lunedì 26 giugno 2017

Un tranquillo weekend di paura

19:10
Ogni tanto penso alla mole di film 'storici' che ancora devo vedere, e per riprendermi dalla traumatica lista mi servono i sali.
Arriva sempre il re, Stephen King, a darmi delle direzioni. In Danse macabre parla a lungo e molto bene di Deliverance. Io me la faccio un po' sotto, come sempre quando guardo i grandi classici di genere, ma mi faccio coraggio: oggi è il giorno buono.



Bobby, Lewis, Drew ed Ed sono quattro amici che partono per un weekend all'insegna dell'avventura, per godersi gli ultimi istanti di spontaneità di un fiume che sarà presto rovinato da una diga.
Gliene andrà bene una in questo weekend?
No, neanche a domandarlo per piacere.

Ora, io scrivo sempre le trame con modi ben poco seri, ma qua non c'è proprio niente da ridere. Deliverance è un film cattivo come la morte, che non lascia nemmeno un momento di respiro e che ha tutte le intenzioni di non farsi scordare.
Oggi siamo fin troppo abituati a film la cui trama si dipana da un gruppo di amici che parte per una vacanza e finisce male, ma Deliverance quell'aria malata lì, del 'qualcosa andrà storto', non la propone nei modi ormai a noi consueti. Non ci sono musichette spaventevoli nè uomini sospetti.
Noi li guardiamo con sospetto perché sappiamo cosa accadrà, ma gli uomini che i nostri amici incontrano dal benzinaio appena partiti sono solo chiusi e poco educati. Non siamo dalle parti di Captain Spaulding, per intenderci. Quello lì ce l'aveva scritto in fronte che non stava tanto bene.

Qua inizia tutto in modo più sottile, per poi esplodere in scene tremende senza che ci sia data la minima calma, finito un dramma ne inizia un altro, senza che si riesca ad immaginare un finale positivo per i quattro. L'uomo di montagna è ostile e violento, in modi inimmaginabili e insostenibili da vedere (se quella scena è tanto famosa c'è un perché: è durissima.), e quello di città cerca di barcamenarsi nei modi in cui riesce per sopravvivere. I quattro cittadini, peraltro, sono uomini dalle reazioni plausibilissime e quasi confortanti: piangono, scalpitano, si chiudono in un silenzio martoriandosi dai sensi di colpa, si innervosiscono, si sfogano.
Ed è esattamente questo che con me ha funzionato: l'empatia è stata totale e totalizzante.

Stavo facendo la cyclette mentre guardavo Un tranquillo weekend di paura. 
Mai pedalato così veloce.


sabato 24 giugno 2017

The Handmaid's Tale

15:48
Oggi avevo in programma di rispondere al Liebster Award a cui mi ha nominata Silvia (però magari ci penso domani). Sto lavorando molte ore e quello era un post veloce e semplice da scrivere, e oltretutto le sciocchezze su di me le dico sempre volentieri.
Sono però reduce da un intenso binge watching di The Handmaid's Tale, e le mani bruciano.
Insieme al cuore.



È ovviamente la serie del momento, quindi dirò la trama a grandi linee giusto per quelle due persone che non hanno avuto internet nello scorso periodo.
Siamo in una realtà distopica (non dico futuro perché si parla di Uber e ci sono gli smartphone, siamo ai giorni nostri). Degli Stati Uniti come li conosciamo non è rimasto niente. La società è stata completamente ricostruita, gli uomini hanno completa gestione del tutto mentre le donne sono divise in categorie, in base al loro ruolo. Le Marta sono le donne che gestiscono la casa, le Zie sono le educatrici, mentre le Ancelle sono le donne preposte a mettere al mondo i figli. Delle incubatrici. La nostra protagonista è un'ancella. Come tutte le sue pari ha perso il nome con cui è nata e ora ha il nome dell'uomo che la possiede. Da June che era, quindi, è diventata Offred.

