sabato 22 aprile 2023

Evil Dead Rise

10:39
 È una delle storie che racconto qui sul blog più di frequente: La casa è il film che mi ha preso per mano e mi ha dimostrato che cosa potesse essere per me il cinema dell'orrore. Gli sono così tanto affezionata da così tanto tempo che è come se fosse un compagno di percorso. 
Ogni evento legato alla sua saga, quindi, è da queste parti accolto con l'entusiasmo che mi ricorda ogni volta quanto sia bello avere una passione che fa battere il cuore. E quindi direi che torno a soffiare via le ragnatele da questo posto, sui cui scrivo sempre meno ma a cui non sono disposta a rinunciare, per parlare a testa e cuore caldi di La casa - Il risveglio del male, la quinta installazione in una saga che non accenna a perdere colpi.
Ci sarà una piccola parte con spoiler, opportunamente segnalata, perché c'è una storyline secondaria che mi ha infastidita e vorrei parlarne.




La trama è quella di ogni Evil Dead che si rispetti: ci sono persone che trovano un libro che non avrebbero dovuto trovare e che ascoltano parole che non avrebbero dovuto ascoltare, e liberano il male nella casa in cui si trovano. 
Evil Dead Rise però modifica la posta in gioco cambiando un elemento in questa struttura. La casa non è più un posto isolato in cui i protagonisti capitano per varie ragioni. Non siamo più nei boschi in fatiscenti cabine isolate, ma siamo a casa. Questo elemento porta la discussione su un livello completamente diverso, e per questa ragione il quinto film affronta temi mai toccati finora. La casa, e pertanto la famiglia, sono gli elementi originari del male e dei traumi. Non è neppure un caso che tutto questo avvenga poco prima che la casa venga distrutta per volere di proprietari poco interessati agli inquilini: la casa la stavano già perdendo prima che iniziasse tutto, e non ne avevano una nuova. Sono le pareti domestiche le iniziatrici della sofferenza, e il male è completamente interno, tanto è vero che quando il male assume volti esterni al nucleo familiare la questione si risolve in modo rapidissimo e indifferente ai fini dell'economia della storia. Quelli che contano, qui, sono i dolori interni, le sofferenze che con i nostri amati ci infliggiamo involontariamente. 
Ancora più nello specifico: quelli che contano sono i traumi inflitti dalle madri, imperatrici supreme del mostruoso femminile. Sono i figli ad aprire il libro, è quello del figlio maggiore - adolescente chiuso h24 nella sua stanza, che non vediamo quasi mai interagire con la madre prima del fattaccio - il sangue che consente al libro di aprirsi, è la sua curiosità che fa sì che si ascoltino le infauste registrazioni. Sono loro i parassiti che le annullano l'identità e la rendono il mostro. 
Il padre li ha lasciati, e lei, la madre cool con i capelli colorati in casa che fa la tatuatrice, è vittima di un sistema che la vuole prima madre che individuo, e ne esce indemoniata. 

Indemoniata, appunto, perché anche questo Evil Dead è, come i suoi precedenti, un film di possessione. Uno di quelli come non se ne vedevano da anni, forse da un decennio. È una possessione silenziosa e sbraitata insieme, in cui ci sono momenti più dimessi, in cui i demoni compaiono lenti e silenziosi alle spalle, ed altri sguaiati, con le quantità di sangue che vi aspettate da La casa. Il mix è micidiale: erano anni che un film non mi faceva così paura. Sono solo dispiaciuta di essermi rovinata alcuni momenti avendoli visti nel trailer: senza preparazione mi avrebbero annientata. 
Ellie, la madre, aveva già prima dell'infelice incontro in ascensore un volto e un corpo molto spigolosi. L'immaginario della possessione che ci siamo costruiti con Reagan vedeva protagonista un corpo morbido, cucciolo. Quello di Ellie è stanco, provato, con le ossa sporgenti e le occhiaie, piegato sul tavolo di lavoro e incurvato dalle responsabilità. Prima del suo volto, quindi, è il suo corpo che vediamo piegato dall'invasore: il momento in cui compare sulla porta, in controluce, in una posa ancora umana ma già innaturale, è così spaventoso che me lo porterò appresso per un po'. La vediamo andare a compiere la più canonica mansione da madre, cucinare per nutrire i suoi figli, e ancora il volto non ci è mostrato del tutto: è umana, ancora per un po'. Quando poi la vediamo per intero, coperta da un makeup francamente eccezionale, una delle prime cose che fa è rivendicare la sua libertà: di nuovo il mostruoso si rivela liberatorio. Non solo per lei, però: la seconda ad essere posseduta è la più grande tra le figlie femmine, naturale erede di un ruolo che non ha mai chiesto. E la faccenda, per quanto riguarda lei, non è troppo diversa.

La possessione è brutale, e Evil Dead Rise finisce per essere tra i film più spaventosi che ho visto di recente. Alterna momenti di paura purissima, come l'ormai troppo vista scena allo spioncino (non temete, il fatto di averla già vista non significa non faccia comunque una paura della madonna), ad altre più silenziose, in cui il demone si muove lento sullo sfondo, fuori fuoco. Ci si sofferma sempre per una frazione di secondo di troppo sul volto indemoniato, fino a che sembra che quegli occhi marci guardino dentro allo spettatore, con infiniti primissimi piani, perché non ci si possa scansare mai. Tutta l'attenzione è sul volto di Ellie, che ha tantissimo tempo in scena concentrato spesso tra il volto e le mani: di nuovo, i simboli della maternità se vogliamo. Il volto caro e familiare che smette di esserlo, e le mani che fino al momento prima hanno accarezzato diventano gli artigli che si aggrappano alle vasche da bagno, alle porte, agli angoli, e che se possono cercano di ammazzarti. 
I figli, già provati da un primo abbandono da parte del padre, si aggrappano gli uni agli altri per mantenere una parvenza di famiglia, per stringere quello che rimane loro, chiusi tra le pareti familiari del solo luogo che conoscono come casa. 

È un film per appassionati, perché si prende il tempo, nella sua rinfrescante breve durata, di omaggiare in ogni modo che gli riesce tutto quello che ha condotto al momento in cui sarebbe arrivato in sala. Lo fa con accenni direttissimi e con altri solo accennati, ma è pieno di un grande affetto per tutto quello che lo ha portato in essere e a me non importa se per qualcuno possa sembrare fan service: io gli ho voluto molto bene. Ha riportato in sala quell'equilibrio perfetto che aveva il primo film: fare paura - tanta, non so se lo ribadirò mai abbastanza - e al tempo stesso creare alcune situazioni così estreme da far sorridere. Ci sono botte da orbi con attrezzi da cucina, arti strappati, lacerazioni, motoseghe: l'anima di Evil Dead è salva, o forse dovrei dire che continua ad essere dannata, e non gli si poteva rendere omaggio meglio di così.


DA QUESTO MOMENTO SPOILER

Un elemento che vale la pena prendere in considerazione, prima che io inizi a lamentarmi di quello che non ho amato, è la tanto famigerata rape scene, che fa sempre parlare di sé quando si parla della saga. Qui si sceglie di non inserirla, o almeno di non renderla visibile. Ellie finisce in ascensore, i cavi la prendono per gli arti e io ero certa si andasse in quella direzione, con i cavi al posto dei rami. La scena si interrompe prima, e sebbene io non sia una detrattrice delle scene in questione nei film precedenti sono contenta che qui si sia fatta questa scelta. Quello che si è visto è stato sufficiente e soddisfacente. 

