martedì 26 aprile 2022
sabato 23 aprile 2022
Gli anni '30: James Whale
perché con una faccia così non si sia messo a recitare per sempre ma solo a dirigere è un mistero e un nostro grande privilegio La vita |
Deprive the average special effects film of its visual tricks and you rob it of its heart and soul. The Invisible Man, Universal’s superb 1933 filmization of one of H.G. Wells’ most enduring novels, is a firm exception to this rule. Its gripping narrative, masterful direction and believable performances elevate the film beyond mere novelty, and hold up alongside the unerring technical effects for the audience’s attention. One of the handful of fantastic films unblemished by the ravages of time, The Invisible Man is a monument to the genius of four remarkable artists: Director James Whale, screenwriter R.C. Sherriff, special effects ace John P. Fulton and star Claude Rains.
sabato 16 aprile 2022
Gli anni '30: una chiacchieratina su Universal
Io, per esempio, li guardo quasi tutti (con Morbius proprio non ce l'ho fatta, ho i miei limiti), mi diverto pure un po', attendo il Doctor Strange di Raimi come una benedizione, cose del genere. Ma non mi definirei un'appassionata, ecco, e come me credo moltissimi.
Perché? Il motivo è presto detto.
Al di là delle ovvietà sul sinistro monopolio disneyano, il punto è che l'appassionante franchise, l'universo condiviso, il mondo di personaggi che ritornano e intorno ai quali sono costruite saghe intere, noi li stiamo vivendo da 90 anni. Non ci sorprende nulla. Suono snob? Forse un pochino, lasciatemi vantare dei geni del mondo dell'orrore, per favore.
Se per favore mi spostate i mantelli e le calzamaglie, è ora di parlare della vera mitologia moderna: quella di Universal, un fuoco che ha avuto i suoi alti e bassi in quasi un secolo di storia, ma che non si è mai spento.
La storia
(i link con asterisco sono, come ogni volta, affiliati Amazon. Grazie se vorrete sfruttarli!)
* Gifford, Denis, A pictorial history of horror, Book sales, 1973
* Tetro M., Azzara S., Chiavini R., Di Marino S., Guida al cinema horror. Dalle origini del genere agli anni Settanta, Odoya, 2021
domenica 10 aprile 2022
Gli anni '30: la rivoluzione Dracula
venerdì 1 aprile 2022
Gli anni '30: Come sta il cinema?
Ci siamo, il cinema delle origini ha avuto i suoi due mesi di approfondimento ed è giunto il tempo di passare al decennio che ha formato il linguaggio del cinema di genere come lo conosciamo oggi.
Ho pensato di introdurre ogni decennio con un primo post introduttivo, per capire come se la passa il mezzo cinema a prescindere dal nostro genere di riferimento, per dare un'occhiata generale su cosa succedeva in tutto il mondo che ruota intorno a quello dell'orrore. Saranno proprio post di passaggio tra un decennio e l'altro, come al solito per approfondimenti e completezza rimando alle fonti che sono sempre in fondo ad ogni post.
Innanzitutto, cara Redrumia, grazie della domanda: il cinema sta un fiore. Mai stato meglio, stiamo per entrare in un decennio dorato. Vediamo perché.
Un micro contesto storico
Il decennio precedente si è chiuso con la famigerata crisi del '29. I primi segnali di una caduta sono arrivati l'anno prima, ma è nel '29 che hanno dovuto scavare per capire dove fosse finita la Borsa di New York. Il sito tuttoamerica.it attribuisce le responsabilità del disastro a speculazione esagerata, inflazione del credito, speculazioni in Borsa e distribuzione ineguale della ricchezza.
Il caos generato dalla crisi si è trascinato per almeno una decina d'anni, nonostante con l'elezione di Roosevelt nel '32 e con il suo New Deal si sia cercato di mettere una pezza. Se il caos è americano, però, diventa caos per tutto il mondo occidentale: prestiti internazionali, importazione ed esportazione, il recente trattato di Versailles...nessuno ne è uscito senza ammaccature.
