mercoledì 20 luglio 2016

Non solo horror: Diaz

21:55
Lo so che sto trascurando il genere del cuore di questo posticino.
Solo che ieri si parlava con Erica di quanto successo di recente al nostro adorato Zerocalcare: pagina oscurata quando ha dichiarato che avrebbe partecipato ad un evento a Genova per ricordare la figura di Carlo Giuliani. Oggi è tutto risolto, il più gigione dei fumettisti italiani è tornato sui social network e io sono contenta.
Ricordo di non avere mai visto Diaz, però, e quindi eccoci qua, nel giorno dell'anniversario della morte di Giuliani.

Penso che un riassunto della trama sia superfluo, in questo caso, ma se dovesse bazzicare di qua qualcuno di ancora più giovane di me, ecco in pochissime parole cosa è successo nel 2001 a Genova. La maggior parte di voi saprà già di cosa sto parlando, ci vediamo più giù quando parliamo un po' insieme del film.

[Momento spiegone in cui mi sento figa e intelligentissima
Il G8 è un incontro tra 8 nazioni, messa giù velocemente, che avviene tramite l'incontro dei loro rappresentanti, chiaramente, non è una chat di gruppo su whatsapp con tutti i cittadini, pensa le notifiche. Questo incontro, nel 2001, si è tenuto a Genova. Ad oggi è il summit più famoso di questo tipo, perché le giornate furono caratterizzate da scontri violentissimi tra le forze di polizia (intervenute e preparate proprio per fronteggiare episodi di questo tipo, che pareva fossero attesi) e diversi gruppi di manifestanti no global, quelli che ci piace chiamare black bloc. Famosissimi, in particolare, alcuni episodi, tra cui la morte del manifestante Carlo Giuliani per mano di un poliziotto, le torture nel carcere di Bolzaneto e, soprattutto, la violentissima perquisizione alla scuola Diaz, luogo in cui alcuni manifestanti andavano a dormire. In fondo al post troverete alcuni link interessanti se vi dovesse andare di approfondire la questione. Farlo è giusto, per avere un'opinione informata, per comprendere eventi importanti del nostro Paese e perché 15 anni dopo un fumettista si vede oscurato un mezzo di comunicazione (e si sente rivolgere anche insulti di una certa portata) per avere espresso la propria opinione sulla faccenda. Quindi no, Genova non è finita.]

Altra premessa dovuta perché secondo me la mia opinione sulle cose influenzerà il mio modo di vedere il film e quindi di parlarne: sì, sono di sinistra. Di una sinistra un po' più in là dell'attuale PD. Non so se definirsi comunisti nel 2016 abbia davvero senso, quindi no, non sono comunista. E sì, lo dico con orgoglio, anche se a volte mi arrabbio anche io con chi mi rappresenta. Ma no, non rientro tra quelli che affermano con forza la loro ostilità verso le divise, non mi sentirete mai dire acab o stronzate simili, non santifico Giuliani nè i movimenti a cui apparteneva e soprattutto sì, sono una piccola buonista a cui la violenza fa schifo. TUTTA. Perpetrata da CHIUNQUE. Abbandoniamo i cliché sulle zecche rosse e anche quelle su qualunque altro essere umano. Anche se, per l'ultima volta sì, in fondo troverete un link da Internazionale. Un pochino nel ruolo ci devo stare.

Partiamo dalla locandina?
Nera, scritta grande rossa, sagoma che fa sempre la sua bella scena. E sopra? La frase, ormai celeberrima, di Amnesty, che accusa l'Italia di avere compiuto la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale. 
Pesantissimo, umiliante, una frase che mi è rimasta impressa da quando ho visto il trailer, anni fa. Sembra prendere posizione già da qui, Vicari.
Di certo è molto d'impatto.


Dopo i primi minuti di film mi sono un po' innervosita, vedendo i manifestanti, i loro capelli, i loro vestiti. Superficialità, la mia? O forse quella di Vicari? I giovani dei centri sociali son proprio tutti uguali: rasta, cannetta, zainettino, pantaloni di lino che fanno tanto anni 70, dilatatori, espadrillas, maglie di emergency . . .che noia che noia che noia.
E mentre io me ne stavo lì, a pensare ai noiosissimi vestiti dei giovini comunistelli, il primo manganello. Poi, per un numero di minuti che non saprei quantificare, ma che a me è sembrato infinito, non sono state altro che botte. da. orbi.
Botte, su botte, su botte. Dolore su dolore, denti caduti, teste spaccate, calci, pugni, senza guardare in faccia nessuno, come se non fossero più nemmeno persone.
Non so se siete mai stati al Museo del Comunismo di Praga. In una saletta proiettano un documentario sull'epoca comunista della città (ma va? al museo del comunismo?), e si sono viste immagini di botte assurde. Manifestanti macellati dai colpi.
E qui è uscita tutta la mia debolezza. Io posso vedere la gente spellata viva (non che Martyrs mi abbia lasciata indifferente, ma ci siamo capiti), posso vedere grossolane interiora uscire da improbabili orifizi, posso vedere anche qualcosina di più. Mi fa schifo, mi fa venir voglia di distogliere lo sguardo, ma finisce lì. Le botte, la gente picchiata, mi fanno venire gli incubi. Forse lo sento più reale. Diaz non ci risparmia niente, le manganellate si vedono tutte, la crudeltà (ma forse è peggio, forse è inumanità) con cui ogni colpo veniva inflitto si sentiva, fortissima, come le urla di chi stava soffrendo. Non credo che, volendo colpire così forte, il regista potesse fare altro: se vuoi colpire altrettanto forte la coscienza di chi guarda, quei pugni lì me li devi mostrare. Ma quanto male fa.