Non che non fossi preparata. Ogni ragazza che seguo e conosco e che ha visto la serie prima di me ne era uscita malmessa. Sapevo, quindi, che sarebbe stato duro, e che mi avrebbe messo alla prova.
Ma quanto, perdio, non lo sapevo mica.

Fino a qualche tempo fa detestavo utilizzare per me il termine 'femminista'. È bastato informarmi, leggere, ascoltare, per capire che femminista io ci sono nata. Oggi lo grido al mondo con ogni mio pensiero, con ogni azione, con ogni sospiro. Fa parte di quello che sono, è lato fondamentale del mio carattere, perché i miei ideali sono quello che mi caratterizzano, come, se posso permettermi, per ogni altro essere umano. Quando siamo usciti dalla visione di Suffragette (l'avete visto, vero? È conditio sine qua non per stare sul mio blog) il mio ragazzo mi ha chiesto preoccupato se stessi bene, forse la mia faccia parlava da sè. Meno male che non può vedermi ora.

È una delle cose più difficili che ho visto in tempi recenti, ma allo stesso tempo è di una forza quasi travolgente, di quelle che ti fanno venir voglia di alzarti e urlare ancora più forte il tuo valore. Niente di quello che è mostrato è irreale. Qui di distopico, mi perdonerete un francese, non c'è proprio un cazzo di niente. C'è slut shaming, c'è oggettivizzazione del corpo, c'è omofobia, c'è giustificazione dell'aggressore, ci sono stupri legalizzati e non, c'è fondamentalismo religioso, ci sono mutilazioni genitali. Non c'è niente di inventato. E io, dalla mia posizione privilegiata, l'ho visto succedere per finta e lo vedo succedere davvero, ogni giorno. E quando non lo vedo, lo sento, lo percepisco, lo ascolto. Capito, antifemministi di questo grandissimo cazzo? (francese di nuovo)
Il problema esiste e non saranno i vostri capricci a farci smettere di combattere per risolverlo.

Sarebbe stato facile lasciarci sprofondare in questo mare di merda e farci annegare. La serie non lo fa. The handmaid's tale è il miglior ritratto delle donne che ho visto in una serie tv. Le protagoniste sono variegate, pliedriche, reali. C'è la donna forte, che prende la sua forza solo da se stessa (Moira), c'è la donna con una forte motivazione esterna (la figlia per June/Offred), c'è la donna che la forza la perde (Ofglen, in una interpretazione che Alexis Bledel scusa se ti ho sottovalutata - sei stata un mostro - e in una scena che mi ha atrocemente commossa), c'è quella che non l'ha mai avuta (Janine), la donna succube del proprio uomo, vittima della sua presenza e sottomessa ai suoi desideri, la donna crudele (Serena).
Ma soprattutto, c'è l'alleanza. Ci sono donne amiche, baci, strette di mano, sguardi che dicono più di ogni altra cosa (sì, va bene, farò gli incubi su quella scena della Bledel nel furgone), pacchetti, abbracci, sentimenti condivisi, incoraggiamenti. E c'è quella scena finale in cui si mostra come l'unione salva le vite, e non c'è niente al mondo che conta di più.

Abbiate il coraggio di dirmi che il femminismo non serve a niente, poi.

domenica 18 giugno 2017

Wonder Woman

12:02
Accolgo sempre le notizie di nuovi cinecomics con l'entusiasmo di un beduino che vede di nuovo la sabbia. Sono piena, basta. Pure Netflix ci si mette, una serie ogni sei mesi. In pratica per liberarmi dei tipi con i costumini dovrei ritirarmi dalla vita virtuale e darmi alla meditazione.
Wonder woman, però, è una felice eccezione. Capirete bene che mandare il mio moroso a vedere due ore di Gal Gadot senza la mia cinica censura a fianco sarebbe stata una missione suicida, quindi mi sono unita.
Niente, non ce l'ho fatta a percularla.