In questo glorioso festival del sangue che è stato, però, un elemento della trama mi ha fatto storcere il naso. Parlo della storyline della zia. Ellie e i figli ricevono la visita inaspettata della zia Beth, l'effettiva protagonista, che in un momento precedente abbiamo scoperto essere incinta. La notizia della gravidanza non la rende felice, tanto è vero che la definisce "una cazzata" quando lo racconta alla sorella. Beth fa una vita sempre in tour, per via del suo lavoro da tecnica del suono, si allontana sistematicamente dalla sua famiglia e tende un po' a sparire. 
Inizia la tragedia, e lei si vede costretta a prendersi cura dei nipoti. Questo, però, non avrebbe dovuto essere uno scenario alla M3gan. I nipoti lei non li deve adottare, deve solo salvare loro la vita, portarli vivi a mattina, e poi si vedrà. Se la storia fosse rimasta così sarebbe stato un film perfetto. Invece no, eccoci a dover inserire la bellezza e la straordinarietà della maternità, che si fa strada anche nei cuori più ostili, in aperto contrasto col lavoro di decostruzione fatto in precedenza con Ellie. 
Beth finisce per fare la mammina, che protegge il suo feto dalla sorella che lo vuole far fuori - non in uno scenario alla Inside ma solo perché è matta in culo e vuole ammazzare tutti - e che prende la sua piccola e adorabile nipotina in quella che è stata evidentemente ritratta come una relazione madre - figlia. Inserire la sua gravidanza in che modo ha fatto del bene alla storia? Non ha aggiunto alcun valore alle circostanze iniziali del racconto, ha solo aggiunto un elemento in più. Non si conclude in modo platealmente reazionario come quello di A Classic Horror Story, ma alla fine a Beth il ruolo viene comunque imposto, e nel giro di una notte. 

Questo è il solo elemento che non ho amato in un film adrenalinico, eccitante, sanguinolento, spaventosissimo. Tutto quello che amo nel cinema dell'orrore. Che immensa gioia poterlo vedere in sala.

lunedì 27 marzo 2023

Ho guardato un po' di serie tv

12:39
 In questi giorni in cui la sorte mi ha concesso un po' più tempo libero del consueto ho avuto la possibilità di recuperare molte più serie tv del solito. Preferisco sempre i film alla serialità, ma mi serve compagnia quando cucino, o quando sono troppo stanca per un film intero, quindi ho raccolto un po' di visioni di cui mi fa piacere parlare insieme.
Pronti? Temo sarà un post fiume.




Lo scorso mese mi sono dedicata ad un rewatch di The Big Bang Theory, che avevo cominciato all'epoca della sua uscita e mai concluso. È uno di quei prodotti che le persone della mia Vita Vera© amano molto mentre la mia bolla del web detesta appassionatamente. Io, con una diplomazia che non mi appartiene, in questo caso mi colloco nel mezzo. Non mi diverte quanto diverte altri, mi fa decisamente ridere meno, principalmente perché ho passato metà del tempo incazzata. I quattro subumani di genere maschile che sono protagonisti sono ripugnanti, al limite della violenza nei confronti delle loro compagne, viscidi insicuri con tanto bisogno di buona terapia. Le ragazze, però, sono quelle che mi hanno fatto restare. Penny non si sottovaluta mai, se non quando le fanno notare la sua supposta inferiorità intellettiva, è deliziosamente autoironica e la sua crescita non la rende più simile ai suoi amici ma solo più sicura di sè. Certo, il suo finale è dolceamaro, visto che le accade qualcosa che non desiderava e viene fatto passare come segno di "maturazione", ma sono disposta ad accettarlo visto che nel momento finale viene riconosciuto il suo contributo significativo in anni di amicizia. Bernadette è priva di etica, concentrata sul lavoro e la carriera, che non ha paura di imporsi. Amy, la mia preferita, è molto significativa: ha un ruolo di rilievo nello STEM, e non dimentica di incoraggiare le giovani donne nel suo discorso finale, ma soprattutto è quella che più di tutte beneficia dell'amicizia femminile, che la tira fuori dal suo guscio imposto da anni vissuti con una madre complessa, che la rende libera di essere se stessa, che la accetta anche quando è difficile comprenderla. Amy brama amicizia femminile e quando la trova la sua vita ha un'impennata in positivo che la sua relazione sentimentale non le darà mai.
Sto con questo insinuando che TBBT sia una serie femminista? Assolutamente no, e ho anche il sospetto che alcune delle cose positive siano quasi involontarie. Amy Farrah Fowler, sono qui solo per te. 




Mi vesto come una diciassettenne che ascolta solo pop punk ma potete giurarci che Next in Fashion lo guardo appena esce. Ho capito col tempo che mi appassionano le persone che hanno grande talento e pertanto i reality talent mi divertono parecchio. Mi piace vedere gente che ha evidentemente una mente superiore e che dal nulla riesce a creare qualcosa, in questo caso vestiti. La seconda stagione ha cambiato la co-host, Gigi Hadid ha preso il posto di Alexa Chung e sebbene preferissi la prima devo dire che la modella non se l'è cavata male. I concorrenti erano magnifici, e ho parecchio faticato a trovare un preferito anche se la vittoria mi ha reso piuttosto soddisfatta. 




Ho finalmente recuperato la tanto chiacchierata The Bear, e ho capito perché ha fatto così tanto parlare di sé. Mai avrei pensato di finire così coinvolta dalle sorti di un piccolo e piuttosto marcio diner di Chicago, eppure l'effetto Jeremy White ha colpito anche me. Se l'effettiva sopravvivenza del locale è un punto di grande coinvolgimento, è agli umani che ci lavorano dentro che si rivolge tutto l'affetto di chi la serie l'ha messa in piedi. Sono persone che in modi differenti si trovano a dover affrontare un lutto importante e che non sanno come comunicarsi che tutti vogliono la stessa cosa. Ci sono menti forgiate dalla propria storia personale che sono così diverse da cozzare costantemente ma che devono imparare a convivere perché hanno un obiettivo in comune e lo stesso peso sul cuore. Ogni piccolo gesto, quindi, nella frenesia della vita della ristorazione, diventa fondamentale per passarsi messaggi. Un grembiule di un colore diverso, un colpo sparato per aria per spaventare, una rissa tra gang placata con dei panini, la ricetta perfetta per il donut migliore possibile. Non si comunica a parole, ci si siede vicini a fumare insieme per mandare in fumo i pensieri sgradevoli e si torna a comunicare lavorando insieme.
Un piccolo gioiello di cui non vedo l'ora di vedere il seguito.




L'ho guardata principalmente per l'amore della mia vita Ewan McGregor? Ovviamente.
So che tutti i grandi amanti di Star Wars hanno quasi detestato Obi-Wan Kenobi, però io no. Era forse una storia che avrebbe potuto essere un film? Credo di sì, con i giusti tagli avrebbe potuto essere una storia carina e accattivante. Hanno deciso di farne un prodotto seriale probabilmente ancora scottati dai fallimenti di cose come Solo (che a me aveva anche divertito, ma si sa che sono di bocca buona), e il risultato è molto diluito. Ho amato pazzamente la piccola Leia, cavallina imbizzarrita e senza paura, e ho amato Obi-Wan, per quel mio consueto debole per i personaggi tormentati, avrei solo voluto vederli più "concentrati". Però non credo affatto sia la delusione che tanti hanno descritto.