Credo, però, che accanto al gigantesco pregio di essere incredibilmente reale (il film si basa su documenti ufficiali, mica si sono inventati niente), il film abbia qualche diffettuccio, se posso permettermi di dirlo dal basso della mia (ancora troppo) scarsa conoscenza del caso: del Genoa Social Forum si parla molto poco. Si vedono sti ragazzi manifestare a Genova, ma per cosa? Perché ce l'hanno con la polizia? Sì, si nomina la morte di Giuliani, e il ripetuto 'Assassini! Assassini!' chiarisce piuttosto bene, ma non credo sia sufficiente. Immagino che i tempi cinematografici limitino parecchio le possibilità, ma nemmeno del punto di vista delle forze dell'ordine si parla per bene. Non li difenderò MAI, ma leggere la tesi di laurea che vi linkerò più in basso aiuta a fare chiarezza anche su questo, sulla pressione che era stata messa loro, su quanto fossero stati appositamente caricati come molle, pronti ad esplodere. E sicuramente esplosi lo sono.
È devastante vedere un poliziotto al telefono, parlare presumibilmente con la moglie e la figlia, rivolgersi loro con tono dolce e rassicurante, e un secondo dopo vederlo nascondersi una molotov nella giacca per incastrare dei ragazzi.

Vicari ha fatto un lavoro incredibile, devastante ed importante. Da prendere con le pinze, perché fa male al cuore, all'orgoglio per questa nazione a cui così tanto voglio bene ma che ogni tanto colpisce così duro. Fa rabbia, fa sentire impotenti, ma è fondamentale. È come studiare le brutture della storia, a scuola. Bisogna impararle, per non ripeterle.

È stata macelleria, allora?
Lo è stata eccome, e questo in teoria non dovrebbe nemmeno essere messo in discussione (l'in teoria era in grassetto, ma del caso giudiziario non posso nè voglio parlare, non dopo i recenti avvenimenti). Esseri umani sono stati brutalmente picchiati, torturati, umiliati, con una crudeltà e una volontà di colpire che fanno tremare le mani. E questo, a prescindere dalle opinioni, dalla stima che si ha per quei giovani che erano lì, non può e non deve essere dimenticato. Chi doveva tutelarci si è fatto carnefice, indossando quella divisa che dà modo di diventare lo Stato, e questo non può essere perdonato.
E qua, ormai, la politica non dovrebbe c'entrare più niente. In un mondo fatato e con gli arcobaleni una violenza così non dovrebbe avere colore. Rossa o nera, fa paura.
Io la verità in tasca non ce l'ho, non so cosa è successo davvero perché nel luglio del 2001 non avevo ancora compiuto gli 11 anni e presumibilmente quel giorno ero in oratorio con gli amichetti. Magari quelli erano black bloc davvero, magari erano pericolosi, o magari no. Magari erano prima di tutto persone. So che voglio scoprirne sempre di più, voglio che le mie opinioni siano basate sulla verità, e vorrei vivere in un mondo idilliaco in cui chi sbaglia paga sempre.
E quindi no, quel sangue lì non va pulito, deve restare bello impresso, deve colpire fortissimo e restare impresso nella memoria, deve essere un monito per il futuro.
Per quanto mi riguarda, Vicari ci è riuscito benissimo.


Qualche link (spero) utile per chiunque volesse approfondire la questione G8 e in particolare i fatti della scuola Diaz:
Quiqui e qui i lavori di Zerocalcare su Genova. Sono datati, lontani dal suo stile attuale che, onestamente, prediligo. Però da lavori come questi traspare il suo fortissimo legame con la faccenda, per cui sono imperdibili.
Qui uno dei bellissimi articoli de Il Post (in questo caso su Carlo Giuliani), da tempo la mia principale fonte di informazione. Come al solito è infarcito di fonti e imparziale. Se nella barra di ricerca del sito però cercate G8 Genova, vi si apre un mondo. Vogliate tutti un po' più bene al Post.
Qui trovate da scaricare la tesi di laurea di Irene Facheris (vi ho già parlato di lei e del suo progetto Bossy, la trovate su Youtube come Cimdrp, vi consiglio di provare ad ascoltarla, se vi va). Ha una laurea in psicologia, la sua tesi si propone di dare un approccio oggettivo, cercando di riportare testimonianze di entrambi i lati della storia. All'interno anche un'intervista al fin troppo nominato Zerocalcare.
Qui un articolo di Internazionale. Se conoscete un minimo la fonte sapete che non vi troverete di fronte ad uno scritto pacato e razionale.
Qui il bellissimo post dell'inimitabile Dottor Manhattan sul film.