Diana è la figlia di Ippolita, regina delle Amazzoni. Vive con sua madre e le sue compagna sull'isola di Themyscira, e la sua vita scorre felice tra un allenamento e l'altro. La trnquillità dell'isola viene disturbata dall'arrivo di un uomo, Steve, che racconta a Diana di come il mondo sia sconquassato da una guerra tremenda, mai vista prima. Lei si convince che il vero responsabile sia Ares, dio della guerra e nemico storico delle Amazzoni, quindi torna sulla Terra con Steve, nella speranza di trovare Ares e ucciderlo.

Non entriamo neanche nel merito DC/MCU perché quella lì non è roba per me. A livello editoriale ho una simpatia maggiore per DC, perché il mio venerato Sandman esce da lì e perché la mia prossima lettura sarà Hellblazer, ma per me la questione finisce lì. E la competizione a tutti i costi mi sta anche tendenzialmente sulle balle.
Diciamo solo che Wonder Woman fa una cosa che nei miei pochi film visti Marvel manca del tutto: fa della morale il suo punto principale.
Sì, ci sono botte da orbi, citazioni che fanno palpitare il cuore agli appassionati, la guerra e gli effetti senza i quali ormai la gente non va al cinema, ma sono solo un contorno rispetto al grande cuore di Diana, che scende sulla Terra e non si fa contaminare dalla parte peggiore dell'umanit, pur conoscendola proprio quando questo lato peggiore è quello che prevarica. Diana però non è una bimbetta ingenua, occhio a non sottovalutarla. Il fatto che creda nel lato positivo delle persone non significa che sia una stupidella naive che non sa come gira il mondo, perché le osservazioni di Diana sono sempre argute. Piuttosto, fa del suo idealismo la spinta principale per non smettere mai di combattere.
A fine visione alcuni miei amici hanno sollevato la questione 'recitazione della Gadot', esprimendo pareri negativi. Io l'ho trovata adeguatissima.

Mi sarebbe piaciuto evitare la questione femminista, ma capirete bene che mi viene piuttosto difficile data la mia opinione leggerissima sull'argomento.
Forse la cosa che ho amato di più nel film è prprio il modo così affine al mio di trattare il femminismo. Diana è nata in un'isola di sole donne, per lei che le donne possano fare quello che vogliono e che siano padrone di se stesse è naturalissimo. Non ci deve lavorare, non ha costrutti sociali contro i quali combattere, è così e basta. Cresciuta in un mondo in cui le donne non solo non sono mai state sminuite, ma in cui erano proprio la principale arma contro Ares, le riesce impossibile pensare all'umanità come divisa in due generi. Non se la prende nemmeno troppo quando qualcuno degli uomini cerca di proteggerla, lei fa quello che le pare punto e basta. Non ha bisogno di puntare i piedi, non deve nemmeno alzare la voce, quando le gira lei volta i piedi e se ne va.
Questo non significa che per lei gli uomini siano creature del demonio. Non li detesta affatto, anzi, ci diventa amica e li ama come amava le sue sorelle su Themyscira. Sono esattamente suoi pari, che è poi la lezione di questa ultima ondata del femminismo.
Beh, magari non proprio suoi pari, ché se questa ti guarda storto ti spezza una gamba, ma ci siamo capiti.

Da questo punto di vista il film mi è piaciuto tantissimo, sono uscita dalla sala senza nemmeno detestare la Gadot per la sua sfacciatissima bellezza inumana, e secondo me il vero risultato del film è questo.

giovedì 15 giugno 2017

Un giro in libreria #2: ET Einaudi e Graphic Novel

18:25
Sono tornata in libreria. Questa volta in Feltrinelli, perché nella mia città ci sono quasi solo librerie di grandi gruppi editoriali. Questo è perché Cremona attende in ansia che io apra il mio piccolo e intimo caffè letterario che venderà anche libri usati e farà la gioia vera di grandi e piccini.



