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giovedì 15 marzo 2018

The book of life

14:29
Quando Coco ha fatto la sua comparsa in tutto il mondo, qualcosina mi si era acceso nel retro della mente.
Siccome, però, la mia memoria fatica a mettere a fuoco anche cosa ho mangiato ieri, ho lasciato perdere la faccenda e me ne sono dimenticata.
Qualcuno, poi, mi ha ricordato The book of life.
Anno 2014, ambientazione messicana, ma soprattutto: prodotto da Guillermo del Toro.
Era giunta l'ora di vederlo, superando la mia naturale lontananza dall'animazione.


Un gruppo di ragazzini scalmanati va in gita al museo. La classica e noiosa guida del museo, però, viene sostituita da una collega ben più simpatica, che accompagna i ragazzi in un lato nascosto del museo, tutto dedicato al Messico. Qui racconta loro la storia di Joaquin e Manolo, due amici che si contendono il cuore della bella Maria. Il loro destino viene manomesso da una scommessa tra La Muerte e Xibalba.

Non posso fare paragoni con il film Pixar, che non ho visto.
The book of life, però, è un tripudio di gioia.

In mezzo ai colori del Giorno dei Morti, alla colonna sonora travolgente fatta solo di cover adattate (c'è I will wait dei Mumford e non ho pianto solo per non perdere alcun fotogramma), all'avventura che supera la vita e la morte, ci sta la più semplice e genuina delle storie d'amore.
Maria da bambina viene allontanata dalla città di San Angel per colpa della sua condotta ribelle, ed è costretta a salutare i suoi amici. L'amore che loro provano per lei, però, supera il tempo e la distanza, e si fa trovare immutato quando, anni dopo, i tre vengono finalmente riuniti, ormai adulti.

Maria, dal canto suo, non li delude: è cresciuta per diventare una donna fortissima. Colta, appassionata di sport, brillante, senza paura, con il carattere frizzante che la caratterizzava da bambina. Non accetta consigli 'da signorina', non si piega a quello che la città si aspetta da lei, non sente nemmeno le chiacchiere gelose. Trascina da un lato all'altro la sua coda di capelli immensa (lo capisco bene baby, ti ammiro tantissimo per l'assenza di emicrania) e il suo maiale priva di vanità ed estri da donnina per bene. Questa usa la spada meglio di suo padre, il generale.
Joaquin e Manolo, chiaramente, sono inebetiti dall'amore.
Uno con la sua forza imbattibile e il suo curriculum da combattente feroce, l'altro con un talento di cui gli importa poco, quello da torero, e con una passione enorme per la musica.
Li unisce un'amicizia che non si è mai scalfita nonostante la rivalità, un'amicizia così forte e sentita da portare al sacrificio più grande, o al presunto tale.
Famiglie intere vengono coinvolte nella conquista di Maria, vive o morte che esse siano, presenti davvero o solo nel ricordo.

La forza del film sta tutta qua: si parla di sentimenti in un modo così genuino, fresco, quasi d'altri tempi, da lasciare inevitabilmente una piccola traccia sul cuore. L'amicizia fraterna, l'amore di famiglie che devono lasciar andare le proprie aspettative per il bene dei propri cari, l'amore come sogno, immaginazione, ricordo, e soprattutto come lotta insieme contro le cose brutte del mondo.

Un tesorino di film, colorato e rumoroso, pieno di sentimenti magnifici che non si prendono mai troppo sul serio, lotta armata e candele volanti, labirinti in movimento e maialini in fuga.
Una coccola per le giornate no, e una certezze per quelle sì.
Chi se lo aspettava?
Ah, sì.
Del Toro.

venerdì 9 febbraio 2018

Your Name

12:57
Sono in piena maratona pre Oscar. Non sono mai stata agguerrita come quest anno, proprio l'anno in cui non mi so decidere perché mi sta piacendo tutto quanto. Siccome agli Oscar verrà dedicato un post a parte, però, devo riempire buchetti di programmazione qua e là, e oggi tocca ad una promessa che ho fatto a mio fratello.