venerdì 15 luglio 2016

Maripensiero: The Hunger Games saga

19:29
Ci sono ragazzi pieni di cervello e passione che a 16 anni guardano Fellini e citano Tarkovskij, altri che vivono di storielle d'amore maldestre e poi c'ero io, che cercavo un modo di barcamenarmi tra le due fazioni.
Sì, gli young adult li guardavo e li leggevo.
Con l'aumentare dell'età è cresciuta anche quella puzza sotto il naso che mi ha tenuta alla larga dagli Hunger Games per anni.
E poi fu Netflix, e il suo essere costante tentazione.
Quindi eccomi qui, dopo una maratona di due giorni, a raccontarvi che cosa ne penso oggi, dopo esperienza diretta, dei 4 film (i libri mancano, non credo che quelli li recupererò, però) che ci hanno lanciato in mezzo ai piedi la Lawrence.


OVVIE RIVELAZIONI ROVINAFILMS
Ebbene, siamo in un futuro distopico, ché senza quello gli young adult non li possono buttar fuori.
In questo futuro distopico in particolare ci troviamo nello stato di Panem. La particolarità della nazione è quella di essere divisa in 12 distretti, i quali verseranno ogni anno al governo un tributo sotto forma di due giovani che saranno chiusi all'interno di un'arena, in un gioco al massacro (gli hunger games, appunto) dal quale solo uno dei 24 partecipanti uscirà vivo.
La nostra storia inizia quando ad essere selezionata a partecipare ai giochi è la nostra protagonista, Katniss Everdeen.
Chissà perché in ste storie i personaggi non possono avere nomi comuni.

Il motivo del successo, in particolare tra i giovanissimi, è palese anche agli occhi di chi, come me, di solito ha una capacità di analisi da quinta elementare.
Katniss è un personaggio perfetto, studiato a tavolino per essere amato: intanto, è bella. E tanto dovrebbe bastare, perché all'adolescente media vedere una bella protagonista è sufficiente per tifare per lei. Ma non è solo quello. È coraggiosa, un po' sbruffoncella (il suo modo di rispondere alle figure autoritarie è per me, piccola cagasotto, ancora inspiegabile), brava con l'arco (no, non brava, bravissima, la più brava di tutti), però anche tanto tanto sensibile. Colpo di grazia, ha non uno, ma DUE, pretendenti invidiabili. Uno è Liam Hemsworth, e non serve altro. L'altro poverino non è proprio stupendo ma è quello buono sensibile e pieno di buoni sentimenti.
E io le vedo, le 15enni stramazzare al suolo, implorando dio di rinascere Katniss Everdeen. C'hanno ragione, c'hanno. Oltretutto la Lawrence è brava davvero.

A funzionare, secondo me, è anche la sensazione di rivolta. Parlo per opinione personale, perché ho un ricordo netto di me adolescente che ritenevo che il migliore degli Harry Potter fosse L'ordine della fenice, per la sensazione di pentola di fagioli in subbuglio, per l'aria di rivolta, per il mondo finalmente in rivoluzione. Poi no, crescendo no, l'Harry Potter migliore è Il prigioniero di Azkaban, questo è cristallino.
So che devio discorso, scusate, lo faccio anche irl.
Comunque, credo che questo senso di ribellione faccia molta presa, ecco, volevo dire solo questo.

Il primo film funziona, poche storie. Gli attori sono bravi, quasi tutti, è coinvolgente, dura molto ma non si sente perché riesce ad essere leggero pur trattando anche temi pesantini.
Dove sta il problema?
Che arriva il secondo.


La ragazza di fuoco è una specie di autocopia, un remake non ufficiale, non me lo spiego.
Parliamoci chiaro: Katniss ha vinto gli Hunger Games l'anno prima, ma siccome è una SFIGATA, l'anno dopo è l'anniversario, è la volta di festeggiare la memoria, TORNA NELL'ARENA.
Davvero fate?
Volendo quello sarebbe anche il meno, eh, sia chiaro, perché il suo essere di nuovo in gioco ha i suoi risvolti, e tutto quanto. Potrei perdonarlo, se non fosse che all'interno dell'arena succedono le STESSE cose della volta prima.
Esempi affinchè non sembri che io dica cose a caso:

  • Il personaggio dolce ed affidabile, che Katniss sceglie come alleato e che, chiaramente, fa una fine infelice: prima era Rue, piccola e bellissima, poi Mags, un'adorabile anziana muta. Poteva funzionare la prima volta, per farci vedere quanto meravigliosa fosse la Katniss, ma quando per la seconda volta l'ho vista fare uno dei suoi rari sorrisini alla nonna le mie braccia si sono staccate dal corpo.
  • Le ferite per mano di animali: di là le simil vespe, di qua le scimmie. Stesse dinamiche, lei fuori gioco per un po', lei in pericolo, poi tutto ok. Basta, dai.
  • Katniss che con il suo arco fa qualcosa di completamente inaspettato. Questo è un fil rouge delle 4 storie, ma in particolare nel primo film colpisce la mela e nel secondo la cupola che riveste l'arena, un. po'. noioso.
  • Peeta che rischia di morire e invece no. (Nel primo per la gamba e nel secondo quando colpisce la cupola)


Mi fermo qui, ma insomma, avete capito direi.
Bellissima e crudele la trovata dell'orologio, forse la sola cosa che mi fa salvare questo secondo, infelice, capitolo.

