, con questa musica, questi colori, questa lentezza che ha, ad essere il film che vorrebbe tantissimo essere, ma per mia opinione fallisce completamente rivelandosi noioso, vuoto e allungato. 

Peccato, parte 2.


E infine, ovviamente, ho iniziato The haunting of Bly Manor.

Ci sarà per ragioni ben più che ovvie un post interamente a lei dedicato, ma per ora, che sono solo all'episodio 5, posso dire qualcosina.

Mike Amore Mio Flanagan non dirige più ogni singolo episodio, ma quella serie qua è roba sua e si vede sempre, perché quando si impara a conoscere il calore che emanano le sue produzioni poi lo si identifica in un attimo, e Bly Manor ne è piena tanto quanto Hill House. Mi spaventa il confronto perché la prima stagione aveva il vantaggio della sorpresa: è stata la prima volta nella mia vita in cui ho così brutalmente empatizzato con qualcosa che guardavo nello schermo ed è stata la prima volta in cui le emozioni hanno toccato picchi mai esplorati prima con un prodotto di finzione. Hill House è per me arrivata là dove nessuno era mai arrivato prima e adesso pensare che sto guardando qualcosa che le è legato ma non è lei mi turba quasi un po'.

La verità è che per ora Bly Manor è altrettanto bella. Quello che tocca, nelle storie di Flanagan, sono le relazioni tra le persone, e in questa è pieno di momenti di vita quotidiana di persone inizialmente sconosciute ma che stanno imparando ad essere l'uno la casa dell'altro. Ci sono sguardi, pasti assaggiati, inside jokes che vedi nascere e quindi inevitabilmente diventano anche tuoi, come lo schifoso tè di Dani. Ci sono i fantasmi che ciascuno porta con sé, e c'è il carico del proprio passato che pesa sul proprio presente. E ci sono due bambini strabilianti. Amo moltissimo che Flora e Miles non siano i bambini di Hill House perché la mia Nellie e il mio Luke non potevano essere altro che loro, così come i due fratelli di Bly si stanno ritagliando un posticino tutto loro nel mio cuore. Quella Flora lì e la sua vocina e le sue frasi meravigliose avrei voluto metterla al mondo io, è un incanto di creatura preziosissima e se qualcosa di male le accade entro la fine della serie non rispondo della mia reazione.

Pensavo mi stesse facendo meno paura di Hill House, che alla prima visione mi aveva messa in difficoltà, ma era solo perché non avevo ancora visto l'episodio 5.

Ne riparleremo prestissimo. 


Vorrei dire che è stata una settimana mediocre dal punto di vista delle visioni ma quando guardi qualcosa che esce dalle mani e dalla testa di Mike Flanagan tutto il resto va fuori fuoco. Settimana spettacolare.



Comunicazione di servizio

Venerdì ho festeggiato il compleanno con gli amici, e mi è stato fatto un regalo di compleanno che mi ha tolto il fiato. Mi hanno preso diverse copie dei miei libri in cartaceo, così che io potessi regalarli a oratori, biblioteche, associazioni giovanili, maestre, scuole, educatrici, baby sitter, tate...

Questo porta a due cose, e la prima è chiedervi l'ovvio: se conoscete o fate parte di una delle categorie di cui sopra e avete piacere a ricevere una o più copie dei miei libretti, scrivetemi. Ve li manderò con tutto il cuore e sapere che qualche bimbo sconosciuto leggerà le mie storie mi riempirà il cuore di gioia. Spargete la voce, se ritenete me lo meriti, o fatemi nomi di realtà che potrebbero essere interessate, perché ho libri da spedire e nessuna paura di farlo!




giovedì 8 ottobre 2020

Redrumia30: settimana uno

10:19

 Ieri la vostra amichevole blogger di quartiere ha compiuto 30 anni e ha chiesto al proprio compagno un regalo particolarmente rognoso e consumatempo, come la leggerissima persona che lei è nota per essere: voglio un horror al giorno per tutto il mese, che uno è il mio compleanno e due, molto più importante, è Halloween, festa nazionale della Redrumia. La regola è solo quella, e sono disposta a giocare un pochino sulla definizione di orrore per andare incontro anche alla mia vittima.

Lui, anima paziente quale è, ha acconsentito al mio capriccio mettendo da parte il fatto che gli horror generalmente gli facciano paura e io per un mese intero non devo fare compromessi sul film da vedere: solo horror, per 31 giorni. Sono scodinzolante come un cucciolo che sente il rumore del sacchetto della pappa.

Ogni 7 giorni sarò qui a fare un resoconto delle visioni.

Giorno 1: Orgoglio e pregiudizio e zombie



Io sono di bocca buona, lo so, mi accetto con tutti i miei difetti e va bene così. Quindi, con questo presupposto, capirete da voi che PPZ mi ha deliziata. Un miscuglio di splendidi costumi e capelli acconciati, spade, cavalli, combattimenti, armi, matrimoni combinati e da combinare e zombie affamati di cervelli. Ci sono tutti i personaggi del romanzo, ci sono frasi estrapolate e riportate letteralmente, e poi ci sono le scene di zombie che sono appiccicate in giro per la trama che tutti conosciamo e amiamo e che onestamente non sono nemmeno cucite in modo troppo maldestro. La Austen al cinema è stata presa e rivoltata come un calzino più volte (guardate anche l'ultimo Emma perché è delizioso!) e in questo caso è stato, secondo il mio modestissimo parere, un modo divertente di rivedere - per l'ennesima volta, che qua di Orgoglio e pregiudizio non ci stanchiamo mai - una storia che in purezza amo moltissimo. Certo, sbagliare mr Darcy è l'errore più grande che si possa fare in un adattamento, ma glielo perdoniamo perché le sorelle Bennet ammazzano di botte i ritornanti e forse questo era quello che tutti ci meritavamo di vedere.