Tra le cose guardate come spegni-cervello c'è stata la seconda stagione di Dinner Club, la serie di Prime nella quale Cracco porta in giro per l'Italia alcune personalità dello spettacolo per conoscere le specialità locali per poi cucinarle insieme per gli altri partecipanti. Cracco mi sta simpatico come un attacco di cervicale, ma in ogni stagione ci sono persone che sia a me che al Moderatore piacciono, e quindi tutto sommato abbiamo tollerato il cuoco. Se nella prima stagione c'era il nostro venerato Mastandrea a portare sulle spalle il peso del programma intero, in questa Giallini e Zingaretti ci hanno dato discrete soddisfazioni. C'è da dire che la vera scoperta però è stata Sabrina Ferilli, presente in entrambe le stagioni. Con ogni probabilità abbiamo scoperto l'acqua calda, ma l'attrice è matta come un cavallo, sboccata e spontanea ed è diventata la nostra preferita. 
A parte questo, lo sguardo divertito con cui il cuoco guarda e si rivolge ad alcune delle persone che incontrano sul loro percorso è di violenta superiorità (ha bene da fare il piacione, ma si vede eccome), ai limiti del perculo, e questo è imperdonabile. Che se ne vada affanculo nei suoi locali di lusso e non vada a disturbare la gente reale che fa il suo lavoro.




Avevamo guardato le prime stagioni di LOL perché i meme su Twitter erano sinceramente bellissimi. La prima stagione in effetti era stata piacevolissima, complici buoni nomi coinvolti e la - almeno parziale - spontaneità della prima volta. La seconda stagione aveva avuto dalla sua un cast pure migliore, e infatti non ci aveva deluso. Questa terza sinceramente fiacca, noiosa, di un cringe quasi senza precedenti. Sono riusciti a far sembrare piatta Marina Massironi e questo è ai limiti del penale. Un vero flop.




Avevo letto il romanzo di recente e non ho resistito al richiamo della serie tv che è appena arrivata su Prime. L'ho trovata un lavoro ottimo. Atmosfera, costumi, musica, interpreti: è tutto davvero bellissimo. Le canzoni scritte per la serie sono magnifiche, i concerti sono una meraviglia, il modo in cui si parla dei media e della loro influenza è importante. Sceglie persino di dedicare un po' più di attenzione ad  un personaggio nero e queer che nel libro era trascurato. Si respira l'aria del tour musicale del tempo, si mette a fuoco la pericolosità di una vita vissuta sul filo del rasoio, si mostra la complessità delle relazioni e non si fa un ritratto edulcorato dell'amore, ma anzi si evidenzia come anche le storie più belle hanno momenti orrendi e difficili. Ci sono personaggi spezzati da vite complesse, da famiglie sbagliate, da amori malsani che fanno il male di tutti i coinvolti. Le sue tre protagoniste femminili sono così carismatiche che da oggi vorrei solo essere il cosplay di tutte e tre, con i loro capelli stupendi e i loro vestiti magnifici.
Eppure si arriva al finale, che decide deliberatamente di buttare tutto nel water e tirare lo sciacquone. In 9 episodi si è costruita la storia di Billy affinché capisse quale strada prendere, quale vita scegliere, quale persona essere, per poi, negli ultimi minuti, liberarsi di tutto quanto. Se quello che accade è perfettamente nelle corde del personaggio di Camila, è del tutto sbagliato per quello di Billy, che tossico era nel primo episodio e tossico si è rivelato fino alla fine, e di certo non faccio riferimento al suo abuso di sostanze stupefacenti. Che immenso peccato, che spreco di ottimo materiale, che brutto.




Mi sono consolata ricominciando la mia serie teen preferita: Veronica Mars. La storia della giovane investigatrice privata del liceo di Neptune ci aveva conquistato tutti, nei primi anni 2000, perché tutti volevamo essere lei: cool, sicura di sé, senza morale ma con un forte senso di giustizia che le fa aiutare chiunque, forte e bellissima. Veronica aveva conoscenza nei luoghi malfamati della città, amici tra i criminali locali e persone potenti in debito con lei. Eppure era l'outsider, quella esclusa e che il resto della scuola prendeva in giro, cosa che la rendeva ben più simile a noi comuni mortali.
In tutto questo appeal della sua protagonista, la storia funzionava, e oggi lo posso dire col distacco del tempo, perché si trattava di gialli ben costruiti, di mistery in cui non si temeva di mettere nulla in discussione. Le famiglie, l'autorità locale ma non solo, i ricchissimi 09ers, l'intero sistema giudiziario statunitense: tutto è potenzialmente sbagliato se ci si mette in mezzo una ragazzina che non ha nulla da perdere. Veronica, guardata con gli occhi di un'adulta (sob) è una pazza incosciente, incapace di imporsi limiti ragionevoli, incapace di comunicare realmente con chi la circonda se non vi è costretta, confusa ed emotivamente caotica: è un'adolescente come tutti gli altri, e per questo la amiamo tanto e l'abbiamo tanto amata quando avevamo la sua età. Era quello che eravamo, ma al tempo stesso molto più figa di quanto saremmo mai stati. Le voglio molto bene e sono felice sia arrivata su Prime, per tornare a Neptune a giocare alla detective insieme a lei.
Dalla comodità del mio divano, però, che io incosciente così non lo sono mai stata.


martedì 14 marzo 2023

Gli anni '50: il decennio delle donne mostruose

12:16
 Abbiamo appurato in tante sedi diverse che l'arrivo dell'Altro - alieno, mostro, o comunista - significa per il cinema americano la distruzione della famiglia tradizionale. Mariti sostituiti da mostri mutaforma, figli scambiati in culla, esperimenti volti a rovinare la squisitezza della società. 
Cosa succede, però, quando a essere mostri sono proprio le donne, che del focolare domestico sono state da sempre (ehm) considerate gli angeli? Quando crollano le fondamenta, cosa succede al resto della società?
Negli anni '50 ci sono stati un po' di film per raccontarcelo, e ne parliamo insieme.




L'ho accennato parlando degli anni '40 ma lo ripeto velocemente qui: nel dopoguerra le donne sono spaventose. Hanno imparato a portare sulle spalle la società intera mentre gli uomini erano in guerra, hanno preso posizioni lavorative che fino a quel momento non erano loro concesse e si sono allargate all'interno del mondo, prendendosi spazi che fino a prima del conflitto erano loro preclusi.
Non stupisce quindi che, una volta conclusa la guerra, si sia cercato di riportare la società su territori conosciuti. Negli anni '50, quindi, il cinema diventa a sua volta un continuo racconto di conflitti, solo che questa volta bisogna cercare nemici "universali". 
Come possiamo peggiorare l'immagine di questi invasori, di queste creature spaventose che interrompono le nostre vite per trasformarle in qualcosa di sconosciuto? Le rendiamo femmine.
E allora arriva The She - Creature, The Leech Woman - che includiamo anche se tecnicamente è del '60 - The Wasp Woman, di Corman, e così via. Un insieme di femmine il cui aspetto diventa raccapricciante e i cui sentimenti solo votati alla violenza.
Sono, questi, quasi sempre film punitivi per le loro protagoniste: Marla e Mrs Starlin, le protagoniste di The Leech Woman e The Wasp Woman sono aspramente giudicate perché vanitose. In entrambi i film ci si rivolge a conoscenze altrui (scienziati o culture esotiche) affinché regalino il segreto dell'eterna giovinezza, e questo diventerà per loro fatale. La cura per il proprio aspetto è un elemento negativo, sia che nasca dalle protagoniste stesse, come è nel caso della donna-vespa, o sia imposto da uomini controllanti, come il marito della povera Marla, e pertanto le conseguenze saranno gravissime. Poco importa se siano donne di successo, come Mrs Starlin, fondatrice di una casa cosmetica di grande successo, o se siano a tutti gli effetti vittime di una relazione malsana, il desiderio di gioventù, reale o anche solo ricreata grazie a creme o rituali, non si confà ad una donna di famiglia per bene e pertanto le conseguenze sono da pagare prima di tutto con l'aspetto. Ecco che quindi donne bellissime diventano mostri disgustosi, ma soprattutto pericolosi.
L'aspetto mostruoso è anche la punizione per la protagonista di The She-Creature, Andrea, forse il più popolare dei tre, colpevole solo di non ricambiare un amore ossessionato. 
La donna che si concentra sul proprio aspetto è pericolosa perché non spende se stessa per la famiglia, e infatti nessuna delle nostre tre protagoniste fa parte di un nucleo familiare classico e funzionante. La signorina Starlin è nubile, per quello che ci è dato capire, Marla è vittima di un matrimonio infelice che l'ha resa vittima di dipendenze e costante frustrazione, Andrea esiste solo in virtù del suo ipnotizzatore e naturalmente nulla a che vedere con una relazione classica. 
In The Leech Woman ci si spinge addirittura a creare un personaggio femminile che sembra avere tutte le intenzioni di distruggere il solo legame che rimandi ad una tradizionale visione del mondo. 
Tutte e tre finiscono per uccidere: le donne sono diventate a tutti gli effetti dei mostri, per colpa della scienza impazzita (siamo pur sempre dalle parti dell'horror fantascientifico degli anni '50) o di rituali e tradizioni di popoli lontani che gli occidentali volevano andare a prendersi e fare propri. 
La tragedia è sola fine possibile, quindi, ed è colpa delle stupide femmine che altro non vogliono se non la pelle liscia. (Per chi passa di qua per la prima volta, sono sarcastica).