Mockingjay, diviso in due parti perché ADESSO SI DEVE FARE SEMPRE COSì, si rivela completamente diverso dai precedenti. I giochi sono conclusi, una volta per tutte. Bene, direte. E invece no, i giochi li portiamo fuori dall'arena e ne facciamo una guerra. Reale.
Il popolo è in rivolta, a nessuno le condizioni del presidente Snow sembrano stare bene, la figura ispiratrice di Katniss diventa simbolo di sentimenti repressi troppo a lungo: è rivoluzione.
I colori sgargianti e i look bizzarri di Capitol City vengono sostituiti dalle grigie e malconce divise dei rivoluzionari, tutti uguali perché uniti da un solo desiderio.
Oh, mi sono fatta prendere, che vi devo dire.
Perché alla fine è questo, no, che conta? A meno che vogliamo intavolare una profonda conversazione sulla tecnica e sull'importanza storica nel mondo del cinema, e di solito su questo blog non vogliamo, è il coinvolgimento che conta. Io ho lasciato che la storia mi appassionasse, in particolare nei momenti migliori. L'atmosfera si respira, avvolge, in particolare fare una maratona e godersela di fila è una bella esperienza. Si entra nell'aria della rivoluzione lentamente, e quando ci si è dentro si combatte con loro.
E si, il finale è ridicolo, ma niente che non si possa tollerare.



Somiglia o no, allora, a Battle Royale?
Sì, chiaro. Sta a voi decidere se vi importa.

martedì 12 luglio 2016

The Invitation

13:07
Ah, quando vi mettete in massa a parlare di una cosa io non resisto: devo venirvi dietro.
The Invitation è solo l'ultima di una serie di fisse che hanno investito i miei adorati colleghi blogger e, come al solito, non per niente.

L'invito in questione è quello che Eden invia agli amici di un tempo. Una cena, una reunion, a cui sono invitati anche l'ex marito, Will, e la sua nuova compagna. Sembrerebbe una bella cosa, io alle cene con i miei amici mi diverto assai, e invece. . .


E invece niente, non succede niente. 
Mettetevi comodi, perché se aspettate dei fatti ne troverete ben pochi.
The Invitation è un film di lunghezza standard, si supera di poco l'ora e mezza, per la maggior parte della quale non si vede un mezzo episodio che sia uno.
Eppure.

Will arriva, saluta gli amici, ci sono baci, abbracci, nostalgia, il fantasma di un evento tragico che aleggia su di loro senza quasi mai uscire del tutto. Una chiacchierata seduti insieme, un bicchiere di vino, qualche gioco per scaldare l'atmosfera.
Ma l'atmosfera è già calda, caldissima, e noi ce ne accorgiamo da subito.
Lo sguardo sospettoso di Will è chiaro fin dal primo istante. Qualcosa non è come se lo ricordava, o come se lo aspettava. Già la prima discesa di Edie dalle scale ci puzza un pochino. 
Le nostre sensazioni si bloccano lì, però. Qualcosa puzza. Finisce male. Ahiahiahi.
Però i minuti scorrono e non succede niente. Allora, o siamo pazzi noi e Will oppure qualcosa arriva.

Arriva, tranquilli.
Ma quasi quasi il punto non è quello, sebbene gli ultimissimi secondi di film siano incredibili. Quello che succede prima è intuibile, ma quell'istante finale. . .
Ohi ohi ohi.
Il punto, in realtà, è come ci siamo condotti, a quel finale. E ci siamo condotti benissimo, in punta di piedi, circondati di persone interessanti e credibilissime (il paradiso del politically correct, ci sono tutti: bianchi, neri, asiatici e omosessuali, non si fa torto a nessuno). Will è un uomo torturato, ogni respiro è per lui sofferenza, e ce lo mostra benissimo, perché ha uno sguardo di un'intensità rara. I suoi amici sono meno 'approfonditi', ma tutti reali nella loro semplicità.
Talmente reali che, quando Will comincia a palesare le sue perplessità, lo prendono un po' per scemo e le sottovalutano. Che poi hanno anche ragione. Io sabato ho cenato con i miei amichetty di una vita, se mi fossi alzata a dire che secondo me c'era qualcosa di bizzarro se non altro mi avrebbero preso a cuscinate.