A balzare subito all'occhio è inevitabilmente la promo Einaudi: compra due ET e ti regaliamo il telo mare de L'isola del tesoro (che, ammettiamolo, è proprio un gran bello).
È già stato fatto da blogger ben più rilevanti della sottoscritta, ma se non sapeste come barcamenarvi nel marasma dei tascabili Einaudi, ecco i miei due spicci, esclusi i classici:


  • per gli idealisti politici, attaccati alla sinistra vecchio stile, che tutti gli anni vanno a mangiare pane e salamella alla Festa dell'Unità: gli scritti di Augias e Berliguer sono ET. 
  • girl power: Chimamanda Ngozi Adichie, Margherita Hack, Concita De Gregorio, Michela Murgia, Alice Munro.
  • gialli: qua ci potrebbe essere da sbizzarrirsi, di giallisti ne è pieno l'universo. Un solo nome, però, spunta nell'arido cuore mio. FRED VARGAS.
  • da regalare all'amico hipster: David Foster Wallace. Ma proprio tutto, in pratici formati convenienza. Se Infinite Jest risulta un po' poco pratico da trasportare, allora ci si può buttare sulle Brevi interviste per uomini schifosi.
  • se vi serve un piantino liberatorio: tutto quello su cui potete mettere le mani di Kazuo Ishiguro. Ma non prendete sottogamba nemmeno il fattore lacrima di Philip Roth. 


Infine, le novità graphic (che sono novità almeno per me). Ribadisco quanto detto la volta scorsa: ora che tutti leggono i fumetti le case editrici si adeguano.
Della già citata collana di Mondadori, Oscar Ink, ha colpito la mia curiosità Monstress, fantasy ambientato in un mondo in cui la popolazione è divisa per razze, e che ha per protagonista una donna che sembra avere possessioni demoniache.
Sono inoltre sempre più tentata da Saga, che in ogni libreria in cui vado sta lì, a sfidarmi. Certo, in attesa di essere acquistati ci sono anche Paper Girls e Strangers in paradise, ma non è che ho i miliardi a disposizione. Alla fine il fil rouge di quello che mi attira è il mood anni 80, amici, mostri e fantasy. Niente che sia il mio genere del cuore, in realtà, eppure in forma di fumetto è questo che attira sempre la mia attenzione.
Per suscitare in voi le mie stesse voglie a proposito di questo maledetto calderone mangiadenaro che è l'editoria a fumetti, lascio qui questo video, che se devo soffrire io almeno soffrite con me:


lunedì 12 giugno 2017

The town that dreaded sundown

11:17
Ogni volta che negli ultimi mesi ho aperto un sito di streaming, per scegliere il film da vedere, sono incappata in questo. Mi dicevo che il titolo era un gran bello ma poi lo lasciavo lì, e mi lasciavo prendere da altro.
Oggi mi sono decisa.



Texarkana è una città che si trova sul confine tra Texas e Arkansas. Negli anni 40 era stata vittima di una serie di brutali omicidi, per mano di un serial killer chiamato Il Fantasma. 60 anni dopo Il Fantasma è tornato.

Ho questa impressione, che potrà essere confermata o smentita dagli amanti del cinema in senso più 'tecnico' di me: negli ultimi anni sono spuntate pellicole che hanno una grossa caratteristica comune e che alla fine della fiera si sono rivelati alcuni tra gli horror migliori del periodo. Prendono gli elementi 'canonici' di un particolare sottogenere (lo slasher regna incontrastato), li mettono tutti bene in fila su un tavolo, poi si lanciano sul tavolo e fanno l'angelo con le braccia e le gambe per spostare tutti questi elementi e rimescolarli, dando loro nuova luce, nuovi significati, pur rimanendo fedeli alla loro natura.
Il primo film che ho notato (nella mia ignoranza) fare questo giochino è stato Quella casa nel bosco, osannato come l'horror dell'anno del 2012 (che aveva comunque altre uscite interessanti). Ci sono stati poi It follows, The final girl, e, oggi, The town that dreaded sundown. Dove con oggi intendo tre anni fa, ma ci siamo capiti. Quest ultimo, in particolare, non è solo una rivisitazione di un genere che sembra essere il più diffuso anche tra chi gli horror non li guarda, ma è anche un monumento al film di cui è remake e che io, colpevole, non ho visto. Il film del 1976 è in tutto e per tutto un personaggio fondamentale del suo remake, rendendo quello del 2014 un film intrigantissimo. È metacinema felicissimo di esserlo. 
Oltre a ciò, è anche uno slasher con tutti i crismi, con il villain con la maschera, le morti violente e tutto il resto, sempre per quel discorso che gli elementi classici non vengono toccati ma solo riadattati. 
Ma la cosa più importante, che se vogliamo essere onesti nel mio cuore batte tutto il discorso sopra, è che The town that dreaded sundown è un film bellissimo, pieno di colori e movimento, 
E tanto mi basterebbe. Se poi c'è anche il resto, beh, io non mi lamento.