Questi non sono film eccellenti: sono molto "semplici", privi di guizzi particolari o di grandi ambizioni, ma sono rappresentativi della solita vecchia storia, declinata in questo caso nel linguaggio conosciuto del cinema degli anni '50: le donne sono spaventose.
A loro è andata male, noi oggi non abbiamo bisogno che sia uno scienziato fuori controllo a renderci mostri: lo diventiamo da sole, e la paura la facciamo di proposito.

lunedì 6 marzo 2023

Rileggere Harry Potter a 32 anni

18:19
Non ho mai fatto mistero, sebbene ne parli pochissimo, della mia relazione con Harry Potter. Nonostante provi un profondo imbarazzo per la sua autrice, che si è rivelata una persona che speravamo tutti non fosse, sono molto legata ai romanzi. Non fraintendetemi, quindi, questo che prevedo sarà un post fiume non serve in alcun modo a difendere né Rowling né chiunque condivida i suoi miserabili pensieri e anche il suo atteggiamento da povera vittima della woke generation.
Ma torniamo alle cose belle. Letti per la prima volta da bambina, esattamente coetanea dei personaggi che mano a mano sono cresciuti con me, Hogwarts è stata casa quando tanto avevo bisogno di averne una. Ho con i libri quindi un rapporto molto intimo, mi legano a loro un profondo affetto e ricordi dolcissimi. Ne sono pure piuttosto gelosa.
Erano anni, però, che non rimettevo piede nel mondo magico, e siccome ho preso questa abitudine di scrivere libri per bambini mi sembrava che rileggere la saga dal successo più straordinario di sempre potesse essere una buona idea. Lo è stata, nonostante tutto. 
Ne parliamo insieme, vi va?




Non ho pretesa, in questa sede né altrove, di fare un'accurata indagine di mercato per comprendere e analizzare le ragioni per cui questa serie di libri sia diventata il fenomeno travolgente che è ancora oggi, non ne ho proprio le competenze e lo trovo anche un po' noioso. Il mio vuole essere solo, come di solito da queste parti, un post a sentimento, una chiacchierata insieme su qualcosa che tanto mi sta a cuore.
Certo, riletta con occhi più maturi la saga ha una serie di problematicità che oggi sono evidenti ma che da piccola non avevo mai colto. Una su tutte: una vera e propria ossessione per il peso dei personaggi, che è sì coerente con il periodo in cui è stato scritto, ma che oggi agli occhi del lettore stona parecchio. I personaggi grassi si dividono in due categorie: i cattivi, come Dudley che non ha altre caratteristiche fisiche che non siano il suo peso sempre crescente o la Umbridge, e i materni, come la signora Weasley, Hagrid e in un certo senso anche la Signora Grassa, che con il suo ruolo e la sua posizione in un certo senso "protegge" i Grifondoro. 
A costo di sollevare delle ovvietà, è una saga completamente priva di rappresentazione, in cui tutti i personaggi sono bianchi, abili, etero - con l'eccezione di Silente, volendo, anche se questa è una cosa che non sta nei romanzi ma solo nelle dichiarazioni della sua autrice fatte pure, a mio parere, in modo furbetto e disonesto. Parlando ai giovanissimi, non sono problematicità da nulla: stiamo dicendo loro che se non rientrano in queste caratteristiche non sono i protagonisti, e che questa saga non parla a loro. Noi che siamo della generazione che con Harry Potter è diventata grande siamo vittime storiche dell'ossessione per la magrezza malsana che i primi anni 2000 ci vendevano come sola possibilità di essere accettabili, e la saga ha rinforzato quello che tutti gli altri ci dicevano. Sebbene nei romanzi successivi questo costante rimando al peso vada leggermente scemando, il danno ormai era fatto. Tutto il resto, invece rimane invariato, dal primo al settimo.
Eppure, e mi perdonerete per l'eccesso di miele, non ha perso la sua magia. Riletti oggi, i romanzi di Harry Potter si sono confermati tra le più straordinarie storie per ragazzi mai scritte, e proverò a spiegarvi, ma soprattutto a spiegarmi, il perché.
Quello che funzionava allora e funziona oggi è il potentissimo senso di appartenenza. La costruzione così dettagliata dell'universo magico porta a totale immedesimazione. Come dicevo, nel momento della mia vita in cui mi ci sono approcciata avevo bisogno di un luogo a cui appartenere, e Hogwarts me lo ha dato, perché lo diventa per i suoi studenti. Diventa casa, è accogliente e calda, è familiare e dolce, è un caldo abbraccio in cui rifugiarsi. Il modo in cui il castello da solo prende il posto della famiglia, fin da quando i suoi studenti sono poco più che bambini, è candido e radioso. Si sale su un treno che ti porta in un castello magnifico che per tanto tempo finirai per chiamare casa, e funziona perché all'interno del castello si ricreano esattamente le dinamiche familiari che hai da poco lasciato. Hai amici che diventano fraterni perché non hai scelta, insegnanti che non diventano mai vere e proprie figure genitoriali ma che almeno riportano l'aspetto autoritario in un luogo che altrimenti ne è completamente privo. Non ci sono educatori o figure alla pari che si occupino dei bambini quando le lezioni sono finite. Si fa affidamento sugli altri studenti, che vengono premiati con piccoli ruoli di autorità, come i Prefetti e i Capiscuola, ma tutto sommato non appena si sale sul treno viene richiesto agli studenti di diventare grandi nel modo più dolce possibile: appoggiandosi gli uni agli altri.
Questo è per me il vero, immenso, punto di forza: il valore dell'Altro. Lo so, lo so, conoscendo oggi la sua autrice è quasi ridicolo, ma sto cercando di separare opera e autore. 
Harry Potter è speciale senza avere fatto nulla per esserlo. Non è il più intelligente ma neppure quello che lo è di meno. Non ha poteri particolari, doni che lo rendano diverso. Lo è in virtù di quello che qualcun altro ha fatto per lui (di nuovo, il valore dell'Altro), ha un potere che gli è stato donato senza alcun merito. E questo è magnifico, è rincuorante, è anti performativo. In un mondo che ci chiede costantemente di provare quanto siamo meritevoli delle cose che abbiamo, Harry ha tanto senza avere fatto niente, ma soprattutto è circondato di amore. E su questo ci torniamo.
Tornando sul discorso del tanto famigerato world building, invece, quello che mi ha dato la sensazione di essere l'elemento vincente è composto da due cose: familiarità e rispetto.
Quando parlo di familiarità intendo che fa riferimento costante alla vita che i lettori conoscono così bene. Hogwarts è una scuola, e pertanto ha regole, lezioni, compiti. Ha momenti di divertimento, di quelli che ti porti appresso per la vita intera, e altri rognosi da cui desideravamo scappare, come il professore che pensiamo ci detesti o la materia in cui facciamo schifo. Lo sport ha un ruolo fondamentale, al punto che non solo il Quidditch è stato creato dal nulla con un complesso sistema di regole, campionati e capacità richieste, ma ha anche un peso importante in termini di pagine spese per parlarne. A partire dai primi volumi, dalla lunghezza più contenuta, capitoli interi sono dedicati a partite, allenamenti, squadre. Alcuni eventi fondamentali succedono a bordo campo, durante le partite, in grandi occasioni come la Coppa del Mondo. La vita di un qualsiasi ragazzino - inglese ma non solo - è portata in scena in modo realistico, ma migliorato. La vita comune subisce il più bello degli upgrade: la magia.
E quindi gli elementi più tradizionali del mondo magico come lo conoscevamo già prima nella cultura popolare diventano parte dell'esperienza comune dei ragazzini, creando sulla carta la vita dei sogni. 
In questo senso però non tratta come stupidi i suoi giovani lettori, e qui andiamo nella parte sul rispetto. Considera chi legge alla pari degli adulti e pertanto anche la costruzione del mondo magico adulto è reale: ci sono un Ministero, con tutti i problemi di elezione e successione, Tribunali, con annessi problemi di corruzione, banche, istituzioni burocratiche, prigioni. Col passare degli anni i lettori sono introdotti a tematiche più "mature", che però fin da La pietra filosofale sono pronti solo per essere esplorati. È tutto stato sempre lì, serviva solo il tempo di conoscerlo per bene. 
Ovviamente a rendere il tutto molto buono è la "premeditazione", la costruzione a tavolino di un mondo complesso e completo ma alla portata di lettori di ogni età, che hanno la sensazione di leggere qualcosa che parli a loro ma che li faccia sentire grandi.