Insomma, un'ora e mezza che campa di dubbi, disagio e staticità.
Mi rendo conto che messa giù così non faccia proprio venire un voglione di vedere The Invitation, ma io fossi in voi lo guarderei anche se la lentezza non vi dovesse piacere. Prima di tutto tratta del più straziante dei lutti con un'eleganza e una delicatezza che sono proprio adeguate.
E poi vi garantisco che i brividi della scena finalissima si fanno aspettare ma ne vale la pena.
Eccome se ne vale la pena.

lunedì 4 luglio 2016

Krampus

10:27
Ho avuto due importanti giornate di merda. Di quelle in cui se ti tagliano non sanguini.
Avevo bisogno di Cinema, di quello che diventa terapia e che ti riappacifica col mondo. Quello che ti calma per un po' e illude chi ti circonda del fatto che tu non sia proprio la bestia che sei in realtà. Qualcosa che fosse dolce, e un po' amaro, e un po' nostalgico, e un po' triste, e un po' tenero. E che fosse anche un po' cattivo.
E quindi, Krampus.


Avevo beatamente ignorato il trailer per il motivo che segue: non sopporto il Natale.  Scusatemi.
Non che sia un Grinch che insulta e risponde inacidito a chi invece le feste natalizie le ama, semplicemente nell'intimità della mia cameretta non riesco a sentirne alcuno spirito. E quindi, lo ignoro. Tranquilli, il Natale non se la prende e per tutta risposta ignora me.
Krampus è la storia di un bambino che, con ottime motivazioni, perde la fiducia nel Natale. Lui, che era sempre stato così affezionato alle feste e alla figura di Babbo Natale, ad un certo punto è messo alla prova, e perde il suo spirito. Le conseguenze le paga tutta la famiglia.
Una specie di Bran Stark, però meno stupido.
La tensione è palpabile dal primo momento, e non certo per colpa del Krampus: la recita scolastica è stata irrimediabilmente rovinata proprio per mano del giovane Max, mamma e papà aspettano con ben poco entusiasmo i parenti, chiassosi, repubblicani ed insopportabili, la sorella di Max è innamorata, ha altro per la testa, e questo altro niente ha a che vedere con vischio e presepe. L'unico supporto sembra arrivare dalla silenziosa e paziente nonna.
(Ho un debole per gli anziani, vi prego di perdonarmi se questo post avrà spesso parole d'amore per la nonna)
Lo spirito del Natale lì è bello che andato, la cena viene organizzata tanto perché le belle tradizioni americane borghesi vogliono l'arrosto di prosciutto e l'albero alto fino al soffitto. Prima o poi questa tensione doveva esplodere: ad uccidere la finta pacatezza di circostanza ci pensano le cugine, che credono sia divertente umiliare pubblicamente Max, leggendo a voce alta la sua lettera a Babbo Natale.
Sarà lui a umiliarle, dimostrando che la sua (supposta) ingenuità altro non è che bontà reale, di quelle che si incontrano una volta nella vita o due. Questo comunque non gli impedirà di cercare di prendere a botte queste cugine che pesano tre volte lui.
Le botte sono il meno: eventi bizzarri e personaggi inquietanti arrivano a dimostrare alla felice famigliola che il Natale è ben altro.
E per quanto io abbia trovato bellissimo il Krampus e adorabile la storia della nonna bambina, non sono stati loro il punto.
Improvvisamente tutti si riscoprono uniti.
Il desiderio di serenità (natalizia e non) di Max era stato palesato, suo malgrado, quello che invece stava silente dentro ognuno degli altri si stava manifestando nei modi più diversi: vecchie decorazioni conservate insieme ai ricordi che si trascinano dietro, cioccolate calde preparate nel rassicurante silenzio di chi si prende cura degli altri senza farne un vanto, inaspettato sostegno tra sorelle, il sacrificio per salvare gli amati, un'invadente zia antinfanzia che per tutto il film si coccola la bimba piccina.
Il fatto che io non vada cercando questo spirito di cui sono mancante non significa che non auguro a chi invece lo desidera di trovarlo.
Non vi dico se i sogni di Max si avverano, vi dico solo che arrivare a scoprirlo è bellissimo.

lunedì 27 giugno 2016

The Conjuring - Il caso Enfield

14:38
Due settimane fa ero in sala, lo schermo stava per proiettare The Neon Demon. Partono i trailer, che io malsopporto ma che il cinema mi propina forzatamente ogni volta. Parte quello di The Conjuring - Il caso Endfield. Mi convince, guardo Riccardo con sguardo sognante, ricevo come risposta un netto 'No.'
(Riccardo, lo dico per i lettori occasionali, è la povera anima che sopporta la mia ben poco gradevole compagnia. Tenetelo a mente, perché è molto presente sul blog e sarà il protagonista di questo post che prevedo di una lunghezza sconsiderata.)
Riassunto per gli impazienti: mi è piaciuto tanto e mi ha fatto paura.
Avrei solo preferito vederlo senza essermi coccata il trailer prima.

