Evil Dead Rise
Mari.
10:39
È una delle storie che racconto qui sul blog più di frequente: La casa è il film che mi ha preso per mano e mi ha dimostrato che cosa potesse essere per me il cinema dell'orrore. Gli sono così tanto affezionata da così tanto tempo che è come se fosse un compagno di percorso.
Ogni evento legato alla sua saga, quindi, è da queste parti accolto con l'entusiasmo che mi ricorda ogni volta quanto sia bello avere una passione che fa battere il cuore. E quindi direi che torno a soffiare via le ragnatele da questo posto, sui cui scrivo sempre meno ma a cui non sono disposta a rinunciare, per parlare a testa e cuore caldi di La casa - Il risveglio del male, la quinta installazione in una saga che non accenna a perdere colpi.
Ci sarà una piccola parte con spoiler, opportunamente segnalata, perché c'è una storyline secondaria che mi ha infastidita e vorrei parlarne.
La trama è quella di ogni Evil Dead che si rispetti: ci sono persone che trovano un libro che non avrebbero dovuto trovare e che ascoltano parole che non avrebbero dovuto ascoltare, e liberano il male nella casa in cui si trovano.
Evil Dead Rise però modifica la posta in gioco cambiando un elemento in questa struttura. La casa non è più un posto isolato in cui i protagonisti capitano per varie ragioni. Non siamo più nei boschi in fatiscenti cabine isolate, ma siamo a casa. Questo elemento porta la discussione su un livello completamente diverso, e per questa ragione il quinto film affronta temi mai toccati finora. La casa, e pertanto la famiglia, sono gli elementi originari del male e dei traumi. Non è neppure un caso che tutto questo avvenga poco prima che la casa venga distrutta per volere di proprietari poco interessati agli inquilini: la casa la stavano già perdendo prima che iniziasse tutto, e non ne avevano una nuova. Sono le pareti domestiche le iniziatrici della sofferenza, e il male è completamente interno, tanto è vero che quando il male assume volti esterni al nucleo familiare la questione si risolve in modo rapidissimo e indifferente ai fini dell'economia della storia. Quelli che contano, qui, sono i dolori interni, le sofferenze che con i nostri amati ci infliggiamo involontariamente.
Ancora più nello specifico: quelli che contano sono i traumi inflitti dalle madri, imperatrici supreme del mostruoso femminile. Sono i figli ad aprire il libro, è quello del figlio maggiore - adolescente chiuso h24 nella sua stanza, che non vediamo quasi mai interagire con la madre prima del fattaccio - il sangue che consente al libro di aprirsi, è la sua curiosità che fa sì che si ascoltino le infauste registrazioni. Sono loro i parassiti che le annullano l'identità e la rendono il mostro.
Il padre li ha lasciati, e lei, la madre cool con i capelli colorati in casa che fa la tatuatrice, è vittima di un sistema che la vuole prima madre che individuo, e ne esce indemoniata.
Indemoniata, appunto, perché anche questo Evil Dead è, come i suoi precedenti, un film di possessione. Uno di quelli come non se ne vedevano da anni, forse da un decennio. È una possessione silenziosa e sbraitata insieme, in cui ci sono momenti più dimessi, in cui i demoni compaiono lenti e silenziosi alle spalle, ed altri sguaiati, con le quantità di sangue che vi aspettate da La casa. Il mix è micidiale: erano anni che un film non mi faceva così paura. Sono solo dispiaciuta di essermi rovinata alcuni momenti avendoli visti nel trailer: senza preparazione mi avrebbero annientata.
Ellie, la madre, aveva già prima dell'infelice incontro in ascensore un volto e un corpo molto spigolosi. L'immaginario della possessione che ci siamo costruiti con Reagan vedeva protagonista un corpo morbido, cucciolo. Quello di Ellie è stanco, provato, con le ossa sporgenti e le occhiaie, piegato sul tavolo di lavoro e incurvato dalle responsabilità. Prima del suo volto, quindi, è il suo corpo che vediamo piegato dall'invasore: il momento in cui compare sulla porta, in controluce, in una posa ancora umana ma già innaturale, è così spaventoso che me lo porterò appresso per un po'. La vediamo andare a compiere la più canonica mansione da madre, cucinare per nutrire i suoi figli, e ancora il volto non ci è mostrato del tutto: è umana, ancora per un po'. Quando poi la vediamo per intero, coperta da un makeup francamente eccezionale, una delle prime cose che fa è rivendicare la sua libertà: di nuovo il mostruoso si rivela liberatorio. Non solo per lei, però: la seconda ad essere posseduta è la più grande tra le figlie femmine, naturale erede di un ruolo che non ha mai chiesto. E la faccenda, per quanto riguarda lei, non è troppo diversa.