Giorno 2: Tales of Halloween




Per questo ho sbagliato giorno. Questo andava visto il 31, magari con amici poco appassionati del genere, magari con qualche ragazzino. Perché Tales of Halloween è una raccolta di 10 corti che sono talmente perfetti per la notte di Halloween che è stato un dispiacere "sprecarli" prima. Non lo dico solo perché ad Halloween ci sono, effettivamente, ambientati, come poteva vagamente far intuire il titolo, ma anche perché sono storie da raccontarsi sotto le coperte con la torcia sotto il mento, sono raccontini di paura da condividere davanti al fuoco con i marshmallows bruciacchiati da cliché del camping americano, toccando però picchi di cattiveria che mi hanno fatto scuotere più volte la testa in segno di apprezzamento. Carino per chiunque, ma adorabile per chi riconoscerà volti noti e amatissimi del genere che fanno la loro gloriosa comparsa in giro per i crudeli cortometraggi.


Giorno 3: Burying the ex



Erano giorni che Prime cercava di propinarmelo e io, complice la presenza (💔) di Anton Yelchin non ho saputo resistergli. Joe Dante ci offre una commedia divertentissima, bella piena di amore per l'orrore come di consueto e di una malsanissima concezione dei vegani che in fondo per questa volta gli perdoniamo. Davvero un filmetto da nulla, soprattutto considerato cosa lo ha accompagnato durante la settimana, ma una piacevole serata con un po' di risate ce l'ha fatta fare, e a volte va benissimo anche così. 


Giorno 4: The babysitter



Mai sentito nominare il regista, letto poco e niente a riguardo. Lo apro perché mi puzza di horror comedy e infatti di questo si tratta. Una volta accettata la ridicola idea che un 16enne abbia ancora una babysitter ci si mette comodi e ci si gode un film carinissimo, con personaggi idiotelli ma satanisti, con morti esemplari e un protagonista pieno di risorse. 

Giorno 5: L'esorcista



Netflix ha pensato di farmi a sua volta un paio di regalini di compleanno. Il primo è che domani arriva la seconda stagione della miglior serie mai realizzata, il Capolavoro del genere, l'Opera d'arte televisiva nella sua massima espressione. Esce The haunting of Bly Manor e io mi sento male al solo pensiero. L'altro è che si è preso L'esorcista. Ho parlato in lungo e in largo di questo film (e del suo straordinario romanzo) e del rapporto che ho con lui, nello specifico in questo post. Io sono atea da tanti di quegli anni che nemmeno me lo ricordo, ma l'impatto che questo film ha su di me ogni volta che lo vedo è notevole. Per Erre era la prima volta, ed è stato interessante notare come la fama che lo precede non renda per nulla giustizia ad un film che ha in realtà così tanto da dire. Lui si aspettava tutt'altro. Le scene di possessione si sono prese tutto lo spazio e la notorietà, ma sono strette piccine piccine quasi tutte nell'ultima parte del film. Sono notevolissime, iconiche, storiche, quello che volete, ma è tutto quello che si è costruito prima che porta a quel finale che tutti conosciamo e come lo ha fatto Friedkin (e Blatty col romanzo prima) non lo ha mai più fatto nessuno. Ogni visione lo conferma il film immenso che mi aveva sconvolto così tanto la prima volta.


Giorno 6: The invisible man




Arrivo in ritardo sul mondo intero con questo film, lo so. Forse per me è stato meglio vederlo in casa, devo essere sincera, perché è stata un'esperienza che mi ha sopraffatto. Sapevo benissimo a cosa andavo incontro perché il trailer era molto molto chiaro (troppo? dovrei smettere di guardarli? mi sa.) su cosa ci aspettava. Però questo è stato un film che ho sinceramente faticato a vedere, perché mi ha tolto l'aria dai polmoni. Sono stata molto al telefono, devo ammettere. La recitazione della Moss è come sempre una delle cose migliori che siano mai successe al cinema, e l'empatia nei suoi confronti è talmente intensa che davvero ha reso la visione faticosa. La storia è soffocante, difficile da sostenere, di una crudeltà senza pari. E soprattutto è la storia di milioni di donne ogni giorno e forse è questo, insieme a tutto il resto, che la rende così insostenibile. Ci siamo entrambi spesso ritrovati con le mani sulla bocca senza commenti da fare, perché la situazione era talmente atroce che nessuna osservazione ci avrebbe dato sollievo. Ripensandoci a mente fresca è un film strepitoso, una luce nuova e attualissima sul tema dell'uomo invisibile, con attori ottimi (c'è Luke di Hill House e nessuno me lo ha detto, non si scherza così con i sentimenti raga) e scene di un'inquietudine insostenibile. Un lavoro gigante, ma che per me si è rivelato fonte di sofferenza vera. Il cinema fa anche quelle cose qua, ed è per questo che lo si ama così tanto. Solo che quell'amore qua a volte ti mette alla prova. 