Siccome la femmina della coppia sono io, ecco quello che è successo:
al cinema ci siamo andati
colma di misericordia, ho acconsentito a far venire con noi il nostro amico scemo, affinchè Riccardo avesse un'ulteriore manina da stringere qualora la tensione si fosse fatta insostenibile, il che è avvenuto abbastanza alla svelta. Tutto si può dire di Wan, ma lento proprio non è.
Per raccontarvi cosa altro è successo ieri sera, devo sottoporvi a qualche spoiler ma niente di che.

Il caso Enfield che dà il (sotto)titolo al film è quello della famiglia Hodgson. È una vicenda piuttosto nota a chi, come chi scrive, bazzica per storie paranormali che si spacciano per vere. Se anche solo una volta avete cercato faccende simili su Google siete sicuramente incappati nella storia di questa madre divorziata, con quattro figli a carico, una situazione di ristrettezze economiche e fenomeni bizzarri ad infestarle la già malconcia casa. Sicuramente avete visto questa foto da qualche parte:


La trama del film, insomma, è questa. Madre sola, figli piccoli in età scolare, entità che si palesa a disturbare la loro (mancata) quiete. In particolare ad essere presa di mira è Janet, la minore delle figlie femmine, 11 anni. Per capire cosa succede e valutare se sia il caso di richiedere l'intervento della Chiesa Cattolica, intervengono gli amatissimi e bellibelliinmodoassurdo Warren, i soliti Ed e Lorraine a cui vogliamo così bene. Se la Farmiga e Wilson dovessero mai figliare, cosa che spero perché qui è partita una ship di quelle importanti, ne uscirebbe una creatura dalla chiara appartenenza angelica. Galeotta fu la scena in cui quel bell'uomo di Patrick Wilson, armato di chitarra e sguardo pieno d'amore, canta ai bambini la sola canzone di Elvis che mi sia mai piaciuta, I can't help falling in love with you.

Ciò detto, passiamo alla cosa che mi ha incuriosito di più durante la visione, oltre ovviamente al film: Riccardo, e il suo modo di guardare i filmacci brutti che fanno paura.
Facciamo una piccola presentazione del personaggio per i soliti lettori occasionali di cui sopra.
Lui guarda un buon numero di film, ha una certa esperienza, ma le sue preferenze vanno sempre sul fantasy e sulla fantascienza pura. Parliamo di uno che tutte le sere dice una preghiera a Gandalf e che non è ancora certo di avere superato la dipartita di Han Solo, eroe della sua infanzia. Gli horror gli fanno una discreta paura, ma questo non lo ha mai fermato dall'accompagnarmi (nonostante gli sia stato fatto notare che posso andare al cinema da sola e cavarmela, EHM).
Quando inizia a salire la tensione, lui ha un rituale che al confronto Nadal prima di battere pare non faccia niente. Intanto, parla. Ridacchia, cerca dettagli in scena (e lui ha un occhio per i dettagli insignificanti che non ho mai trovato in nessun altro), commenta le cose a voce alta. Ho quasi la sensazione che dire le cose a voce alta lo aiuti a riportarle nella loro dimensione di finzione. La cosa peggiore, però, è che inizia a farmi i grattini sul polso, sempre nello stesso identico punto, rischiando di mandarmi alla neuro.


Questo volendo ci potrebbe anche stare, diciamocelo. La paura è lecita se non sacra, e The Conjuring 2 la sua bella paurina la fa eccome. C'è qualche spaventino di quelli da saltello possente sulle poltrone, ma poca roba. Come era stato con il primo film della saga (la possiamo già definire così?) Wan ha trovato il punto di forza nel creare atmosfere incredibilmente funzionanti, e se la paura del saltellino passa subito, l'aria pesante resta dentro e anche quando finisci il film e vai a mangiare una gigantesca pizza di quelle alte una spanna ti senti il fiato sul collo. Il fiato di un vecchio.
La cosa di Riccardo che mi infastidisce/incuriosisce di più quando siamo al cinema, però, è la sua totale incapacità di sospensione dell'incredulità. (Tre volte al contrario allo specchio e il mio faccione spunterà a torturarvi nel sonno)
Non è capace di godersi un film per intero, così com'è. Lui deve mettere in dubbio, lui deve capire alla perfezione, lui cerca di 'risolvere il caso' prima che lo faccia il film, lui vuole LO SPIEGONE. E io, ogni singola volta, gli dico di rilassarsi, di godersi quello che viene, di lasciarsi trasportare. Ma lui niente. Ci provo a dirgli che il bello è proprio quello, è proprio sentire crescere la tensione, sapere che ti spaventerai (perché lo sai sempre), spaventarti comunque, e provare quel sollievo tipico che si percepisce quando finalmente il male ha un volto che non sarà mai brutto quanto quello che stavi immaginando.
Esempio, che secondo me vi fa capire ala perfezione di che tipo stiamo parlando: Janet è APPESA AL SOFFITO. Tenuta su dalla forza malefica che sta cercando di farsi largo dentro di lei. Viene improvvisamente risucchiata attraverso il soffitto, per ritrovarsi nella stanza al piano di sopra. Risucchiata, Attraverso. Il. Soffitto. Per entrare nella stanza ritenuta il centro delle attività paranormali. La scena non è impressionante a vedersi, ma sta 11enne stava appesa al benedetto soffitto! Ha attraversato la parete!
Sua reazione: 'Sì ma sta roba non è possibile!'
Trattengo il 'MA VAH?' a malapena. Questo si guarda i film in cui la gente combatte nello spazio con le spade laser (le spade laser) ma se in un horror in cui si parla di fantasmi e demoni una bambina passa attraverso le pareti a lui pare strano. E il 'tratto da una storia vera' non c'entra, eh. Non gli torna e basta.