Il cinema, però, trova sempre il modo di godere di queste circostanze complesse, e ne esce sempre vincitore. Offre da sempre una forma di evasione tutto sommato accessibile ai più, sfrutta le storie come breve momento per dimenticare o come metafore per analizzare e comprendere meglio quello che succede fuori dalla sala.
Prima di questo decennio, però, tutta una fetta di pubblico rischiava di essere tagliata fuori da questo momento di svago: chi non poteva leggere le didascalie. E quindi ecco la prima, immensa rivoluzione, che ha reso il cinema la più democratica delle arti: il sonoro.
L'avvento del sonoro
Se il cinema doveva offrire una scappatoia dalla realtà doveva però anche assomigliarle, rappresentarla al meglio, in modo che chi ne fruisse potesse riconoscere il mondo che vedeva rappresentato. Il silenzio imposto dai mezzi del cinema muto bloccava questa possibilità.
In realtà le prime produzioni sonore risalgono alla metà degli anni Venti, con quel Don Juan del '26 che tutti conosciamo ma che avranno visto in 6 compreso chi lo ha fatto, che però di sonoro aveva solo una componente musicale. La parola arriva con il successivo film dello stesso regista, Alan Crosland, Il cantante di Jazz.
Ovviamente questa ventata di novità portò con sé inevitabili problemi tecnici, che come tutte le cose nuove costavano una badilata di soldi ed erano un casino da gestire. C'era il modo di registrare i suoni, sì, ma si registravano tutti. Se qualcuno in lontananza parlava male del regista era un bordello, tutto registrato. Le macchine da presa facevano un casino infernale, e allora via a rinchiuderle in cabine insonorizzate. C'era ancora da imparare a gestire cose che oggi sono assolutamente scontate, come la sincronia labiale. L'abbiamo superata brillantemente sta fase, ma immagino i poveretti al lavoro per risolvere problemi mai visti prima. A loro, tutta la mia solidarietà: lo so raga, la tecnologia è molto bella finché ci lavorano gli altri.
Il sonoro segna la fine di un'epoca: quella in cui ogni proiezione era diversa dalla precedente. Il cinema muto portava con sé presentazioni e accompagnamenti musicali sempre nuovi e diversi, e questo lo rendeva ogni volta un'esperienza unica. Il sonoro universalizza l'esperienza, e segna una nuova epoca.
È pur vero che parlare in inglese porta con sé un'ulteriore limitazione: come lo esporti un film in cui nessuno capisce una fava? Per lo spagnolo era semplice: finito di girare una scena arrivavano attori nuovi madrelingua e rigiravano la stessa cosa nella loro lingua, sugli stessi set. A volte capitava che gli stessi attori girassero la scena più volte in lingue diverse (e questo spiega perché Stanlio e Ollio parlano in italiano ma con accento inglese, per esempio), ma per il doppiaggio vero e proprio dobbiamo aspettare la fine del decennio.
Con l'arrivo degli anni '30, ormai in America il muto è del tutto abbandonato: tutte le case cinematografiche di Hollywood si sono adattate alla novità, e nonostante diversi nomi popolari avessero manifestato un parere contrario all'innovazione, non ci fu modo di fermare l'ondata. Il cinema muto era destinato all'estinzione.
Lo studio system e il divismo
(ovvero il motivo per cui i post dei prossimi due mesi saranno divisi per case cinematografiche)
Ora, il problema del sonoro, oltre a quelli elencati su, era uno su tutti: costava un sacco di soldi. E quando ci sono i soldi in ballo cambiano tutte le dinamiche. Avere bisogno di più soldi vuol dire avere bisogno di qualcuno che te li dia, e se qualcuno ti dà soldi si prende potere. Signori, nascono i produttori.
Ora, è pur vero che ci sono sempre state figure come quella del produttore, ma fino a questo momento il loro potere era tutto sommato limitato. Con l'arrivo del sonoro il loro ruolo superava tutti gli altri. È lui che nomina il regista, che sceglie il cast, che sceglie quali film fare e quali scartare.
La componente artistica passa in secondo piano rispetto a quella industriale: se una cosa funzionava si riproduceva a catena, per trarne tutto il traibile. Nascono i generi: horror, commedia, musical, western, animazione e gangster. Venivano realizzati film sulla base di caratteristiche precise, che rientrassero in canoni facilmente identificabili ed etichettabili, con produzioni in serie e confezionamenti quasi meccanici.