A toccare il mio cuore, però, sono altri due elementi.
Come dicevo prima, l'Altro. Harry Potter da solo è un simbolo, nulla più. Fin dalla sua nascita, però, è stato graziato da un gruppo di persone che lo hanno amato a prescindere dal suo ruolo, e crescendo ha saputo costruirsene uno suo, di gruppo, che lo amasse altrettanto. Non c'è una sola circostanza in cui se la cavi da solo, in tutti i libri, a partire dai primi bisticci con Draco fino alla magnifica Battaglia di Hogwarts. Harry vive in una nuvola di amore, che lo protegge e lo incoraggia, che lo supporta e lo rimprovera quando necessario. Sono innumerevoli, nei romanzi, gli abbracci stretti, quelli che ti dai solo quando pensavi che non avresti mai più rivisto qualcuno, le mani intrecciate di nascosto per incoraggiarsi, le parole sussurrate alle orecchie per aiutarsi. È un mondo fatto di quell'intimità che hanno solo le persone che potrebbero perdersi da un momento con l'altro, e quello è proprio un amore diverso da qualsiasi altro. Poiché la perdita nei romanzi esiste, e anche frequente, quell'amore qua si fa sempre più forte. 
Sì, il trope della famiglia per scelta è uno di quelli che tanto mi emozionano, e questa saga ne è la quintessenza. La sola famiglia tradizionale, i Weasley, non fa altro che aprirsi agli altri, allargando questo piccolo mondo in cui quel poco che c'è è di tutti, e in cui la profonda dignità della povertà impedisce di lamentarsene. Molly non è solo quella che cucina per tutti, è quella che ama tutti come se li avesse messi al mondo lei. È preoccupata per tutti allo stesso modo, è protettiva e accogliente, senza un istante di cedimento. Siamo su questa barca insieme e insieme remiamo per arrivare alla destinazione.
L'altro elemento, infine, è l'Ordine della Fenice. Anche questo non è un mistero per chi ha già letto questo blog, ma i ribelli mi straziano il cuore. Quelli che in pochi, barcamenandosi tra il nulla che possiedono, muoiono per un ideale. Quelli che hanno una missione più importante della vita stessa, ovvero liberare il mondo dall'oppressore. L'Ordine vecchio, decimato dai primi anni di Voldemort, che si ricostruisce e fa spazio ai nuovi membri, tutti insieme con la paura di perdersi ma con un nemico da combattere per liberare il popolo intero. Con i vecchi caduti nel cuore e le nuove generazioni da proteggere. I ribelli, come piccola pentola di fagioli che sobbollisce al di sotto del frastuono del male, che si fa spazio in un mondo in cui il cattivo si è preso le istituzioni e la libertà. E quindi le riunioni di nascosto, le parole d'ordine per accedere, un nascondiglio segreto, modi creativi per comunicare, tutti piccoli momenti che mi scaldano il cuore e mi fanno sempre credere che, comunque vada, un piccolo gruppo di ribelli da qualche parte sta combattendo per qualcosa di più importante del mondo intero. Mi piace pensare che avrei il coraggio di essere una di loro. 

Harry Potter è stato costruito a tavolino per funzionare con chiunque, persino con i ragazzini dalla vita privilegiata, perché riconoscono aspetti che sono familiari anche a loro e hanno una bella avventura magica. È nei ragazzini a cui la vita ha riservato un po' di iella, però, che si prende uno spazio immenso nel cuore. Perché ti dice che quel tipo di amore lo puoi avere anche tu, anche se non sei niente di speciale ma solo perché esisti, perché quel tipo di famiglia lì lo puoi trovare anche tu, quando incontri qualcuno che ti assomiglia e gli lasci modo di scoprirti, perché ti racconta che casa non è un'abitazione, e se lo è non è una reggia lussuosa: è il luogo in cui senti che puoi dormire la notte sapendo che per un po' il male non ti può venire a prendere.
Per me, oggi, è ancora un po' quel luogo sicuro lì: in mezzo a mille tribolazioni, so sempre che alla fine "all was well", e ricomincio a respirare per un po'.

martedì 31 gennaio 2023

Le cose viste e lette a gennaio

19:09
 Anno nuovo, rubrica vecchia.
Mi piace sempre, però, raggruppare a fine mese, in un unico post, tutte le cose di cui ho fruito nel periodo, per raccontarle senza accollarmi troppo. 
Quindi, con le nostre solite categorie, cominciamo!