Ora, perché parlare così a lungo delle sue reazioni al cinema? Perché sono reazioni comuni ad una fetta molto alta di popolazione. Immagino non sia un'esclusiva del multisala di Cremona, secondo me i giovani che fanno così li avete anche nel vostro cinema. Certo, poi magari non tutti vanno a vedere su Google le corrette classificazioni dei demoni, ma capite bene che se questo sta con me da quasi 5 anni bene bene non sta.
Ma forse è questo il punto di The Conjuring - Il caso Enfield. Ha tutte le potenzialità per piacere a chiunque, per intrattenere chiunque. Ognuno poi ne trae quello che più lo aggrada: se sei un'ingegnere psicopatico passi le due ore a cercare spiegazioni fisiche a fenomeni che proprio per loro natura non ne hanno, se magari sei un appassionato di orrore ti siedi e ti godi lo spettacolino che Wan ha preparato per te, se sei scemo come il nostro amico cerchi le immagini di gattini su Google per resistere. Sono due ore di giostra, che passano come se fossero il minuto convenzionale di Blue Tornado. Sta a te decidere se chiudere gli occhi e farti sballonzolare in giro dai binari o se studiare come la meccanica ti porti così in alto senza farti cadere.
Tanto fa paura comunque.

giovedì 23 giugno 2016

Il demone sotto la pelle

22:11
Ah, i condomini. . .
Il fatto che casa mia sia in uno di loro non mi impedisce di volere molto bene ai film brutti e cattivi sugli agglomerati di appartamenti, e vi posso garantire che la voglia di strangolare la mia dirimpettaia non ha niente a che vedere con questo.
Data la mia età e la mia predilezione per un certo tipo di cinema, non vi sarà difficile intuire che il responsabile di tale apprezzamento sia da ricercarsi in quella piccola perla di sangue che risponde al nome di Rec.

Il demone sotto la pelle potrebbe essere il trisavolo del film spagnolo.
Anche qui siamo in un condominio, unica ambientazione per tutta la durata, e anche qui siamo in pieno periodo di contagio. Se il virus responsabile del fattaccio in Rec, però, trasformava le sue vittime in qualcosa di molto simile a degli zombie, con il cannibalismo e tutto il resto, qui siamo di fronte a qualcosa di diverso. Ogni volta che il parassita (perché di affascinanti lumacotti stiamo parlando) entra in un corpo, quest ultimo si libera di ogni limite, abbandona il pudore per concedersi esclusivamente al piacere.
E se state pensando che io stia parlando di sesso avete ragione. Di cos'altro?


Non è poi che tutto questo morboso pensare e parlare di sesso sia trasmesso a noi innocenti e ingenui spettatori con delicatezza o raffinate allegorie, tutt'altro. Cronenberg (e a chi altro avremmo potuto attribuire siffatta eleganza) non si fa alcun problema a infilare parassiti in orifizi femminili o a farli uscire da bocche dormienti, crea orge acquatiche e stupri per poi sedersi a sghignazzare per le nostre faccette scandalizzate.
Perché gli abitanti dell'Arca di Noè (il nome della zona residenziale), quelle stesse persone che il vecchio Davidone percula siamo noi, con le nostre manine portate delicatamente alla bocca per coprire il nostro sgomento.
Noi siamo quelli che il sesso lo fanno ma non ne parlano, ché non sta bene.
Siamo quelli che trattano da cani la moglie (provocando in chi guarda un insostenibile prurito alle mani) per poi andare a farsi la vicina di casa 19enne, suscitando poi le ire del karma che per punirti inizierà a far uscire, dal corpo dell'indaffarata vicina, i sopracitati lumacotti parassiti.
Siamo quelle che accolgono in casa un'altra delle vicine facendoci credere amiche solo perché ne siamo attratte.
Lo eravamo 40 anni fa, ma forse oggi lo siamo in modo ancora peggiore. Oggi siamo più spudorati, vantiamo una sessualità più libera ma non è così. Condizionati lo siamo ancora, in un modo diverso, forse, ma le catene alle mani le sentiamo ancora. Se dico questo sono così, se dico l'opposto sono colà. Se parli sei cagna, se non parli sei frigida. Ci sono listini prezzo ben precisi su quello che una persona deve o non deve fare per essere accettata, con anche specificate le età in cui è meglio fare ogni singolo punto della lista. Non ce ne libereremo mai, siamo animali sociali, e l'Arca di Noè ci serve per sopravvivere.
E anche se crediamo di essere esseri eroici e senza peccato, come il biondissimo e privo di sopracciglia medico della struttura, possiamo metterci il cuore in pace: se non andiamo noi dal peccato sarà il peccato a venire da noi.