Non fraintendetemi, nei prossimi due mesi avremo modo di vedere che le personalità di spicco del periodo sono state in grado di girare intorno al sistema e risplendere in mezzo alla produzione di massa, ma è pur vero che restare entro certi canoni di riconoscibilità era la strada del successo sicuro. E l'industria, in un periodo di crisi nera come quello che la nazione stava vivendo, non poteva permettersi di sbagliare.
È così l'avvento del sonoro a far sì che si ridisegni il sistema generale delle case cinematografiche di Hollywood. Se ne distinguono tre categorie. Ci sono le cinque major (Paramount, MGM, 20th Century Fox, Warner Bros. e RKO), le tre minor (Universal, Columbia e United Artists) e un sottobosco di produzioni indipendenti, quelle destinate a creare i film della seconda serata nelle double feature, le serate di doppia proiezione.
Lo studio system, che vede tutta l'industria basata sulla potenza delle case in questione, fa sì che a delineare lo stile del cinema non sia il singolo artista ma la casa per cui lavorava. Erano loro a dare il tono, a creare un paradigma collettivo che accomunasse i loro lavori. Di nuovo, occhio a quanto detto su, però, che chi voleva farsi riconoscere aveva modi e capacità per farlo.
Elemento di successo delle case era dato sì dalla propria impronta personale, ma anche da certi volti noti. Il fenomeno del divismo, che già negli anni '20 aveva posto le sue radici, è qui una delle armi più forti. Il divo o la diva erano la caratteristica più forte del cinema anni '30, la chiave di riconoscibilità immediata. È importante sottolineare che non è l'attore il punto, ma il personaggio-divo. Un mito che si ripeteva film dopo film, che nulla aveva a che vedere con la persona dietro il ruolo, ma solo con la riconoscibilità del personaggio portato in scena. Gli uomini imponevano lo standard della mascolinità, le donne erano la blueprint della femminilità, che a volte era imposta fin da bambine, con casi eclatanti come quello di Shirley Temple. Sarà interessante vedere, mano a mano che ci addentreremo nel nostro genere preferito, come ci siamo creati un Olimpo tutto nostro, fatto di persone e mostri che da allora non ci hanno lasciato più.
Il Codice Hays
Lo abbiamo già visto parlando della situazione italiana qualche settimana fa, ma è fenomeno mondiale: il cinema intimorisce i benpensanti. E siccome, lo ribadisco, è pur sempre di un'industria che si parla, era importante tenerseli buonini. Nel 1922 era nata la MPPDA (Motion Picture Productors and Distributors Association), un modo sicuro per, credo che possiamo dircelo serenamente, pararsi il culo, garantendo una sorta di legittimità morale delle cose portate in scena. A dirigerlo era Will Hays, presidente del, ehm, partito repubblicano.
Per garantire che tutti stesso tranquilli e dormissero sonni sereni ha creato un Codice che portava il suo stesso nome, che elencava una serie di norme da rispettare affinché il film fosse considerato accettabile. Vi riporto da Wikipedia i principi fondamentali:
- Non sarà prodotto nessun film che abbassi gli standard morali degli spettatori. Per questo motivo la simpatia del pubblico non dovrà mai essere indirizzata verso il crimine, i comportamenti devianti, il male o il peccato.
- Saranno presentati solo standard di vita corretti, con le sole limitazioni necessarie al dramma e all'intrattenimento.
- La Legge, naturale, divina o umana, non sarà mai messa in ridicolo, né sarà mai sollecitata la simpatia dello spettatore per la sua violazione.
Ovviamente la lista è ben più lunga di così: niente nudo, niente droghe, niente omosessualità, adulterio, niente sexo tra persone di RaZzE DiVeRsE, e così via. Insomma, il tono vi è chiaro.
Questo elenco di squisitezze esce nel '30 ma viene bellamente ignorato fino al '34, anno di vera e propria entrata in vigore, e anno in cui veniva richiesta una preapprovazione prima che il film approdasse in sala.