Giorno 7: Host




Il 7 è stato il mio compleanno, e siccome sapevo che la sera sarei stata a casa sola mi sono scelta un film che a Erre non interessava particolarmente. Host è nel mio radar da quando la community dell'horror di twitter ne ha tessuto le lodi per settimane. Ho fatto bene ad ascoltarli, ed Erre è stato un pollo. Era rimasto scottato dalle precedenti visioni a tema social (Unfriended su tutti, che gli ha fatto schifo mentre a me ha divertito perché sapete ho un debole per i teen horror, mi piacciono tutti) e questo se lo è saltato volentieri. E ha fatto male, perché Host è un'oretta scarsa di paurella pura. Dal suo punto di vista in effetti si potrebbe dire che ha fatto bene. Come queste amiche possano avere pensato che fosse una buona idea una seduta spiritica tutte lontane l'una dall'altra è per me un grande mistero, ma la sofferenza e il terrore che provano sono reali, tangibili. Bravissime le ragazze, belle le manifestazioni dello spirito, spaventosino il clima. Una bella sorpresa, che conferma sempre di più che noi italiani siamo persone orrende, ma non abbastanza da non meritarci Shudder. 


Sono molto soddisfatta della mia prima settimana. Più commedie di quelle che avrei voluto ma, come vi dicevo, devo essere un po' flessibile o questo mi molla prima del giorno 10. Poi è arrivato il maledetto uomo invisibile e mi ha fatto passare la voglia di ridere per un beeeeeel po'. 

Ci aggiorniamo tra una settimana!


martedì 1 settembre 2020

Notte Horror 2020: Dovevi essere morta

21:00

 Mi sembra passato un secolo dall'ultima volta che da queste parti abbiamo parlato di Wes Craven. Il bene che gli si vuole, però, è immutato, e quindi perché non approfittare della mitologica Notte Horror per tirare fuori dal calderone uno dei suoi film minori?




Dovevi essere morta esce nel 1986, è tratto da un romanzo che non ho letto ed ha una di quelle storiacce che rovinano il cinema. Il regista lo vuole in un modo, chi ci mette i soldi in un altro, il desiderio di continuare a farli, sti soldi, chiede altro ancora e alla fine si fa un pasticcio che non porta niente di buono a nessuno. 

Il risultato? Il film è venuto male, ha perso un sacco di soldi e Wes non era contento. E se Wes non è contento nessuno è contento.

Sorge spontaneo chiedersi allora perché lo abbia scelto per la Notte Horror di quest anno. Perché è tatone.

Lo so, sono una sempliciotta in questi casi, ma ho un debole per i teen horror, l'ho sempre detto. Questo non ama le etichette, perché in quanto pasticcio è difficile anche classificarlo in un genere piuttosto che in un altro, però gli voglio lo stesso bene che voglio a cosine ben migliori come So cosa hai fatto. 


In questo caso il protagonista è Paul, un giovane genio che si trasferisce con la mamma in una cittadina nuova perché è stato ammesso prima del tempo all'università. Paul si è costruito un adorabile robottino che risponde al nome di BB che gli serve per studiare al meglio le possibilità che la tecnologia può offrire per aiutare le persone. Lo sentite già dove sta andando a parare, vero?

Paul fa la conoscenza di Samantha, la vicina di casa, e si prende una cotta di quelle che non te le dimentichi più. (Beh, di sicuro Paul non dimenticherà mai la sua, se non altro) Quando Samantha ha bisogno di aiuto, ecco che intervengono Paul e BB a salvarla. Potrà mai finire bene sta faccenda? E infatti.

In questo film ci sono: l'inizio col trasferimento che io amo, forse perché ho fatto 8 traslochi in tutta la vita ed empatizzo o forse perché amo Casper; la cottarella giovanile, che è sempre adorabile da vedere; l'amico buffo; i bulli che vengono scansati con l'intelligenza e non con le botte; un robottino adorabile e, infine, un giovanissimo Victor Frankenstein, che ambisce a riportare la vita laddove di vita non ce ne sia più. Nel più semplice dei modi possibili, queste sono cose che bastano a farmi affezionare ad un film. Poi, chiaramente, possiamo parlarne seriamente, e dobbiamo dire che il film risente tantissimo delle milioni di modifiche fatte in post produzione: è talmente taglia e cuci che sembra un brutto vestito di Desigual. Nasce come sci fi però poi gli dicono che è troppo poco violento, allora lui aggiunge la violenza, però poi è troppo violento e insomma: una brutta storia. Eppure per qualche ragione ho finito per affezionarmici, forse per il faccino di Paul da piccolo impacciato ma determinato, forse per la comparsa della mamma della banda Fratelli, o forse anche solo per il nome del regista, che stava lì piazzato sulla copertina a dirmi che dentro avrei trovato roba buona. Non è stato oggettivamente così, ma ingannevole è il cuore più di ogni altra cosa. (Scusate, devo uscire dal loop della famiglia Argento, mi serve un attimo)

Volevano che Wes Craven facesse un film più da Wes Craven, e così facendo l'animo di Wes l'hanno affossato insieme a tutti i soldi persi per sta roba. Un peccato, chissà cosa sarebbe stato se gli avessero lasciato fare quello che voleva.

domenica 30 agosto 2020

Horrornomicon: l'Opera di Dario Argento

17:04

 Redrumia oggi parla di tante cose diverse, ma quando è nato era tutto rosso, con un altro nome e parlava quasi solo di cinema dell'orrore, il mio primo grande amore. In tutti questi anni ho parlato di tanti film, tanti autori, tanti sottogeneri, eppure non ho mai parlato di quello che il grande pubblico considera il più importante regista di genere italiano: Dario Argento.