Podcast

Dopo un periodo di stanca, risollevato solo dall'ascolto di Carla, una ragazza del novecento, a cui ho dedicato un post intero, finalmente ho trovato un po' di cose nuove da ascoltare.
Primo su tutti Nella trappola della setta, un podcast a cura di Giorgia De Carolis che affronta il tema delle sette e dei culti, e che nello specifico si sofferma sul caso Un Punto Macrobiotico, fondata negli anni '80 da Mario Pianesi. Il podcast, di soli 6 episodi, cerca di analizzare, anche grazie all'intervento di esperti, le dinamiche sociali e psicologiche che rendono alcune persone vittime di quelli che sono veri e propri crimini. Il lavoro di De Carolis è approfondito, parte da un'esperienza personale e finisce per ampliarsi, fino a chiedere un feedback anche ai diretti responsabili. A voi il piacere di scoprire che cosa hanno da dire. È molto doloroso, parla di persone che hanno buttato anni di vita, e compromesso in alcuni casi la propria salute, solo per aver riposto la propria fiducia nelle persone sbagliate. Interessante e molto ben curato.
Ho scoperto poi Mystery Pot, in cui una coppia di amiche si racconta fatti misteriosi. Da Nostradamus, ai Warren, fino ad Anneliese Michel. Le due ragazze sono simpatiche, hanno evidentemente un bel rapporto che rende piacevolissimo ascoltarle.

Videogiochi

Questo mese in live abbiamo giocato a due cosette. Il primo, folle e disperato, è The Textorcist, l'indimenticabile avventura dell'esorcista sconsacrato Ray Bibbia, che lavora in una Roma ormai completamente succube del potere del Vaticano. Ma poi, quel Vaticano lì, sarà ancora in piedi come lo conosciamo? Lo scoprirete affrontando demoni e posseduti, che combatterete digitando sulla tastiera le parole del rito dell'esorcismo. O siete dei portenti, o ci dovete giocare in due, perché mentre digitate dovete pure scappare. Non è facile. Ma quanto fa ridere.
Sapete invece cosa non fa ridere? The Vanishing of Ethan Carter, in cui nei panni dell'investigatore Paul Prospero dovrete scoprire che fine ha fatto il giovane Ethan che, come da titolo, è scomparso. 
È un gioco bellissimo, non fraintendetemi, ma sto cominciando a chiedermi fino a che punto sono disposta a lasciare che le storie dell'orrore si prendano gioco di me e della mia - già di suo malconcia - emotività.

Serie tv

Mese intenso da questo punto di vista. Abbiamo recuperato Lovecraft Country, e mi si spezza il cuore nel dire che mi ha lasciata piuttosto tiepida. Più ero coinvolta dalle vicende personali dei personaggi, dalla componente, passatemelo, "reale", meno lo ero da quelle soprannaturali, e ad una serie che si intitola così non sono sicura di volerlo perdonare. L'ho trovata un pochino messa insieme con lo scotch, forse perché parte di un progetto più ampio che non potrà vedere la luce ora che è stata cancellata? Ma in un'epoca come questa, in cui cancellano più serie di quante ne producano perché il mercato sta messo come sta, è ancora perdonabile concepire una stagione di una serie che da sola non stia in piedi? Non ne sono sicura.
Il tutto, però, si è presto dimenticato, da queste parti, perché abbiamo proseguito il mese con Yellowjackets, di cui il web parla da mesi. E ne parla da mesi a ragione, ovviamente, perché sebbene tanti lamentino il già visto io l'ho trovata una bella ventata d'aria fresca, paradossalmente. Soprattutto per il modo in cui parla delle relazioni tra le amiche adolescenti, mostrando le zone grigie di un periodo della vita in cui tutto è bianco o nero. Mi piace vedere donne così diverse volersi bene ugualmente, nel modo complesso in cui si vive il volersi bene. L'ho trovata intensa e di strepitoso intrattenimento, e bramo la seconda stagione tanto quanto bramo il caffè dopo pranzo.
Infine, mi sono dedicata a Ginny&Georgia, uno dei prodotti più popolari di Netflix. Le protagoniste sono mamma e figlia, e, come in tutte le storie di questo tipo, i loro problemi nascono quando le due non capiscono che devono comunicare meglio. Georgia deve accettare che Ginny non sia più bambina e Ginny deve accettare - anima candida -  che ci sono cose di cui al momento ha il privilegio di non doversi preoccupare. Il modo in cui parla della povertà è reale, in alcuni momenti così tanto che mi è mancato il fiato. Soprattutto, però, ho apprezzato il modo in cui parla di autolesionismo (potentissimo tw), che è uno dei temi principali soprattutto della seconda stagione. È una serie in cui due genitori bambini non sanno come essere adulti insieme alla loro figlia adolescente senza riversarle addosso responsabilità che non ha - terreno molto familiare alla Vostra - e che cercano gli strumenti per lasciarsi alle spalle un passato che decisamente alle spalle non ci vuole stare. È una storia che parla di quanto si è disposti a fare per il bene dell'altro, ma anche di che cosa significhi davvero, il bene dell'altro. Dove sta il confine tra giusto e sbagliato, ammesso che ce ne sia uno. Il tutto ovviamente trattato con grandissima leggerezza, perché è una serie comedy che non ha pretesa di trattato morale ma solo, mi è parso di capire, di far nascere un dialogo.
Infine, per la categoria true crime, ho visto Vatican Girl, la serie Netflix su Emanuela Orlandi. La vicenda la conosciamo quindi lo sapete già che dovete arrivarci con la voglia di strappare gli alberi a mani nude dalla terra secca. Per quanto riguarda la struttura della serie, invece, ho solo un piccolo appunto: si dedica davvero tanto tempo ad un personaggio a cui davvero io non avrei dedicato più di 5 minuti. La vicenda Orlandi è gigantesca e complessa, non c'è bisogno di far parlare i buffoni mascherati. (Non) parlano a sufficienza quelli col volto scoperto.

Libri

Come sempre mi accade, gennaio è il mese in cui leggo di più. Oltre al libro del mio progetto di lettura (i dettagli sono sul mio Instagram), ho concluso la seconda metà de Le nebbie di Avalon. L'immenso lavoro di Marion Zimmer Bradley è diventato il mio libro preferito. L'ascesa e la caduta di Camelot raccontate dal punto di vista delle sue donne è uno straordinario viaggio che non parla solo di storia, ma che usa le religioni come spunto per parlare di società, di cultura. L'antico culto di Avalon e la religione cristiana diventano le due lenti attraverso cui le nostre signore leggono il mondo, e decidono delle sorti di Britannia. Un mondo fatato in cui le battaglie sono sempre sullo sfondo, mentre il presente è deciso da chi la battaglia la governa da lontano: le donne. 
Ho poi letto Niente di vero, di Veronica Raimo, che è un divertentissimo racconto familiare, una disamina della famiglia dell'autrice, che prendendosi molto poco sul serio ci racconta dei suoi. Perfetto per le persone della mia età, che cominciano a costruirsi una famiglia propria e hanno strumenti nuovi per analizzare quella di origine. Tanto vale che ci ridiamo su.
E siccome in questo periodo sto un po' così così ho deciso di concedermi una lettura che non facevo da anni: Harry Potter. Per un decennio della mia vita questi libri sono stati il mio conforto, il mio scudo contro il mondo, la mia casa. Sì, le storie hanno quel potere immenso qua. Li ho abbandonati per un po', perché la fame di parole nuove mi ha lasciato poco tempo. Quest'anno, però, l'ho cominciato con un po' di difficoltà, e ho pensato che fosse il momento buono per tornare un pochino nell'abbraccio caldo di chi mi ha consolato tante volte. Essere grandi è difficile, e io avevo voglia di tornare piccina ancora un po'. Al momento sono al quarto. 

Dei film che vedo parlo sempre su instagram quindi vi rimando a quello se vi va di leggere che cosa ho guardato vi rimando a quello, il link è sempre qua di fianco.