Come detto in precedenza, quando le cose vengono vietate agli artisti non resta che trovare modi creativi ed artigianali per girarci intorno, ma è impossibile negare che questo sia stato l'ennesima cancellazione del ruolo del regista, che ormai era quasi bassa manovalanza messa a creare film cercando in ogni modo di restare nei paletti imposti da studio e produzione.
Nonostante tutto, quella degli anni '30 è un'epoca tra quelle ricordate con più amore tra gli appassionati. Sono state poste le basi per tutto quello che vediamo in sala ancora oggi, e forse proprio a causa di tutte le limitazioni ricordiamo gli artisti dell'epoca con un po' di affetto in più.
Nei prossimi due mesi elogiamo chi, nonostante tutti i bastoni tra le ruote, ha portato il mondo dell'orrore al cinema, e ha cambiato la storia.
martedì 29 marzo 2022
Preferiti di marzo
Non me la sento un po' beauty blogger del 2012? Con il post sui preferiti del mese?
Ho pensato che potesse comunque avere senso riproporlo anche qui, adesso, perché ho mille cose belle di cui parlare e mi piaceva l'idea di riassumerle tutte in un unico post.
foto coi fiorellini che fa subito primavera |
- Silenzio, scritto e narrato da Elena Accorsi Buttini, ricostruisce i fatti legati al disastro di Seveso, avvenuto nel luglio del 1976, e al contributo che questo evento ha avuto nella nascita della legge 194 del 1978, la legge sull'aborto. Interessantissimo, anche se non amo il modo di raccontare dell'autrice, e ripercorre una storia che non conoscevo.
- Le radici dell'orgoglio, nato da un crowdfunding, racconta i primi 50 anni della storia del movimento e della comunità LGBTQ+ in Italia. È bellissimo, pieno di testimonianze dirette e con la presenza di grandi nomi della storia italiana, ma soprattutto insieme alla storia del movimento ricostruisce la storia intera di un Paese, dei suoi costumi, della società e del modo in cui negli ultimi decenni si è comportata con chi fosse diverso da una norma preimpostata. È importante anche per conoscere nomi e situazioni della storia del movimento femminista italiano.
- Mariuoli, un podcast su Tangentopoli. Io ci sono sottissimo, ma esce un episodio ogni tre settimane che francamente a me pare un po' una violenza. Al momento ci sono i primi due, ed è un viaggio, come dire, interessante.
- L'abbazia di Northanger, uno dei lavori pubblicati postumi della mia adorata Jane Austen, che ho riletto per partecipare ad un episodio di Bookanieri, il podcast con il nome più bello d'Italia. L'episodio lo trovate a questo link, per sentirmene parlare insieme a Mirko e Luca per un bel po', ma se dovessi riassumere qualcosa qui: Austen ha preso selvaggiamente per i fondelli il gotico, e lo ha fatto con un romanzo che fa sinceramente spaccare dalle risate, ma che come di consueto è una sopraffina ricostruzione della vita delle donne in una società che le vuole composte, per bene, e con la sorte segnata. È troppo spesso dimenticato, Northanger, ma non è affatto inferiore agli altri, ma anzi trovo che la sua penna qui sia ancora più affilata del consueto. Ti amerò per sempre, Jane Austen, eri la più brillante di tutte.
- Rabbia proteggimi, il primo libro di Eddi Marcucci. Il caso di Marcucci lo conosciamo tutti: condannata ad un inspiegabile (ma forse invece spiegabilissima) provvedimento sorveglianza speciale dopo un periodo passato in Kurdistan a combattere a fianco delle Ypj, l'unità di protezione delle donne. È incazzata, Marcucci, come dovremmo esserlo tutte, perché davvero la rabbia ci protegge da un mondo che ci vuole mansuete. Lei, con la sua, ha preso tante volte i bagagli ed è partita per dare una mano concreta. L'Italia l'ha punita, perché quelle come lei fanno paura, e lo stato deve usare questi mezzucci per "far vedere chi comanda", attraverso i suoi rappresentanti che spesso sono incompetenti in modo imbarazzante. Leggere per credere. Il libro, che è furioso e sincero e doloroso ma potentissimo, racconta di tutte le volte in cui Marcucci ha combattuto per i suoi ideali, è scesa in strada, ci ha messo la faccia. Mi sono sentita piccola piccola, quando l'ho finito, ma anche al sicuro: c'è tanta gente che combatte per noi, per le donne, gli ultimi, i diritti di tutti, e mi fa sempre sperare che tutte quelle battaglie qua le vinceremo noi.