Mitshua e Taki sono una ragazza e un ragazzo. Vivono distanti e non si conoscono nemmeno, fino a che un giorno scoprono che durante la notte riescono a scambiarsi i corpi. Lui in quello di lei, e viceversa. La situazione è problematica, ma loro trovano il modo di comunicare, lasciandosi messaggi in giro per il cellulare, e di non essere troppo un problema uno per la vita dell'altra.
Il loro rapporto si fa molto stretto, e Taki decide di partire per andare a conoscere Mitshua.

Questa è la terza volta che provo a buttare giù qualcosa su questo film, perché Kevin, mio fratello, ci teneva e io avevo paura di deluderlo. Quando si scrive di qualcosa che si sa essere così amato da qualcuno di caro è difficile.
La cosa che mi rende il compito meno gravoso è che Your Name è davvero l'incanto che tutti, Kevin compreso, dicono.

Non che la pensassi sempre così.
A metà film ero dispiaciutissima al pensiero di dovergli dire che a me sto film stava dicendo poco e niente. Una commediola body swap carina e buffa, ma niente di più.
Questa prima parte, però, serve giusto a farci mettere a nostro agio, comodi. Non pensiamo che di lì a poco saremo distrutti dalle emozioni, non ci mettiamo in posizione di protezione.
Quando quindi succede qualcosa di grande grande il nostro cuore non se lo aspetta e cade in frantumi. Io, poi, che del film non sapevo davvero davvero niente, mi aspettavo una storiella buffa su due innamorati destinati ad incontrarsi.
Non è così semplice, qui.

Lo so che ormai il film lo avete visto tutti e io sono l'ultima ad arrivare alla festa, ma ero riuscita a salvarmi dalle anticipazioni. Non lo sapevo cosa sarebbe successo quando finalmente Taki sarebbe andato a cercare Mitshua. Non lo sapevo, quindi cuore infranto e fine di tutte le speranze. La delicatezza con cui un certo lato del Giappone riesce a distruggere te e tutto ciò che hai di più caro non finirà mai di sorprendermi. Non è solo una questione di animazione (che è splendida e non ve lo devo certo dire io. Your name è proprio bellissimo), è proprio il modo di strutturare una narrazione complessa e che va ben oltre la classica storiella di due amanti dal destino avverso che combattono per stare insieme.
È una storia di ricerca anche di sè. Se io sono te e tu sei me, cercandoti trovo anche un po' di quello che sono io. Il Taki che torna da Itomori non è lo stesso che ha lasciato Tokyo. La storia tra i due, anche solo lo scambio di corpi, li trasforma, li rende migliori, più sicuri, meno adolescenti traballanti e più giovani adulti consapevoli e maturi. E se un rapporto ti trasforma così, è impossibile lasciarlo correre via.
Gli ostacoli del tempo e dello spazio sembrano nulla. 
E in una favola come questa, non possono che diventare nulla, di fronte all'enormità del poter stare insieme.
Insieme, e migliori.

Grazie, Kevin, per questa meraviglia.

giovedì 16 febbraio 2017

Non solo cinema: Camere Separate

19:20
Abbiamo aperto la settimana di San Valentino parlando di come si sopravvive alla morte di un'amata. Proseguiamo con lo stesso tema, ma con toni notevolmente diversi. 

Io non conoscevo Pier Vittorio Tondelli, giuro che non l'avevo mai sentito nominare, perchè quando si parla di letteratura italiana sono di un'ignoranza vergognosa. Ora sto approfondendo la conoscenza, perchè la lettura del suo ultimo romanzo mi ha folgorato.


Camere separate è la storia autobiografica di come si sopravvive ad un amore che muore. Non nel senso di una relazione finita ma, come era stato per Nina Forever, nel senso del sopravvivere ad un amato che muore. Leo, l'alter ego di Tondelli, conosce Thomas a Berlino e se ne innamora. Quella che nasce è una storia d'amore immensa, che ci viene raccontata attraverso i numerosissimi flashback di cui il libro è cosparso.