Il motivo è molto semplice: a me Argento sta sulle balle come persona e non piace come regista. 

Mi dispiace se in questo post risulterò ancora più ostile e polemica di quanto già non sia abitualmente, ma ho tante cose da dire e nessun altro posto se non questo blog in cui sfogarmi per bene.

Argento nasce con quello che dalle mie parti chiamiamo il culo nel burro. Sua madre è una delle più famose fotografe della capitale, e dalla parte del padre la famiglia lavora nel cinema da almeno due generazioni. Ha i mezzi e le conoscenze giuste, e parte con una notevole spinta che lo ha portato ad essere oggi conosciuto in tutto il mondo. Da parte sua, questo almeno glielo devo, ci mette un'indubbia passione. Ma andiamo in ordine.

Dario inizia la sua carriera lavorativa come giornalista: scrive di cinema e spettacolo per Paese sera e pian piano si apre alle sceneggiature, cosa che la sottoscritta trova particolarmente buffa considerando che se c'è una cosa che nei suoi lavori che è oggettivamente scadente è proprio la scrittura. Insomma un giorno scrive una sceneggiatura e gliela rifiutano ovunque. L'uccello dalle piume di cristallo non piace. Lui allora corre a piangere tra le braccia di papà il quale prontamente apre una casa di produzione, egocentricamente chiamata SEDA (Salvatore e Dario Argento), e gli produce il film, in barba ai cattivoni che non te lo volevano far fare amore il tuo cinemino. 

Nella sua autobiografia (Paura, edita Einaudi) Argento chiarisce che del comparto tecnico non ne sa nulla, che non ha mai nemmeno assistito alla realizzazione di un film, è come un bambino al primo giorni di scuola che non sa manco tenere in mano una biro. Eppure, con l'arroganza che lo contraddistingue per tutta la durata del libro, specifica che non si è fatto mettere i piedi in testa da nessuno, che non ha accettato consigli da nessuno e che ha comandato lui. Bravo pirla. L'inesperienza non è mai una colpa, l'arroganza sempre, e infatti il film lo mostra chiaramente. Come tutti e tre i film della Trilogia degli animali è noioso e scritto da cani (per restare in tema animalesco). Pone chiaramente le basi per tutti gli elementi che troveremo in futuro in buona parte della sua produzione e chiarisce subito con chi abbiamo a che fare e detto da me non è una cosa positiva in questo caso. Possiamo poi davvero parlare di elementi ricorrenti o si tratta palesemente di riciclaggio di idee che erano già stantie la prima volta? Lascio a voi intendere quale sia la mia opinione. Però il film funziona. Fa un sacco di soldi.

Siccome il cinema è pur sempre un'industria ecco che al film ne seguono immediatamente altri due: Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio. Avete tutta la mia ammirazione se siete in grado di distinguerli uno dall'altro. (Ma anche dai suoi gialli successivi). Tre gialli all'italiana che hanno contribuito sicuramente a mettere a fuoco quelli che con il tempo sono diventati tratti distintivi del genere e che hanno indubbiamente portato a decine di emulatori, ma che sono invecchiati malissimo, che non reggono il confronto con chi realmente del genere è stato pioniere (Mario Bava, parlo di te). Non li posso sopportare e non costringerò mai più me stessa alla visione di questa roba perché la vita è una sola. 

Certo che poi è successo Profondo rosso, che sarei ingiusta a paragonare ai primi 3. Rimane un film che non amo particolarmente, ma è chiaro anche ad occhi che, come i miei, non hanno particolare interesse a guardare, pur essendo uguale su un milione di aspetti ai suoi predecessori (ma i suoi gialli sono tutti fatti con lo stampino, mi ripeto) di sicuro sposta l'asticella un po' più in alto, per cura e interesse e anche banalmente livello di violenza. L'inserimento di almeno un pochino di soprannaturalità (l'autocorrettore non me lo corregge quindi deve essere un termine italiano) è sicuramente un valore aggiunto.