- My best friend's exorcism, di Grady Hendrix. Una deliziosa storia dell'amore unico che lega due migliori amiche che crescono insieme, ma anche una storia di una società ingiusta e di potere. Abby e Gretchen sono cresciute insieme, ma se la prima arriva da una famiglia che arriva a malapena a fine mese e deve fare i conti con i sussidi e le borse di studio, la seconda è molto ricca. Quando Gretchen inizia a stare molto male e presenta i segni di quello che potrebbe essere un enorme trauma oppure una possessione demoniaca, è solo Abby ad accorgersene, perché i genitori ricchissimi sono troppo impegnati a tutelare la propria immagine pubblica, e la scuola ancora di più. Abby è disposta a tutto pur di aiutare l'amica, ma come sempre avviene a pagarne le conseguenze peggiori è lei stessa. È un libro tenerissimo, che parla di quanto è difficile crescere, ma soprattutto di quanto è difficile farlo in un mondo che non ti assomiglia e che tollera a malapena la tua presenza, pronto a farti fuori appena provi a rimescolare le carte in tavola e a rimetterlo in discussione. Il film è in lavorazione, sembra lo vedremo entro l'anno.
- The Seed è una cosa così brutalmente fuori di testa che non poteva che stare sul podio. Tre amiche assolutamente bruciate partono per un weekend nella lussuosa villa del padre di una di loro per assistere ad una pioggia di meteoriti. In realtà non fanno altro che bere e farsi le canne e quando qualcosa cade nella piscina lo scambiano per un armadillo morto e limonano il giardiniere perché se lo porti via. Ora, poiché gli armadilli morti non cadono dal cielo nelle notti di pioggia di meteoriti, vi lascio immaginare che si tratti di qualcos'altro, ma le nostre sono talmente partite che ci mettono un'eternità a rendersi conto della gravità della situazione. The Seed era esattamente il film di cui avevo bisogno, fa ridere tantissimo, ha tre protagoniste matte in culo che si amano dal primo istante e una seconda parte shockante. Imperdibile.
- West Side Story, visto ieri sera e ancora mi asciugo la faccia, stupidi musical, stupidi innamorati, stupido Spielberg, stupido Ansel Elgort, stupide canzoni, stupide danze, stupida New York. Vi odio tutti e mi dovete pagare la terapia. È bellissimo, quindi la stupida sono solo io che non l'ho visto al cinema. In una prossima vita, quando non avrò sacrificato la mia anima al mondo dell'orrore, la donerò al musical, che non ho mai approfondito ma per quel poco che so mi piace così tanto.
venerdì 25 marzo 2022
Il cinema muto: Don't step on it - it may be Lon Chaney!
Chiudere i due mesi dedicati al cinema muto è un po' strano e un po' un sollievo. Dalla prossima settimana tutto cambia, e il cinema torna ad essere un linguaggio più familiare.
Per chiudere questa prima carrellata nel nostro progetto sulla storia del genere che tanto amiamo, non poteva mancare un omaggio all'uomo che ha preso residenza nell'immaginario collettivo dal primo momento in cui ha messo piede su un set cinematografico e che non ha alcuna intenzione di lasciarlo a breve.
Come dice David J Skal nel suo The monster book, "The idea of Lon Chaney was everywhere", e forse è ancora così, a giudicare dal modo in cui parlano di lui le persone che lo amano.
Sarà impossibile nel 2022 scrivere un post innovativo sul signor Chaney e le sue mille facce, perché di lui si è detto e si continua a dire di tutto, ma in una rassegna che vuole ripercorrere la storia del genere più bello di tutti, non si poteva prescindere dalla sua fondamentale influenza.
La vita
La carriera di Leonidas Frank Chaney era segnata nel destino, se a questo genere di cose si crede, fin dalla sua nascita, nell'aprile del 1883, da genitori sordomuti. Usare il corpo per comunicare per lui non era un'arte, ma il modo più naturale di esprimersi.