In un numero limitato di pagine Tondelli esplora una vastita di sentimenti, drammi, angosce, e li riporta sulla carta con una chiarezza cristallina, quasi vivisezionandoli. Non lo vediamo mai scadere nell'autocompassione, ma analizzare con sguardo quasi freddo quel dolore che lo sta annientando. Una capacità incredibile, che spero con tutto il cuore gli sia stata d'aiuto a superare un lutto così assurdo, perchè se davvero Leo è Tondelli allora io, Pier Vittorio, che bene che ti voglio. Quanto ho sofferto con te. Leo è un personaggio come pochi altri ne ho trovati. È talmente tridimensionale, completo, umano, reale, che è impossibile non avere empatia massima. Non si lamenta mai del suo dolore, non se ne fa investire, ne vive semplicemente le conseguenze non potendo fare altro che osservarle compiersi. 
A noi questa sopravvivenza è raccontata in modo quasi chirurgico: la storia non è narrata in modo lineare ma con episodi disparati, della vita quotidiana, che diventano il modo migliore per conoscere i due amanti. La lingua di Tondelli non è la stessa mia, non è l'italiano che usiamo per parlare. È preciso ma semplicissimo, non fa uso di esagerazioni nè di vezzeggiativi. Sono i fatti a parlare da sè. Il modo di esplorare come mai Leo si comporta in un modo piuttosto che un altro è di un'umanità disarmante, anche quando non si condividono le sue azioni è impossibile non comprenderle. 

In tutto ciò, protagonista è l'amore. Amore nato come travolgente passione, raccontata nei dettagli ma priva di qualsiasi volgarità, e diventato la storia della vita. Arrivato dopo una storia di fondamentale importanza, dalla quale Leo credeva non si sarebbe ripreso mai, Thomas si è preso uno spazio incredibile, costruendo con il protagonista una storia senza precedenti, per peculiarità e intensità. Leo e Thomas sono stati lontani, non si sono parlati, si sono presi e lasciati, si sono avuti ma mai posseduti. 
Poichè di solo amore non è fatta la vita, però, incrociamo anche gli altri grandi temi della vita di Leo: l'omosessualità e quindi il rapporto con la società, la fede, il lavoro. Temi di tutti e di nessuno. Ma poche altre volte ne avevo letto così.

Come mi era successo con Storia di una vedova sono rimasta affranta da una lettura intensa nei temi ma mai nei modi. Ed è proprio la dignità con cui questi lutti sono stati affrontati ed esposti a farmi amare così appassionatamanete i due autori.
Però come è difficile volere bene agli Artisti, a volte.


(Per un po' basta sofferenze, perchè qua non si può mica andare avanti a questa maniera)

lunedì 13 febbraio 2017

Nina Forever

15:42
Ogni anno quando si avvicina San Valentino cerco un film per parlare d'amore in un modo che non sia 'convenzionale'. Quest anno ha vinto Nina Forever, horror comedy che è anche una superba lezione di come si fa a parlare di temi profondissimi con un tono leggero ma che non distrae mai.

La Nina del titolo è la defunta fidanzata di Rob. Dopo la sua morte lui ha lasciato andare il suo futuro, i suoi rapporti, la sua vita. Solo due anni dopo, nel supermercato in cui lavora, conosce Holly, e se ne innamora. Nina non la prende benissimo.