La possessione è brutale, e Evil Dead Rise finisce per essere tra i film più spaventosi che ho visto di recente. Alterna momenti di paura purissima, come l'ormai troppo vista scena allo spioncino (non temete, il fatto di averla già vista non significa non faccia comunque una paura della madonna), ad altre più silenziose, in cui il demone si muove lento sullo sfondo, fuori fuoco. Ci si sofferma sempre per una frazione di secondo di troppo sul volto indemoniato, fino a che sembra che quegli occhi marci guardino dentro allo spettatore, con infiniti primissimi piani, perché non ci si possa scansare mai. Tutta l'attenzione è sul volto di Ellie, che ha tantissimo tempo in scena concentrato spesso tra il volto e le mani: di nuovo, i simboli della maternità se vogliamo. Il volto caro e familiare che smette di esserlo, e le mani che fino al momento prima hanno accarezzato diventano gli artigli che si aggrappano alle vasche da bagno, alle porte, agli angoli, e che se possono cercano di ammazzarti.
I figli, già provati da un primo abbandono da parte del padre, si aggrappano gli uni agli altri per mantenere una parvenza di famiglia, per stringere quello che rimane loro, chiusi tra le pareti familiari del solo luogo che conoscono come casa.
È un film per appassionati, perché si prende il tempo, nella sua rinfrescante breve durata, di omaggiare in ogni modo che gli riesce tutto quello che ha condotto al momento in cui sarebbe arrivato in sala. Lo fa con accenni direttissimi e con altri solo accennati, ma è pieno di un grande affetto per tutto quello che lo ha portato in essere e a me non importa se per qualcuno possa sembrare fan service: io gli ho voluto molto bene. Ha riportato in sala quell'equilibrio perfetto che aveva il primo film: fare paura - tanta, non so se lo ribadirò mai abbastanza - e al tempo stesso creare alcune situazioni così estreme da far sorridere. Ci sono botte da orbi con attrezzi da cucina, arti strappati, lacerazioni, motoseghe: l'anima di Evil Dead è salva, o forse dovrei dire che continua ad essere dannata, e non gli si poteva rendere omaggio meglio di così.
DA QUESTO MOMENTO SPOILER
Un elemento che vale la pena prendere in considerazione, prima che io inizi a lamentarmi di quello che non ho amato, è la tanto famigerata rape scene, che fa sempre parlare di sé quando si parla della saga. Qui si sceglie di non inserirla, o almeno di non renderla visibile. Ellie finisce in ascensore, i cavi la prendono per gli arti e io ero certa si andasse in quella direzione, con i cavi al posto dei rami. La scena si interrompe prima, e sebbene io non sia una detrattrice delle scene in questione nei film precedenti sono contenta che qui si sia fatta questa scelta. Quello che si è visto è stato sufficiente e soddisfacente.
In questo glorioso festival del sangue che è stato, però, un elemento della trama mi ha fatto storcere il naso. Parlo della storyline della zia. Ellie e i figli ricevono la visita inaspettata della zia Beth, l'effettiva protagonista, che in un momento precedente abbiamo scoperto essere incinta. La notizia della gravidanza non la rende felice, tanto è vero che la definisce "una cazzata" quando lo racconta alla sorella. Beth fa una vita sempre in tour, per via del suo lavoro da tecnica del suono, si allontana sistematicamente dalla sua famiglia e tende un po' a sparire.
Inizia la tragedia, e lei si vede costretta a prendersi cura dei nipoti. Questo, però, non avrebbe dovuto essere uno scenario alla M3gan. I nipoti lei non li deve adottare, deve solo salvare loro la vita, portarli vivi a mattina, e poi si vedrà. Se la storia fosse rimasta così sarebbe stato un film perfetto. Invece no, eccoci a dover inserire la bellezza e la straordinarietà della maternità, che si fa strada anche nei cuori più ostili, in aperto contrasto col lavoro di decostruzione fatto in precedenza con Ellie.
Beth finisce per fare la mammina, che protegge il suo feto dalla sorella che lo vuole far fuori - non in uno scenario alla Inside ma solo perché è matta in culo e vuole ammazzare tutti - e che prende la sua piccola e adorabile nipotina in quella che è stata evidentemente ritratta come una relazione madre - figlia. Inserire la sua gravidanza in che modo ha fatto del bene alla storia? Non ha aggiunto alcun valore alle circostanze iniziali del racconto, ha solo aggiunto un elemento in più. Non si conclude in modo platealmente reazionario come quello di A Classic Horror Story, ma alla fine a Beth il ruolo viene comunque imposto, e nel giro di una notte.
Questo è il solo elemento che non ho amato in un film adrenalinico, eccitante, sanguinolento, spaventosissimo. Tutto quello che amo nel cinema dell'orrore. Che immensa gioia poterlo vedere in sala.