giovedì 8 giugno 2017

Il paradiso degli orchi, Daniel Pennac

16:33
Come avevo detto nel primo post sul giro in libreria, mi sono finalmente decisa a conoscere Malaussène.
Ho fatto bene.


Benjamin Malaussène è un capro espiatorio. Di lavoro, infatti, si prende la responsabilità di tutti gli errori di un centro commerciale, recitando la parte del pover'uomo e convincendo i clienti a ritirare le lamentele. Quando torna a casa si occupa dei suoi fratellastri e delle sue sorellastre, che la madre gli ha lasciato in gestione per andare in giro per il mondo con la fiamma del momento. Un giorno, nel centro commerciale scoppia una bomba. E poi un'altra, e poi un'altra.
Chi potrà essere il primo sospettato, se non un capro espiatorio?

Sapevo che Pennac mi sarebbe piaciuto. La sua fama lo precede, e sapevo che questo modo fresco di scrivere mi conquista sempre. Ero stata ben attenta a non costruirmi delle aspettative particolari, però, ché quelle lì sono delle nrutte bestie e rovinano sempre tutto. Quello che non sapevo, quindi, era quanto Pennac mi sarebbe piaciuto.
Ora lo so: tanto.
Se la bizzarria della famiglia Malaussène non fosse sufficiente a farvelo amare, e io credo basti da sè, vi dirò di più: la scrittura di Pennac è deliziosamente inaspettata. Pensavo a qualcosa di molto elementare nello stile che finiva per avere il suo risalto nei contenuti. Niente di più sbagliato.
Daniel Pennac scrive in un modo incantevole, che è sì leggero e scorrevole come olio di cocco sulla padella calda su cui state per fare i pancakes, ma è molto meno immediato rispetto all'idea che mi ero fatta. Nelle prime pagine, soprattutto, in cui il rapporto tra i membri della famiglia Malaussène non è ancora chiarito, serve un momento per fare il punto della situazione senza finire a pensare di essere impazziti.
La routine familiare è adorabile, ogni fratello ha caratteristiche e passioni molto pronunciate, che rendono ciascuno indimenticabile a modo suo. L'equilibrio in cui Benjamin deve restare per gestire da solo una famiglia molto numerosa e un cane epilettico ricorderà a tutti gli assurdi giochi di gestione familiare, in cui le bizzarrie di ciascuno non sono più assurde ma quotidiane, in cui ogni secondo della giornata è incastrato alla perfezione per non lasciare fuori le necessità di nessuno e in cui, tutto sommato, è l'affetto a tenere in piedi la traballante baracca.
Oltre a ciò, il giallo, le bombe che esplodono e i personaggi altrettanto inconsueti che lavorano nei Grandi Magazzini. Niente è lasciato al caso, ogni dettaglio è curato e divertente, e sì, ogni dettaglio fa ridere.
Fino alla risoluzione del caso, lì non c'è proprio niente da ridere.
Ed è lì che Pennac passa dal raccontare una storia buffa ad una ben più grande con un solo giro di pagina. In poche righe il romanzo assume tutt'altra piega, entrando nella lista dei Grandi, facendosi spazio nel cuore del lettore senza che questo nemmeno se ne renda conto.
È troppo impegnato a ridere.