Ogni tanto quando scrivo post su argomenti particolarmente intensi, come questo, mi ritrovo a leggermi smelensissima e non mi piaccio. Soprattutto, non mi piacerei in questo contesto, in cui il film fa l'esatto opposto del piangersi addosso e del creare commozione forzata. Nina Forever è buffo, dolce, nostalgico, e fa ridere. Parlando di cordoglio e ossessione, ma fa ridere. Perchè è così che si fa, mica come quel benedetto Colpa delle stelle che se potessi lo brucerei. 
Elemento di grande ironia è Nina stessa, che compare durante il primo rapporto tra Rob e Holly. Avrebbe potuto scegliere qualsiasi altro momento della loro relazione per ostacolarla, ma lei no, lei fa la sua apparizione in scena ogni volta che si fa sesso, e la cosa pare anche divertirla molto. Nina è sarcastica fino all'esagerazione, sicurissima di sè e forte del suo ruolo, la fidanzata morta. È una carta potentissima da giocarsi, non si vince contro il ricordo della morosa morta è un asse di briscola. Non è solo divertente il modo in cui ciò ci viene detto, è anche di una verità assoluta. Nessuna sarà mai Nina. 
Se Rob sembra avere accettato e superato questa realtà (d'altronde è lui quello che si è fatto i due anni di lutto), è Holly a non sembrare in grado di prenderne coscienza. O meglio, Holly c, i morti sono intoccabili, ma cerca di eliminarla. Butta le sue cose, diventa la prima complice di Rob nell'eliminare le tracce del suo passaggio, sia di quelle della Nina viva sia le pozzanghere di sangue lasciate dalla Nina defunta. Poi però si fa un tatuaggio per onorarla.
Rob, dal canto suo, è spiazzato. Gli si vuole bene dal momento due, più o meno. È sofferente, ha chiuso le porte al suo futuro mollando gli studi e accontentandosi di un lavoro onesto ma non sufficiente per lui, non è più in grado di costruirsi delle relazioni, vive quasi in funzione delle visite domenicali dai genitori di lei.
La relazione tra le due contendenti di Rob, quindi, finisce per diventare la cosa più interessante del film. L'ossessione di Holly, le costanti frecciatine di Nina, gli improbabili amplessi a tre, l'interessante risvolto finale. Le due si sfidano costantemente per un uomo ancora così provato dalla vita da non essere in grado nè di capire dove stia il problema nè tantomeno di provare a risolverlo. Rob vivacchia mentre le cose gli scorrono intorno. Non mi sento di biasimarlo. 
In un angolino, poi, il padre di Nina. Se per tutto il film siamo stati intrattenuti con leggerezza, ecco che alla fine compare un suo sfogo, fatto di poche parole, che ci riporta nella disperazione di cui il film è permeato. Alla fine anche le nostre risate svaniscono: arriva la consapevolezza di avere visto un film pieno di disperazione. 
Solo che non ci è mai fatta pesare, e non potrei essere più grata per questo.

sabato 4 febbraio 2017

Non solo horror: Drive

18:49
Il primo film di Refn che ho visto è stato The Neon Demon, che mi aveva fulminata. Se la tirava talmente tanto da farsi un giro intorno, ma a me andava benissimo così, perchè il film era talmente bello che si meritava di tirarsela. Volevo continuare con Valhalla Rising, che sta comodo comodo su Netflix ad aspettarmi. Avevo il tarlo di Drive, però, e se ho un tarlo prima risolvo quello e poi passo oltre.


All'alba della mia seconda visione di Refn posso confermare la mia tesi: non solo fa bene a tirarsela, DEVE tirarsela, perchè lui è un talento grande e noi non siamo nessuno. Siamo piccoli piccoli, umani sconvolti di fronte ad un film che, adesso posso confermarlo con la mia inutile voce, è davvero il Capolavoro che avete detto per tutti questi anni.

Protagonista è Ryan Gosling, e di lui parliamo dopo, che non ha nome. Guida in modo eccezionale ed è completamente privo di paura e spirito di sopravvivenza. Nella sua vita di tutti i giorni usa il suo talento e la sua spregiudicatezza per fare lo stuntman sui set cinematografici, di notte fa da autista per i criminali. Questa routine verrà spazzata dall'ingresso nella sua vita di Irene, la vicina di casa. E niente sarà più lo stesso.

