#CiaoNetflix: Okja
Mari.
13:07
Non mi sono mai sentita particolarmente vicina alle tematiche animaliste. Ho due gatti che amo incredibilmente, ho sempre avuto gatti da che ho memoria, e sbatterei ai lavori forzati quelle bestie che usano violenza sugli animali perché non c'è niente che mi faccia più girare i cosiddetti della gratuità del male. Eppure mi tengo volentieri alla larga da quelli che 'I cani sono meglio delle persone' o da quelli che trattano meglio il loro animale rispetto alle persone di cui sono circondati (e il mondo di quella gente qui ne è pieno).
Okja, però, non è un cane, è un maiale. Un maialone dalle dimensioni esorbitanti, più simile ad un Totorone che ad un suino, dalle vaghe fattezze ippopotamesche, e non sono stata in grado di resisterle, anche alla luce delle recensioni entusiaste che sono girate sul web.
Okja è, come vi dicevo, un maiale. La sua razza è stata creata in laboratorio con lo scopo apparente di risolvere i gravi problemi di fame nel mondo. Alcuni esemplari sono stati spediti in giro per il mondo, da piccoli fattori che avevano il compito di crescere i super maiali. Noi conosciamo la storia del maiale spedito in Corea e cresciuto da una bambina, Mija, e da suo nonno. Quando la multinazionale tornerà in Corea per riprendersi Okja, la bambina non sarà disposta a lasciarla andare così facilmente.
Poteva essere uno di quei filmettini della mutua sul rapporto con i nostri amici animali (Paul, Beethoven, Io e Marley...) e causare in me quell'irritazione che il mio snobismo conosce così bene. Avrei potuto interromperlo a metà, presa dalla noia.
Invece mi sento come quando guardo un film dello Studio Ghibli: affascinata, commossa, piena di buoni sentimenti da un lato e incazzata nera con l'umanità dall'altro.
Okja ricorda un po' Nausicaa della valle del vento se vogliamo, nel modo in cui prima ti trascina in un mondo favolesco e poetico per poi prenderti per mano e mostrarti che non è vero niente, che anche gli idealisti possono essere degli stronzi, che una piccola buona azione non può surclassare il male che gli altri fanno, che i buoni non esistono, che sì Jake Gyllenhal fa tanto ridere ma alla fine è il più fetente di tutti.
Con il grottesco fa inorridire, in un modo che con me pochi altri hanno ottenuto.
In mezzo a tutto questo, alla denuncia, allo scoprire lo squallore di un sistema sbagliato in ogni suo aspetto, il barlume di luce che sta negli occhi di Mija. Mija non molla un cazzo. Vuole il suo maiale e se lo va a prendere, e vi voglio proprio vedere a fermarla. È stata tradita più volte, è stata ingannata, è stata arrestata, ma non sia mai che qualcosa la allontani dal suo sogno: tornare alla semplicità della sua vita con il suo maiale e il suo nonno. Combatte con i denti per la più umile delle esistenze, senza pretese nè lamentele, semplice e dolcissima. Non si è mai fermata a piangere in un angolino, come facciamo noi ogni giorno quando vediamo i documentari su come vengono trattati gli animali negli allevamenti intensivi per poi condividere la notizia su fb, scambiarci le reazioni tristi e poi tornare alla nostra grigliata del primo maggio. È una storia di amicizia straordinaria.
Badate bene che mangio pochissima carne ma non sono vegetariana. Ogni tanto, però, mi capita di pensarci, a cosa alimento grazie alla mia alimentazione (sorry not sorry), e di cercare di fare decisioni più ponderate.
Oggi, però, ci penso un po' di più.
Okja, però, non è un cane, è un maiale. Un maialone dalle dimensioni esorbitanti, più simile ad un Totorone che ad un suino, dalle vaghe fattezze ippopotamesche, e non sono stata in grado di resisterle, anche alla luce delle recensioni entusiaste che sono girate sul web.
Okja è, come vi dicevo, un maiale. La sua razza è stata creata in laboratorio con lo scopo apparente di risolvere i gravi problemi di fame nel mondo. Alcuni esemplari sono stati spediti in giro per il mondo, da piccoli fattori che avevano il compito di crescere i super maiali. Noi conosciamo la storia del maiale spedito in Corea e cresciuto da una bambina, Mija, e da suo nonno. Quando la multinazionale tornerà in Corea per riprendersi Okja, la bambina non sarà disposta a lasciarla andare così facilmente.
Poteva essere uno di quei filmettini della mutua sul rapporto con i nostri amici animali (Paul, Beethoven, Io e Marley...) e causare in me quell'irritazione che il mio snobismo conosce così bene. Avrei potuto interromperlo a metà, presa dalla noia.
Invece mi sento come quando guardo un film dello Studio Ghibli: affascinata, commossa, piena di buoni sentimenti da un lato e incazzata nera con l'umanità dall'altro.
Okja ricorda un po' Nausicaa della valle del vento se vogliamo, nel modo in cui prima ti trascina in un mondo favolesco e poetico per poi prenderti per mano e mostrarti che non è vero niente, che anche gli idealisti possono essere degli stronzi, che una piccola buona azione non può surclassare il male che gli altri fanno, che i buoni non esistono, che sì Jake Gyllenhal fa tanto ridere ma alla fine è il più fetente di tutti.
Con il grottesco fa inorridire, in un modo che con me pochi altri hanno ottenuto.
In mezzo a tutto questo, alla denuncia, allo scoprire lo squallore di un sistema sbagliato in ogni suo aspetto, il barlume di luce che sta negli occhi di Mija. Mija non molla un cazzo. Vuole il suo maiale e se lo va a prendere, e vi voglio proprio vedere a fermarla. È stata tradita più volte, è stata ingannata, è stata arrestata, ma non sia mai che qualcosa la allontani dal suo sogno: tornare alla semplicità della sua vita con il suo maiale e il suo nonno. Combatte con i denti per la più umile delle esistenze, senza pretese nè lamentele, semplice e dolcissima. Non si è mai fermata a piangere in un angolino, come facciamo noi ogni giorno quando vediamo i documentari su come vengono trattati gli animali negli allevamenti intensivi per poi condividere la notizia su fb, scambiarci le reazioni tristi e poi tornare alla nostra grigliata del primo maggio. È una storia di amicizia straordinaria.
Badate bene che mangio pochissima carne ma non sono vegetariana. Ogni tanto, però, mi capita di pensarci, a cosa alimento grazie alla mia alimentazione (sorry not sorry), e di cercare di fare decisioni più ponderate.
Oggi, però, ci penso un po' di più.