Ed è a questo punto, però, che mi sento di parlare di un'altra faccenda. Pare evidente agli occhi dello spettatore che Argento ha una gran passione per tutto il comparto tecnico, questo glielo devo concedere. Lo ama proprio, fa ricerca, si impegna, gli piace un casino. Il suo periodo d'oro è stato negli anni '70, e bisogna ammettere che l'artigianato dei suoi lavori è una delle componenti più interessanti. Ma è qui che mi casca l'asino. Dario Argento, grazie appunto al papà di cui sopra, ha avuto l'immensa possibilità di circondarsi fin dal primo film di straordinari professionisti del settore. Il direttore della fotografia de L'uccello dalle piume di cristallo è Vittorio Storaro, 3 volte premio Oscar di cui una per Apocalypse Now. Sempre per il suo primo film ha avuto Ennio Morricone per la colonna sonora, e la loro collaborazione si è poi estesa a diversi altri titoli. 4 mosche di velluto grigio è stato montato da Francoise Bonnot, Oscar nel 1970 per il montaggio di Z - L'orgia del potere. Carlo Rambaldi ha curato gli effetti speciali di Profondo rosso. La sua collaborazione con Stivaletti è storica. Ha spesso lavorato con Mario e Lamberto Bava. Forse il mio è un giudizio superficiale e anche cinicamente dettato dalla mia antipatia, ma se non avesse avuto questo sconfinato privilegio oggi noi Dario Argento non sapremmo nemmeno chi è. Nella sua biografia anziché prendere coscienza di questo si pone in una posizione di estrema superiorità rispetto ai suoi collaboratori, parlando spesso di 'sguardi riconoscenti' nei suoi confronti dai suoi amati sudditi che tanto avevano bisogno di lui. Parla apertamente di persone di rilievo nel mondo del teatro che devono a lui la rinascita della loro carriera. Un ego che non ci si crede. Mi sono spesso ritrovata a leggere attonita gli sproloqui di un uomo anziano così pieno di sé da non vedere oltre il proprio naso. Tutto il mondo dello spettacolo debitore nei confronti di Dario Argento. Un modo così gonfio di parlare della propria vita che lascia senza parole.

Però dopo Profondo rosso succede qualcosa che per me ha del soprannaturale: Dario Argento fa un capolavoro. Qualcosa di inspiegabile avviene in Italia nel 1977 e quel qualcosa risponde al nome di Suspiria, uno degli horror italiani preferiti di sempre della sinceramente vostra. Suspiria ha tutto: colori, regia, atmosfera, folklore, ambientazione, storia. L'aria del film è straordinaria a partire dalle primissime scene. Come un lavoro così sia riuscito ad un regista che sia prima che dopo non ha mai soddisfatto le mie aspettative ha per me dell'incredibile. Suspiria è un film che si piazza sotto la pelle, che incupisce l'aria intorno, che non fa la paura canonica ma che molto più elegantemente inquieta e riempie l'atmosfera. Il remake di Guadagnino è una meravigliosa ciliegina su una torta già buonissima, che naturalmente Darione ha dovuto rovinare sputandoci sopra con la presunzione di chi non vuole ammettere che qualcun'altro abbia fatto un lavoro immenso. Peccato per lui, che non sa vedere il bello nemmeno quando glieli cacci sotto il naso come Sherlock Cumberbatch il giorno delle nozze di Watson nella serie tv. La mia opinione da hater è che il contributo della Nicolodi in Suspiria sia molto più importante di quanto Argento voglia farci credere, perché come questa roba sia uscita dalle mani che hanno prodotto Il fantasma dell'Opera del '98 è non solo inspiegabile, è incredibile.

Gli anni '80 rappresentano un gran calderone di roba mediocre. Non si toccano i picchi di orrore (nel senso brutto del termine, non in quello interessante) che raggiungiamo dal '93 in poi, ma di roba buona c'è ben poco. Sono degli anni '80 Opera, uno dei film con i dialoghi più atroci mai visti (ma sono reduce da Tenet, e anche lì a dialoghi...), l'impietoso - e noiosiiiiissimo - sequel di Suspiria, Inferno, ma anche Tenebre e Phenomena. Il primo è uno di quei gialli sempre identici a se stessi di cui sopra e il secondo è pieno di insetti quindi il mio giudizio è di parte: al patibolo. Gli anni '80 sono noiosi, nel complesso trovo i suoi film di questo periodo ripetitivi, poco interessanti, con nulla da dire.

Poi arrivano gli anni '90, quelli con la fama di essere brutti e cattivi per il cinema dell'orrore. Per Dario Argento è l'inizio della fine. Non che per me abbia mai avuto momenti di vero splendore, Suspiria a parte, ma quello che succede da Trauma in poi è una lenta discesa verso gli inferi del cinema. Se per i primi film mi pareva anche giusto spiegare cosa ci fosse di sbagliato, elencare l'orrore che succede nei film dell'ultima fase del regista romano è come sparare sulla Croce Rossa. Non sarò così superficiale da attribuire il considerevole peggioramento solo all'introduzione della figlia Asia in ogni cast dal '93 in poi, non sono così ingiusta. Però è sotto gli occhi di tutti che l'amore genitoriale lo ha accecato e lo ha costretto a usare Asia in ogni film, quando davvero Asia dovrebbe fare un altro lavoro. I film da allora dimostrano che non ci si è messi al passo con i tempi, che non si è adattato il proprio modo di fare cinema ai milioni di passi avanti che l'industria ha fatto dagli anni '70 ad oggi. Parlo di recitazione (che è la critica più banale, ma non dirlo è un po' prendersi in giro), messa in scena, banalmente anche solo scelta musicale. I Goblin stavano da dio sotto a Profondo rosso ma stonano sotto Non ho sonno. Oltretutto, Argento sceglie di toccare temi che alla sottoscritta importano molto, e con La sindrome di Stendhal (film in cui la sindrome che gli dà il titolo è assolutamente irrilevante) lo dimostra facendomi anche un po' girare le cosiddette. Da questo momento in poi i film sono parodie, ultimi sos lanciati da un uomo che vuole tenere alto il proprio nome finendo inesorabilmente per trascinarlo giù con sé. Avrebbe potuto fermarsi, vivere nella gloria del passato, fare il produttore. Ha invece portato avanti questo accanimento terapeutico nei confronti della sua stessa carriera che non mi fa venire voglia di prenderlo in giro, ma piuttosto mi intristisce parecchio. 