Sì, nel riassumere la trama ho dato volutamente un risvolto romantico, che farà storcere il naso ai puristi dell'azione dura e cruda. Non che loro resterebbero comunque delusi da Drive: è un inarrestabile crescendo verso una violenza inaudita e senza pietà. Ma la cosa che ha lasciato me a fine visione così profondamente provata è che si stia parlando della più genuina e candida storia d'amore che abbia visto in un film di recente. 
Partiamo dal presupposto che io non amo i film d'amore, li trovo generalmente presuntuosissimi quando vogliono elevarsi a grande realtà oppure idiozie totali. Ci sono le ovvie eccezioni e con questo concludo la mia polemica. Drive fa il miracolo: parla d'amore senza parlarne, senza mostrarlo, agendo. Che poi è quello che fa la gente innamorata, no?
Non c'è bisogno di parole, non serve la scena plateale che fa scombussolare l'ormone degli spettatori infoiati, non serve neanche fermarcisi troppo su: un paio di sguardi ben sistemati, una mano sopra l'altra, un sorriso. Noi siamo fregati. Se non ci aveva inchiodato alla sedia il primo inseguimento, quello che è lento e silenzioso e che ha i titoli di testa rosa fluo intorno, allora sarà l'amore a farlo. 
Un film intero, uno straordinario film intero, che si muove perchè la cosa più importante è l'incolumità di una donna appena conosciuta e del suo bambino. Non conta se nel frattempo si rischia la vita, non conta se si ignora la legge, non conta nemmeno (in un momento PAZZESCO PAZZESCO PAZZESCO) se lei perde la buona immagine che aveva, se si uccide metaforicamente ogni possibilità di essere amato da lei uccidendo realmente un'altra persona, non importa più se si è i primi a spaventarla. Lei è salva, ed è quello che conta.
È un amore totalizzante, di una generosità sconvolgente, inarrivabile. 
Il pilota avrebbe potuto farsi quei famigerati cazzacci suoi grazie ai quali pare si campi cent'anni. Ma qualcosa lo aveva reso più umano: il più basilare dei sentimenti. Se all'inizio ci pareva quasi robotico, assente, privo di pensieri, alla fine del film, con quella canzone, lo vediamo più umano di tutti noi.

E qua devo le mie scuse ufficiali a Ryan Gosling. Su Facebook avevo detto che preferivo Reynolds. Qua G. tira fuori una virilità incredibile, rivelandosi stupendo, una bellezza che avevo sottovalutato. Ragazzi, è un figo pazzesco. Ho già usato l'aggettivo pazzesco in questo post? 
Non importa se questa sua espressione rigidissima sia data da scarse capacità recitative (La La Land sembra confermare questa tesi), qua era perfetta e tanto basta. Qualche mezzo sorriso buttato qua e là, tanto per non farci abituare, e poi di nuovo indecifrabile. Mai che si parli di lui, che si sentano i suoi pensieri, che si vedano le sue emozioni. O forse invece sono cristalline, basta solo guardare bene.

Insomma, filmettino da niente, dicevamo.
Ad ergerlo a capolavoro per fortuna c'è Ron Perlman.
#Perlman2020

lunedì 16 gennaio 2017

#CiaoNetflix: Sherlock s4e3 - The final problem

21:15
Oggi niente post sull'orrore. Oggi è il giorno in cui Sherlock finisce, e non esiste che si parli di altro.
Chiedo scusa per la monotonia recente del blog, ma capirete che ho aspettato 3 benedecti anni per questi episodi. Questo, un altro post sull'argomento che esce sabato e poi, davvero, è finita.
Qui sul blog, almeno, chè nella mia testa c'è materiale per i prossimi sei mesi.
E poi inizieranno revisioni, maratone, ricerche su tumblr, lacrime...


OVVIAMENTE DICO TUTTO E CREDETEMI CHE NON VOLETE SPOILER.

Ci siamo lasciati con uno sparo e una rivelazione gigantesca: la terapista di John era in realtà Eurus, sorella degli Holmes completamente rimossa dai ricordi di Sherlock a causa di un grande, gigantesco trauma. Eurus era imprigionata nel carcere di massima sicurezza di Sherrinford (che evidentemente non era il terzo fratello come tutti sospettavamo), ma l'abbiamo vista fuori, nel secondo episodio.

L'inizio mi aveva spaventato: non mi stava piacendo per niente. La sceneggiata a casa di Mycroft per farlo confessare e fargli sputare la realtà sulla sorella mi aveva un po' messo su il grugno insoddisfatto, ma John mi ha rimessa cheta cheta in un angolino, sfoderando la battutona fan service che ho amato perchè SONO UNA FANGIRL OK?