E sì, se ve lo steste chiedendo: ovviamente era uno di quei bambini che mettono su spettacoli in casa coinvolgendo fratelli e familiari.
Non sorprende quindi che, alla prima occasione possibile, diventato grande a sufficienza, abbia accettato un lavoro da prop boy a teatro, grazie al fratello John. Il passaggio da ruolo dietro le quinte a stella dello show è piuttosto rapido, ed è in tour che conosce Cleva, la prima moglie.
Non sono solita discutere della vita privata dei personaggi di cui chiacchieriamo in questa sede, ma il matrimonio con Cleva è significativo non solo perché porterà alla nascita dell'unico figlio Creighton, in futuro noto come Lon Chaney, Jr., ma anche perché finirà in mezzo a scandali e rotocalchi, e questo metterà in serio pericolo la carriera del Nostro. Cleva, aka Francis Cleveland Creighton, era una cantante altrettanto famosa del tempo, che aveva problemi di dipendenza e diversi tentativi di suicidio alle spalle, e gli scandali legati a questa relazione hanno rischiato di insabbiare il successo teatrale di Chaney che, senza più una lira in tasca e con un bimbo piccolo in sua custodia da tirar su, va a bussare alle porte di casa Universal.
Da quel momento è leggenda. Più di 150 film girati in poco più di quindici anni, con una varietà di generi, vicende, situazioni narrate forse ancora oggi unica.
Eppure, della persona dietro al personaggio si sa e si è sempre saputo molto poco. Chaney ha sempre tenuto molto alla sua riservatezza. Di rado si è presentato alle prime dei suoi film, anche di quelli che ha combattuto in prima persona per realizzare, ancora più di rado ha lasciato interviste. Eppure il mondo era affamato di lui, dei suoi volti: era sulle copertine dei giornali, soprattutto di quelli dedicati agli esordi del cinema di genere, era nel linguaggio popolare, era ovunque e nessuno lo sapeva. Davvero, l'idea di Lon Chaney era ovunque. Ha messo per tutta la carriera i suoi personaggi davanti a se stesso, lasciando che fossero loro a parlare per lui.
Capita spesso, leggendo di lui in giro, che le persone che hanno avuto la fortuna di averci a che fare parlino di lui come di un regular fellow, un tizio qualunque. Altrove si fanno supposizioni su un possibile brutto carattere, su un'eccessiva severità con il figlio, su una personalità troppo dura, sull'invidia che suscitava quotidianamente in Carl Laemmle.
Sappiamo solo che, da brava persona di origini umili, ha sempre saputo che il suo tempo valeva caro, e in carriera ha fatto scelte uniche per l'epoca e molto coraggiose, lasciando la sicurezza di una grossa casa come Universal per darsi al lavoro da freelance, e arrivando a guadagnare cifre da capogiro. Non che abbia mai avuto un grande desiderio di ostentazione, però. Ha mantenuto uno stile di vita modesto, ma ai grandi capi di Hollywood ha portato via tutto quello che ha potuto.
Poco importa quello che si sa o meno, in realtà, e sicuramente poco importava a lui: con 150 film all'attivo, c'è ben poco altro da aggiungere.
Chaney muore nel 1930, solo due mesi dopo l'uscita del suo unico film sonoro, una riproposta del suo celeberrimo The Unholy Three con l'aggiunta di dialoghi. Ci ha detto tantissimo, non dicendoci nulla, e sebbene sarebbe stato interessante vederlo lanciarsi nella sfida del cinema sonoro, ci ha fatto alzare da tavola sazi: non gli serviva altro, per essere la leggenda che era.
I film
In questa playlist sul muto americano potete trovare alcuni dei film più famosi.