lunedì 5 giugno 2017

Raw

16:06
Circa un anno fa Twitter è esploso dopo l'uscita delle prime news su questo misterioso film franco-belga che doveva essere la nuova frontiera del gore. Per giorni gli account di cinema che seguo non hanno parlato d'altro, non facendo altro che far crescere la mia già notevole scimmia. Che vi devo dire, io in queste campagne ci casco con tutte le scarpe, quindi mi sono seduta comoda comoda in un angolino e ho aspettato.
E ho aspettato.
E ho aspettato.
Fino ad oggi.




Justine parte per l'università. Si è iscirtta a veterinaria, facoltà che sta frequentando anche la sorella maggiore, Alexia. Al suo arrivo è sottoposta agli scherzi che vengono fatti alle matricole. Quello che i suoi compagni più grandi non sanno, però, è che Justine tende al cannibalismo (non che lei ne sia a conoscenza, comunque), e che darle da mangiare della carne cruda forse non è una buona idea.

L'avete letto Danse Macabre, di Stephen King?
Se non l'avete fatto fatelo, io vi faccio solo uno spoilerino: quando il Re parla de L'esorcista dice che è una bellissima (e terrificante, ndr) metafora della pubertà. Corpo che cambia senza controllo, bisogni diversi, incapacità di riconoscere se stessi. Ragazze, il vostro primo ciclo ve lo ricordate come se fosse successo cinque minuti fa, giusto? Se è così, e non mi sento di andare contro a lui, allora mettetevi comodi, perché Raw è L'esorcista del 2017.

QUALCHE SPOILER 

Parole forti? Parole forti.
Però guardate che Raw è più forte ancora.
Lo so, lo so, la campagna che lo ha anticipato (e che ha fatto cascare me tra le sue braccia fin dal primo istante) non gli rende giustizia. O forse sì. Perché se fare del becero allarmismo (giente svenuta in sala!1! vomitini verdastri!) porta le persone ad avere voglia di guardarlo, allora ben venga, perché film così vanno visti e diffusi, va sparso il verbo. Poi ci sarà di sicuro quello che lo odierà perché non è splatter come l'avrebbero voluto, ma noi sappiamo che di loro ce ne deve importare meno di niente, vero Julia? Perché tu hai girato un film intensissimo e profondo, hai guardato all'anima delle persone fin nel punto in cui fa più paura, e l'hai messa su pellicola, non smettendo nemmeno per un istante di renderle giustizia. Perché i personaggi di Raw sono sfaccettati come diamanti, e non perdono di credibilità nemmeno quando si mettono a mangiare carne umana.
Justine è la ragazza modello: non beve, odia le feste, ragazzina prodigio dalla mente geniale che non copierebbe mai un compito e che ama gli animali come le persone. Alexia è provocatoria, scaltra, distante dalla sua famiglia di perfettini. Adrien è il coinquilino omosessuale.
Alla fine della fiera, però, Justine è quella che limona allo specchio pronta a fare le cosacce, Alexia è quella fragile e Adrien è quanto di più lontano dallo stereotipo del gay tutto Spice Girls e arcobaleni, e se gli scappa si fa anche le donne. È un veloce esame su quanto siamo lontani da quello che crediamo di essere (Sense8, s2e1, Lito e Van Damn, vi dice niente?), su quanto la nostra personalità non fa altro che crescere, e cambiare, per poi cambiare di nuovo.
Forse le creature che si aspettavano il film più violento di sempre saranno rimasti delusi. Io no, perché un paio di scenette da pelle d'oca ci sono state e il mio stomaco mi ha detto che andava bene così, tante grazie. Se quelle riuscite a sopportarle, ci sarà il rifiuto di Justine per se stessa a non farvi dormire la notte.
Con tanti cari saluti all'horror 'estremo'.


Recensioni che vi convinceranno che Raw è il film che dovete vedere stasera:
Shiva Produzioni
The Guardian
Ilgiornodeglizombi

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