There's a place for people like you, the desperate, the terrified, the ones with nowhere else to run.  221B Baker Street.
E io lì a fare la ola sul divano, estasiata. Il fatto che si vivesse la questione della sorella ricomparsa con grande leggerezza mi aveva confusa, ma non rispondo dei miei sentimenti.
Mycroft, quindi, diventa cliente. Sottopone la sua storia alla coppia e la trasforma in un caso. Non è la prima volta che membri della famiglia vengono declassati a clienti, ogni volta che ripenso a His last vow e rivedo John indicare la sedia a Mary mi sento lo stomaco sussultare.
Ora, non so bene che opinione avere sul fatto che Sherlock abbia completamente rimosso la sorella, non so quanto sia scientificamente possibile e non so se mi interessa, perchè voglio mantenere inalterata la mia sospensione dell'incredulità, e perchè chi si ricorda dei casi canonici sa che la logica rigidissima non è sempre stata la regola.
Facciamo l'indiretta conoscenza di Eurus bambina attraverso i ricordi che iniziano a farsi spazio e a tornare (bellissima la bambina e adorabile che Mycroft sia cicciotto come il Mycroft grasso del mind palace di Sherlock) e la sorella si palesa subito come estremamente brillante, la migliore dei tre, ma pericolosa. Proprio mentre si chiarisce che Eurus non può essere scappata, ecco che un drone con una granata entra nel 221B.
Quello che c'è ora è uno degli scambi più belli dell'episodio: i tre uomini sono immobili, in cerchio, e parlano con i volti immobili. Il dialogo tra i fratelli è splendido, e l'interferenza di Watson è leggera e adeguata. Il 'good luck boys' di Sherlock è carinissimo e stringe il cuore. Cumberbatch è quasi un ventriloquo, perdio. È in questa scena che, finalmente, si inizia la rivalutazione di Mycroft. Amiamo Sherlock e Watson dall'inizio perchè sì, la serie è la loro. Mary arriva e si fa amare dalla prima comparsa. Mrs Hudson ha un cambio tardivo ma ormai inesorabile (scena dell'aspirapolvere, che ve lo dico a fare), mancava giusto Mycroft. Bravissimo Gatiss (a quanto pare più a recitare che a scrivere) e meravigliose tutte le sue scene in questo ultimo episodio. Umano, passibile di errore, molto più sentimentale di quanto ci sia mai stato detto.
Questo mette una pietra sopra al cinismo: abbiamo salvato Sherlock, ammesso che ci fosse qualcosa da salvare, ora è toccato a Mycroft. Noi sentimentali abbiamo il controllo del mondo e dalla nostra parte ci sono le menti più geniali del pianeta. Non c'è niente che possiate fare per fermarci.

Proseguiamo con l'episodio, e altri due mostri sacri fanno la loro comparsa: Eurus e Moriarty.
Di Moriarty voglio uno spin off. PAZZESCO. Entrata in scena, occhialetti, movenze, voce. È un figo incredibile e ha lasciato un segno enorme nell'episodio. E sì, c'entra anche il mio problema con i Queen.
Eurus, finalmente.
Imo, stupenda pure lei. Inquietante al punto giusto, disperatamente commovente poi, un ingresso in scena fulmineo. Redbeard ci ha accompagnato fin dalla prima stagione e ora che è diventato un qualcosa di reale è stato una palata in testa, anche se le teorie del web avevano ipotizzato qualcosa. Diventiamo tutti peggio dei complottisti pentastellati quando si parla di sto telefilm.
Dolcissima la carezzina sul capo finale, che sembra tanto messa lì a strappare lacrime apposta, ma che con me ha funzionato al 100% e che fa subodorare che i rumors avessero ragione: niente s5.
Onestamente se finisse così andrebbe bene.
Non ho trovato questo episodio al pari di altri, perchè questa serie ha toccato picchi esplosivi, di pura elegantissima perfezione. Alcune cose non mi sono affatto piaciute (la reazione dei genitori Holmes alla scoperta che la figlia era viva? tremenda e recitata con i piedi), altre mi sono entrate dentro e resteranno nel mio cervello a macerare a lungo, come è sempre stato.
Ora Sherlock è finito, forse per sempre. Ogni volta che finisce un prodotto di finzione così potente è un colpo al cuore, la nostalgia è reale io credo che sentirò la mancanza di questi due molto a lungo. È una serie invasiva e invadente, entra nel cervello e nei sentimenti e ci resta per settimane, monopolizzando i pensieri. Ma è un monopolio straordinario.

Vi lascio qui la sigla, per tornare a sentirla quando avrete voglia di un sorrisino con stretta allo stomaco.



Se non avete mai visto Sherlock fatevi questo immenso regalo.
Buona fortuna per i vostri sentimenti.
I miei sono già perduti.

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