Quello che è successo dopo, quando sono arrivati gli anni Duemila, non l'ho guardato. Ho provato a guardare Giallo in virtù di una mia passata passione per Adrien Brody, e ho guardato - e prontamente dimenticato - Non ho sonno, ma la vita è una sola. Non posso usare il mio poco tempo libero per guardare Dracula 3D

Quello che, più di tutto, fa sì che io possa dire con discreta certezza che Dario Argento non mi piacerà mai è che non ha nulla da dire. Non serve leggere la sua autobiografia, che è uno dei peggiori libri che ho letto nel 2020 per cose dette e modo di dirle, basta guardare un paio di interviste. Quando gli si chiede di parlare dei suoi lavori lui ci gira intorno, non argomenta mai nulla. Non ha un messaggio da lasciare, non ha un concetto che gli interessa trasmettere, è un guscio vuoto. Parla in continuazione della 'febbre' che lo coglie quando scrive (il che forse spiegherebbe perché scrive così), di incubi, del mostro che vive dentro di noi ma dentro di lui sta un po' più in superficie, roba che se leggo un'altra volta di un mostro dentro Dario Argento chiamo un esorcista perché è chiaro che serve l'intervento della chiesa cattolica. Parlare di horror come di un genere che deve solo fare paura e far fare gli incubi è una visione limitata e limitante, e se questo è quello che Dario Argento ha da offrire allora grazie, ma io sono a posto così.


giovedì 20 agosto 2020

Ho conosciuto Bong Joon-ho

23:55

 Non di persona, chiaramente, anche se qualcuno potrebbe dire che c'è talmente tanto del suo pensiero nei suoi film che dopo averli visti sembra davvero di conoscerlo di persona. Quello che intendo è che sono arrivata come al solito molto in ritardo sul resto del mondo ma dopo questi chiacchieratissimi Oscar 2020 ho conosciuto quello che in pochi mesi è diventato uno dei miei registi preferiti di sempre. Proprio io, che di cinema orientale so poco e nulla. 

Chiacchieriamone insieme, senza che io abbia la pretesa di recensire le cose grandi che ha fatto ma con la voglia di condividere un nuovo amore, ché si sa che quando le cose sono all'inizio è tutto amplificato.

POSSIBILI SPOILER

Io in realtà di quel bel ragazzo qua con degli occhialetti che sembrano quelli da lettura di Bersani e con la sciarpina da compagno che ascolta De Gregori avevo visto Okja in tempi non sospetti, ovvero subito dopo la sua uscita su Netflix. Oggi lo so che il film è perfettamente integrato in tutta una serie di tematiche care al regista, ma allora mi era "solo" sembrato un modo diverso e freschissimo di affrontare un tema fondamentale come quello degli allevamenti intensivi. Non l'ho rivisto per preparare questo post perché la vostra amichevole blogger di quartiere ha un cuore solo e già è malmesso, infierire sarebbe ancora più masochista dei suoi standard.

Ma insomma arriva il 2019 e arriva Parasite, e il mondo trema. Zitto zitto buono buono, costruendo in silenzio un percorso coerente e in costante crescita, Bong Joon-ho ha tirato fuori il carico da mille e lo ha fatto con una commedia. Vedremo nel corso del post quanto gli piace giocare con i generi e plasmarli in base alle sue necessità, ma per quanto cupissima Parasite è una commedia. Dopo essermi fatta a mia volta investire dalla valanga che questo film è stato per tutto l'Occidente, ho capito che dovevo andare oltre, perché quel signore qua ha tante cose da dire e io le volevo sentire tutte. 

Quella con cui ho cominciato è la summa di tutta una carriera, un film in cui tutti i suoi temi e i suoi ideali sono così narrati a fondo che si scava e si finisce sottoterra, dove vive la famiglia Kim. 

E qui arriviamo al primo tema che torna in ogni film e che ogni volta è esplorato in un modo nuovo: la famiglia. A partire da Mother, le dinamiche famigliari sono le protagoniste. Madri disperate, padri distratti o distrutti, nonni affettuosi, fratelli. La famiglia è il nucleo intorno a cui ruota tutto, che riesce ad essere causa dei problemi e soluzione degli stessi. La mamma di Mother e il papà di Memories of murder, per esempio, si trovano nella stessa situazione: un figlio con una disabilità che nonostante (o forse proprio a causa di) questa viene arrestato e accusato di un reato orrendo. I genitori non mettono mai in dubbio l'innocenza del figlio, e il loro dolore è ritratto sullo schermo con la potenza della disperazione e dell'impotenza. Non che si cada mai nella commiserazione, non parliamo mica di un pivellino. Poi i film prendono due pieghe diverse e le storie si allontanano, ma il rapporto con i figli è il medesimo. Così come lo è quello tra il padre della bambina in The Host e, appunto, sua figlia. (Mi perdonerete se non ricordo i nomi, non ho ancora dimestichezza con il coreano e fatico come una dannata anche solo a riconoscerli). Sempre nel monster movie è da strapparsi il cuore anche il rapporto tra il nonno della bambina e quel figlio disgraziato. In Snowpiercer gli basta poco: una scena sola con la mia amata Octavia Spencer e l'amore di una madre per il figlio è già tangibile. Questo modo che ha di mostrare l'amore familiare è così intimo e quotidiano che non ha bisogno di scene melò con la musica dolce e gli sguardi affettuosi. L'amore si comunica con le azioni e nella condivisione della difficoltà. 