Forse, e dico con forza FORSE perché qua risposte sul senso della vita non ne abbiamo, iniziare a riconoscerci per quello che siamo, prendere atto di quelle parti di noi di cui ancora ci vergogniamo può essere un modo per tenere lontano questo peccato.
Che poi, peccato.
Questo è solo senso di colpa.

domenica 12 giugno 2016

Venerdì 13 (1980)

17:00
L'altro giorno il direttore della mia banca mi ha detto che scambierebbe volentieri la sua polizza assicurativa vantaggiosa con la mia giovane età.
La sfiga di avere pochi anni comporta, oltre al pagare millemila milioni per assicurare un'auto, il ritrovarsi tra i piedi certi personaggi, senza avere la più pallida idea di come ci siano finiti.
Quando sono nata Jason già era morto un bel po' di volte. Eppure era sempre lì, nella mente e nell'immaginario di tutti, saltellano sulle colline a braccetto con l'altro losco individuo, quel Freddy Krueger che secondo me avrà film dedicati fino alla fine del mondo come lo conosciamo.
Per qualche motivo, che qualcuno più esperto di me vi saprà senza dubbio spiegare meglio, questi signori hanno smesso di essere solo personaggi fittizi, sono diventati parte della cultura popolare al punto da essere incredibilmente noti anche a chi per l'horror non bazzichi per niente, anche a chi i film originali non li ha mai visti.
E io, Venerdì 13, non l'avevo mai visto.
Ricordo spezzoni di sequel visti negli anni, ma Lui, quello capostipite, mi mancava.


Visto con gli occhi di chi è cresciuto con le sue conseguenze, Venerdì 13 è solo una delle tante storie horror piene di quei perculatissimi luoghi comuni che tanto ci piacciono: gruppo di ragazzi di cui non sappiamo niente, assassino che li decima, luogo di vacanza sperduto nei boschi, la final girl che è l'unica in tutto il film che non è riuscita a farsi il moroso. . .
Stavolta siamo a Camp Crystal Lake, l'assassino è il celeberrimo Jason con la maschera da hockey (se non altro, crediamo sia lui per la sua notorietà, la prima sorpresa di questa visione è che lui manca completamente dal primo capitolo). la final girl è Alice. Poco altro vi importa sapere, se fate parte di quella schiera di giovanissimi che hanno questa lacuna. Unitevi a me, giovani spavaldi, che parliamo di roba seria.
Quello che vi succederà ad un certo punto durante la visione è una gloriosa epifania, un sonoro 'AAAAAAAAAAHHHHHHH!' che rimbomba in quel contenitore vuoto che ci piace chiamare cervello. È il momento in cui capiamo insieme che tutto è iniziato qui.
Che prima di questo filmettino (che se proprio dobbiamo riassumerne un'opinione non è che mi abbia proprio fatto impazzire) la gente non guardava a questi elementi comuni del cinema come li guardiamo noi oggi.  Per noi sono quasi superati. Li conosciamo bene, li prendiamo in giro anche se di cinema ne sappiamo poco, ma ogni tanto ci dimentichiamo che la storia non è iniziata con noi. E che se noi, oggi, facciamo a gara al cinema per vedere chi resiste di più in un torture porn qualsiasi è perché qualcuno, 30 anni fa, prendeva a mazzettate negli occhi gli adolescenti sporcaccioni e faceva inorridire i benpensanti. È bello vedere la nascita, la storia, anche quando è un film abbastanza noioso, ve lo garantisco. Anche se Jason non è simpatico quanto Freddy, o inquietante quanto Michael.

È un po' come andare al museo egizio: andare a quello archeologico richiede più passione e più conoscenza per far sì che apprezziamo la gita, esattamente come vedere i film vecchiiiiiissimi richiede uno sforzo in più. Col tempo poi si va che è un piacere, ma ci vuole pazienza. Quello egizio, invece, è una figata: è colorato, chiassoso, esoso con tutte le statuone imponenti e le maledizioni dei faraoni, però ti insegna la storia comunque. È più vicino a noi in modo che possiamo sentirlo in modo più empatico, ma abbastanza lontano da farci trattenere il fiato quando vediamo che gli egizi già avevano le infradito.
Non so se mi sono ingarbugliata o se questo paragone abbia senso, nella mia testa giuro che ce l'ha.


Come al solito, parlare di qualcosa di così storicamente importante diventa complicato in un blog come il mio dove non si vuole parlare di tecnica e storia e influenze (per quello è sufficiente Google, o magari qualche sito migliore), soprattutto quando queste si rivelano più interessanti del film stesso.
Mettiamola così: Jason fa ancora parte, 30 anni abbondanti dopo, di quel giardino di personaggi che stanno nel cuore di tanti, quella maschera lì è ancora troppo presente perché possiamo passargli oltre e ignorarla.
Onorare i genitori del cinema che oggi andiamo a vedere in sala, quarto comandamento.

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