Se avete visto le storie di instagram di qualche giorno fa, saprete che sto per lanciarmi nell'ennesima polemica. Ho letto un testo, che riporterò nelle fonti. Lo scrive Michael F. Blake, il biografo ufficiale di Chaney, che oltre ad un testo strettamente biografico ha scritto anche questo che ho letto io, che si occupa più nello specifico della produzione cinematografica. Sia chiaro, da quel punto di vista è un testo ottimo perché riporta parte della corrispondenza dell'attore con il proprio agente, espone nel dettaglio problematiche e vicende che hanno portato alla nascita di alcuni dei lavori più famosi e da un punto di vista strettamente "tecnico" è molto interessante, e offre interessanti dietro le quinte del mondo del cinema degli anni '20. Però si apre con questa frase: "Lon Chaney was not an horror actor."
Non solo, il signor Blake cita questa questione ogni volta che viene interrogato sul suo prediletto, e nel corso del testo in questione ci tiene a sottolineare diverse volte quanto sia degradante per la carriera di Chaney dargli una definizione così limitante. Poi applica la stessa problematica a Boris Karloff e su quello non mi esprimo nemmeno perché si fa giudicare da sé.
Ora, se è pur vero che Chaney non si è mai limitato ad un genere soltanto, che per tutta la vita ha spaziato ed esplorato le mille possibilità che il suo corpo gli poteva offrire, io me lo rivendico come attore dell'orrore. E non lo faccio solo io, che nel 2022 ho modo di vedere le immense influenze del suo operato in tutti quelli che sono venuti dopo, o di sentire direttamente make up artist e trasformisti ispirarsi tutt'ora a lui, ma la comunità del cinema di genere, che era acerba e si stava appena formando, se lo è adottato da subito. Ogni "rivista di mostri" aveva Lon Chaney in copertina, parlava di Lon Chaney, bramava Lon Chaney.
Il cinema di mostri era già nato. C'erano già i vampiri, i Jekyll e Hyde, le creature infernali. Qualche folle aveva anche cercato di portare al cinema L'isola del dr Moreau. Il mostro, però, era cattivo, estraneo, foriero di cattive nuove.
Il mostro di Chaney è il primo ad essere portatore di sentimenti umani. Quando sfocia nella "mostruosità" effettiva, e non si limita per esempio al trasformismo come per esempio nel sopracitato The Unholy Three, attribuisce alle sue creazioni una componente umana così potente che è diventata rivoluzionaria.
Parlare di ognuno dei lavori di Chaney è impensabile in un solo post, ma a proposito di questo dobbiamo per forza parlare del mio preferito, che non poteva che essere altri che Il gobbo di Notre Dame. Dico "per forza" perché quella di Quasimodo ed Esmeralda è una storia che amo moltissimo in ogni sua versione, è proprio una parte del mio cuore. Il film lo ha voluto così tanto da spedire il suo povero agente in giro per mezza Hollywood per trovare qualcuno che lo girasse alle sue condizioni, francamente ridicole. Ma lui aveva una visione ben chiara in mente, serviva solo qualcuno che gliela finanziasse.
La genesi del film sul Gobbo è combattuta; gli storici ne danno tutta la responsabilità a Irving Thalberg, personalità di spicco di Universal di cui a partire dal mese prossimo parleremo più approfonditamente, Blake ne dà ogni merito a Chaney. Nel testo citato su troverete i dettagli sull'argomento, ma quello che mi interessa qui è quello che è successo quando il film, alla fine, si è riusciti a farlo. Una produzione esorbitante, costosissima e logorante, così notevole che tra gli addetti ai lavori cominciò a girare un giornaletto pieno di aggiornamenti sulla lavorazione e inside jokes che si chiamava The Hunchback Illuminated, tanto per consolarli dalle tremende nottate al lavoro che si stavano facendo.