E con questa zompata ci agganciamo al secondo tema: i poveri, i parassiti della società. I suoi protagonisti sono gli ultimi, sempre. Gli ultimi del treno, gli ultimi della catena alimentare, gli ultimi della società. E lui questo ritratto della desolazione lo fa spietato: questo è un uomo che quella condizione lì la conosce. Gli ultimi tali sono e tali devono restare, non importa quanto provino a risalire la scala: basta un acquazzone (Parasite) per riportarli dove il mondo vuole che stiano: in disparte, al loro posto, in fondo al treno. Le scarpe, del resto, non te le metti in testa, come dice Tilda Swinton in quel capolavoro che è Snowpiercer. Mamma come mi piace, non ve lo so spiegare. Con il suo debutto americano poteva fallire e farsi un male cane e invece che bomba di film ha tirato fuori. Gli ultimi sono i poveri economicamente, ma anche i disabili: i protagonisti di Mother e Memories of murder sono due giovani con un ritardo, in difficoltà con la vita degli adulti. E quindi la polizia se li prende, se li tortura, si prende gioco di loro, li accusa per dichiarare i casi chiusi e le proprie coscienze pulite. Quanto non piace la polizia a Bong Joon-ho, quanto ne esce male dalla sua opera. Non sarò io a contraddirlo, poco ma sicuro. Lui, bello come il sole e con quel sorrisino buontempone che ha, ha ritratto poliziotti incompetenti, grotteschi, stupidi, e al tempo stesso tanto vigliacchi da abusare del proprio potere sulla parte più fragile della società. E quindi ecco che il protagonista di Mother viene investito da una macchina e quando va a pescare i proprietari del lussuoso Mercedes che lo ha preso in pieno finisce che il finestrino rotto glielo deve pagare lui. Questo concetto viene poi espanso in The Host, quando sembra essere il governo intero a prendersi gioco della popolazione, creando un virus inesistente. Chiaramente è Parasite l'emblema della lotta di classe, perché porta la conversazione ad un livello ancora più profondo: noi poveri siamo così manovrati da chi sta sopra di noi che finiamo per farci la guerra tra di noi anziché unirci per combattere per un mondo più equo. Entrambe le famiglie povere potrebbero campare sulle spalle dei ricchi e quelli sono così fuori dal mondo che avrebbero potuto non rendersene conto, mai. Eppure siamo così istruiti a volerli raggiungere, questi ricchi, che ci dimentichiamo che non è giusto esistano. Un lavoro di analisi delle ingiustizie della società che parte dal film numero uno e che con l'ultimo gli ha dato uno degli Oscar più meritati di sempre. 

La critica alla società capitalistica nel suo insieme, l'attenzione all'ambiente, i ritratti famigliari, la lotta di classe, la diversità, sono temi che in lui ricorrono sempre. Eppure, il pregio più grande della sua cinematografia è che nel corso del tempo il regista è stato in grado di raccontarcela sempre in un modo nuovo. Bong Joon-ho ci ha parlato di temi fondamentali con un thriller. Poi con un film distopico. Poi con un monster movie. Poi con un giallo. Poi con una commedia nera. E non ne ha sbagliato uno. Prende i generi e li plasma a suo piacimento, tirandone fuori ogni volta qualcosa che sia innovativo nel singolo genere ma perfettamente coerente nel suo percorso. The Host, per esempio. Lo si guarda in una serata cazzona con gli amici ed è un bellissimo monster movie, con un ritmo magnifico, divertente ma con la giusta punta di commozione. (io pianto come un vitello ma so che non faccio testo perché piango sempre) Lo si guarda bene ed è una riflessione profonda sul rapporto tra uomo e natura, su cosa abbiamo sbagliato, su cosa sbagliamo ancora. Snowpiercer, il suo esordio oltreoceano è un film distopico con un'azione serratissima per tutta la durata, che non molla un secondo. Eppure è un immenso film sulla lotta di classe. Forse è sbagliato dire "eppure" perché sembra io prima di Bong escludessi la possibilità a priori, ma lui per primo mi ha mostrato che il cinema è più malleabile dello slime con i glitter dei me contro te. Lo prende, lo gira, lo volta, lo pirla, ci fa quello che vuole, perché così potente è il suo messaggio che troverà sempre il modo di dirlo al mondo. 