IRL

Senza il minimo dubbio, la cosa più bella di gennaio è stata l'aver visto finalmente dal vivo Notre Dame de Paris. Dopo una quindicina d'anni passati a cantare con tutto il dolore che conosco che "la parola bella è nata insieme a lei" da sola nella mia cameretta, ho finalmente visto e soprattutto sentito le voci del cast originale cantarla con tutta la disperazione della storia più tragica della letteratura. La storia di Quasimodo mi appassiona in tutti i suoi formati, compreso quello edulcorato di casa Disney, perché non esiste descrizione più sincera del dolore, e dell'amore, e di quanto nonostante il primo valga sempre la pena del secondo. 
Ho pianto come se fossi stata lì da sola, a cantare inni di passione e libertà. Di una bellezza che non ha senso raccontare.



venerdì 30 dicembre 2022

Carla, una ragazza del novecento: il podcast

15:32

 



In tanti anni di blog non credo mi fosse mai capitato di dedicare un post intero ad un podcast, ma sono reduce dall'ascolto dell'ultimo episodio di Carla, una ragazza del '900, il prodotto di Sara Poma, e ho tanta voglia di parlarne. 
Che questo mi sia di lezione, tra l'altro, perché ho giusto appena pubblicato il post sui preferiti dell'anno e subito dopo scoperto il miglior prodotto audio del periodo.

Carla, composto da - soli, sigh, 8 episodi, è il racconto di una vita. Carla è la nonna materna di Sara, la creatrice del podcast. Nel 1992 ha deciso di raccontare la sua vita in un testo, scritto a mano e corredato di fotografie. Anni dopo la nipote ha deciso di raccontare la storia che ha trovato nel quaderno, che è una storia ordinaria e, proprio per questo, straordinaria.
Viene da riflettere, ascoltando questo lavoro magnifico, che ruolo abbiamo nel mondo. In un pianeta abitato da miliardi di persone, in cui io spesso mi sento il carico dell'enormità dell'umanità, di fronte al quale mi sento piccola e invisibile, viene da riflettere sulla nostra presenza, sul nostro - eventuale - impatto, su cosa conta essere così piccoli in un mondo così grande. La storia di Carla è la storia di una donna qualunque, ammesso che tale concetto esista davvero, che esistano persone qualunque. 
Eppure ci arriva da qualcuno che Carla l'ha molto amata e di conseguenza la rende la sola storia degna di essere raccontata. Allora, forse, tenendo presente tutto questo amore, tutto assume un significato differente. I piccoli membri delle storie ordinarie diventano una rete intera, composta di esistenze congiunte che, insieme, formano l'umanità intera. E quindi, di qualunque, non c'è proprio nessuno.

Nel racconto di Carla incontriamo anche altre vite: quella del marito Felice e del fidanzato Beppe, della figlia Marisa, del genero, del padre, delle nipoti. Insieme, una piccola società, di quelle che, messe tutte insieme, sorreggono sulle spalle il peso del mondo. I due racconti, il manoscritto e il podcast, sono tutti basati sull'immenso amore che ha legato le persone coinvolte. Anzi, non sull'amore, sul bene. Carla, parlando degli uomini che hanno segnato la sua vita, non parla mai di innamoramento, se non in un breve passaggio sul marito che l'ha lasciata vedova troppo presto. Usa spessissimo l'espressione voler bene. Forse è una scelta dettata da differenze di espressione, ma in un momento storico (il mio da ascoltatrice) in cui siamo soliti gridare all'amore furioso, sguaiato, folle, questo modo più umile se vogliamo di riferirsi al sentimento che sorregge le sorti del mondo mi ha scaldato il cuore. In un momento in cui l'amore era un privilegio (per capire cosa intendo, Jennifer Guerra nel suo Il capitale amoroso ne parla approfonditamente), sapersi voler bene era un grande dono. E Carla, di bene, ne ha voluto tanto. Nel suo manoscritto non parla di vicende romanzesche, di amori selvaggi e tormentati, ma racconta la magnificenza dell'ordinarietà. Racconta di relazioni iniziate al bar di paese, di un marito conosciuto tramite amici comuni, di incontri casuali. Parla di relazioni in cui non ci si gridava parole di passione, ma in cui si vivevano situazioni comuni, quotidiane, spesso tribolate. 
Anche nel parlare della figlia, quello che emerge non è una narrazione moderna della maternità, ma piuttosto una definizione concreta e dolorosa di cosa significhi volere il bene dell'altro. La sua Marisa è cresciuta con i nonni, perché il lavoro la teneva lontana da casa. Si sono tanto amate (volute bene) ma si sono vissute poco. E persino riferendosi ai suoi genitori, quello che emerge è senso di colpa, eterna riconoscenza, bene. 

Questo perché Carla ha vissuto in un momento in cui quelle come lei, cresciute e vissute senza una lira, non avevano il privilegio della scelta. Ha preso il primo lavoro disponibile, che nonostante condizioni che oggi riconosciamo essere di grave sfruttamento le piaceva molto, ma ha vissuto lontana dalla sua famiglia tutta la vita. È stata sottoposta a umiliazioni, orari indecenti, richieste scandalose da vicini di casa molesti. È stata una donna in un momento in cui esserlo era ancora di più difficile di quanto non lo sia oggi. Mai una volta, però, nel suo racconto, si respira un momento in cui si concede di lamentarsi. Riconosce grandi momenti di sconforto, racconta la difficoltà e i momenti complessi, con lo stesso tono molto consapevole di quando racconta che col coltello tra i denti li ha superati tutti quanti.
Nelle ultime righe, quando il suo racconto volge alla conclusione, Carla si fa quasi un plauso. È stato difficile, ma ha vinto tutto. È riuscita a condurre una vita dignitosa, ad essere persino, in qualche momento, felice. Ma soprattutto è fiera di sé, di essere, prima di tutto, una persona buona, capace di farsi rispettare quando necessario ma col cuore sempre aperto per gli altri, per la sua grande capacità di volere bene. 

Gli ultimi momenti dell'ultimo episodio sono condotti solo dalle parole di Sara, che ricorda cosa ne è stato di Carla dopo la stesura del diario, e come sono passati i suoi ultimi anni. Infine, ci lascia con quelli che sono stati gli ultimi momenti con questa nonna bella e buona e il dolcissimo amore con cui la ricorda mi hanno, insindacabilmente, convinta che in quel tipo di bene lì stia tutto il senso della nostra permanenza qui. 

giovedì 22 dicembre 2022

2022: Un post sui preferiti

19:37

 Se già abitualmente non sono una maestra nel fare bilanci, questo 2022 mi sta mettendo molto alla prova. Alcune cose sono state magnifiche, altre hanno messo molto alla prova il mio traballante equilibrio e sto per questo rassegnandomi all'idea che questo sia, semplicemente, il modo in cui va l'esistenza e che sia compito mio imparare a convivere con l'instabilità che ne consegue. Mi creerò gli strumenti adatti strada facendo, come immagino facciamo tutti quanti per stare a galla.

Siccome però siamo qui per parlare dei prodotti di cui fruiamo, bisogna riconoscere che da questo punto di vista siamo in un momento glorioso che ricorderemo con gioia. Andiamo quindi con il nostro solito elenco per punti per vedere che cosa ho amato di più.



PODCAST

A metà dell'anno, complice un trasferimento lavorativo, ho cominciato a macinare molto meno chilometri di quanti non ne facessi prima, e per questo ho di molto ridotto la quantità di podcast che riesco ad ascoltare. La mia rivelazione dell'anno, però, sono sicuramente quelli de Il Post, almeno quelli disponibili anche senza l'abbonamento. Ho ascoltato La bomba, La fabbrica dei soldi e, naturalmente, ascolto con religiosa fiducia Indagini. Sono naturalmente lavori professionali, curatissimi e dall'evidente impronta giornalistica, che però non mi dispiace nonostante sia una più da chiacchiere tra amici. Nello specifico, Indagini si distingue dal marasma di podcast true crime per il modo in cui si allontana da narrazioni morbose e irrispettose - e, lo sapete, lo dico da appassionata del genere - perché si concentra su due aspetti: come si sono svolte le, appunto, indagini, e come i media hanno gestito la narrazione. Davvero un lavoro ottimo, pulito nei modi e negli intenti. 