Il risultato oggi non è così amato come si potrebbe pensare data la fama che lo precede. Sono diversi gli articoli che lo vedono come un buon prodotto solo grazie alla performance di Chaney. Il mio giudizio è di parte, trovo che questa storia sia sempre straordinaria, appassionata, dolorosissima e la amo anche in questa versione, ma è indubbio che questo Quasimodo, costruito su misura dal suo interprete basandosi su illustrazioni originali di Hugo e sulle descrizioni del romanzo, sia la cosa più potente. Quasimodo è mostruoso, ripugnante, ma non c'è un solo momento in cui il pubblico non soffra per lui, in cui le sue movenze storte e la sua lingua sempre fuori a inumidire le labbra suscitino sentimenti diversi dall'umana compassione. Quasimodo, nella sua rappresentazione estrema, è la base del diverso, il mostro che prima di tutti ci insegnato che la mostruosità è componente fondamentale dell'esperienza umana, e pone le basi per uno degli elementi più ricorrenti di Chaney: l'amore non ricambiato. I suoi mostri hanno cuore caldo, sono appassionati, guardano alle donne con bramosia e puntualmente sono rigettati. Anche quando per le donne arrivano a sottoporsi alle peggiori mutilazioni (come ne Lo sconosciuto). Il suo Erik, per fare un altro esempio, tanto celebre quanto ancora non citato in questo post, è un uomo rovinato prima di tutto dalla società, e infine dall'amore. Ed è anche il solo Fantasma dell'Opera che non ha sentito il bisogno di dover giustificare il suo aspetto: è così e basta.
È con il suo Quasimodo che nasce anche la leggenda delle torture che Chaney infliggeva al suo corpo per entrare nei panni dei suoi personaggi. Occhi tenuti spalancati, braccia tenute legate al corpo, pesi sulle spalle che impedivano la postura eretta, denti dolorosi. In un mondo in cui la cgi non era contemplata, c'erano solo due modi per avere aspetti mostruosi: il make up e gli artigianali attrezzi del demonio che non solo non intimorivano il nostro ma che anzi si creava da sé, con sorprendente iniziativa e artigianalità. Leggenda narra che non fu solo la sua bravura a trascinare la gente a vederlo al cinema, ma anche la genuina curiosità di scoprire a cosa si sarebbe spinto. Un pochino intrigati dal dolore lo siamo sempre stati.
Questo, signori miei, lo fa un attore dell'orrore.
Certo, lo fa anche un attore americano degli anni '20, costretto ad assistere ai suoi coetanei di ritorno da una guerra che quelle stesse mutilazioni che lui ricreava le avevano davvero. E allora, forse, ad attirare al cinema era anche la voglia di ritrovare qualcosa di simile a sé, qualcosa di familiare, per cui poter tornare a casa e forse un po' accettarsi in un corpo nuovo e provato. Il suo essere mutilato lo rendeva l'uomo qualunque, distrutto dalle circostanze, dalla società, dalle persone che lo circondano. Ah, l'importanza della rappresentazione...
Parlando di lui, il sopracitato Thalberg dice:
He was great, not only because of his God-given talent, but because he used that talent to illuminate certain dark corners of the human spirit. He showed the world the souls of people born different from the rest, because he himself was bornof parents who were different.
Oggi lo sappiamo, che la diversità è parte naturale dell'umano, e stiamo lavorando affinché diventi un concetto scontato, ma Lon Chaney aveva iniziato a mostrarcelo un secolo fa, zoppicando sotto gobbe, ghignando dietro sorrisi dolorosi, levandosi maschere spaventose.
Avesse avuto più tempo, chissà di quanti altri mostri ci avrebbe mostrato l'anima, di quanti umani avrebbe evidenziato i lati oscuri, e di quanti amori avrebbe mostrato la triste sorte. E io me la sarò pure legata al dito, ma queste cose le fa proprio un attore dell'orrore.
Le fonti di questo post:
(I link segnalati con un * sono link affiliati Amazon. Se i testi vi ispirano e li acquistate tramite questi link prendo una piccola percentuale, ma all'acquirente non costa nulla! Grazie se lo farete. Fine spazio pubblicitario.)
* Rondolino G., Tomasi D., Manuale di storia del cinema, UTET Università, 2014
* Blake, M. F., A thousand faces: Lon Chaney's unique artistry in motion pictures, Vesteal Press, 1997
* Skal, D.J., The monster book. Storia e cultura dell'horror, Cue Press, 2020
* Gifford, Denis, A pictorial history of horror, Book sales, 1973
Una rara intervista a Chaney su un numero di Movie Weekly
Feast Your Eyes! The terrifying genius of Lon Chaney - documentario su Youtube (in questo doc si può ammirare lo splendido modo in cui si esprime Doug Jones e l'eleganza con cui gesticola. Se non lo si poteva amare più di quanto già lo amavo prima...)