Non ce n'è uno dei suoi film che a me non sia piaciuto. Quei dolorosissimi ritratti genitoriali in Mother e Memories of murder non me li dimenticherò mai. La scena dell'allevamento di Okja ce l'ho tatuata nelle palpebre. Il finale di Snowpiercer, quello (che male al cuore pensarci) di The Host, la lettera di Parasite. Il cambio di tono che sa dare alle sue pellicole da un secondo all'altro è sempre nuovo, sempre diverso, sempre efficace. Non lo senti mai arrivare, ma quando arriva ti tramortisce e alla fine sai che hai guardato un film ma è stato come vederne due, tre, dieci. Ci ha dato nel corso del tempo la dimostrazione che non esistono generi leggeri e altri più seri, che chi ha un messaggio da mandare ha un milione di modi per farlo e che se nel farlo ci metti il cuore la differenza si vede eccome. Parte in un modo, finisce in un altro, riscrive le regole dei generi, usa il cinema come una sua marionetta e io di quello spettacolo qui che con la sua marionetta sa dare non sono mai sazia. 

martedì 4 agosto 2020

Chiacchieratina sul True Crime

10:19
Qualche tempo fa ho letto qualcuno su twitter dire che il true crime è la pornografia delle donne bianche. Non sono certa di poter dissentire.
Quel che è certo è che ultimamente ho fatto incetta di prodotti su questo genere: podcast, serie tv, libri..e ho pensato di metterli tutti insieme per parlarne.
Il trigger warning necessario è che si parla di storie vere. Magari in qualche caso romanzate o adattate al media in cui vengono affrontate, ma sono persone reali, casi giudiziari reali, e capirei se la cosa potesse in qualche modo risultare indigesta. Se si è empatici il minimo sindacale per potersi definire umani spesso è una sofferenza.
Perché farlo, allora, si chiederebbe il saggio.
Eh, quando potrò permettermi di andare in terapia ve lo saprò dire.

Photo by Tingey Injury Law Firm on Unsplash

PODCAST

  • Serial è il papà dei podcast true crime. Ogni stagione affronta un singolo caso in così tanti dettagli che viene voglia di aprire il proprio fascicolo delle indagini. La prima stagione è inarrivabile.
  • Veleno. Di lui ho già parlato, ma due cose veloci le dico comunque. Si tratta del podcast di Pablo Trincia, di recente trasformato anche in un libro che non ho letto, che tratta di uno sconvolgente caso avvenuto dalle parti di Modena. Diversi bambini sono stati allontanati per sempre dalle loro famiglie, accusate di reati allucinanti come satanismo e pedofilia. L'indagine su cosa sia davvero successo è da incubi.
  • Bouquet of Madness. Due amiche youtuber (delle quali una è Federica Frezza - prismatic310 -, ormai onnipresente su questo blog) si raccontano casi irrisolti e misteriosi da tutto il mondo. Adorabili loro e scelte benissimo le storie.
  • My favourite murder è quello che mi piace di meno. Ha una struttura molto simile a BoM ma trovo molto meno piacevoli le host. Ridere di cose tremende è per qualcuno accettabile, ma bisogna saperlo fare e non sono certa sia il loro caso.
  • Demoni urbani è tutto italiano, e racconta vicende di cronaca nostrane più o meno note. Interessante ma trovo un po' noiosa la scrittura, lo ascolto a piccole dosi.
I prossimi che ascolterò: Up and vanished, Missing&murdered: Finding Cleo, Believed, Morbid, The lost kids. Se ne conoscete altri io sono aperta ad ogni consiglio possibile!

TELEVISIONE
  • Unsolved Mysteries è una delle recenti aggiunte di Netflix. Sono pochi episodi e tutti (tranne uno) lasciano il cuore a pezzi. Un prodotto ottimo, ma fruirne con cautela, è devastante. Siccome è una nuova stagione di una serie storica, vi verrà la curiosità di scoprire com'era l'originale: sono quindici stagioni, tutte su youtube. Le trovate qui, buon viaggio.
  • Processi mediatici, sempre di Netflix. Nello specifico questo si concentra su come l'attenzione dei media possa influenzare non solo l'immagine pubblica di un reato, ma anche l'effettivo svolgersi del processo. I primi episodi soprattutto sono una bella batosta.
  • Vale se segnalo che su youtube ci sono anche tutte le vecchie interviste di Franca Leosini?
  • Dear Zachary non è una serie ma un singolo documentario. Quando l'ho visto io, tempo fa, era su netflix, non so se ci sia ancora. Con questo cautela assoluta, perché cadere dalla bicicletta e spaccarsi un braccio fa meno male di lui. Bellissimo ma straziante oltre le parole.
  • La scomparsa di Maddie McCann, sempre Netflix, sempre un caso di scomparsa. Questo poi l'ho guardato semplicemente perché era una storia recente che ricordavo personalmente. Senza infamia e senza lode per realizzazione.
LIBRO (perché è solo uno)
  • L'avversario, di Emmanuel Carrère. La ormai mitologica storia di Jean-Claude Romand e dell'omicidio che ha commesso ai danni della sua famiglia per coprire decenni di gravissime bugie. Primo Carrére che leggo, ha uno stile scorrevolissimo e senza fronzoli, che forse è il solo modo per raccontare una storia come questa. La storia è così incredibile da non poter essere altro che vera e il libro la racconta con la semplicità di un giallo da spiaggia.
Che opinione avete del true crime? Lo vivete come un modo per portare nuova luce su qualcosa che merita di essere rivisto o è davvero una voyeuristica mania di guardare la sofferenza altrui?

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