LIBRI

Se parliamo di narrativa dell'orrore, due sono i titoli che a mesi di distanza mi porto ancora dentro. Il primo è Civitas Dei, di Vincenzo Disalvio, di cui vi ho già parlato abbondantemente in questo post e che continuo a consigliare. Un viaggio magnifico nel Sud più profondo e nell'italianità più autentica. Il secondo, invece, è L'ospite, forse l'opera più famosa di Sarah Waters. Un gotico molto classico, dal sapore che arriva dritto da altri tempi ma che appassiona con moderna freschezza. Una storia di donne non credute, di case e realtà che cadono a pezzi, di amori sbagliati e di responsabilità che nessuno ha davvero mai chiesto. 

Se usciamo dal mio genere del cuore, ecco che invece l'anno se lo è preso Almarina, una storia di donne, di nuovo, che si trovano e capiscono passo dopo passo come fare a costruire una vita insieme. Una madre in potenza e una figlia da aiutare, in una realtà che sarebbe complicata anche per i più forti degli spiriti, ovvero quella del carcere minorile. Una prosa indimenticabile, il mio 2023 sarà tutto dedicato alla scoperta di tutto il resto che Valeria Parrella ha dato alla luce.

FUMETTI

A qualche anno dall'ultimo volume, che ci aveva piantati in asso con un finale da togliere il fiato, è tornato il mio fumetto preferito di ogni tempo: Saga. Arrivati al decimo volume, abbiamo resettato tutto e siamo come ripartiti, con tanti volti nuovi da conoscere ed imparare ad amare. Eppure, quel modo lì che aveva di raccontare un universo in subbuglio non lo ha perso, e ritrovare Hazel e tutti quelli che la amano è stato come tornare in un abbraccio familiare. I problemi sono nuovi, i mondi sono nuovi, e crescendo la bambina crescono le cose che le accadono, ma la spiccata sensibilità con cui ci vengono raccontati non è andata perduta. Non si sono scordati come sapevano farci ridere, come una frase soltanto era sufficiente a commuovere, come raccontare un universo in guerra porti per forza di cose con sé tanto dolore, che però non è mai gratuito. Una splendida conferma. Quanto mi eri mancato, Saga bello.

SERIE TV

Io con le serie tv non riesco a stare al passo con le uscite. Troppe, ovunque. E mi rendo altrettanto conto che le mie scelte tra i preferiti dell'anno siano molto banali ma converrete con me che queste sono proprio state delle serie della madonna: The Sandman e The Midnight Club
La prima, un tentativo tanto ambizioso quanto ben riuscito, di adattare una delle opere a fumetti più grandi della storia del mondo, la seconda l'ennesima conferma che Mike Flanagan può disporre di me come più gli aggrada tanto ormai mi ha ridotta ad un guscio vuoto privato dell'anima e dei sentimenti.
Se invece parliamo di docuserie, Netflix quest'anno ha tirato fuori due cose secondo me parecchio interessanti, sullo stesso angosciante tema: I crimini di Jimmy Savile e Jeffrey Epstein: Filthy Rich, che parlano entrambe di due pedofili milionari. La prima è un ottimo lavoro di analisi della società che ha consentito al pedofilo in questione di restare una delle persone più celebri della nazione nonostante il suo reato fosse cosa nota, la seconda affronta lo stesso rema spostandosi dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti. Savile lavorava da solo, mentre la storia di Epstein e del ributtante circo che teneva in piedi è ben nota. Non sono storie facili da guardare, e quando si parla di certe cose raccomando sempre la giusta cautela, ma trovo che Netflix racconti queste storie con il rispetto di chi è stato vittima ma senza risparmiare i giusti colpi a chi ha concesso a queste storie di durare nel tempo. Mi sono sembrati molto buoni.

FILM

Per ovvie ragioni in questa sede non parleremo dei miei horror dell'anno, non voglio certo rovinare l'episodio dedicato di Nuovi Incubi, ma a tutto il resto possiamo dedicarci, perché quest'anno ho avuto la fortuna di vedere molte più cose del mio solito.
Anche qui non stupirò nessuno dicendo che le cose più belle dell'anno le ha dirette il mio solo Signore Guillermo del Toro, che ha pensato di graziarci con non uno ma ben due nuovi film, molto diversi tra loro ma altrettanto suoi. Se Nightmare Alley ha segnato una momentanea uscita dal soprannaturale, Pinocchio è al 100% una creatura sua, magica. Sono film quasi antitetici: il primo parla della discesa negli inferi di una persona perduta, il secondo della bellezza della vita ordinaria, della straordinarietà della quotidianità. Stanton e Pinocchio erano entrambi alla ricerca di altro da sè. Una vita migliore, qualcosa che li rendesse diversi da quello che conoscevano. Eppure uno dei due ha conosciuto solo rovina, l'altro, che complice il cuore bambino si è aperto al mondo, la salvezza. Il primo punisce l'ambizione quando si alimenta dei fallimenti altrui, il secondo la coccola, perché la inserisce in una microsocietà fatta di amore e rispetto per l'altro, nonostante le tribolazioni. Due diverse esaltazioni della vita, nel modo sincero di chi ancora guarda al mondo con meraviglia. 

Certo, quest'anno un altro grande signore è tornato al cinema: Elvis di Baz Lurhmann è esattamente quello che ci si aspettava fosse. Brillante, colorato, barocco, potente, vitaminico. Un'esaltazione di una carriera e un ritratto di fragilità. Il mondo dello spettacolo messo sotto i riflettori, la magia della finzione che si schianta contro la realtà. Vederlo al cinema è stato come andare al parco giochi, un tripudio.

Infine: quanto mi sono divertita con Do revenge? Madonna se ho ancora 16 anni, guarda.


VIDEOGIOCHI

Dei sei giochi che abbiamo giocato in live su Twitch quest'anno, uno solo si è preso il mio cuore e parlo ovviamente del magnifico Martha is Dead. Non so ancora nulla del mondo videoludico, quindi prendete come sempre quello che dico sul tema come un'opinione personale e non un'analisi. La storia però è stata un viaggio magnifico, nella campagna toscana durante la Seconda Guerra Mondiale. Non mi ci sarei staccata mai. Scoprire la causa della morte della gemella, i partigiani, le foto, la cura maniacale per i dettagli, la ricostruzione fedelissima e nostalgica delle case di campagna di una volta. Un'esperienza magnifica, se i videogiochi fossero tutti così non potrei fare altro nella vita.

IRL

Potrei avere fatto a tutti una testa tanta con questa storia, ma quest'anno mi sono sposata il mio Moderatore. Adesso, quindi, una bella carrellata di foto, così, tanto per condividere nel mio decennale bloggettino una cosa così gigante che è successa nella vita della sua autrice.








Che bello avere uno spazio di condivisione. Grazie se in questo anno avete letto, guardato o ascoltato qualcosa di mio. Io, di vostro, ho letto, guardato e ascoltato tanto, ed è sempre una ricchezza.
Buone feste a tutti, in qualsiasi modo le celebriate, qualsiasi sia il vostro credo. Siate felici in ogni modo possibile.

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